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La luna, uno spettacoloso oggetto matematico

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"O, swear not by the moon, th' inconstant moon,
That monthly changes in her circle orb,
Lest that thy love prove likewise variable." 
William Shakespeare (Romeo and Juliet - Act 2 Scene 2)

Queste intramontabili parole di Giulietta, tratte dal testo originale di William Shakespeare :
"Oh non giurare sulla luna, l'incostante luna,
che si trasforma ogni mese nella sua sfera
Affinché il tuo amore non si riveli allo stesso modo mutevole."
e il 50° anniversario dello sbarco sulla luna, il 20 luglio prossimo, mi hanno dato lo spunto per questo articolo di matematica "lunare", in cui proprio grazie alla luna parlo di un progetto didattico della NASA e introduco la "F-trasformata" legata al grande matematico  Jean Baptiste Joseph Fourier. 


Un celebre fotogramma del film Viaggio nella Luna (Le voyage dans la Lune, 1902) 
di Georges Méliès Immagine ©Wikipedia

A 50 anni dalla telecronaca di Tito Stagno dello sbarco, il 20 luglio 1969, sul mare della Tranquillità dei due astronauti Neil Armstrong (il 20 luglio alle 20:17:40 UTC) e Edwin Aldrin (il 21 luglio alle ore 02:56 UTC), ritorna in auge il nostro satellite.
Ora sono i cinesi a puntare sulla Luna e gli Stati Uniti, che dal dicembre 1972 avevano concluso le missioni "Apollo"¹, prevedono ora un piano per la nascita nel 2020 di colonie lunari con fini scientifici. 
Intanto, per preparare questo ritorno, alcune sonde spaziali hanno approfondito lo studio geologico della Luna e forse hanno individuato una riserva di acqua ghiacciata. 


Come applicare la matematica alla luna? Immagine © Luna Math

Ma come applicare la matematica per capire il satellite naturale della Terra e le future missioni sulla luna? 
Ci viene in aiuto un progetto della NASA (National Aeronautics and Space Administration) rivolto agli insegnanti che introduce nuove prospettive dell'insegnamento attraverso uno stretto legame tra matematica e spazio.
Le questioni che affronta la matematica "lunare" possono spiegare concetti come le caratteristiche fisiche della luna, la probabilità di un impatto di un meteorite sulla superficie lunare o come l'ossigeno potrebbe essere estratto dalle rocce lunari. 
E'nata quindi una guida, Lunar Math Educator Guide, che include matematica di base, algebra, geometria, funzioni trigonometriche... 
La guida, a sua volta, fa parte del progetto SpaceMat @ NASA, progetto nato per introdurre gli studenti all'uso della matematica nelle scoperte scientifiche di oggi. 
SpaceMath @ NASA collabora con l'importante fornitore di soluzioni educative STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics)  per aiutare gli studenti a vedere le profonde connessioni tra matematica e scienze, usando la NASA e l'esplorazione dello spazio come tema. 
L'astronomo Sten Odenwald, che è di stanza al Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, Maryland, guida un team di professionisti, Education and Public Outreach (E & PO), che sviluppano i materiali didattici di SpaceMath.
Attraverso comunicati stampa e altri articoli, vengono analizzati i tipi di abilità matematiche che si incontrano nell'esplorazione dell'universo.
I problemi, estratti appunto da comunicati stampa della NASA, sono scritti per presentare aspetti sorprendenti ma quantificabili di un'immagine o di una scoperta che possono essere presentati come semplici problemi matematici, progettati per l'uso diretto in classe da parte degli studenti.

"Questi possono essere diversi come un problema su frazioni e percentuali usando i dati dell' esopianeta Kepler, o come determinare il volume di Comet Hartley-2 usando il calcolo integrale"
ha detto Sten Odenwald.



"Incorporando le risorse fornite da SpaceMath @ NASA nei programmi scolastici, si può aiutare a sviluppare le capacità di pensiero critico degli studenti attraverso applicazioni del mondo reale tratte dai titoli dei giornali e queste attività evidenziano anche la pedagogia del Common Core for Mathematics rafforzando capacità degli studenti di applicare concetti e integrare gli standard per la pratica matematica"
ha affermato Jim O'Neill, vicepresidente di Houghton Mifflin Harcourt (HMH) di Boston, che partecipa al progetto.
(Comunicato stampa SpaceMath @ NASA)

In Italia non credo proprio che questo progetto sia stato applicato ai programmi scolastici ma potrebbe servire da spunto per introdurre problemi di matematica applicata, tanto "cari" al MIUR alle ultime prove di Maturità, le cui scelte in questi ultimi anni, sono state molto discutibili se non surreali. 

Dopo questa introduzione di didattica statunitense, applicata alla Luna e alle imprese spaziali, vediamo in concreto come davvero la matematica "lunare" sia utile per comprendere sia la matematica che le caratteristiche del nostro satellite.
La luna, come argomento per lo studio matematico, offre infatti molte opportunità di combinare argomenti matematici, dai più semplici ai più avanzati, per sondare ulteriormente i suoi numerosi misteri. 
Per migliaia di anni semplici operazioni e deduzioni geometriche erano bastate per padroneggiare la sua cronologia nel cielo, ma l'avvento dei telescopi nel XVII secolo e l'era spaziale negli anni '60 del XX secolo, ha aperto molti nuovi modi per indagarlo come un oggetto matematico.


Sidereus Nuncius di Galileo Galilei
Estratto del Sidereus Nuncius – Trattato di astronomia
 con due schizzi di Galileo Galilei, pubblicato nel 1610

Il volto moderno della luna apparve infatti per la prima volta la sera del 30 novembre 1609, quando Galileo Galilei, che si trovava a Padova, puntò il suo cannocchiale verso la luna e, notando le irregolarità che la caratterizzavano, realizzò uno schizzo per registrare le sue scoperte. 
Nei successivi diciotto giorni, egli tracciò almeno altri cinque disegni, sulla base dei quali preparò degli accuratissimi acquerelli, di cui ne usò quattro da pubblicare come stampe a corredo del suo rivoluzionario "Sidereus Nuncius", che comparve nel marzo successivo. 
In questo trattato Galileo annunciava ad un pubblico meravigliato che la Luna non era un globo di quintessenziale perfezione, bensì un ammasso craterizzato da elementi, una nuova terra che doveva essere esplorata, mappata e battezzata. 
Nasceva così la selenografia, vale a dire la disciplina astronomica relativa alla descrizione e rappresentazione della superficie lunare. 

Ma non voglio parlare di selenografia bensì di come si possa introdurre, descrivere e capire la Trasformata di Fourier partendo da considerazioni "lunari".


"Théorie analytique de la chaleur"- J.B.J Fourier - 1822

In analisi matematica, la F-trasformata, è una trasformata integrale ideata dal barone Jean Baptiste Joseph Fourier (1768-1830), da cui la trasformata prese nome e che il matematico sviluppò, nel 1822, nel suo trattato "Théorie analytique de la chaleur", dove usò la sua tecnica matematica soprattutto per spiegare molti casi di conduzione termica.
Quasi 200 anni dopo, la Trasformata di Fourier resta uno strumento utilissimo in diversi domini della scienza, offrendo la possibilità in alcuni casi di risolvere le astruse equazioni che descrivono le risposte dinamiche a sollecitazioni elettriche, termiche o luminose e in altri casi serve a identificare le componenti regolari di un segnale ondulatorio, consentendo così di interpretare correttamente certe osservazioni in astronomia, medicina e chimica.

Prima dell'avvento dei calcolatori elettronici, il calcolo numerico di una trasformata era piuttosto noioso perché si dovevano fare moltissime operazioni aritmetiche con carta e matita. Il tempo necessario poteva essere ridotto un po' usando regole e piani di computazione che guidavano i ricercatori nel calcolo, e successivamente questi calcoli divennero più agevoli quando si resero disponibili calcolatori e programmi in grado di applicare nuovi metodi dell'analisi di Fourier. Come il lavoro proposto nel 1965 da James W.Cooley del Thomas J. Watson Research Center della IBM e da John W. Tukey dei Behl Telephone Laboratories di Murray Hill, nel New Jersey, che portò all'allestimento di un programma chiamato trasformata rapida di Fourier. 


Immagine della baia di Mont Saint-Michel © Wikipedia

Ma la Luna e Fourier?

Tutti conosciamo il legame tra la luna e la marea che è un fenomeno periodico costituito da ampie masse d'acqua (oceani, mari e grandi laghi) che si innalzano (flusso, alta marea) e abbassano (riflusso, bassa marea) anche di 10-15 metri (nella baia di Mont Saint-Michel
Questo fenomeno, con frequenza giornaliera o frazione di giorno (solitamente circa ogni sei ore, un quarto di giorno terrestre), è determinato, oltre che dalla forza centrifuga dovuta alla rotazione del sistema Terra-Luna intorno al proprio centro di massa, dall'attrazione gravitazionale esercitata sulla Terra dalla Luna, che, pur essendo circa duecento volte meno intensa dell'attrazione esercitata dal Sole, è la principale responsabile delle maree, in conseguenza del fatto che la misura del diametro terrestre non è del tutto trascurabile rispetto alla distanza tra la Luna e la Terra, mentre lo è rispetto alla distanza tra la Terra e il Sole.
Già verso la fine del XIX secolo ci si riferiva alla F-trasformata nella previsione dell'ampiezza delle maree, mediante il dispositivo Ferrel.


Il dispositivo di previsione delle maree di William Ferrel del 1881-2, 
Ora allo Smithsonian National Museum of American History

Il dispositivo di William Ferrel era un calcolatore analogico costruito verso la fine dell'Ottocento, che eseguiva la sintesi di Fourier per prevedere l'andamento delle maree. 
Dai dati sulle escursioni di marea raccolti in un porto particolare si ricavava, con calcoli eseguiti a mano, un insieme di numeri, ciascuno dei quali rappresentava un contributo periodico alla marea, come l'attrazione gravitazionale della Luna.
I numeri ottenuti per quel porto potevano poi essere introdotti nell'apparecchio posizionando le manopole sul suo retro (immagine a sinistra).
Impostando l'ora desiderata sulla parte anteriore (immagine a destra), l'ampiezza prevista della marea poteva essere letta su un quadrante. 

Recentemente la National Aeronautics and Space Administration (NASA) si serve proprio dell'analisi di Fourier per migliorare la nitidezza e il dettaglio delle immagini della luna e di altri oggetti celesti, ottenute nello spazio da sonde planetarie e da satelliti in orbita terrestre. 
Le immagini vengono trasmesse a Terra sotto forma di successioni di impulsi radio e un calcolatore trasforma questi impulsi utilizzando le tecniche di Fourier, quindi modifica le varie componenti di ciascuna trasformata per accentuare alcune caratteristiche ed eliminarne altre, più o meno come si elimina il rumore dalla trasformata di Fourier di una registrazione musicale. 
Infine, i dati modificati vengono ritrasformati per ricostruire l'immagine che, con questo procedimento, può essere così meglio messa a fuoco, potendo eliminare la foschia di fondo e modificare il contrasto.

Insomma prendendo spunto da questi due esempi possiamo introdurre l'argomento della F-trasformata che risulta utile anche in tantissimi altri campi: nella fisica dei plasmi, nella fisica dei semiconduttori, nell'acustica a microonde, in sismografia, in oceanografia, nella ricognizione radar, nella realizzazione di immagini in medicina o, fra le molte applicazioni in chimica, nell'impiego di uno spettrometro basato proprio sulla trasformata di Fourier.

Ma come calcolare una Trasformata di Fourier? 

Questa formula (in realtá è piú corretto parlare di una coppia di formule) merita di essere compresa, almeno nelle sue basi piú semplici e pratiche.
Iniziamo a vedere di che tipo di equazioni si sta parlando: 



A prima vista sembrerebbero spaventose! Integrali, numeri complessi scritti in forma contratta...!
In realtá non sono poi così difficili.
In matematica, una trasformata è un operatore, generalmente lineare, di uno spazio di funzioni su un altro spazio di funzioni; ovvero trasforma una funzione in un'altra funzione. Tale operatore è di solito applicato ad una funzione per semplificare alcune operazioni o in generale per risolvere più facilmente dei problemi.
Qui si tratta di una trasformata integrale, ovvero un'applicazione, generalmente lineare, di uno spazio di funzioni su un altro spazio di funzioni, realizzata con un integrale.
La forma generale di una trasformata integrale lineare T(f) è:


ove K(s, t), la funzione che differenzia le varie trasformazioni, è detta nucleo o kernel della trasformazione.
In parole povere la trasformata di Fourier consente di scomporre un'onda qualsiasi, anche molto complessa e "rumorosa" (un segnale telefonico o televisivo, un'immagine, la musica, la voce...) in piú sotto-componenti, un po' come attraverso la chimica si puó scomporre un cibo nei suoi sottoelementi così da capirne la reale composizione.
Piú precisamente la trasformata di Fourier permette di calcolare le diverse componenti (ampiezza, fase e frequenza) delle onde sinusoidali che, sommate tra loro, danno origine al segnale di partenza. 
Dopo questi brevi accenni qui non mi dilungo, in quanto l'argomento è pienamente trattato in tutti i testi di Analisi II e in molte dispense; tra cui questa, in linea con le mie osservazioni, del Prof. Paolo Tilli "Dispense del corso di Analisi II" Capitolo 6 - "La trasformata di Fourier", Dipartimento di Matematica - Politecnico di Torino

Immagine scattata da LRO che mostra dettagli del Mare Nubium. 

Concludo quindi queste mie considerazioni sulla Luna come "oggetto matematico" con una delle immagini che la NASA ha decodificato proprio attraverso la F-trasformata e, ricollegandomi alla didattica proposta dalla guida Lunar Math, lascio queste due facili facili domande:

Questa è una delle prime immagini scattate da LRO (Lunar Reconnaissance Orbiter) che mostra dettagli del Mare Nubium. 
La larghezza dell'immagine è di 700 metri (500 pixel). 
Domanda 1 - Utilizzando un righello millimetrico determinare la scala dell'immagine in metri
per millimetro e metri per pixel.
Domanda 2 - Qual è il diametro, in metri, del più piccolo cratere riconoscibile?

...a voi la risposta!²


Note

¹ Missioni Apollo dal 1969 al 1972 
Come si nota la missione Apollo 13, diventata celebre anche per un film, non è nella lista.
Il numero 13 portò sfortuna infatti all'Apollo 13, terza missione decollata l'11 aprile 1970 alle ore 13:13 CST dal Kennedy Space Center che non concluse la missione, per un guasto che impedì l'allunaggio e rese difficoltoso il rientro sulla Terra.

² Essendo l'immagine suscettibile di variazioni di dimensioni a seconda dello strumento di lettura usato (PC, Tablet o Smartphone) Ecco le risposte:
Risposta 1 - Se la larghezza letta fosse di 153 millimetri, la scala sarebbe 700 metri / 153 mm = 4,6 metri / mm e 700 metri / 500 pixel = 1,4 metri / pixel

Risposta 2 - Il più piccolo misurabile potrebbe essere quello di 0,5 mm. Quindi 0,5 mm x 4,6 m / mm = 2,3 metri





"Stria" e Carlo Borromeo in Valtellina

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Claudia Donadoni ha portato ieri sera in scena, ad Aprica, "Stria", un noir che sa di terra e di sangue, di ingiustizia, di persecuzioni, di fanatismo, di inquisizione, di perenne lotta tra ricchi e poveri, tra uomini e donne...dove i secondi sempre soccombono.


Claudia Donadoni interpreta "Stria" - foto ©Annalisa Santi

Carlo Borromeo (Arona, 2 ottobre 1538 – Milano, 3 novembre 1584) è stato un cardinale e arcivescovo italiano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica. 
Canonizzato nel 1610 da papa Paolo V a soli 26 anni dalla sua morte, san Carlo è considerato tra i massimi riformatori. 
Il culto di S. Carlo Borromeo è tra i temi iconografici più diffusi e tipici della cultura lombarda del Seicento ed è testimoniato in Valtellina da numerosi dipinti, chiese e cappelle a lui dedicate.


"San Carlo Borromeo in Gloria", un olio su tela (154cm. x 230cm.) 
opera lombarda, precedentemente affisso nella chiesetta di località
 Foppa (Teglio) ora al "Museo Valtellinese di Storia e Arte" di Sondrio 

L’opera "Stria" ruota intorno alla vicenda di Rusina, una ragazza veramente esistita nel Varesotto (esiste un documento storico del 1520, tra i pochi sfuggiti ai roghi della Santa Inquisizione, oggi proprietà dell’Università dell’Insubria di Varese), cresciuta tra pratiche di medicina arborea, superstizioni e feste arboree, sotto l’attento controllo della Santa Inquisizione. Cosima, un’amica d’infanzia di Rusina, viene violentata brutalmente da un uomo uso a simili atti e le donne preparano una vendetta...Rusina viene accusata di stregoneria e immolata sul rogo.


Claudia Donadoni interpreta "Stria" - foto ©Annalisa Santi

Ma cosa c'entra Carlo Borromeo con le streghe?

La vicenda di Rosina potrebbe essere benissimo avvenuta in Valtellina, nel XVI secolo, proprio nel periodo in cui Carlo Borromeo solcava il passo di Aprica imponendo la sua fanatica religiosità.
Certo a suo modo fu anche un riformatore, visto che aprì scuole, seminari per moralizzare il clero (a quell’epoca c’era un detto: "vuoi andare all’inferno – fatti prete") per dire fino a che punto il malcostume dei preti dava scandalo, ma anche un personaggio con turbe mistiche, misogino, aveva in odio le donne, si vantava di non aver mai guardato gli occhi di una donna, fece costruire palizzate di legno nelle navate delle chiese per divedere gli uomini dalle donne (in alcune chiese si può ancora oggi constatare dall’usura del pavimento questo provvedimento) perché le donne erano per Carlo Borromeo la fonte del peccato, mandò al rogo libri accusati di eresia, Bibbia e Vangelo scritti nella lingua del posto (allora era vietato ai credenti leggere i testi sacri senza la mediazione del prete) aveva una sua concezione ascetica della vita che lo spinse ad affermare che “la malattia è un dono di Dio” obbligando tutti ad estenuanti digiuni che spinsero in molti a perdere la salute compresa la sua (morì infatti a soli 46 anni) e quella della sorella prediletta Anna (morta a soli 32 anni al termine dei digiuni quaresimali), avendo un sostanziale disprezzo della vita terrena per privilegiare la morte, come incontro con Dio.


1549 - Le donne bruciano, i frati assistono con atteggiamento rilassato, impugnando i crocifissi. 
Un soldato, addirittura, si scalda le mani. 

Carlo Borromeo si distinse anche nella Caccia alle Streghe, soprattutto nelle Valli a ridosso della vicina Svizzera, Valtellina appunto compresa. 
A Roveredo in Val Mesolcina furono 12 le donne arse vive perchè si rifiutarono di abiurare la nuova fede episodio ben documentato nel libro ("Terra Bruciata: le streghe, il boia e il diavolo"di Gerry Mottis) che rievoca la visita di Carlo Borromeo in questa località.

Ma chi erano le streghe della Mesolcina?

"Quelle che comunemente venivano chiamate streghe erano, in fondo, delle semplici persone del popolo, per lo più donne, che svolgevano delle funzioni sociali molto importanti, depositarie di antiche conoscenze di origine pagana. Le condannate erano infatti erboriste, levatrici, contadine, massaie, che in qualche misura cercavano di emergere in una società dominata dagli uomini. La misoginia trovava una sua giustificazione nel capro espiatorio. Nelle streghe si è infatti sempre cercato di identificare le colpevoli di tutti i mali della società. Malattie, morti improvvise, frane o valanghe, inspiegabili fenomeni naturali, erano imputati alle maliarde malefiche, che avevano stretto un patto col Diavolo"

Non sapremo mai se furono poche decine o qualche centinaio e forse più, visto che l’archivio della Santa Inquisizione della Diocesi di Milano dal 1314 al 1764 è stato volutamente distrutto il 3 giugno 1788, passato alla storia come "Il Rogo della Memoria". 
Hans Kung sostiene che dalla nascita della Santa Inquisizione, qui in Europa siano state uccise nove milioni di persone, condannate come eretici per aver abbracciato una fede cristiana diversa dalla Chiesa Cattolica.
Senza dimenticare che Carlo Borromeo fu precursore delle disposizioni naziste, quando nella sua Milano di quell’epoca aveva confermato e quindi ordinato agli ebrei di circolare con la Stella di David o un fazzoletto giallo sul collo. 
Dopo tutte queste citazione, mi chiedo: 
"è possibile oggi legittimare la santità di un personaggio così controverso, la cui causa di beatificazione avvenne con il versamento di 10.000 ducati d’oro da parte del suo casato?".
Carlo Borromeo sarà forse stato senz’altro grande per aver difeso il potere della Chiesa Cattolica dai riformatori protestanti, ma per i metodi usati non so se può essere considerato santo, anche se lo contestualizziamo in un periodo storico in cui si evangelizzava con le strutture di potere e con la violenza.
Violenza che si riversava sui deboli, sugli ignoranti ma anche su tutti coloro, studiosi e contestatori dei dogmi religiosi, che osavano opporsi alla "dottrina" cattolica dominante.
Forse il grande peccato, non commesso solo da Carlo Borromeo ma anche da altri ancora oggi, è quello di aver imparato a memoria i codici di diritto canonico della Chiesa ma di non aver letto il Vangelo. 
Se mai avesse vissuto l’incontro di Gesù con la Samaritana presso il  pozzo, non so come sarebbe andata a finire, certamente lei avrebbe rischiato il rogo in quanto donna peccatrice ed eretica.


Gesù e la Samaritana, l'affascinante dialogo più lungo del Vangelo 

Chiudo queste brevi considerazioni, nate dalla bellissima piece interpretata da Claudia Donadoni, con altri due fatti che mi ha ricordato e che dimostrano quanto le donne siano sempre state perseguitate, forse perché temute, come geniali artiste o scienziate.


Giuditta decapida Oloferne - Artemisia Gentileschi

Mi riferisco a Artemisia Gentileschi, grandissima pittrice stuprata che subì sevizie durante il processo (che condannò con pena lieve il suo aguzzino) e Ipazia d'Alessandria, scienziata e filosofa greca, che ancora oggi resta un simbolo della libertà di pensiero, a 1600 anni dalla sua uccisione per mano di fanatici religiosi.



In un clima di fanatismo, di ripudio della cultura e della scienza in nome della crescente religione cristiana, Ipazia venne trucidata nel marzo del 415, lapidata in una chiesa da una folla di fanatici, sobillati da Cirillo di Alessandria (370-444), venerato, ancor oggi, come santo sia dalla Chiesa Cattolica che da quella Ortodossa.




L'arte a 369 gradi di Francesco Tresoldi

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Matematicamente parlando 369 è un numero dispari
- è un numero composto con 6 divisori: 1, 3, 9, 41, 123, 369 
- è un numero difettivo poiché la somma dei divisori (escluso il numero stesso) è 177 < 369
- è la somma di 4 cubi diversi: 369 = 1³ + 3³ + 5³ + 6³
- è un numero palindromo nel sistema numerico esadecimale  171 
- è parte delle terne pitagoriche (81, 360, 369), (369, 492, 615), (369, 800, 881), (369, 1640, 1681), (369, 2508, 2535), (369, 7560, 7569), (369, 22692, 22695), (369, 68080, 68081).
- è un numero congruente (in matematica un numero congruente è un numero naturale che rappresenta l'area di un triangolo rettangolo che ha per lati tre numeri razionali...

Queste sono alcune proprietà del numero 369 che certo non troviamo però come misura di un angolo noto.


Francesco Tresoldi - "Natura morta con antiche carte" - olio su tavola - 2017

"Arte a 369 gradi" sembrerebbe quindi un errore o un refuso seppur matematicamente non sia sbagliato. Rappresenta infatti un angolo che semplicemente supera di 9 gradi il più noto angolo giro di appunto 360 gradi.
Una visione completa a 360 gradi con una piccola visione in più, di quei 9 gradi che vogliono testimoniare anche i 50 anni dell'esperienza artistica di Francesco Tresoldi iniziata dopo l'Accademia di Brera, proprio nel 1969. 
Accademia di Brera in cui aveva avuto come guida e mentore Bruno Gandola, poliedrico artista, pittore, scultore, incisore, ceramista...che, come mi ha raccontato lo stesso Tresoldi, lo sostenne proprio in quegli anni di debutto nelle sue prime mostre.




Alcuni quadri dell'esposizione "Arte a 369 gradi" 

"Arte a 369 gradi"è quindi l'ultima mostra, conclusasi domenica 25 agosto 2019, allestita in una location davvero suggestiva, la chiesetta di San Martino Franco, in località Piazza, di Corteno Golgi.
Mostra dove le tele di Francesco Tresoldi si sono fuse con gli interni e i pregevoli affreschi quattrocenteschi della chiesa romanica che domina la vallata da cui si gode un’ottima vista sul Corno del Baitone e sull’Adamello, che fu eretta e intitolata al santo, vescovo di Tours, dai monaci benedettini nel corso del IX secolo d.C.


Francesco Tresoldi - Schizzo Chiesetta San Martino Franco - 2019

Interno della Chiesetta di San Martino Franco

Affresco risalente al XV secolo di San Pietro, con la chiave ed il libro,
 e San Paolo, con la spada

"Arte a 369 gradi" quei 9 gradi in più a significare l'essenza della cultura!
Tra i molti quadri esposti uno in particolare mi ha colpito per i richiami a testi antichi, forse anche matematici, di cui si intravede una scritta, e per la simbologia che si percepisce.
Dal titolo "Natura morta con antiche carte", l' opera, un olio su tavola del 2017, ha stimolato la mia curiosità per i particolari che, per me, evidenziano una ricerca di cultura, forse di antica saggezza: insieme alle vecchie carte, un vaso ed alcune bacche.
Il vaso affascina perché è un oggetto che rimanda ad altro da sé.
Chi avrà pensato, plasmato, decorato quel vaso? Il pittore o l'artigiano? Qual'è lo scopo per cui è stato fatto o dipinto?
Materiale, modellatura, scopo, provenienza, epoca, preziosità, contenuto sono infatti tutti aspetti che in qualche modo non parlano solo del vaso in sé, ma portano a coglierne la valenza simbolica. 
Un vaso chiuso può celare un mistero e un vaso vuoto e aperto, come quello del quadro, puo essere il segno di capacità recettiva o di offerta, fors'anche di inservibilità.
La sua apertura verso l’alto simboleggia la richiesta di essere riempito, riempito di cultura forse, e la sua forma nello spazio implica solidità e nello stesso tempo impedisce la dispersione di quanto contiene. 
Ma anche la sua fragilità è proverbiale e basta poco per ridurlo in cocci. 
Tutti significati, a mio avviso, che contribuiscono a qualificare il vaso come simbolo di recettività, interiorità ma anche fragilità, elementi caratteristici della cultura. 
E il ramo di foglie e bacche?
Forse un agrifoglio senza spine che grazie ai suoi due colori, verde delle foglie e rosso delle bacche, può assumere due distinti significati che si possono ricollegare anch'essi alla cultura. 
Il verde del ramo a significare la speranza e l'eternità della cultura, mentre il rosso delle bacche, come il rosso del sangue, può rappresentare la voglia di combattere per la cultura, per non cadere nell'ignoranza, per non rinunciare ai valori e all'importanza del sapere.




Non so se Francesco Tresoldi volesse davvero significare tutto ciò e soprattutto se volesse, con questo quadro, simboleggiare l'essenza della cultura.
Questo è quello che ha stimolato in me che credo, sopra ogni altra cosa, all'importanza del sapere e della cultura, come un patrimonio insostituibile di cognizioni e di esperienze a cui ogni essere umano non dovrebbe mai rinunciare.




Una chiesetta e un ritratto a ricordo dei Corbellini

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Il ricordo di un ritratto dopo una passaggiata a Corteno Golgi.
Visitando la suggestiva chiesetta di San Martino Franco, sull'altura che domina Corteno Golgi, ho scoperto mirabili affreschi del XV secolo e altri,  datati 1754 e restaurati nel 1974 (insieme agli interni e al tetto), raffiguranti la vita del santo, presumibilmente di Paolo Corbellini, modesto pittore, figlio del più celebre Giacomo Antonio Corbellini.


Carlo Innocenzo Carloni - "Ritratto di Caterina Corbellini (?)"- 1730

Non ancora completamente presa da Alzheimer, mi sono ricordata di un quadro, visto a Brera proprio in occasione della presentazione, nel marzo scorso, del dipinto il "Ritratto di Caterina Corbellini (?)".
Il "Ritratto di Caterina Corbellini (?)" (1730 circa e visibile in sala XXXVI) è di Carlo Innocenzo Carloni (1687 - 1775), pittore originario di Scaria d'Intelvi che sposò certa Caterina Corbellini, figlia dello stuccatore e intonacatore Giacomo Antonio Corbellini (1674 - 1742) e quindi sorella di Paolo.
Il dottor Ruggero Poletti, generoso mecenate della Pinacoteca di Brera, cui ha donato dipinti del Cerano e del Magnasco, donò nel 2010 un "Ritratto di Signora" di Carlo Innocenzo Carloni, grande protagonista del rococò internazionale, ricercato dai più illustri committenti dell'impero asburgico e delle corti della Germania centro-meridionale. 
Da recenti ricerche, Simonetta Coppa, cui era affidata la presentazione, sostiene che tale ritratto raffiguri quasi sicuramente proprio Caterina Corbellini, moglie del pittore e figlia dello stuccatore e pittore intelvese Giacomo Antonio Corbellini di Laino, collaboratore del Carloni nella cappella della reggia di Ludwisburg nel Wuerttemberg (Germania) e nel duomo di Monza, che operò in Boemia, a Praga, nei domini della casa di Dietrichstein, e che, negli ultimi anni della sua vita dal 1733 al 1742, visse e morì in Italia a Laffio.


Foto della chiesetta di San Martino Franco a fine restauri - 1974
Si nota il portale d’ingresso stranamente spostato rispetto al centro 
della facciata e sopra un oculo di antichissima fattura. 

La tradizione indica un segno di un ipotetico passaggio di Carlo Magno in Aprica, dove l'imperatore avrebbe fondato l'oratorio San Pietro in località Le Plate e la valle di Corteno fu, con tutta probabilità, compresa nel vasto territorio indicato come Valcamonica che Carlo Magno donò al monastero benedettino di Tours il 16 luglio 774. 
In effetti esiste ancora oggi il dosso di San Martino o di Piazze, con una chiesa dedicata al santo patrono del monastero francese di Tours, che dominò la valle dal 774 al 1026. 
A ricordo della dominazione franca e della presenza del monastero di Tours rimane quindi la dedica a San Martino Franco della chiesa che sorge al centro di quella che fu la rocca di Corteno.
La chiesa conserva antichi affreschi del XV secolo che si trovano tra il coro e la navata, raffiguranti i SS.Pietro e Paolo, e sulle pareti alcuni poco distinguibili e altri forse ancora coperti dalla calce, essendo stata la chiesa adibita anche a lazzaretto.


 Affresco del XV secolo di San Pietro, con la chiave ed il libro, 
e San Paolo, con la spada foto ©Annalisa Santi
Altri affreschi del XV secolo -  foto ©Annalisa Santi

In seguito alla costruzione della chiesa a Pisognéto nel 1425, San Martino venne infatti utilizzato come lazzaretto e nel maggio del 1895 l’ arciprete dell’epoca, fece raccogliere in due grosse bare i resti dei cadaveri di coloro che una volta morti di peste erano stati inumati intorno alla costruzione sacra, nonché addossati al muro esterno posto a nord della Chiesa. 
Il pavimento rustico a lastroni di pietra sembra coprire ben altri cinque pavimenti a testimonianza di riedificazioni e decorazioni successive, fino agli affreschi del 1754 raffiguranti la vita del santo, per la maggior parte dipinti sulla volta dell’altare maggiore.
Nelle foto che seguono si vedono alcuni particolari  degli affreschi del XVIII secolo dopo il restauro  conclusosi nel 1974.

Un opuscolo presente nella chiesetta di San Martino Franco cita  il pittore Antonio Corbellini come autore della volta affrescata a metà settecento.


Nel cuore della volta, un dipinto raffigura San Martino in un tripudio di angeli 
che gli porgono la mitria ed il pastorale - foto ©Annalisa Santi

Mettendo però a confronto le date risulta poco probabile che gli affreschi settecenteschi di San Martino Franco possano essere attribuiti a Giacomo Antonio Corbellini bensì al figlio Paolo, nato a Praga il 24 aprile 1711 e morto a Doverio di Corteno in Valcamonica (Brescia) il 12 luglio 1769, mentre dipingeva la chiesa, nella casa del cappellano don Savardi.



Nella volta, le tre virtù teologali, Fede, Carità e Speranza, oltre alla Religione
foto ©Annalisa Santi

Le note di questo modesto pittore sono scarse e attendono ulteriori ricerche d'archivio, in una più ampia ricognizione del patrimonio artistico bresciano. 
Erroneamente gli è stato attribuito il nome di Pietro e per lo stato quasi illeggibile di molte sue opere gravemente rovinate, anche in epoca recente da cattivi restauri, non è facile l'attribuzione degli affreschi per i quali Paolo Corbellini potrebbe essersi avvalso a sua volta dell'aiuto del figlio Antonio (o Antonio Giacomo, nome del più famoso nonno).
   
 L’immagine di San Rocco, con la caratteristica piaga della peste sulla gamba, 
e quella di San Lorenzo, con la graticola su cui venne trascinato
Di fronte a San Rocco e San Lorenzo, un affresco raffigurante la Madonna 
col Bambino, San Gottardo e Sant’Antonio Abate - foto ©Annalisa Santi

Le chiese, rinnovate all’inizio del seicento a seguito delle visite borromeiche, nel settecento barocco vengono decorate e spesso ampliate, anche nel territorio della Val Camonica e della Valtellina. 
In questi interventi furono coinvolti pittori a volte locali come testimoniano gli affreschi settecenteschi di San Martino Franco ma anche di fama, chiamati a decorare le volte e gli interni per riportarli a nuovo splendore.
Gli artisti convocati erano di diversa provenienza e formazione e sembra che non esista un filone privilegiato: pittori emiliani, lombardi e veneti ma soprattutto locali come i pittori bresciani e bergamaschi, che si collocano a cavallo delle varie culture figurative.

Sopra l’altar maggiore, la pala di fattura più recente, un dipinto della celebre 
scena di San Martino a cavallo che divide il proprio mantello con il povero.
S. Martino a cavallo che divide il mantello con la spada è l’emblema 
del gonfalone municipale di Corteno Golgi - foto ©Annalisa Santi

Numerosi, anche se non tutti identificabili, sono i pittori che appartengono, per ragioni stilistiche, alla schiera di artisti originari dell’area comasca e della Val d’Intelvi o del Ticino, che precedono o seguono Carlo Innocenzo Carloni, il più importante e “internazionale” degli esponenti di quel gruppo, che realizzò affreschi e diverse bellissime tele. 
Pittori itineranti, caratterizzati da una fattura decisa e da una brillante cromia, o più tenue e delicata che richiamano appunto le produzioni rispettivamente del famoso stuccatore e intonacatore Giacomo Antonio Corbellini e quella dei suoi discendenti quali appunto Paolo e Antonio Corbellini.
Nuovo splendore che purtroppo molto spesso è stato mal conservato, cancellato o malamente restaurato.
Tanto che l'ultima opera di Paolo Corbellini, gli affreschi per la chiesa di Doverio di Corteno (1769) con i "Fatti della vita dei SS. Fabiano e Sebastiano", è pure irriconoscibile per i cattivi restauri che rendono difficile valutare quanto vi sia ancora di suo e quanto del suo collaboratore  e figlio Antonio Corbellini.


72 "a maraviglia"

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ll numero 72 nel libro "La Smorfia" viene associato "a maraviglia" (lo stupore) e tale associazione tra numero e rappresentazione simbolica viene impiegato, nella cabbalah napoletana, per interpretare sogni ed eventi inspiegabili, per poi giocarne le combinazioni al lotto.
Lo stupore, la meraviglia ha quindi un numero, il 72, e il restare meravigliati di fronte ad uno spettacolo stupendo, che sia un’acrobazia, un tramonto o un teorema matematico, ci riempie il cuore di gioia. 
Si può provare stupore quindi in molte situazioni ma generalizzando è sempre qualcosa d’inaspettato e sorprendente a regalarci questa piacevole sensazione.




Meraviglia e stupore crea il numero 72 della Gioconda di Leonardo da Vinci

ll numero '72', che si intravede sotto l'arcata del ponte dipinto da Leonardo da Vinci alla sinistra della 'Gioconda', è stato individuato da Silvano Vinceti, presidente del Comitato Nazionale per la Valorizzazione dei Beni Storici e Culturali, e sembrerebbe riferirsi alla distruzione del Ponte Gobbo di Bobbio (Piacenza) avvenuta nel 1472 per la piena del Trebbia.
Ne da conferma anche la studiosa savonese Carla Glori che identifica, nella Gioconda, Bianca Giovanna Sforza e localizza nello splendido borgo piacentino di Bobbio, il paesaggio che fa da sfondo al celebre ritratto leonardesco.
Gli studi di Carla Glori, raccolti nel libro "Enigma Leonardo: la Gioconda, in memoria di Bianca", dimostrano come Leonardo "ha apposto il numero '72' sotto l'arcata del ponte Gobbo per ricordare quella devastante piena del Trebbia e probabilmente per far sì che qualcuno identificasse l'emblematico ponte ed il luogo che fa da sfondo alla Gioconda".



Il trattato della studiosa savonese, inviato al Departement des Peintures del Museo francese del Louvre (dov'é custodita la Gioconda) per i riscontri, è stato ripreso anche da importanti quotidiani stranieri, tra cui il Daily Mail e il Guardian. 

Ancora meraviglia e stupore crea il "72" nella Bibbia

La Cabbalah cristiana che si diffuse notevolmente nel Rinascimento, anche grazie al contributo di Pico della Mirandola, come la Cabbalah ebraica, ha attinto tutti i propri insegnamenti dalla Torah e dallo Zoahr, il Libro dello Splendore.
Ma da dove si originano i 72 Nomi di Dio, che nella Cabbalah cristiana danno nome alle 72 energie definite come "angeli custodi"?
Nel Libro dell'Esodo la scrittura ha una forma unica, che non si ripete in nessun altro punto della Bibbia: tre versetti consecutivi (Esodo 14, dal 19 al 21) sono formati da 72 lettere ciascuno; si tratta di quelli che narrano il momento culminante dell'intervento divino, l'aprirsi delle acque del Mar Rosso:

"L'angelo di Dio, che precedeva l'accampamento d'Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro"
(Esodo 14, 19)
"Venne così a trovarsi tra l'accampamento degli Egiziani e quello d'Israele. Ora la nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte"
(Esodo 14, 20)
"Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore, durante tutta la notte, sospinse il mare con un forte vento d'oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero"
(Esodo 14, 21)



Da questi tre versetti è derivata la "tecnologia" spirituale che ha dato forma ai 72 Santi Nomi di Dio, costituiti ciascuno da tre lettere, ognuna delle quali è presa da uno dei 3 versi: il primo Nome è formato dalla prima lettera del primo verso, l'ultima del secondo e la prima del terzo. Il secondo Nome dalla seconda lettera del primo versetto, la penultima del secondo e la seconda del terzo.. e così via fino a formare 72 trigrammi, cioè 72 radici di 3 lettere, quelle che si vedono nella tabella. 

  • 72è anche il valore numerico della parola Hesed (o Chesed חסד), che esprime la misercordia dell'amore o la grazia (e nelle sfere angeliche corrisponde al Coro delle Dominazioni, gli angeli governati dall'Arcangelo Hesediel).
  • 72 sono anche i gradini della scala vista in sogno da Giacobbe, tramite la quale gli angeli scendono e salgono dalla terra al Cielo.
  • 72è il numero dei discepoli scelti da Gesù secondo alcuni manoscritti di Luca 10,1 e Luca 10,17. Altri manoscritti degli stessi versetti parlano di 70 discepoli.
  • 72é il numero totale di libri nella Sacra Bibbia nella versione cattolica se si considera il libro delle Lamentazioni come parte del libro di Geremia.



Le "72" regole per evidenziare la straordinarietà dei Templari

Il Concilio di Troyes del 1128 ebbe il merito non solo di ufficializzare la nascita dei Templari ma anche di redigerne una serie di normative e regole per opera di Bernardo di Chiaravalle.
Ci sono giunti due testi delle Regole dei Templari: la prima redatta in latino, lingua ufficiale della burocrazia ecclesiastica, dal chierico Johan Michiel, detta anche regola primitiva, la seconda del 1140, compilata in francese per gli "illetterati", più estesa e completa.
Della Regola francese, con capoversi miniati in azzurro, esiste il manoscritto originale presso il Fondo Corsini (Biblioteca dei Lincei) a Roma e una copia della stessa si trova a Parigi.
Quella in latino consta di 72 norme volte a stabilire la vita monastica e che risentono della visione cistercense di Bernardo perfino nelle norme riguardanti la vestizione, che imporranno una veste bianca ai cavalieri, come la tonaca bianca dell’ordine cistercense, simbolo di purezza.
Scritta di proprio pugno da Bernardo di Chiaravalle, che si ispirò alla regola benedettina, rendendola ancora più dura, la Regolaè composta da 72 articoli, di cui i primi 10 sono dedicati all'aspetto monacale guerriero dell'Ordine.
La Regola ha subito poi diverse integrazioni e modifiche, l'ultima delle quali apportata sotto il pontificato di Bonifacio VIII.
Anche la struttura numerologica del testo è studiata per sottolineare la straordinarietà di questo cavalierato:

72 è costituito da 9 moltiplicato per 8 
9 è nella mistica medievale concepito come 3x3, ovvero la perfezione assoluta
8 ha relazione con il rinnovamento spirituale e l’avvicinamento a Dio

In sostanza le 72 regole significano che i Templari sono, in qualità di monaci e guerrieri di Cristo, una combinazione di perfezione spirituale e di rinnovamento, in quanto non si tratta di un ordine contemplativo ma di un gruppo di soldati effettivi e cavalieri spirituali, un ordine che rappresentò una vera novità, dove per la prima volta si conciliò la vita monastica con la cultura della guerra in nome di Dio.


Infine vediamo "a maraviglia" di alcune delle proprietà matematiche del nostro numero 72
  • È un numero composto, (ovvero non è primo), con i seguenti 12 divisori: 1, 2, 3, 4, 6, 8, 9, 12, 16, 18, 24 e 36
  • È un numero abbondante poiché minore della somma dei relativi divisori che, escludendo se stesso, è 139  
I Pitagorici chiamavano perfetto ogni numero che fosse uguale alla somma dei propri divisori compreso l'1 ma non il numero stesso.
Molto rari iniziano con 6, 28, 496, 8128, 33.550.336...
Un numero abbondante è invece un numero naturale minore della somma dei suoi divisori interi (escludendo sé stesso). 
La sequenza dei numeri abbondanti comincia così:
12, 18, 20, 24, 30, 36, 40, 42, 48, 54, 56, 60, 66, 70, 72, 78, 80, 84, 88, 90, 96, 100, 102, 104, 108, 112, 114, 120, 126, 132, 138, 140, 144, 150, 156, 160, 162, 168, 174, 176, 180, 186, 192, 196, 198, 200, 204, 208, 210, 216, 220, 222, 224, 228, 234, 240, 246, 252, 258, 260, 264, 270...
(Sequenza A005101 della OEIS-On-Line Encyclopedia of Integer Sequences)

Una curiosità è data dal fatto che il primo numero naturale abbondante dispari è 945 e che tutti i multipli interi dei numeri abbondanti e perfetti sono a loro volta numeri abbondanti e perfetti
  • È un numero altamentetotiente con più soluzioni all'equazione φ(x) = n che qualsiasi numero più basso.
In teoria dei numeri, un numero altamente totiente è un intero k maggiore di 1 tale che l'equazione φ(x) = n, dove φ rappresenta la funzione totiente di Eulero, abbia più soluzioni che qualsiasi altro numero minore di n.
I primi numeri altamente totienti sono:
1, 2, 4, 8, 12, 24, 48, 72, 144, 240, 432, 480,576, 720, 1152, 1440...
(Sequenza A097942 della OEIS-On-Line Encyclopedia of Integer Sequences)

  • È un numero idoneo
Nella teoria dei numeri, un numero idoneo (chiamato anche numero adatto, o numero confortevole) è un numero naturale n tale che, per ogni m esprimibile nella forma a²+nb² (con a e b interi coprimi), m sia o un numero primo, o una potenza di un numero primo, o il doppio di un numero primo o di una sua potenza.
Se invece un numero n non è idoneo, esistono infiniti numeri composti rappresentabili come x² + ny².
I numeri idonei sono stati studiati da Leonhard Eulero e Carl Friedrich Gauss che trovarono questi 65 numeri idonei: 
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 13, 15, 16, 18, 21, 22, 24, 25, 28, 30, 33, 37, 40, 42, 45, 48, 57, 58, 60, 70, 72, 78, 85, 88, 93, 102, 105, 112, 120, 130, 133, 165, 168, 177, 190, 210, 232, 240, 253, 273, 280, 312, 330, 345, 357, 385, 408, 462, 520, 760, 840, 1320, 1365 e 1848.
(Sequenza A000926 della OEIS-On-Line Encyclopedia of Integer Sequences)

I due matematici congetturarono (più conosciuta come Congettura di Eulero) che questi fossero gli unici numeri idonei esistenti. 
Certamente Eulero ogni volta che trovava un nuovo numero idoneo doveva sentire un sottile brivido di piacere, in quanto era una nuova arma formidabile da utilizzare nella sua appassionata caccia ai numeri primi, e grandissimo sarà stato il suo disappunto quando, superato il numero 1848, si trovò davanti a un deserto. 
Proprio per l’ampiezza delle ricerche che aveva condotto, Eulero si convinse che non vi fossero altri numeri idonei oltre ai 65 interi che aveva listato. 
Nel 1973 Peter Jay Weinberger ha dimostrato che ne esiste al più un altro, anche se l'esistenza di un altro numero è ancora una domanda aperta.
  • È un numero di Ulam
In teoria dei numeri, una successione di Ulam è una sequenza di numeri interi tale che ogni suo membro (per n>2) sia esprimibile, in uno e un solo modo, come somma di due membri precedenti e distinti della successione
72=69+3

I primi termini della successione di Ulam sono:
1, 2, 3, 4, 6, 8, 11, 13, 16, 18, 26, 28, 36, 38, 47, 48, 53, 57, 62, 69, 72, 77, 82, 87, 97, 99, 102, 106, 114...
(Sequenza A081025 della OEIS-On-Line Encyclopedia of Integer Sequences)
  • È la somma di quattro numeri primi consecutivi:
72 = 13 + 17 + 19 + 23
  • È la somma di sei numeri primi consecutivi:
72 = 5 + 7 + 11 + 13 + 17 + 19
  • È un numero di Harshad
Un numero di Harshad in una data base è un numero intero positivo divisibile per la somma delle proprie cifre.
La definizione dei numeri di Harshad è stata data dal matematico indiano Dattatreya Ramachandra Kaprekar
Il termine Harshad deriva dal sanscrito "har a" che significa "grande gioia". A volte ci si riferisce a questi numeri anche come numeri di Niven, in onore del matematico Ivan Morton Niven.

72 è divisibile per 9 (7+2)

I primi termini della successione di Harshad sono:
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 18, 20, 21, 24, 27, 30, 36, 40, 42, 45, 48, 50, 54, 60, 63, 70, 72, 80, 81, 84, 90, 100, 102...
(Sequenza A005349 della OEIS-On-Line Encyclopedia of Integer Sequences)
  • È un numero potente
Un numero potente è il prodotto di un quadrato per un cubo, ovvero può essere scomposto nella forma n = a² x b³, dove a e b sono interi positivi (eventualmente uguali a 1)

72 = 3² x 2³
  • È la somma di due quadrati
72 = 6² + 6²
  • Può essere rappresentato, in 3 modi diversi, come differenza tra 2 quadrati:
72=9² - 3²
72=11² - 7²
72=19² - 17²

Non è però un gnomone.
Quello che i Pitagorici chiamavano invece propriamente gnomone (parola che in origine a Babilonia denotava un bastone piantato verticalmente la cui ombra era usata per misurare il tempo e che per i Pitagorici era la squadra da falegname) si ottiene sottraendo da un quadrato il quadrato immediatamente precedente, in simboli:

(n + 1)² - n² = 2n + 1

  • È un numero rifattorizzabile, essendo divisibile per il numero dei suoi divisori 
i suoi divisori sono 12 (1, 2, 3, 4, 6, 8, 9, 12, 16, 18, 24 e 36) 
72:12= 6

In conclusione ho parlato di fatti, curiosità e particolarità legati al numero 72 che spero abbiano creato, insieme a un certo interesse, meraviglia e stupore, insomma "a maraviglia" proprio come lo definisce la cabbalah napoletana.





Louis Le Prince un giallo di 124 anni fa

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"Ombre sullo schermo: lo strano caso di Louis Augustin Le Prince" 
Articolo di Nick Parisi 


"Questa invenzione è destinata a non avere nessun successo commerciale."
Louis Lumière.
"Tutto ciò che conta nel cinema è inspiegabile."
Wim Wenders.
Non esiste mai una sola verità, non esiste una sola risposta.
Anche quando crediamo di conoscere tutto su un determinato argomento accade sempre qualcosa che ci fa ricredere, dopotutto la Storia è piena di zone d'ombra.
Già, perché le cose sono sempre molto più complesse di quanto siamo disposti a credere e la cosa vale per qualsiasi argomento, per tutte le materie dello scibile umano.
Prendiamo la cinematografia, ad esempio.
Cosa ne sappiamo di preciso delle sue origini? 
Se glielo domanderete, un qualsiasi esperto storiografo vi risponderà che tutto comincia nel 1885 quando l'americano George Eastman mette a punto la prima pellicola cinematografica. Invece quattro anni dopo, nel 1889, un altro statunitense, l'inventore miliardario Thomas Alva Edison crea la prima cinepresa (che battezza kinetograph ) e altri apparecchi per la visione.
Se poi lo storiografo o l'appassionato sarà particolarmente bravo e preciso, a corollario di tutte queste informazioni, vi fornirà anche la data del 28 dicembre 1895 come giorno ufficiale per la nascita del Cinema in senso stretto, allorquando i fratelli Auguste Louis Lumière, effettuarono la prima proiezione pubblica all'interno di un locale parigino.
Per la cronaca: il locale in questione era il Gran Cafè al Boulevard des Capucines e  il nome dato dai Lumière  al loro apparecchio era - ovviamente -  quello di cinématographe.

E la cosa bella è che tutte queste sono informazioni esatte, vere e precise.
Tuttavia non sono complete.
Come in tutte le Storie ci sono dei particolari che mancano.
E che, in parte, mancano ancora oggi.
Ma anche questo è un dato di fatto:  ci fu un altro padre del Cinema oltre ai fratelli Lumière e a Thomas Alva Edison , un uomo che riuscì ad effettuare delle riprese cinematografiche già nel 1886 \ 87, alcuni anni  prima delle imprese del miliardario americano.
Un uomo a cui è legato ben più di un mistero.
Mettetevi comodi, quella che narreremo oggi è la Storia di  Louis Aimé Augustin Le Prince.
L'uomo che (forse) inventò il Cinema.
E che, ancora più probabilmente, per questo si fece molti nemici.

Louis Aimé Augustin Le Prince
in una delle sue ultime immagini.
Ritratto di un inventore
Metz è una città molto antica, fondata  dai celti Mediomatrici e poi conquistata dai romani, in epoca latina divenne perfino più importante  popolata della capitale Lutetia Parisiorum, la futura Parigi.
 Situata tra i fiumi Mosella Seille è un luogo molto importante per i francesi ed è lì tra le mura dell'antica fortezza che il 28 Agosto dell'anno 1841 vede la luce Louis Aimé Augustin Le Prince.
Pur proveniente da una famiglia di militari, il giovane Louis preferisce dedicarsi ad altro, c'è in particolare un incontro che sa tanto di predestinazione, a definire il suo destino, tra i tanti amici del padre ce n'è uno che spicca: quel particolare amico di famiglia risponde al nome di Louis Jacques Mandé Daguerre, l'inventore del dagherrotipo.
L'antenato della macchina fotografica.
Ed è con Daguerre che Le Prince apprende i primi fondamenti delle discipline scientifiche, da lui eredita il sogno di riuscire a fermare la realtà in un immagine, a riprodurla se necessario.
In seguito Le Prince continuerà gli studi a Parigi e a Lipsia, ma l'uomo è un pioniere, sa di esserlo, comprende le difficoltà che la natura dei suoi studi comporta e per questo preferisce lavorare da solo.
Non trovando pace, fa quello che pochi francesi - allora come adesso - si arrischiano a fare: si trasferisce in Inghilterra.
L'occasione è data dall'invito di un compagno  di college, l'industriale John Whitley ed inizialmente , almeno nelle intenzioni di Le Prince, il soggiorno britannico dovrebbe durare pochi mesi.
Ma in destino ha in serbo altri programmi, ancora una volta galeotto sarà l'amore: nel 1869 Louis sposa Elizabeth la sorella di John e finisce per passare tutto il resto della sua vita tra l' Inghilterra e gli Stati Uniti
Ma sopratutto in Inghilterra, nella post industriale cittadina di Leeds nel West Yorkshire,  già nel corso dell'Anno 1886 accade qualcosa.

La camera a 16 lenti inventata da Le Prince
Tutt'ora conservata a Leeds.

Il primo film
Grazie al patrimonio dei Whitley e all'appoggio di Elizabeth, l'inventore francese  riesce a mettere prima a punto prima una macchina fotografica a sedici lenti.
E poi un primo esemplare di telecamera.
Questo secondo apparecchio in realtà è una fotocamera ad obiettivo singolo però a differenza della maggior parte delle altre fotocamere che si stanno sperimentando da altre parti nello stesso periodo è in grado di realizzare riprese di immagini in movimento.
Non si sa con esattezza quante riprese sperimentali Le Prince effettua, si parla di un numero imprecisato di cortometraggi girati nel corso degli anni. Di quattro però se ne ha la sicurezza.
Di questi quattro, però solo due sono arrivati ai giorni nostri con tutti i "frames" completi.  (1)
Il primo ,conosciuto come Traffic Crossing Leeds Bridge rappresenta una scena di movimento cittadino, il secondo intitolato Roundhay Garden Scene è invece girato all'interno del giardino della famiglia Whitley. Entrambi sono databili attorno al 1888 entrambi non durano più di due / tre secondi però  il segnale che qualcosa di nuovo è nato.
Inoltre sono i primi film "girati" di tutta la Storia umana.

Almeno inizialmente Le Prince non pensa affatto ad un impiego commerciale della sua invenzione, nemmeno ad effettuarne proiezioni pubbliche, al massimo dà vita ad alcuni spettacoli privati a beneficio di pochi e selezionati amici e conoscenti. Oppure si diletta a far divertire la figlia Marie.

Però, gli affari vanno male, diverse iniziative artistiche messe in piedi da Louis e da Elizabeth falliscono clamorosamente.
Inoltre, sempre più spesso arrivano voci su altre persone che cercherebbero di riprodurre gli stessi effetti creati dall'inventore francese, numerosi concorrenti e non tutti propriamente corretti.
Il nome che viene fatto maggiormente in proposito è quello di un certo Thomas Alva Edison.

Traffic Crossing Leeds Bridge.

Per questo motivo Louis Aimé Augustin Le Prince si decide a far registrare la sua invenzione.
Qualcosa però non va nel verso giusto.
Se infatti il brevetto inglese viene concesso senza nessun tipo di problemi, le cose si complicano quando giunge il momento di chiedere quello americano.
La richiesta viene respinta senza alcun motivo apparente.

Le Prince decide quindi di correre ai ripari, organizza in fretta e furia una proiezione pubblica a New York per la fine del  1890 nel tentativo di trovare nuovi finanziatori.

Prima però sente il bisogno di tornare in Francia da cui manca da lungo tempo.
Probabilmente la peggior decisione di tutta la sua vita.

16 settembre 1890.

Ad ogni modo durante il suo soggiorno europeo, l'uomo non sta certo con le mani in mano: compie ulteriori studi, realizza altri progetti, fa costruire un nuovo e più grande proiettore da utilizzare alla proiezione di New York. Ed è quindi un Louis Le Prince enormemente entusiasta quello che il giorno che alla stazione di Digione saluta suo fratello Albert alla volta di Parigi.
Solo che Albert Le Prince sarà l'ultima persona che riuscirà a vedere suo fratello.
Perché quando il treno arriverà alla Stazione di Parigi non verrà trovata nessuna traccia né dell'inventore e nemmeno dei suoi bagagli.
 Louis Aimé Augustin Le Prince sembra completamente scomparso dalla faccia della Terra.

“Il cinema è solo una moda passeggera. È il dramma in lattina. Il pubblico vuole vedere storie di carne e di sangue rappresentate in palcoscenico.” 
Charlie Chaplin.
" Il cinema sonoro non soppianterà mai il cinema muto"
Thomas Alva Edison.

Arriva un momento nella vita di ogni persona in cui tutte le sicurezze, le convinzioni, le più piccole certezze acquisite nel corso degli anni vengono completamente spazzate via,  chi ci è passato sa di cosa stiamo parlando e se lo ricorda bene: si tratta di quel minuscolo, gigantesco e bruciante istante in cui tutto quello che si crede di sapere risulta distrutto.
Ed il mondo, quel mondo che fino a quel momento sembrava familiare frana addosso a chi rimane.

Ecco, per la famiglia di Louis Augustin Le Prince quel momento, quel giorno arriva la mattina del 16 settembre 1890.
Facciamo un passo indietro.
L'uomo che non scese mai dal treno.
Dopo tanti anni di esperimenti la vita di Le Prince sta per subire un grosso cambio di prospettiva.
C'è un programma stabilito da lungo tempo, degli accordi presi in vista di un programma ambizioso: Louis Aimé Augustin Le Prince si sta preparando a far riconoscere le sue invenzioni. L'uomo è atteso negli Stati Uniti per effettuare una proiezione a New York, a questo scopo Le Prince ha scritto un 'ultima lettera alla moglie e al figlio chiedendogli di trovare il luogo adatto per la dimostrazione.

La telecamera costruita da Le Prince.

Il viaggio in Francia è quindi un modo per l'uomo per rilassarsi, per prepararsi in vista dei gravosi impegni che stanno arrivando.
E per sbrigare gli ultimi importanti impegni in terra europea.
Ad aspettarlo alla stazione di Parigi quella mattina del 16 settembre ci sono diversi amici dell'uomo, anche con loro Le Prince si è spesso sentito via lettera, preparando quella rimpatriata.
Nessuno di loro però lo vede scendere dal treno, nessuno di loro quando sale tra i vagoni a cercarlo trova tracce dell'inventore.
Anche tutti i bagagli sembrano scomparsi.
Quasi non fossero mai nemmeno esistiti.
Per quanto riguarda gli altri passeggeri, non ce n'è nemmeno uno che ricordi di aver visto l'uomo all'interno del treno. O di averci parlato assieme.
Louis Le Prince sembra diventato un fantasma.
Nessuno lo rivedrà mai più.
Un unico elemento risulta però certo: a causa della sparizione dell'inventore francese, la sua famiglia non riesce a registrare la sua invenzione, il tanto famoso e desiderato brevetto americano non arriverà mai.
Col tempo il nome di Le Prince cadrà lentamente nel dimenticatoio.
Lo stesso accadrà con le sue invenzioni.

Accordion Player (1888)
Un altro dei film di Le Prince

Ipotesi ed indagini.
Fin dall'inizio ci sono diversi elementi che non tornano.
Certo partono diverse indagini: indaga la polizia francese, investiga anche Scotland Yard, perfino la famiglia Whitley mette in mezzo dei suoi uomini.
In particolare è Elizabeth, la moglie di Louis che dimostra di avere le idee chiare, "Lizzie", come la chiamano in famiglia nel corso degli anni rivolgerà delle accuse ben precise, la donna punterà sempre il dito verso un'unica persona, farà sempre e solo un unico nome.
Il nome è quello del principale rivale di suo marito, dell' uomo che da tempo sta investendo soldi ed energie sullo stesso settore di Le Prince.
Il nome è quello di Thomas Alva Edison.

Alla famiglia di Le Prince decisamente non va giù che immediatamente dopo la sparizione del loro congiunto in America qualcun altro stia ottenendo piano piano tutti i brevetti che in precedenza erano sempre stati negati a Louis.
Ben pochi le danno ascolto, almeno inizialmente.
Mancano le prove, inoltre c'è anche qualcosa d'altro da considerare: non solo Edison ha cominciato ad occuparsi della realizzazione delle macchine fotografiche abbastanza in ritardo rispetto agli altri pionieri del periodo, ma va anche detto che il miliardario americano ha da tempo preso l'abitudine di non seguire mai direttamente i tanti progetti di cui si occupa, quanto piuttosto di limitare a finanziarli e a  delegarne la realizzazione a vari assistenti.
In particolare, l'uomo che si occupa delle ricerche sul kinetograph per conto di Edison è un inglese che corrisponde al lunghissimo nome di William Kennedy Laurie Dickson.
Ricordatevi anche questo nome.
Perché tornerà spesso nel corso di questa vicenda.

William Kennedy Laurie Dickson nel 1891
Ad ogni modo sarà proprio Dickson  a realizzare materialmente il primo prototipo funzionante del kinetoscoph nel 1891 assieme ai suoi collaboratori (Edison si era limitato infatti a concepire il progetto iniziale e a depositare le cauzioni iniziali a livello di brevetto) e a perfezionarne la versione finale a cavallo dei due anni successivi.

Gli investigatori preferiscono orientarsi verso altre strade, strade forse più prosaiche ma che almeno apparentemente forniscono maggiori prospettive.
Qualcuno comincia ad insinuare che gli affari della famiglia Le PrinceWhitley non fossero poi così floridi come volevano far sembrare, le voci di un fallimento diventano sempre più forti.
Sotto questa luce anche il viaggio in Francia assume una diversa luce: la visita ai familiari, in particolare al fratello Albert, sarebbero solo un ultimo disperato tentativo di ottenere fondi e la propria parte dell'eredità.
Dopotutto Albert è l'amministratore unico del patrimonio familiare, dopotutto Albert è stata l'ultima persona a vedere vivo suo fratello. Anzi, escludendo proprio Albert Le Prince nessun altro sembra aver mai nemmeno visto Louis Aimé Augustin salire su quel maledetto espresso Digione- Parigi
Per lungo tempo l'ombra dei sospetti graverà sopra la testa di Albert Le Prince ma anche in questo caso non viene trovata alcuna prova certa.
Altri ancora- in particolare il figlio di Albert- intorbidano ulteriormente le acque sostenendo che suo zio volesse suicidarsi a causa dei suoi problemi economici.
Louis Aimé Augustin Le Prince viene dichiarato ufficialmente morto nel 1897
Non vengono trovati colpevoli, nessuno verrà mai processato, nessuna sentenza verrà mai emessa.
Nel frattempo, l'anno prima è avvenuta la prima proiezione ufficiale da parte di Edison e, andando più indietro di un altro anno ancora due fratelli parigini hanno effettuato la loro in Francia
Il Cinema è ufficialmente nato.
Sembrerebbe l'ultimo atto dell vicenda.
Invece le cose vanno avanti.
E la famiglia Le Prince continuerà a pagare un alto tributo di sangue

Thomas Alva Edison

Il sangue dei figli.
Interviene un nuovo attore nel dramma.
All'interno della famiglia Le Prince non c'è solo Elizabeth ad accusare Edison di essere il responsabile -più o meno occulto - della scomparsa di Louis, ma a lei ben presto si affianca anche il figlio Adolphe.
Adolphe effettua delle indagini per conto suo, cerca il padre per anni e lentamente si convince che l'unica persona che poteva avvantaggiarsi seriamente da una uscita di scena del genitore sarebbe potuto essere solo il miliardario statunitense.
Per questo cerca ossessivamente la sua occasione non solo per screditare colui che ritiene il suo avversario ma anche per far finalmente riconoscere il primato creativo del padre.
L'occasione a lungo cercata sembra presentarsi finalmente nel 1898
In quell'anno infatti le strade di Thomas A. Edison e William Dickson si separano definitivamente.
Assieme ad altri inventori Dickson fonda una nuova compagnia, la American Mutoscope (2) che comincia a fare seriamente concorrenza al facoltoso ex principale; la società infatti lancia sul mercato un apparecchiatura chiamata Mutoscopio che contrasta il monopolio del Kinetoscopio all'interno delle prime sale cinematografiche (chiamate Nickelodeon )
C'è però il problema dell'esclusività  dei brevetti detenuta saldamente in mano da Edison, la nuova società rischia più volte di violare la legge e più volte rischia di incorrere in sanzioni.
Dickson si ricorda quindi del lavoro di Le Prince e chiama Adolphe come testimone in un processo contro la società di Edison, per dimostrare l'infondatezza delle pretese del suo ex datore di lavoro.
Adolphe accetta con entusiasmo, non solo si presenta in tribunale, non solo testimonia, ma porta con se i progetti e le macchine del padre.
Tutto si rivela inutile.
La Mutoscope perde la causa, per i magistrati americani l'unico detentore assoluto,l'unico inventore e proprietario del Cinema risulta Thomas Alva Edison. 
Ancora una volta sembrerebbe essere arrivata la fine della vicenda.
Ancora una volta capita qualcosa che rimette in discussione tutto quanto.
Tre anni dopo, durante l'inverno del 1901 mentre partecipa ad una caccia alle anatre nelle vicinanze del cottage americano di famiglia anche Adolphe scompare improvvisamente
Nel suo caso, lui però viene ritrovato.
Morto.
Il caso viene derubricato come morte accidentale.

Epiloghi.

La Targa commemorativa
esposta a Leeds

Thomas Alva Edison non si godette a lungo l'esclusiva sulla proprietà dei brevetti cinematografici, già l'anno successivo alla prima sentenza un nuovo processo annullò la sua vittoria.
Il settore fu quindi liberalizzato e da quel momento in poi il Cinema divenne proprietà  di tutti.
William Kennedy Laurie Dickson tornò in Inghilterra dove morì nel 1935
 Invece la Mutoscope  dopo un iniziale periodo di fortuna e splendore durato almeno fino al 1915 subì grossi contraccolpi e smise praticamente di produrre film già a partire dal '16  anche se continuò a lavorare come distributrice fino al 1928.
Gli ultimi diritti in mano alla compagnia andarono scaduti verso la fine della Seconda guerra Mondiale e non andarono mai più rinnovati
Di fatto però la società aveva cessato di esistere da molto molto tempo prima.
In quanto ad Elizabeth "LizzieWhitley visse ancora qualche anno. Fino alla morte restò convinta che il marito e il figlio fossero stati ammazzati, così come restò convinta che il mandante della morte di entrambi i suoi congiunti fosse Edison.

Il nome di Louis Le Prince venne a lungo dimenticato, tra i pochi che continuarono a ricordarsene va annoverato un ristretto numero di storici e ricercatori.
Non lo dimenticarono mai  gli abitanti di Leeds dove già nel 1930 venne apposta una targa commemorativa nel luogo dove sorgeva il laboratorio dell'inventore
Anche qualche giornalista tentò di ricostruire la storia della sua vita e- sopratutto - della sua morte.
Poi, lentamente, a partire dagli anni '60 del secolo scorso le cose cambiarono.
Ci fu una lenta riscoperta ed oggi molti considerano il suo nome come quello di uno dei padri o comunque come quello di uno dei pionieri del pre-Cinema.
C'è anche un museo a Londra con alcuni macchinari donati dalla figlia Marie.
Tuttavia sempre a partire dagli anni '60 sorsero altre versioni riguardanti la sua morte, una più fantasiosa dell'altra.
 Si è parlato di un omicidio commissionato dalla famiglia, di un suicidio per debiti, di un'allontanamento volontario dell'uomo per nascondere una sua presunta omosessualità.
Ma sono ipotesi che non sono corroborate da nessuna prova valida, vuote come possono essere tutte le ipotesi.
Rimangono in piedi le tesi maggiori, quelle ricordate all'inizio di questo post.
Forse però la verità non si conoscerà mai.

Il Cinema può essere tante cose. arte, divertimento, descrizione della realtà, denuncia, escapismo e tanto altro ancora, dipende dagli occhi di chi vede ma anche da quelli che lo realizzano.
Qualcuno lo mitizza, qualcuno lo idealizza altri lo sminuiscono..nessuno però può negare la sua carica magica.
A quanto sembra però la sua nascita è avvolta nel mistero.
E come tutti i misteri ha avuto i suoi martiri e le sue vittime sacrificali.
Rimane un'ultima cosa da dire.

L'ultima foto (?).

La foto che ritrarrebbe
il defunto Le Prince.

Nel 2003 da un archivio della polizia parigina è stata ritrovata una foto del 1890 che ritrae un uomo annegato.
Molti hanno creduto di riconoscere nel cadavere della foto il volto di Louis Aimé Augustin Le Prince
Il cerchio non sarà mai definitivamente chiuso, manca la soluzione, però per ora la Storia sembra aver raggiunto una sorta di finale.



note:
(1) Sono stati sicuramente girati da le Prince almeno altri due corti di  3 secondi,  il primo chiamato Man Walking Around a Corner- tecnicamente sarebbe precedente ai due già nominati, in quanto datato attorno al 1887 mentre il secondo Accordion Player risalirebbe anch'esso al 1888. Entrambi però sono incompleti e mancanti di alcuni frames.
In particolare quello che rimaneva di  Man Walking Around a Corner, considerato inizialmente smarrito, è stato restaurato a partire da una pellicola degli anni '30s.  Il risultato finale non è comunque eccelso, anche per questo si preferiscono ricordare quasi sempre solo gli altri due film di Le Prince citati nell'articolo in quanto entrambi completi.
Se siete incuriositi - e vi ricordo che quelli di Le Prince , allo stesso modo di quelli dei Lumiere più che veri film sono al massimo delle riprese dal vivo di scene di vita quotidiana - sono tranquillamente rintracciabili  sul Tubo in varie forme che non fanno altro che ripetere in loop l'inquadratura effettuata dal pioniere francese.
 (2) Il nome completo è American Mutoscope and Biograph Company, ma come abbreviativo si è sempre preferito chiamarla Biograph.
Articolo originale qui
Per ulteriori approfondimenti consiglio: 
Tesi di Dottorato di Federico Striuli
Università Cà Foscari - Venezia


25 previsioni storiche sbagliate

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Pablo Picasso, nato proprio oggi 25 ottobre del 1881, è stato l'artista innovatore e poliedrico che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell'arte mondiale.
Eppure ci fu chi ne profetizzò una brevissima fama, fu Thomas Craven, critico d’arte, che nel 1934, dichiarò: "La fama di Picasso sfiorirà rapidamente"


Il grido di "Guernica" - Pablo Picasso  
Esposizione Universale di Parigi del 1937

Insieme a questa errata profezia altre, esilaranti se rilette oggi, hanno costellato la storia dei Beatles, del Cinema, l'auto, Walt Disney, il PC...

Qui ne ricordo altre 24 davvero incredibili:

1)"Inaffondabile" 
(Il soprannome del Titanic, la nave che affondò al suo primo viaggio, nel 1912)
2)"Wellington è un pessimo generale. Prevedo la vittoria entro l’ora di pranzo" 
(Napoleone Bonaparte, la mattina della battaglia di Waterloo, nel 1815)


Il transatlantico britannico della classe Olympic, RMS Titanic
diventato famoso per la collisione con un iceberg 
nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912

3)"Non c’è la minima possibilità di sviluppare energia atomica" 
(Albert Einstein, fisico, nel 1932) 
4)"Il cinema è poco più di una moda temporanea. Una storia chiusa in una scatola. Mentre quello che il pubblico vuole vedere è la carne e il sangue sul palco" 
(Charlie Chaplin, attore, nel 1916)
5)"Chi diavolo vuole sentir parlare gli attori? 
(Harry Warner, co-fondatore della Warner Bros, a proposito del cinema col sonoro, nel 1927) 


Il primo film dei fratelli Lumière (video)  
Gli spettatori ebbero paura di essere investiti dal treno

6)"Cartoni animati con un topo? Che idea orribile: terrorizzerà tutte le donne incinte" 
(Louis B. Mayer, capo della MGM, rifiutando il personaggio di Topolino creato da Walt Disney, nel 1928) 
7)"Entro sei mesi la gente si stancherà di stare a guardare quella scatola di legno chiamata tv" (Darryl F. Zanuck, presidente della 20th Century Fox, nel 1946)


Walt Disney Animation Studios "Steamboat Willie" (video)

8)"In futuro ci saranno soltanto quattro o cinque persone interessate a comprare un computer" (Thomas Watson, presidente della IBM, nel 1943)
9)"Io penso che ci sia un mercato mondiale per circa 5 computer" 
(Thomas J. Watson, presidente dell’IBM, intorno al 1948)
10)"In futuro un computer potrà forse pesare solo 1,5 tonnellate" 
(La rivista Usa “Popular Mechanics”, nel 1949) 
11)"Che bisogno ha una persona di tenersi un computer in casa?" 
(Kenneth Olsen, fondatore della Digital Equipment, nel 1977)


Thomas Watson Sr. seduto alla console dell'IBM 701

12)"L’ipotesi di viaggi nello spazio è una totale assurdità" 
(Richard van der Riet Wooley, astronomo inglese, Time 16 gennaio 1956)
13)"L’uomo non arriverà mai sulla Luna" 
(Lee De Forest, scienziato, nel 1967)
14)"Le casse acustiche senza fili non hanno un valore commerciale. Chi pagherebbe per un messaggio mandato a caso, senza un destinatario particolare?" 
(David Sarnoff, imprenditore, a proposito della radio senza fili, nel 1921) 
15)"Gli aerei sono dei bei giocattoli, ma di nessuna utilità militare" 
(Ferdinand Foch, comandante dell’esercito francese, nel 1911) 
16)"Chiunque sia a conoscenza di questo oggetto capirebbe che è un evidente fallimento" 
(Henry Morton, presidente dello Stevens Institute of Technology, a proposito della lampadina, nel 1880)


Il 21 ottobre 1879 Thomas Edison inventò la lampadina

17)"Finita questa mostra, di luce elettrica non ne sentiremo più parlare" 
(Erasmus Wilson, docente ad Oxford, nel 1889) 
18)"Cosa ce ne facciamo di questo giocattolo elettrico?" 
(William Orton, della Western Union, rifiutando di comprare la società telefonica di Alexander Bell per 100 mila dollari, all’inizio del Novecento) 
19)"Lasciamo perdere: con un film così non si incassa neppure un cent" 
(Irving Thalberg, direttore della Metro Goldwyn Mayer, a proposito del film “Via col vento”, nel 1936)


Via col vento - film del 1939 (video)

20)"È assurdo pensare che una locomotiva possa andar più veloce di una carrozza a cavalli" 
(The Quarley Review, rivista politico-letteraria inglese, 1825)
21)"Il cavallo resterà, l’auto è passeggera" 
(Horace Rackham, avvocato di Henry Ford, nel 1903)
22)"Non li vogliamo. La loro musica non funziona e le band che usano chitarre sono fuori moda" 
(Un portavoce della Decca Records riferendosi ai Beatles, nel 1962) 


"Abbey Road" l'iconico album dei Beatles - 8 agosto 1969

23)"Scavare sotto terra per cercare petrolio? Siete pazzi?" 
(Gli esperti della compagnia mineraria consultata da Edwin Drake per il primo progetto di trivellazione petrolifera, 1859) 
24)"Non esiste un compositore più incapace di Giuseppe Verdi
(Gazzette musicale de Paris, nel 1853)



Matematica, dall'astratto all'applicato il passo è breve?

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Il tema del prossimo Carnevale della Matematica di novembre, che MaddMaths ospita, è "Comunicare o non comunicare, questo è il problema", ovvero credo si ponga il problema di capire se davvero sia possibile comunicare e divulgare la matematica con linguaggio comprensibile o in tempi che davvero coincidano con la sua applicazione.
Proprio in questo mese cadono anche i 150 anni dall'uscita del primo numero del Magazine Nature, che sicuramente ha molto contribuito a comunicare e divulgare tutta la Scienza e anche molti studi e curiosità matematiche.


Video 150 Years of Nature

Tra queste curiosità mi piace qui ricordare un tema apparso su Nature nel lontano luglio 2011 sull'impatto non pianificato della matematica, "The unplanned impact of mathematics".
In questo intrigante articolo Peter Rowlett introduceva sette racconti, poco conosciuti, che illustravano come il lavoro teorico del matematico, con le sue scoperte, possa poi portare ad applicazioni pratiche, ma anche come non possa essere forzato e, a volte, richiedere secoli.
Introduce l'articolo un divertente aneddoto:
"Da bambino, ho letto una barzelletta su qualcuno che ha inventato la spina elettrica e ha dovuto aspettare l'invenzione di una presa per metterla dentro.



Ma chi inventerebbe qualcosa di così utile senza sapere a quale scopo avrebbe potuto servire? 
Nessuno tranne i matematici, perché la matematica mostra spesso questa sorprendente qualità. Cercando di risolvere i problemi del mondo reale, i ricercatori spesso scoprono che gli strumenti di cui hanno bisogno sono stati sviluppati anni, decenni o persino secoli prima da matematici senza alcuna prospettiva o senza curarsi dell'applicabilità. 
E la cassetta degli attrezzi è vasta, perché, una volta che un risultato matematico è dimostrato con soddisfazione della disciplina, non ha bisogno di essere rivalutato alla luce di nuove prove o confutato, a meno che non contenga un errore...se era vero per Archimede, allora è vero oggi!
Il matematico sviluppa argomenti che nessun altro può vedere e spinge le idee lontano nell'astratto, ben oltre dove gli altri si fermerebbero.
Questa estensione e astrazione, senza una direzione o uno scopo apparente, è fondamentale per la disciplina, né l'applicabilità è la ragione per cui lavorano i matematici.
Quindi spesso la comunicazione e la divulgazione di queste idee e scoperte appare anni o addirittura secoli dopo.
Non c'è modo di garantire in anticipo quale matematica pura troverà l'applicazione in seguito. Possiamo solo lasciare che il processo di curiosità e astrazione abbia luogo, lasciare che i matematici prendano in considerazione i risultati solo dal punto di vista logico, lasciando da parte la pertinenza applicativa e aspettando di vedere quali argomenti risulteranno in futuro estremamente utili. 
Si potrebbe dire che, così procedendo, quando arriveranno le sfide del futuro, avremo a portata di mano il pezzo giusto di matematica apparentemente inutile.

Per illustrare questa partiolarità della scoperta e della conseguente applicazione e comunicazione matematica a posteriori, Peter Rowlett chiese ai membri della British Society for the History of Mathematics alcune storie, non raccontate, dell'impatto non pianificato della matematica, tralasciando ovvietà come l'uso della teoria dei numeri nella crittografia moderna, o che la matematica esistesse già prima del computer o che i numeri immaginari sono diventati essenziali, per esempio, per i calcoli complessi che pilotano gli aeroplani... 
Peter Rowlett, nell'articolo, ne riportava sette:

- Dai quaternioni a Lara Croft di Mark McCartney e Tony Mann (Università di Ulster, Newtownabbey, Regno Unito; Università di Greenwich, Londra)
- Dalla geometria al Big Bang di Graham Hoare (Redattore di Mathematics Today)
- Dalle arance ai modem di Edmund Harriss (Università dell'Arkansas, Fayetteville)
- Dal paradosso alle pandemie di Juan Parrondo e Noel-Ann Bradshaw (Università di Madrid; Università di Greenwich, Londra)
- Dai giocatori d'azzardo agli studi attuariali di Peter Rowlett (Università di Birmingham, Regno Unito)
- Dai ponti al DNA di Julia Collins (Università di Edimburgo, Regno Unito)
- Dalle corde al nucleare di Chris Linton (Università di Loughborough, Regno Unito)

Io mi soffermerò solo su due, da me rielaborate con dati più recenti, legate ai grandi Keplero ed Eulero, che ho trovato interessanti e intriganti, per gli altri lascio alla curiosità del lettore l'articolo originale.


Dalle arance ai modem 

Nel 1998 la matematica salì alla ribalta con la notizie che Thomas Hales dell'Università di Pittsburgh, in Pennsylvania, aveva dimostrato che la congettura di Keplero era "molto probabilmente vera", dimostrando che il modo in cui i fruttivendoli impilano le arance è il modo più efficiente per imballare le sfere. 
Un problema che era stato aperto dal 1611 era finalmente risolto! 
Il problema è molto semplice da formulare: se si hanno un numero di sfere uguali, come si devono posizionare per occupare il minor spazio possibile? Ad esempio, se devo imballare le arance, come le organizzo in modo da ottenerne il massimo in una cassetta?
La sua dimostrazione comportò un gigantesco calcolo computazionale e alcuni anni dopo, Hales stesso avviò un programma per completare una vera prova formale della congettura, finché il 10 agosto 2014 il progetto, chiamato Project FlysPecK (dove le lettere F, P e K sono le iniziali delle parole che compongono la frase Formal Proof of Kepler), ha annunciato il completamento con successo del programma con un calcolo al computer che richiese 6 giorni e mezzo. 
Anche se al tempo in televisione un fruttivendolo dichiarò "Penso che sia una perdita di tempo e denaro dei contribuenti", da allora, continuando metaforicamente e mentalmente a discutere con quel fruttivendolo, oggi la matematica del confezionamento delle sfere consente la comunicazione moderna, essendo al centro dello studio di codifica di canali e codici di correzione degli errori.
Nel 1611, Johannes Kepler suggerì che l'accatastamento del fruttivendolo fosse il più efficiente, ma non fu in grado di fornire una prova. 
Si è rivelato essere un problema molto difficile e anche la più semplice domanda del modo migliore per accostare i cerchi è stata dimostrata solo nel 1940 da László Fejes Tóth. 
Già nel diciassettesimo secolo, Isaac Newton e David Gregory discutevano del "kissing problem""quante sfere possono 'baciare' una determinata sfera senza sovrapposizioni?"
In due dimensioni è facile dimostrare che la risposta è 6 e Newton pensava che 12 fosse il massimo in 3 dimensioni. 
Lo è, ma solo nel 1953 Kurt Schütte e Bartel van der Waerden ne hanno dato una dimostrazione.
Il numero di accostamenti in 4 dimensioni è stato dimostrato essere 24 da Oleg Musin nel 2003. 
In 5 dimensioni possiamo solo dire che si trova tra 40 e 44 e tuttavia sappiamo che la risposta in 8 dimensioni è 240, dimostrata nel 1979 da Andrew Odlyzko dell'Università del Minnesota, Minneapolis e Neil Sloane. 
Lo stesso problema ha avuto un risultato ancora più strano e la risposta in 24 dimensioni è stata 196.560. 
Queste dimostrazioni, sorprendentemente, sono più semplici del risultato per tre dimensioni e si riferiscono a due accostamenti di sfere incredibilmente densi, chiamati reticolo E8 in 8 dimensioni e reticolo Leech in 24 dimensioni.

Il tutto sembrerebbe abbastanza magico, ma è utile? 
Negli anni '60 un ingegnere di nome Gordon Lang lo credeva. 
Lang stava progettando i sistemi per modem ed era impegnato a raccogliere tutta la matematica che riusciva a trovare perché aveva bisogno di inviare un segnale su un canale rumoroso, come una linea telefonica. 
Il modo naturale è scegliere una raccolta di toni per i segnali, ma il suono ricevuto potrebbe non essere lo stesso di quello inviato. 
Per risolvere questo, ha ricavato i suoni da un elenco di numeri ed è stato quindi semplice scoprire quale dei segnali che avrebbero potuto essere inviati fosse il più vicino al segnale ricevuto. 
I segnali possono quindi essere considerati come sfere, con spazio di manovra per il rumore,  e, per massimizzare le informazioni che possono essere inviate, queste "sfere" devono essere accostate il più strettamente possibile.
Negli anni '70, Lang sviluppò un modem con segnali a 8 dimensioni, usando l'imballaggio E8. 
Ciò ha contribuito ad aprire Internet, poiché i dati potevano essere inviati al telefono, invece di affidarsi a cavi appositamente progettati.
Tutto questo senza dimenticare i contributi dati in precedenza dal Secret Communication System (brevettato l'11 agosto 1942), il sistema ideato da Hedy Kiesler (Hedy Lamarr) e George Antheil per il quale ottennero il Pioneer Award dalla EFF, premio atteso da tempo per gli sforzi scientifici che arrivò a Hedy solo tre anni prima della sua morte nel 2000, mentre all'epoca Antheil era già scomparso da oltre 40 anni.
La loro invenzione è infatti alla basa di molti sistemi per le trasmissioni radio ancora oggi, non solo nella crittografia o in scopi militari, ma anche in ambito informatico e nella telefonia mobile, e sempre per questa invenzione, Lamarr e Antheil sono stati anche inseriti nella National Inventors Hall of Fame degli Stati Uniti nel 2014.

Dai ponti al DNA

Quando Leonhard Euler dimostrò alla gente di Königsberg nel 1735 che non potevano attraversare tutti i loro sette ponti in un solo viaggio, inventò un nuovo tipo di matematica, in cui le distanze non contavano. 
Eulero schematizzò il problema con un grafo, indicando con quattro vertici le zone della città (le due isole e le due rive del fiume) e con sette spigoli (i ponti che le congiungevano) e dimostrò che purtroppo non esiste alcun percorso che permetta di realizzare questa passeggiata che i cittadini di Königsberg desideravano tanto.
La sua soluzione si basava solo sulla conoscenza della disposizione relativa dei ponti, non su quanto fossero lunghi o quanto fossero grandi, ma solo nel 1847, Johann Benedict Listing finalmente coniò il termine "topologia" per descrivere questo nuovo campo e per i successivi 150 anni circa i matematici lavorarono per comprendere le implicazioni dei suoi assiomi.


Immagine da Dropsea
La cittadina prussiana di Königsberg è tagliata dal fiume Pregel al cui centro si trovano due isole raggiungibili attraverso sette ponti. E' dunque possibile trovare un percorso chiuso (punto di inizio e punto di fine coincidono) in grado di attraversare tutti i sette ponti una e una sola volta?

Per la maggior parte del tempo, la topologia è stata perseguita come una sfida intellettuale, senza aspettarsi che fosse utile. 
Dopotutto, nella vita reale, la forma e la misurazione sono importanti e una ciambella non è la stessa di una tazza di caffè, ma chi mai si preoccuperebbe dei buchi 5-dimensionali negli spazi astratti 11-dimensionali? 
Persino parti della topologia dal suono pratico come la teoria dei nodi, che aveva le sue origini nei tentativi di comprendere la struttura degli atomi, furono ritenute inutili per la maggior parte del diciannovesimo e del ventesimo secolo.
Improvvisamente, negli anni '90, iniziarono ad apparire le applicazioni della topologia. All'inizio lentamente, ma, guadagnando sempre più slancio, oggi sembra che ci siano poche aree in cui la topologia non venga utilizzata. 
I biologi imparano la teoria dei nodi per comprendere il DNA, gli informatici usano trecce (fili intrecciati di materiale che corrono nella stessa direzione) per costruire computer quantistici, mentre altri scienziati usano la stessa teoria per far muovere i robot. 
Il calcolo quantistico non funzionerà se non saremo in grado di costruire un sistema robusto resistente al rumore, quindi le trecce (operatori treccia) sono perfette per la memorizzazione delle informazioni perché non cambiano se le muovi.
Gli ingegneri utilizzano strisce Möbius unilaterali per rendere più efficienti i nastri trasportatori e i medici ricorrono alla teoria dell'omologia per eseguire scansioni del cervello.
È proprio perché la topologia è priva di misurazioni della distanza che è così potente. 
Gli stessi teoremi si applicano a qualsiasi DNA annodato, indipendentemente da quanto tempo passi o da quale animale provenga. Non abbiamo bisogno di scanner cerebrali diversi per le persone con cervelli di dimensioni diverse.  
I cosmologi la usano per capire come si formano le galassie e le società di telefonia mobile utilizzano la topologia per identificare i buchi nella copertura della rete e i telefoni stessi utilizzano la topologia per analizzare le foto scattate.
Quando i dati del sistema di posizionamento globale sui telefoni cellulari non sono affidabili, la topologia può comunque garantire che tali telefoni ricevano un segnale. 


Rielabolarazione di Yin Yang 
 Colorful Painting 5 di Dirk Czarnota

Queste due storie, come tante altre che se ne posssono trovare, dimostrano come la Matematica oscilli fondamentalmente tra due aspetti. 
Fin dall'antichità mentre alcuni la studiavano per risolvere problemi tecnici, altri cominciarono a chiamarla "arte" e la affiancarono alla filosofia. 
Quindi, senza alcuna ambiguità, chiamiamo queste due facce della matematica Matematica Applicata e Matematica Pura, che ben definì Bertrand Russell (1910) nei Principia Mathematica. 
Tuttavia, spesso può essere molto difficile tracciare una linea di separazione tra Matematica Pura e Matematica Applicata con la conseguente capacità di comunicarla e divulgarla. 
Come tanti esempi dimostrano, è capitato numerose volte, nel corso della storia, che problemi legati alla Matematica Pura e senza alcuna apparente applicazione, dessero poi a distanza di anni un contributo fondamentale al progresso. 
Bisogna quindi immaginarsi la matematica come un grosso Yin-Yang, ma invece che "luce" contro "ombra" o "fuoco" contro "acqua" mettiamoci "pura" contro "applicata".
I matematici applicati si concentrano sull’uso e la comunicazione nel mondo reale della matematica: ingegneria, economia, fisica, biologia, astronomia, tutti questi campi hanno bisogno di tecniche quantitative per rispondere a domande e risolvere problemi. La matematica pura, d’altra parte, è matematica fine a se stessa.
Ma se "applicata" significa utile non ne segue che "pura" debba voler dire inutile.
Come abbiamo visto è tutt'altro!
La matematica pura non si preoccupa delle sue applicazioni, non si occupa del mondo reale, ma ciò che potrebbe sembrare inutile, un giorno potrebbe diventare fondamentale.






Chika's Test, un criterio per dividere per 7

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Qualcosa di molto eccitante è successo venerdì 13 settembre 2019 quando Chika Ofili, un ragazzo nigeriano allievo di Miss Mary Ellis, che insegna matematica alla Westminster Under School di Londra, è entrato in classe e ha chiesto se poteva dirle qualcosa a cui aveva pensato durante le vacanze estive. 
L'insegnante si è incuriosita.


Chika Ofili, il ragazzo nigeriano di 12 anni residente nel Regno Unito, 
ha ricevuto i "TruLittle Hero Awards" per aver scoperto il nuovo
 criterio di divisibilità per 7 

Gli aveva dato un libro chiamato First Steps for Problem Solvers (pubblicato da UKMT) da consultare durante le vacanze e all'interno del libro c'era un elenco dei criteri di divisibilità, che vengono utilizzati per capire rapidamente se un numero è esattamente divisibile per 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 o 9 prima di iniziare effettivamente la divisione. 
Solo che non era stato elencato alcun criterio per verificare la divisibilità per 7, forse perché non facilmente memorizzabile.
Chika però si era reso conto che se si prende l' ultima cifra di un numero intero, la si moltiplica per 5 e poi la si aggiunge alla parte rimanente del numero, si ottiene un nuovo numero, scoprendo così che se questo nuovo numero è divisibile per 7, allora il numero originale è divisibile per 7.
Dopo che Chika l'ebbe spiegato alla maestra, lei, sabato mattina si svegliò pensando ancora al criterio di Chika e telefonò al fratello minore, Simon Ellis, che insegna anche lui matematica, per  chiedergli se avesse mai incontrato un tale criterio. 
Simon le confermò di non aver mai incontrato simile criterio e di aver verificato che il criterio funziona anche se si inizia moltiplicando l'ultima cifra per 12, 19, 26, 33 ... (appartegono alla stessa classe resto di 5 modulo 7), e quindi aggiungendola alla parte rimanente del numero.
Il tutto, come vedremo, è facilmente dimostrabile attraverso l'aritmetica modulare, vale a dire quella parte dell'aritmetica che si basa sul concetto di congruenza modulo n. 

"Dati tre numeri interi a, b, n, con n ≠ 0, diciamo che a e b sono congruenti modulo n, oppure che a è congruo a b modulo n, se la differenza (a − b) è un multiplo di n." 

In questo caso scriviamo
a ≡ b (mod n)
Per esempio, possiamo scrivere
38 ≡ 14 (mod 12)
poiché 38 − 14 = 24, che è un multiplo di 12

L'aritmetica modulare insieme alla notazione usuale della congruenza (tre trattini) vennero formalmente introdotte da Carl Friedrich Gauss nel suo trattato Disquisitiones Arithmeticae, pubblicato nel 1801.

Ma andiamo a spiegare e dimostrare questo criterio di divisibilità per 7. 


Immagine di Chika Ofili da Westminster Under School

Criterio di Chika Ofili di divisibilità per 7

Si basa sulla separazione dell'ultima cifra, quella delle unità e dice:

"Un numero è divisibile per 7 se la somma tra il numero ottenuto escludendo la cifra delle unità (prenumero) e il quintuplo della cifra delle unità (coda numerica) è 7 o un multiplo di 7."

Esempio: 68089 
eliminiamo l'ultima cifra 9 -> otteniamo 6808
calcoliamo 6808 + 5x9 = 6853 
non sapendo se 6853 sia divisibile per 7 basta ripetere la procedura 
quindi eliminando il 3 si ripete 
685 + 3×5 = 700
che è evidentemente un multiplo di sette. 
Pertanto 68089 è multiplo di 7.

Dimostrazione

Considerato un numero N, le sue cifre decimali sono i coefficienti a(i) che compaiono nella somma
N = a₀ + a₁10 + a₂10² + a₃10³ .... + a(n)10ⁿ
che possiamo scrivere più sintenticamente
N = a₀ + 10b
nel linguaggio dell'aritmetica modulare sappiamo che N è divisibile per 7 se e solo se:
N  ≡ 0 (modulo 7)
ovvero
a₀ + 10b ≡ 0 (modulo 7)
e se moltiplichiamo tutto per 5 (che è l'inverso aritmetico di 10 modulo 7) abbiamo
5a₀ + 50b = 0 (modulo 7)
ovvero
5a₀ + b + 49b ≡ 0 (modulo 7)
(49b si può elidere essendo multiplo di 7)
da cui
b + 5a₀ ≡ 0 (modulo 7)

Criterio di divisibilità per 7

Da questa dimostrazione può essere dedotto anche il criterio più noto che dice:

"Un numero è divisibile per 7 se la differenza tra il numero ottenuto escludendo la cifra delle unità (prenumero) e il doppio della cifra delle unità (coda numerica) è 0, 7 o un multiplo di 7."

Usando lo stesso numero del primo esempio: 68089 
eliminiamo l'ultima cifra 9 -> otteniamo 6808
calcoliamo 6808 - 2x9 = 6790 
non sapendo se 6790 sia divisibile per 7 basta ripetere la procedura 
quindi eliminando prima lo 0 e quindi il 9 si ripete 
67 - 18 = 49
che è evidentemente un multiplo di sette. 
Pertanto 68089 è multiplo di 7.

Dimostrazione

Dato che -2 appartiene alla stessa classe resto di 5 modulo 7, il criterio sopra definito può essere modificato come segue:
a₀ + 10b ≡ 0 (modulo 7)
se si moltiplica per -2 si ottiene
-2a₀ - 20b ≡ 0 (modulo 7)
ovvero
-2a₀ + b - 21b ≡ 0 (modulo 7)
(21b si può elidere essendo multiplo di 7)
da cui
b - 2a₀ ≡ 0 (modulo 7)



Tavola pitagorica, un falso storico!

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Per vedere ogni ben dentro vi gode 
l’anima santa che ‘l mondo fallace 
fa manifesto a chi di lei ben ode.                                  
Lo corpo ond’ella fu cacciata giace 
giuso in Cieldauro; ed essa da martiro 
e da essilio venne a questa pace.
(Dante Alighieri - Divina Commedia - Paradiso (Canto X 124-129)     

Pietra miliare della filosofia medioevale può essere considerato il "De consolatione philosophiae" di Severino Boezio e molti pensatori, letterati e scienziati dell'epoca si formarono filosoficamente alla sua scuola, tra cui due grandi nomi Dante Alighieri considerato il padre della lingua italiana e William Shakespeare della lingua inglese.


Boezio e l'Aritmetica in un manoscritto tedesco del XV secolo © Wikipedia

Nel Paradiso di Dante, Boezio è uno degli spiriti sapienti del IV Cielo del Sole che formano la prima corona di dodici spiriti e ricorda le sue opere con i versi del X Canto del Paradiso (vedi versi 124-129 nell'introduzione), che così si possono tradurre:

Dentro vi gode l'anima santa che dimostra la fallacia del mondo a chi legge bene le sue opere (riferendosi a quelle di Severino Boezio), giacché ora vede il sommo bene.
Lo corpo da cui essa fu strappata giace sulla Terra nella basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro; e la sua anima giunse a questa pace dal martirio e dall'esilio terreno. 

Il periodo di composizione del "De consolatione philosophiae", che risale al 523 circa, vede infatti Anicio Manlio Torquato Severino Boezio rinchiuso in un carcere nei pressi di Pavia, dove attende l'esecuzione capitale che subirà nel 525.
Pur essendo stato il principale collaboratore di Teodorico, ricoprendo la carica di Magister Officiorum, nei suoi ultimi anni il re ostrogoto, divenne sospettoso di tradimenti e congiure, e Severino cadde in disgrazia, fu imprigionato con l'accusa di praticare arti magiche e quindi giustiziato a Pavia, città che ne custodisce appunto i resti nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, dopo che Papa Leone XIII ne approvasse il culto per la Chiesa.


Boezio in prigione, miniatura, 1385 © Wikipedia

Boezio, nel clima di rilancio della cultura che la pace rese possibile durante il regno di Teodorico, concepì anche l'ambizioso progetto di tradurre in latino le opere di Platone e di Aristotele.
Non si occupò solo di filosofia ma tradusse Euclide, nel "De geometria", nel quale vi sono anche la descrizione dell'abaco e l'esposizione dei calcoli aritmetici con esso eseguibili, e scrisse "De Istitutione Artmetica" (nel 500 circa), un adattamento delle Introductionis Arithmeticae di Nicomaco di Gerasa (c. 60 - c. 120) e il "De Institutione musica" (del 510), che si basa su un'opera perduta di Nicomaco di Gerasa e sulla Harmonica di Tolomeo.
Secondo le moderne indagini filologiche sembra invece che l’"Ars Geometrica" non sia di Boezio, bensì un’opera medievale risalente al secolo XI, e che raccolga contributi di vari autori.


Boezio insegna agli studenti, miniatura, 1385 © Wikipedia

Proprio da un'errata interpretazione dell'"Ars geometrica" deriverebbe l'errata dicitura della famosissima cosìddetta "tavola pitagorica".

Abaco e algoritmo

Ma andiamo per ordine e cerchiamo di capire l'aria "aritmetica" che si respirava in quel periodo, facendo prima un passo indietro.  
Molti sono i documenti storici che attestano che le cifre, compreso lo zero , e la notazione decimale posizionale furono inventate dagli indiani nel V secolo d.C., che diffusero l’invenzione presso i "greci di Alessandria nell’epoca classica del Sincretismo. Da essi sarebbe passata ai Neo-Pitagorici (di cui è nota la propensione ad accogliere le idee braminiche), l’ultimo dei quali fu appunto Manlio Severino Boezio. Da Boezio l’avrebbe appresa Gerberto, il quale, a sua volta, l’avrebbe diffusa in tutta l’Europa, non esclusa la Spagna; quivi gli arabi l’avrebbero trovata e se ne sarebbero impadroniti.” 
(Gino Loria, Le scienze esatte nell’antica Grecia, Hoepli, Milano, 1914, pp. 800-807)
Loria si riferisce a Gerbert d’Aurillac (938-1003), filosofo e matematico francese che venne eletto papa con il nome di Silvestro II.
Siamo intorno all’anno 1000 e ci troviamo così di fronte ad un passaggio epocale nella storia, quando Gerbert d’Aurillac introduce le cifre indo-arabiche nell’occidente cristiano.


Esempio di abaco a bottoni di epoca romana
 Nell'esempio in figura si vede come rappresentare 
il numero 120512

Fino ad allora per i calcoli ci si era sempre affidati all'uso dell'abaco ¹ (prima abaco romano poi abaco medioevale), anzi a dir il vero l'abaco fu usato in Europa a partire dai periodi degli antichi greci e babilonesi, come riferisce Erodoto (lo stesso storico greco afferma come già gli egizi lo conoscessero) e anche nella Roma antica si impiegavano tali strumenti, usando tavolette di metallo con scanalature parallele su cui scorrevano palline mobili oppure tavolette di legno coperte di sabbia. 
Anche presso i popoli orientali erano in uso attrezzi simili: in Cina sono stati ritrovati abachi risalenti al VI secolo a.C., che utilizzavano come calcoli bastoncini di bambù.
Nel tardo medioevo comparve un abaco a colonne e a linee orizzontali rappresentanti successive potenze di 10 che deve la sua introduzione agli 'apici' di Boezio.


 Gli 'apici' di Boezio in un manoscritto latino dell’ XI secolo
Cifre ‘indo-arabe’ dette ghobār

Il significato del nuovo abaco medioevale detto anche "mensa pythagorea" ("tavola pitagorica" o "arco pitagorico") era mutato profondamente rispetto all’antico abaco romano, in quanto esso, oltre a fornire uno strumento di computazione, consentiva ormai di rappresentare un numero per mezzo di 'apici' (numerali), a meno dello zero, realizzando un notevole passo verso il trasferimento del principio di posizione dall’abaco alla rappresentazione scritta dei numeri.


La Scacchiera di Gerberto con i gettoni che hanno inciso un valore numerico 
che va moltiplicato per l’indice della posizione (unità, decine, centinaia) 
espressa in alto in cifre romane. 
Si può notare però che le cifre sui gettoni non sono espresse in caratteri romani, 
ma nel nuovo sistema posizionale di origine indiana. © Archeo CPU

Fu un vera rivoluzione e l’aritmetica prenderà il largo grazie all’eredità indiana della numerazione posizionale ed alla nuova notazione numerica dovuta all'uomo, Gilberto, di grande talento, matematico e di profonda cultura, al punto che la sua sapienza gli portò, inevitabilmente per quei tempi di oscurantismo, accuse di stregoneria.
Questo passaggio epocale porterà a un lento ma inevitabile declino dell'abaco e delle tavole a lui collegate per un uso sempre più consolidato dell'"algoritmo", termine con cui inizialmente era chiamato il sistema di numerazione scritta posizionale nei paesi latini, e dei nuovi metodi di calcolo basati appunto sul nuovo sistema posizionale.
Quest’ultimo rese obsoleto l'uso dell'abaco principalmente per le difficoltà di eseguire i calcoli con il vecchio sistema di numerazione additivo.


"Carmen de Algoritm" 
Alexander de Villa Dei nel 1240 circa (o 1225) scrive la Canzone dell’Algoritmo 
letta e riletta nei conventi e nelle università da chiunque si occupasse di aritmetrica
Prima significat unum; duo vero secunda;
Tertia significat tria; sic procede sinistre
Donec ad extremam venias, quae cifra vocatur.² 

Infatti, il nuovo sistema di numerazione posizionale permetteva sia di rappresentare i numeri con maggior economia di simboli, sia proprio di semplificare i procedimenti del calcolo scritto, e pertanto vanificò il vantaggio dell'abaco, decretandone, in Europa, la definitiva scomparsa. 
Definitiva scomparsa che, come detto, fu comunque lenta, come lenta fu la definitiva introduzione del nuovo sistema numerico 'indiano' e le "tavole per contare" (vale a dire gli abachi a gettone dette anche "mense pythagoree") continuarono a sopravvivere in Europa fino al XVIII secolo soprattutto tra i commercianti, i finanzieri, i banchieri e i funzionari statali, o per verificare che i calcoli scritti fossero esatti, fin quando la Rivoluzione francese ne proibì l’uso.
Nacquero, come sempre due scuole contrapposte: gli algoritmisti che si contrapponevano agli abachisti, l’immortale scontro tra innovatori e conservatori.


Immagine contenuta nell’opera Margarita Philosophica 
di Gregor Teisch (1503)  © Wikipedia

Nella illustrazione qui sopra, tratta dall’opera enciclopedica "Margarita philosophica" realizzata da Gregor Reisch nel 1503 è rappresentata questa competizione.
Illustra in forma allegorica la diatriba fra abachisti (rappresentati da Pitagora) e algoritmisti (rappresentati da Boezio). Una figura femminile personifica l’Aritmetica e, dallo sguardo rivolto verso Boezio alla sua destra, si arguisce la preferenza data al calcolo tramite le nuove cifre indiane.
Comunque con la distinzione fra abaco e algoritmo si concluse la disputa fra abachisti e algoritmisti, vale a dire fra coloro che sostenevano i vantaggi del calcolare per mezzo dell’abaco oppure con il sistema di numerazione scritta.
Anche se non va dimenticato che l’abaco è il progenitore di tutte le macchine calcolatrici meccaniche ed elettromeccaniche, fino al primo colosso elettronico uscito nel 1946, l’ENIAC


Errore di trascrizione

L'abaco nell’Ars Geometrica, denominato "mensa pythagorea", è quindi da attribuire ai neo-pitagorici della scuola alessandrina, cui apparteneva appunto Boezio.  
Nel riprodurre successivamente il manoscritto dell’Ars Geometrica, un copista, per errore, sostituì all’abaco neo-pitagorico la comune tavola di moltiplicazione, di aspetto molto simile, conservando però per quest’ultima il nome di "tavola pitagorica", che invece designava l’abaco neopitagorico. 
Questo perché gli amanuensi non erano studiosi delle diverse discipline, copiando e basta, non per forza dovevano conoscere quello che c'era scritto. Copiare è facile e non serve quasi mai ragionare.
Fu proprio quello che capitò per colpa di uno di questi trascrittori, piuttosto sbadato e sicuramente non avvezzo alla matematica, che scambiò per errore un abaco pitagorico (sconosciuto ai più) per una tabella della moltiplicazione, che invece probabilmente conosceva, in quanto già diffusa al tempo. 
In Europa, infatti, la prima tavola moltiplicativa di cui si abbia notizia certa fu opera di Vittorio d'Aquitania, il quale la realizzò intorno al 450, ma con cifre romane. 
Fatto sta che i libri successivi a quello sono stati copiati con questo grossolano errore e a noi è arrivata la tavola della moltiplicazione con il nome di "tavola pitagorica". 


Quaderno Scolastico Liberty Anni '20 con tavola pitagorica e tabella lezioni

Quindi, la tavola di moltiplicazione che tutti noi conosciamo, fin dalle prime classi elementari (le famose esecrate tabelline), come "tavola pitagorica" non deve il suo nome né a Pitagora né ad alcuno dei suoi seguaci, bensì soltanto a un errore di trascrizione. 
Un bello sbaglio che ha in qualche modo condizionato tutti gli studenti  per secoli!
Così, come molto spesso le fake news riscontrino più attendibilità delle verità storiche, ancor oggi si perpetua questo falso storico e si continua ad attribuire a Pitagora la paternità della tavola di moltiplicazione che mai si sognò di ideare.
Potremmo anche considerarlo un insegnamento per capire quanto si debba essere attenti a non sbagliare, senza copiare e basta, e quanto il cercare sempre di ragionare sia un ottimo vantaggio!

Le tabelline

Cerchiamo di definire cos'è questa tabella moltiplicativa.


Matrice simmetrica moltiplicativa con aggiunta dello zero

E' una matrice simmetrica di numeri naturali caratterizzata dal fatto che il valore presente nella posizione individuata dalla riga i e dalla colonna j è il prodotto di ixj.
Perché simmetrica?
Essendo utilizzata per eseguire moltiplicazioni con il sistema numerico decimale e godendo il prodotto di due numeri naturali della proprietà commutativa (ixj = jxi), è immediato notare che è una matrice quadrata che ha la proprietà di essere la trasposta di se stessa, come viene definita appunto una matrice simmetrica nell'Algebra lineare.
Vale a dire che le cifre che la compongono sono simmetriche rispetto alla diagonale principale (nord/est - sud/ovest), che va dall'angolo in alto a sinistra a quello in basso a destra. 
In questa diagonale (evidenziata in azzurro nella figura) si trovano i quadrati dei numeri corrispondenti, quei numeri che, come si vede, si ottengono moltiplicando un numero per se stesso. 
In ambito scolastico essa ha solitamente 10 righe e 10 colonne (11 se contiene anche la cifra zero) e ogni riga e/o colonna di tale matrice è chiamata "tabellina". 
Per esempio, la riga (o colonna) corrispondente al quattro è detta "tabellina del 4",  corrispondente al sette "tabellina del 7" e così via.

Volendo usare un linguaggio prettamente matematico, questa tabella potremmo definirla una "tabella di Cayley", detta anche tavola di composizione, che è una tabella a doppia entrata che descrive la struttura di un gruppo finito. 
La tabella, che deve il nome al matematico britannico Arthur Cayley , è così definita:
Dato un gruppo (per noi le cifre da 0 a 10, definite ì e j in riga e colonna) e un'operazione binaria (la moltiplicazione nel nostro caso), per ogni coppia di elementi del gruppo, l'intersezione della riga i e della colonna j (in cui sono riportati gli elementi del gruppo) contiene il risultato del prodotto ixj.


In definitiva possiamo chiamarla "tabella moltiplicativa", "tavola di moltiplicazione", "tavola delle tabelline" o più pomposamente "tabella di Cayley" ma non chiamiamola "tavola pitagorica" per evitare di perpetrare questo falso storico che vorrebbe attribuirne a Pitagora la paternità.




Note

¹ Il termine "abaco" deriva dal latino abacus, tramite la forma genitiva ἄβακας del greco ἄβαξ, che proviene a sua volta dall'ebraico חשבונייה, "polvere". Infatti il termine originario si riferiva ai primi abachi costituiti da una tavoletta su cui spargere polvere di sabbia.
Va anche ricordato che nel Medioevo in Europa alla parola abaco si attribuiva solitamente il significato di aritmetica in senso generale, e a riprova di questo vi è il titolo di un importantissimo libro di Leonardo Fibonacci, "Liber abbaci", pubblicato nel 1202. 
² Il che significa che zero non è considerato al primo posto nella successione dei numeri naturali, ma è la decima cifra, quella che viene per ultima, dopo il 9.

Fonti

Immagini 
© Wikipedia
© Archeo CPU
http://matematica.unibocconi.it/articoli/la-tavola-pitagorica#11UP



Lapalissiano...e la vera storia di Monsieur de Lapalisse

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"Benedetti quei fortunati secoli cui mancò la spaventosa furia di questi indemoniati strumenti di artiglieria, al cui inventore io per me son convinto che il premio per la sua diabolica invenzione glielo stanno dando nell’inferno" 
(Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia)


Il 24 febbraio di 495 anni fa, era infatti l'anno 1525, gli eserciti del re di Francia Francesco I e del marchese di Pescara, al servizio dell’imperatore Carlo V, si scontrarono a Pavia, e tra gli illustri personaggi che parteciparono all'epica battaglia c'era Jacques de Lapalisse, ahimè poco conosciuto come condottiero di valore.
Jacques II de Chabannes de La Palice, più noto come Monsieur de Lapalisse, morto a Pavia il 24 febbraio 1525, è stato un militare francese e maresciallo di Francia e non certo una persona che amava dire ovvietà.


Ritratto di Jacques de La Palice 

Perché ricordarlo?

Intanto perché la vicenda, legata al suo nome, avvenne non in Francia bensì appunto a Pavia e perché Alberto Arecchi, architetto e storico pavese, si era fatto promotore, insieme alla sua Associazione Culturale Liutprand, di una petizione che intendeva spingere il Comune di Pavia a realizzare un monumento in onore di La Palice, ingiustamente ricordato soltanto per l'aggettivo "lapalissiano", che appunto deriva dal suo nome ed indica una palese tautologia, qualcosa cioè che è talmente evidente da risultare ovvio e scontato, se non addirittura ridicolo per la sua ovvietà.

Ma cerchiamo di ricostruire la vicenda 

Era un gelido febbraio del 1525, i lanzichenecchi imperiali e gli spagnoli, una guarnigione di 6000 uomini comandata da Antonio de Leyva  (un cognome che i lettori del Manzoni dovrebbe ricordare per una certa Marianna de Leyva, suor Virginia, la sventurata monaca di Monza) erano assediati a Pavia dai francesi, guidati dal re Francesco I, che avevano campo nel parco del Mirabello, alle spalle del castello di Pavia.
Il 24 febbraio 1525 i rinforzi imperiali guidati da Carlo di Lannoy, viceré di Napoli, e dal Connestabile di Borbone, diedero battaglia all'esercito assediante, di cui, oltre ai francesi, facevano parte anche gli alleati svizzeri, i lanzichenecchi di Anne de Montmorency , e le forze del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere.
Il re francese guidò personalmente l'assalto della sua cavalleria, ma questa si trovò circondata dal grosso della fanteria imperiale, comandata dal marchese di Pescara, Fernando Francesco d'Avalos, al quale si era aggiunta l'avanguardia comandata dal marchese del Vasto, Alfonso III d'Avalos, che la massacrò. 
Mentre la celeberrima fanteria svizzera fuggiva, il re stesso veniva fatto prigioniero e questo successo fu conseguito anche grazie alla sortita della guarnigione di Pavia comandata da Antonio de Leyva che prese alle spalle l'esercito francese.
L’armata transalpina veniva così annientata e la maggior parte dei nobili cavalieri francesi (circa l’80% del totale della nazione) moriva in battaglia e, tra di loro, il prode seppur vegliardo La Palice.


Uno dei 7 arazzi¹ sulla battaglia di Pavia (1525), in cui trovò la morte il 
signor de La Palice, conservati al Museo di Capodimonte a Napoli.

Egli fu in servizio per quasi quarant’anni alla corte dei re francesi, Carlo VIII, Luigi XIIFrancesco I, e fu anche insignito del titolo di Maresciallo di Francia.
Condottiero valoroso, tanto da scendere in battaglia con chili e chili di ferraglia in sella al suo destriero alla veneranda età, per l’epoca, di 55 anni, fu un comandante amato e i suoi soldati gli dedicarono questo epitaffio, ignari di consegnare il Maresciallo di Francia alla storia, suo malgrado:

"Ci-git Monsieur de La Palice. Si il n’était pas mort, il ferait encore envie" 
(Qui giace il signore di La Palice. Se non fosse morto, farebbe ancora invidia).


Cattura di Francesco I
Particolare di uno no dei 7 arazzi¹ sulla battaglia di Pavia (1525)
in cui trovò la morte il signor de La Palice, 
conservati al Museo di Capodimonte a Napoli.

Su come siano andate le cose dopo, ci sono due versioni

Versione 1 
Quella, comunemente accettata e che mi raccontava il mio papà², è che, di bocca in bocca, di trascrizione in trascrizione, la "f" di "ferait" sia diventata una "s", e quindi "serait", "farebbe" trasformato quindi in  "sarebbe"
Tesi verosimile in quanto all’epoca si utilizzava la "s lunga" ("ſ"), che in corsivo si può facilmente confondere con una "f", e, in più, che "envie" si sia trasformato in "en vie", con uno spazio, con il risultato di un epitaffio lapalissianamente ridicolo:

"Ci-git Monsieur de La Palice. Si il n'était pas mort, il serait encore en vie" 
(Qui giace il signore di La Palice. Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita)

Ed è con questa dicitura che l'epitaffio del nostro eroe è passato alla storia.

Nel 2013 le Poste francesi dedicano un francobollo a Jacques de La Palice

Versione 2
L'altra versione, che propone Alberto Arecchi, afferma invece che la frase sia stata modificata di proposito.
Nelle scuole primarie che si stavano diffondendo tra il XVII e il XVIII secolo si doveva storicamente parlare di guerra e ricordare purtroppo anche la disfatta del re Francesco I, che per la Francia fu terribile, rimasero sul campo seimila o forse diecimila uomini e cadde quasi tutta la nobiltà di Francia, senza però spaventare i bambini. 
Per questo motivo venne inventata una filastrocca che facesse ridere. 
Anche perché, aggiunge Arecchi, "l’errore sarebbe stato troppo banale. Qualcuno si sarebbe reso conto che la frase non aveva senso"


 "La chanson de la Palisse" di Bernard de la Monnoye 

Versione uno o versione due, sta di fatto che la frase di questo epitaffio risulta di un'ovvietà sconcertante, ma fu ripresa, proprio a cavallo del XVII secolo, dall’accademico, membro dell’Académie française, e poeta Bernard de la Monnoye in "La chanson de La Palisse", una canzone a lui dedicata con ovvio fine parodistico e piena di ovvietà, che non rende certo giustizia alle virtù militari di Jacques de La Palice, il nobile maresciallo di Francia.
Molto in voga all’epoca, la canzone cadde poi nell’oblio fino all’800, quando lo scrittore Edmond de Goncourt la recupera e conia il termine "lapalissade", per indicare una verità scontata.
Il termine in francese è un sostantivo, e si potrebbe da noi usare in luogo di un’ovvietà o un’idiozia, tipo "hai detto una lapalissade". 
Come ricorda il Dizionario De Mauro, il termine compare invece in italiano nel 1914, ma nella forma di aggettivo derivato, "lapalissiano".  

"La Chanson de La Palisse", Bernard de la Monnoye


(FR)
«Messieurs, vous plaît-il d'ouïr
l'air du fameux La Palisse,
Il pourra vous réjouir
pourvu qu'il vous divertisse.
La Palisse eut peu de biens
pour soutenir sa naissance,
Mais il ne manqua de rien
tant qu'il fut dans l'abondance.
Il voyageait volontiers,
courant par tout le royaume,
Quand il était à Poitiers,
il n'était pas à Vendôme!
Il se plaisait en bateau
et, soit en paix soit en guerre,
Il allait toujours par eau
quand il n'allait pas par terre.
Il buvait tous les matins
du vin tiré de la tonne,
Pour manger chez les voisins
il s'y rendait en personne.
Il voulait aux bons repas
des mets exquis et forts tendres
Et faisait son mardi gras
toujours la veille des cendres.
Il brillait comme un soleil,
sa chevelure était blonde,
Il n'eût pas eu son pareil,
s'il eût été seul au monde.
Il eut des talents divers,
même on assure une chose:
Quand il écrivait en vers,
il n'écrivait pas en prose.
Il fut, à la vérité,
un danseur assez vulgaire,
Mais il n'eût pas mal chanté
s'il avait voulu se taire.
On raconte que jamais
il ne pouvait se résoudre
À charger ses pistolets
quand il n'avait pas de poudre.
Monsieur d'la Palisse est mort,
il est mort devant Pavie,
Un quart d'heure avant sa mort,
il était encore en vie.
Il fut par un triste sort
blessé d'une main cruelle,
On croit, puisqu'il en est mort,
que la plaie était mortelle.
Regretté de ses soldats,
il mourut digne d'envie,
Et le jour de son trépas
fut le dernier de sa vie.
Il mourut le vendredi,
le dernier jour de son âge,
S'il fut mort le samedi,
il eût vécu davantage."
(IT)
«Signori, vi piaccia udire
l'aria del famoso La Palisse,
Potrebbe rallegrarvi
a patto che vi diverta.
La Palisse ebbe pochi beni
per mantenere il proprio rango,
Ma non gli mancò nulla
quando fu nell'abbondanza.
Viaggiava volentieri,
scorrazzava per tutto il reame
e quando era a Poitiers,
non era certo a Vendôme!
Si divertiva in battello
e, sia in pace sia in guerra,
andava sempre per acqua
se non viaggiava via terra.
Beveva ogni mattina
vino spillato dalla botte
E quando pranzava dai vicini
ci andava di persona.
Voleva per mangiar bene
vivande squisite e tenere
E celebrava sempre il Martedì Grasso
la vigilia delle Ceneri.
Brillava come un sole,
coi suoi capelli biondi.
Non avrebbe avuto pari
se fosse stato solo al mondo.
Ebbe molti talenti,
ma si è certi di una cosa:
quando scriveva in versi,
non scriveva mai in prosa.
Fu, per la verità,
un ballerino scadente,
ma non avrebbe cantato male,
se fosse stato silente.
Si racconta che mai
sia riuscito a risolversi
a caricar le pistole
se non aveva le polveri.
Morto è il signor de la Palisse,
morto davanti a Pavia,
Un quarto d'ora prima di morire,
era in vita tuttavia.
Fu per una triste sorte
ferito da mano crudele,
Si crede, poiché ne è morto,
che la ferita fosse mortale.
Rimpianto dai suoi soldati,
morì degno d'invidia,
e il giorno del suo trapasso
fu l'ultimo della sua vita.
Morì di venerdì,
l'ultimo giorno della sua età,
Se fosse morto il sabato,
sarebbe vissuto di più.»

Un monumento per Jacques de La Palice 

Si va beh ma perché dedicare un monumento commemorativo al nobile condottiero? 
Perché, come sottolinea Alberto Arecchi, Pavia è conosciuta, all’estero e sopratutto in Francia, grazie all’associazione con La Palice e al termine "lapalissiano", mentre dovrebbe ricordare la storica battaglia che esplose a nord della città, nella frazione di Mirabello, in cui morì il maresciallo di Francia La Palice. 
Ed è proprio lì, al Mirabello, che dovrebbe trovare posto il monumento al condottiero Jacques II de Chabannes de La Palice, sul suo destriero.


Jacques II de Chabannes de La Palice sul suo destriero

Filastrocca lapalissiana

Anche il grande poeta italiano Gianni Rodari, compositore di simpatiche filastrocche e poesie per bambini (ma non solo), prese ispirazione dalla Canzone di La Palisse per comporre una filastrocca. 
Il protagonista della storia, nella sua versione, è nientepopodimenoché³ Napoleone Bonaparte, e il suo testo fu poi musicato da un altro grande uomo della cultura musicale italiana, Sergio Endrigo.  
La filastrocca di Rodari, "Napoleone" risalente al 1974, è stracolma di frasi lapalissiane tipo: 

"Napoleone era fatto così
se diceva di no, non diceva di si
quando andava di là, non veniva di qua
se saliva lassù, non scendeva quaggiù
se correva in landò, non faceva il caffè
se mangiava un bigné, non contava per tre
se diceva di no, non diceva di si"... 

e Sergio Endrigo la cantava così:

Video della canzone "Napoleone" 
cantata da Sergio Endrigo



Note

¹ Nei sette arazzi sono raccontati gli episodi salienti della battaglia di Pavia, del 24 febbraio 1525, combattuta per il dominio in Italia tra le truppe del re di Francia Francesco I di Valois e quelle imperiali di Carlo V d’Asburgo.
Come in una sequenza cinematografica i sette arazzi vedono in scena i protagonisti della storica battaglia, spesso identificati proprio come in un fumetto grazie alle scritte intessute con fili d’oro e di argento su cavalli e armature.
Cavalieri, fanti, picchieri, mercenari svizzeri e lanzichenecchi, si scontrano in una battaglia che ha segnato il corso della storia: la cavalleria francese è massacrata da soldati semplici muniti di armi da fuoco, considerate vili e insidiose perché colpendo da lontano permettevano anche al meno prode di prevalere.
Alcuni personaggi guardando fuori campo ci invitano con il loro sguardo a partecipare agli eventi. Probabilmente è proprio a noi che è rivolto lo sguardo del re Francesco I nel momento in cui è catturato, perché il suo cavallo è stato ferito da un colpo di archibugio.

² Il mio papà (classe 1899) mi raccontava che tra gli allievi dell'Accademia Navale di Livorno, da lui frequentata, era diventato di moda prendersi in giro e raccontare ovvietà, usando un sostantivo, un francesismo molto chic "lapalissade" o un aggettivo da poco coniato "lapalissiano". 
Raccontandomi anche che derivava da un detto, che così lui mi riferì "Monsieur de Lapalisse qui avant de mourir etait encore en vie".

³ Nientepopodimenoché è una parola inventata da Mario Riva, star della televisione italiana fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del Novecento e conduttore della popolarissima trasmissione "Il Musichiere" (1957-1960).
Il significato è circa quello di "addirittura!" o "niente di meno!".
In realtà si tratta proprio della forma "niente di meno" rafforzata da un "po’" ripetuto due volte, e questo "po’ po’" si usa in italiano parlato per indicare una quantità notevole (in pratica: un po' = un poco - un po'po' = due volte poco, quindi tanto!) e ha un forte valore enfatico.



Musica e Tango per celebrare il Pi Day 2020

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"I wrote "Pi Song" to help me memorize pi. I figured it would be easier to remember a melody than a string of numbers."

Anche se tante sono le curiosità che riguardano π, per questo Pi Day 2020, ho pensato di proporre un articolo leggero, che possa mettere allegria con musica e danza, unendo così anche le mie due passioni, Matematica e Tango.
Si perché anche se da quest'anno ufficialmente il 14 marzo è stato proclamato dall'UNESCO "International Day of Mathematics" (IDM), purtroppo cade in un periodo piuttosto drammatico che certamente ricorderemo più per il SARS-COV-2 con le sue conseguenze nel mondo, che come "Giornata Internazionale della Matematica".

Ci sono tanti musicisti che si sono cimentati nel tentativo di trasformare questo numero irrazionale in un'incredibile melodia, con risultati più o meno armoniosi; dai brani commerciali di interpreti di grido a brani molto particolari derivati direttamente da  π e prodotti dalla comunità scientifica, e altri ancora che risultano in qualche modo collegati a  π
Traducendo la frase:

"Ho scritto 'Pi Song' per aiutarmi a memorizzare pi. Ho pensato che sarebbe stato più facile ricordare una melodia che una serie di numeri."

si scopre che una categoria di canzoni dedicate a π è costituita da parodie di brani famosi e il più divertente è proprio questa "Pi Song" sulla melodia di American Pie , celebre brano rock del cantautore statunitense Don McLean, giocata sull'assonanza di Pi e Pie che in inglese si pronunciano allo stesso modo. 
Questo è il ritornello e la divertente filastrocca potete ascoltarla qui 

To sing of the virtue of pi,
Pi, pi, mathematical pi,
3.14 15 92,
65 35 89 7,
932384 62,
6433832 7....

Vorrei comunque parlare dei due pianisti che ho ritenuto particolarmente piacevoli e significativi nelle loro esecuzioni adattabili al Tango: David Macdonald e Jean  Filoramo.
Il musicista David Macdonald ha pubblicato nel canale youtube ASondScout una melodia per pianoforte, "Song from pi", realizzata seguendo, circa, un centinaio delle prime cifre decimali del π.

π = 3,14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971 69399 37510 58209 7494459230 78164 06286 20899 86280 34825 34211 7067



Un Tango per il Pi Day
Interpreti Vittorio Giardelli e Annalisa Santi 
Video di Giorgio Camporotondo

Una melodia che, risultata anche ballabile, è stata interpretata in Milonga (sala tipica dove si balla il Tango) usando figure e adorni, rigorosamente improvvisati, come vuole la tradizione, e non coreografati. 
Come si vede nel video, i passi, creati sulle note appunto di "Song from pi"ricordano giochi di cerchi (volcade, colgade e molinete) e simboli di infinito (ocho) perfettamente in linea con le caratteristiche geometriche di π.
Questa melodia si presta infatti per essere interpretata attraverso i passi del Tango/Vals (in alcune sequenze) e di Tango e Tango/Milonga in altre.
Quindi una melodia che copre tutte e tre le specificità del Tango Argentino.
Il Tango Argentino è caratterizzato infatti da tre ritmi musicali diversi, ai quali corrispondono altrettante distinte tipologie di ballo: il Tango, la Milonga e il Tango vals (Vals criollo). 
Musicalmente il Tango ha un tempo di 4/4 o 2/4, come la Milonga, mentre il Tango Vals, che deriva dal Valzer ha tempo 3/4.
Il tango, oltre a essere un genere musicale, non solo è un ballo, ma è anche una poetica, un'interpretazione musicale, un modo di esprimersi e un linguaggio corporale.
E quale altra danza potrebbe adattarsi di più quindi alla melodia del π? 
Questo Tango dedicato a π nel 2016, è stato una prima mondiale, perché non mi risulta che tra le curiosità e gli eventi dedicati al π ci sia mai stato, prima di allora, un Tango ballato su una musica costruita con i suoi decimali.¹

L'altro pianista Jean Filoramo ha dedicato a π il "Vals du Pi", trasformando questo intrigante numero irrazionale in un altrettanto intrigante vals.


"Vals du Pi" Jean Filoramo
Ripresa/video di Giorgio Camporotondo

Una bellissima e originalissima composizione che Jean Filoramo, in una serata dedicata al Tango, così l'aveva annunciata:

"Ce soir, pour la première fois au PlayTango de Pavia chez Mariotango, j'executerai le "Vals du Pi" pour pianoforte en La minore que j'ai composé en suivant les 69 (Département 69 à Lyon ou je suis né) premières décimales du nombre Pi (π).
Dédié à mon amie Annalisa Santi"


Come ricordavo di brani musicali dedicati a questo numero affascinante ce ne sono tanti, ma questa versione, anch'essa del 2016, su ritmo di 3/4, tipico del vals e in tonalità di La minore, è davvero molto bella e si presta molto bene a essere ballata e interpretata con i passi del Tango/Vals.



Spartito che evidenzia il "Diabolus in Musica"²


Dallo spartito che lo stesso Jean Filoramo mi aveva mandato si evidenzia come sia stata costruita questa melodia utilizzando le 69 prime cifre di π:

π = 3,14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971 69399 37510 58209 74944 59230 781......

Questo perché Jean ha deciso di fermarsi a 69 in ricordo del Dipartimento 69 di Lione dove lui è nato.

Ma vediamo di capire, attraverso il commento di Pierluigi Gallo Ziffer, quello che evidenzia Jean sullo spartito.
"Il brano (su ritmo di 3/4, in tonalità di La minore) si sviluppa secondo una corrispondenza fra le primi 69 cifre del Pi Greco e i gradi della scala, considerati sia all'interno dell'ottava (con le note 1 = LA, 2 = SI, 3 = DO, 4 = RE, 5 = MI, 6 = FA, 7 = SOL, 8 = LA' dell'ottava successiva) che all'esterno di essa (con lo 0, corrispondente al SOL diesis dell'ottava precedente, e il 9, corrispondente al SI' dell'ottava successiva).
Interessante notare che nella 25a battuta è presente inoltre un Tritono, cioè l'intervallo di quarta aumentata o quinta diminuita (a seconda che lo si veda come quarta o come quinta), in cui tra una nota e l'altra esiste una distanza di tre toni.
Essendo esso la metà esatta di una ottava, ripetendo ciclicamente dei tritoni l'orecchio umano non risulta più in grado di capire se l'intervallo è ascendente o discendente, generando così l'omonimo paradosso. 
Questo intervallo è infatti una delle maggiori dissonanze della scala diatonica, e durante il Medioevo era chiamato "Diabolus in Musica"
², proprio per la sua natura acusticamente dissonante, considerata a quel tempo diabolica."

Vorrei concludere queste brevi curiosità musical/tanguere, legate alla festa del "Pi Day", con un'ultima curiosità sull'origine di questa festa.
A lanciare l'idea del Pi Day è stato l'Exploratorium di San Francisco, il grande Museo della Scienza, che iniziò, il 14 marzo, a celebrare il numero più famoso e misterioso del mondo matematico, con una serie di giochi, musiche, filmati ed altre iniziative tutte ispirate al π.
Ma fu il 12 marzo 2009, con la Risoluzione H.RES.224 della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, la data in cui si riconobbe ufficialmente il 14 marzo come giornata per celebrare il  π e fu lo stesso Obama ad invitare i docenti a vivere il Pi Day come occasione per “incoraggiare i giovani verso lo studio della matematica”.

Spazio espositivo dell'Exploratorium Museum 
di San Francisco


Dopo quindi 11 anni, come ricordavo all'inizio, l'UNESCO ha proclamato l' "International Day of Mathematics" (IDM), come celebrazione mondiale. 
Ogni anno, il 14 marzo, tutti i paesi saranno invitati a partecipare attraverso attività sia per gli studenti che per il grande pubblico in scuole, musei, biblioteche e altri spazi.

Il progetto della "Giornata Internazionale della Matematica"è guidato dall'Unione Matematica Internazionale (IMU) con il sostegno di numerose organizzazioni internazionali e regionali di tutto il mondo. 
È stato proclamato dall'UNESCO in occasione della 40esima sessione della Conferenza Generale, il 26 novembre 2019 e la prima celebrazione si terrà proprio questo 14 marzo 2020.




Note 

¹ Ringrazio tutti gli amici tangueri, gli organizzatori della Milonga Play Tango  di Pavia e il dj che, passandomi il microfono, mi ha dato la possibilità di annunciare il Tango per il Pi Day e quindi di ballarlo sulle note appunto di "Song from π" 
Un ringraziamento quindi a:
organizzatori: Mario Carò e Paola Ionà
dj: Roberto Rampini
video maker: Giorgio Camporotondo
ballerini: Vittorio Giardelli, Vito Fasano, MarioyPaola, Cinzia Faccin, Marco Savio, Anna Annina, Enzo Soldano, Annalisa Santi

² Perché mai è stato affibbiato ad un bicordo il nome così sinistro di "Diabolus in Musica?
Lo spiega l'articolo di Luca Fialdini http://www.uninfonews.it/diabolus-in-musica/


Manzoni e D'Azeglio, un'asta, una lettera e un episodio curioso

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"Verrà mai un tempo ch'io possa fare ancora con te di quelle chiacchierate che a me piacevano tanto, e a te non dispiacevano? Dio lo sa"

Nel novembre del 2002 era tornata sul mercato antiquario una delle belle lettere di Alessandro Manzoni ancora in mani private.
La missiva era andata all'asta da Christie's a Roma, durante una vendita di manoscritti e libri antichi in Palazzo Massimo Lancellotti, in piazza Navona.

Francesco Hayez - Ritratto di Alessandro Manzoni - 1841 (a destra) e 
Ritratto di Massimo d’Azeglio - 1864 -  Milano, Pinacoteca di Brera

La lettera autografa era indirizzata al genero Massimo D'Azeglio (la firma è "Il tuo vecchio papà Alessandro Manzoni"), fu scritta il 4 marzo 1850 e il testo è edito nella raccolta "Tutte le lettere di Manzoni" a cura di Cesare Arieti.  
La stima iniziale per questo documento originale fu di 3mila euro, ma l'assegnazione credo fosse stata molto più alta!

"Non sono mai venuto finora a seccarti con mie lettere, confidenze, come confido sempre, che, anche in mezzo agli affari, mi serberesti un cantuccio nella tua memoria. Anzi ho sempre resistito bravamente a chi mi chiedeva di farti sdrucciolar nelle mani qualche raccomandazione. Ora vengo com'io, senza richiesta né suggerimento di nessuno, non fartene una, ma a dirti semplicemente un mio pensiero. Sapevo che il Tommaseo aveva disegnato di venire a passar qualche tempo in questo lago; e mi facevo una festa di rivedere, dopo tante vicende, un antico e caro amico. Vengo ora a sapere che gli è negato l'ingresso in questo Stato. E siccome mi pare di poter esser sicuro, per la cognizione che ho di lui, che, essendoci ammesso, non ci farebbe cosa veruna che potesse cagionar dispiacere, non che disturbo, così ho pensato che il dirtelo non sarebbe, alla peggio, che un passo inutile. E non vorrei neppure che ti credessi obbligato a rispondere. Se c'è qualcuno il quale deve sapere, per propria esperienza, che si può voler bene a uno senza adoprar la penna, e col quale perciò si possa fare a confidenza in questa parte, ille ego sum. In ogni caso, desidero che questo passo rimanga segreto, perché se si risapesse di là dal fiume sacro, me ne potrebbero venir delle noie, quando avrò pure dovuto passarlo, staccandomi con rammarico da questa cara solitudine. Verrà mai un tempo ch'io possa fare ancora con te di quelle chiacchierate che a me piacevano tanto, e a te non dispiacevano? Dio lo sa. Intanto io lo prego che ti dia ogni benedizione, e particolarmente quelle che ti sono necessarie nel tuo difficile posto, e t'abbraccio con quell'antico e inalterabile affetto che tu conosci." 

scriveva Manzoni a Massimo D'Azeglio, che in quell'epoca era presidente del Consiglio del Regno di Sardegna. 
Il romanziere chiedeva al genero una "raccomandazione" in favore dello scrittore e linguista Niccolò Tommaseo, che intendeva incontrare Manzoni in Lombardia, ma a cui le autorità austriache avevano negato il visto d'ingresso. 
Pertanto, Manzoni sollecitava un passo "segreto" del D'Azeglio per superare le difficoltà e consentire a Tommaseo di arrivare a Milano e poi sul lago di Como. 

Autoritratto di Massimo d’Azeglio acquistato nell’estate del 2016 
dalla Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris per le collezioni della 
GAM (Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea) di Torino

Tutti conosciamo Alessandro Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873), il grande scrittore, poeta e drammaturgo italiano, mentre pochi forse hanno sentito parlare di Massimo Taparelli marchese d'Azeglio (Torino, 24 ottobre 1798 – Torino, 15 gennaio 1866) che fu un politico, patriota, pittore e scrittore, nonché proprio genero del Manzoni.
D'Azeglio, dopo un inizio di carriera militare, ufficiale di Cavalleria nel reggimento "Reale Piemonte", presto abbandonata, continuò poi la propria attività di pittore e letterato, alternandosi tra i salotti intellettuali di Roma, Firenze e Milano, dove conobbe, allora 33enne, appunto Giulia, la figlia 22enne primogenita dei dieci figli di Alessandro Manzoni. 
Massimo era un uomo alto con grandi baffi, spigliato e affascinante, e il Manzoni stesso, che nutrì sempre una grande simpatia per lui, ci dice che egli sapeva "cantare, suonare, ballare, cavalcare, giocar il biliardo e tirar di scherma"
Era andato a trovare i Manzoni con due propositi: parlare del suo romanzo storico (Ettore Fieramosca) e conoscere la primogenita. 
Del romanzo non osò parlare, ma dopo poche settimane chiese la mano di Giulia, sposandola il 31 maggio del 1831 e rimanendone purtroppo presto vedovo, nel 1834, l'anno successivo alla nascita di Alessandra, la loro unica figlia.

Lettera autografa del 4 marzo 1850 di 
Alessandro Manzoni a Massimo D'Azeglio

Questa è la storia della lettera e dell'asta, ma c'è un'altra storia, più curiosa e divertente, anch'essa vera, legata a questi due nomi.
Il nonno di un mio caro amico si chiamava Alessandro Manzoni (i suoi gli diedero il nome Alessandro proprio in omaggio al grande scrittore), ma, ironia della sorte, aveva un amico che si chiamava Massimo D'Azeglio.
Un giorno i due amici decisero di andare a trovare un comune conoscente, non ricordo bene se in una casa di cura o in un ospedale, e presentatisi all'ingresso diedero i loro nomi...poco mancò che li ricoverassero come due "pazzi" con la camicia di forza!
"Un pazzo che pensa di essere Napoleone è evidentemente un pazzo, ma è ancora più pazzo un re che crede di essere un re", diceva Jacques Lacan, ma in questo caso nessuno dei due credeva di essere Alessandro Manzoni o Massimo D'Azeglio, era solo colpa dei loro nomi, facile inganno di deviazione dalla norma e di follia.  





Curva esponenziale...infodemica o pandemica?

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"Non c’è dubbio che un problema biologico deve essere risolto per mezzo di sperimentazioni e non al tavolo di un matematico.
Tuttavia, per penetrare più a fondo la natura di questi fenomeni, è indispensabile combinare il metodo sperimentale con la teoria matematica" 
(Carl Friedrich Gauss)


E' innegabile come SARS-CoV-2 sia il protagonista assoluto di questo periodo storico, che condiziona e condizionerà sicuramente anche in futuro le nostre vite.
Ma qui non vorrei parlare di lui e men che meno dei risvolti politici, psicologici, sociologici, economici e quant'altro che si porta dietro.




Non mi compete e non sono certo in grado di soffermarmi su queste complesse valutazioni che però sottendono comunque anche aspetti matematici, a volte correlati da modelli e dati statistici a volte legati a un immaginario collettivo.
La curva esponenziale del titolo ben si adatta ad esplicare questo legame con valutazioni di tipo statistico e di tipo potremmo dire "istintuale".
Si parla da tutte le parti, dai media, dagli esperti, dai ricercatori e così via di curve esponenziali senza spesso però valutarne il vero significato.
Incomincerei a descrivere quello che ho definito legame di tipo istintuale e che si riferisce alla cosiddetta infodemia.
Questo legame non è supportato da veri e attendibili dati ma identifica effettivamente una crescita di tipo esponenziale.
Per infodemia (dall'inglese infodemic, formata da information+epidemic) infatti si intende una straripante abbondanza di informazioni che rendono difficile comprendere la realtà dei fatti e che, come una metaforica epidemia di informazioni, soprattutto false o fuorvianti, si propagano, con il diffondersi su larga scala di una malattia infettiva, a ritmo esponenziale.
Quindi non si può definire una vera crescita esponenziale in senso matematico, ma se ne percepisce istintivamente una crescita esponenzialmente inarrestabile di ansia e panico, soprattutto grazie ai social, ai mezzi di comunicazione digitale, ove proliferano gli pseudoesperti, le voci infondate e la disinformazione. 




Infodemic, parola d’autore, è stata infatti coniata da David J. Rothkopf e descrive, in un articolo del 2003 sul Washington Post, "When the Buzz Bites Back",  lo sviluppo e gli effetti dell’epidemia di SARS, scoppiata in Cina nel novembre 2002, con conseguenze pesanti sull’economia, la politica e la sicurezza, non solo cinesi ma anche globali, del tutto sproporzionate rispetto agli effetti reali della malattia.
Sono passati 18 anni da quell'epidemia e stiamo assistendo ora a una vera pandemia.
Una valutazione sulla sua effettiva diffusione e pericolosità, mediata da un'infodemia proporzionata o sproporzionata, non è ovviamnete ancora possibile, ma si possono però, attraverso i dati raccolti via via, fare previsioni sul suo andamento? 
E queste previsioni si possono basare su modelli e curve matematiche?
Costituisce un successo l'alleanza tra biologia e matematica, come sosteneva Gauss, il fatto che la modellizzazione matematica sia oggi alla base di decisioni di sanità pubblica riguardanti il controllo di malattie tradizionali ed endemiche, di infezioni emergenti e riemergenti così come è alla base della valutazione preventiva dell’impatto di malattie completamente nuove, appunto le cosiddette pandemie causate da un virus mutante, come può essere SARS-CoV-2.

Ovviamente una volta determinato il modello matematico che regola un fenomeno di natura biologica, è necessario attraverso una fase sperimentale e di recupero dei dati stabilire quanto il modello sia significativo.
Modelli e curve che a loro volta avrebbero bisogno, per una significativa e corretta previsione, di dati attendibili e, anche se quelli dell'ISS (le infografiche dell’Istituto Superiore di Sanità) hanno un buon margine di affidabilità, resta la mia riluttanza ad analizzare grafici o previsioni di "picco", basati su modelli matematici, che purtroppo non sono supportati da dati e rilevazioni davvero attendibili.


ISS - Andamento epidemico relativo al 2 aprile 2020

Qui vorrei invece fare un excursus storico/didattico sulla nascita e l'utilizzo di questi modelli matematici, di cui tra l'altro tutti ne parlano, senza magari sapere cosa effettivamente siano.
Un modello matematico nello studio di una epidemia serve principalmente a chiarificare le ipotesi, le variabili e i parametri che sono in gioco e per proporre di conseguenza parametri significativi per l’analisi e la classificazione delle epidemie stesse.
Utile se non determinante è la comprensione delle caratteristiche di trasmissione (Rzero, velocità di propagazione) della malattia infettiva per determinare le strategie migliori per ridurne la trasmissione, per prevederne il corso e paragonare l’efficacia di diverse misure di profilassi, quali quarantena, isolamento e trattamento. 
In questo senso, i modelli matematici possono essere usati per pianificare, implementare e ottimizzare i programmi di individuazione, prevenzione, terapia e controllo dell'epidemia.


Daniel Bernulli (a sinistra) e  Jean d’Alembert

Storicamente, il primo modello di tipo matematico in ambito epidemiologico fu presentato all’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1760 (e pubblicato soltanto nel 1765) da Daniel Bernoulli, in una memoria dal titolo "Un tentativo di una nuova analisi della mortalità causata dal vaiolo e dei vantaggi dell'inoculazione per prevenirlo" con lo scopo di supportare la vaccinazione contro il vaiolo.

Da buon illuminista, al celebre matematico parve che il modo migliore per dirimere la questione fosse quello di dimostrare in termini matematici esatti i vantaggi dell’inoculazione.
Bernoulli propose infatti un modello matematico fondato sulla crescita esponenziale del numero dei contagiati, dimostrando, sulla base di esso, che la vaccinazione sarebbe stata l'unica arma vantaggiosa per combattere la malattia.
Il lavoro di Bernoulli suscitò la discesa in campo di un altro celebre matematico, Jean d’Alembert, il quale, in una memoria pubblicata nello stesso anno (1760), pur condividendo, per ragioni ideologiche, l’opportunità dell’inoculazione, attaccò violentemente Bernoulli sul piano strettamente scientifico.¹ 
Egli non soltanto tentò di dimostrare l’inadeguatezza del calcolo delle probabilità nello studio di problemi come questo ma, in generale, manifestò il suo scetticismo per la matematizzazione, sottolineando però che le sue obbiezioni erano rivolte "soltanto ai Matematici che potrebbero affrettarsi troppo a ridurre questa materia in equazioni e in formule".
Comunque sia va dato merito al Bernulli di aver affrontato il problema epidemico quasi quarant'anni prima dell'introduzione del vaccino di Edward Jenner contro il vaiolo. 

Gran parte però della teoria di base dell'epidemiologia matematica è stata sviluppata molto dopo tra il 1900 e il 1935 e da quel momento in poi c’è stato un graduale e costante progresso tanto nelle tecniche quanto nelle applicazioni.
Da allora si è diffuso l’uso di due modelli, deterministico e probabilistico, nell’analisi dello sviluppo di malattie infettive e si è grandemente sviluppato nel corso di tutto il ventesimo secolo fino ai giorni nostri.
Dopo i primi modelli a tempi discreti di Sir William Heaton Hamer (1906) e di Ronald Ross (premio Nobel per la Medicina 1902, lavori sulla prevenzione della malaria del 1911), negli anni venti, William Ogilvy Kermack e Anderson Gray McKendrick proposero un modello di tipo differenziale (il cosiddetto SIR) per spiegare la rapida crescita e successiva decrescita del numero di persone infette osservate in alcune epidemie, come la peste (Londra 1665-1666, Bombay 1906) e il colera (Londra 1865).
Questo modello matematico sviluppato nel 1927 dagli scienziati William Ogilvy Kermack e Anderson Gray McKendrick, sarà destinato a diventare uno dei principali punti di riferimento per lo studio e l'elaborazione dei modelli di diffusione epidemica.



Tipico andamento di una epidemia secondo lo schema SIR - foto dall'articolo di 
Paolo Alessandrini "La matematica delle epidemie"

Nel modello di tipo SIR, la popolazione viene suddivisa in tre classi: Suscettibili, Infetti, Rimossi. 
Dove i suscettibili sono gli individui sani ma soggetti a pericolo di contagio, gli infetti sono gli ammalati, e i rimossi sono gli individui non più infetti, e dunque immuni, o perché guariti o perché morti.
Dalla seconda metà del ventesimo secolo, il numero di modelli e di studi matematici in quest’ambito è aumentato a dismisura e, in epoche più recenti, sono stati utilizzati modelli per valutare l’effetto di strategie di controllo delle epidemie di afta epizootica in Gran Bretagna nel 2001 o l’epidemia di SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) del 2002-2003 o quelle di febbre emorragica da Ebola che nel 2014 hanno interessato Liberia, Guinea e Sierra Leone.


L’epidemiologia matematica differisce da buona parte della matematica applicata poiché non si presta a validazioni sperimentali dei modelli proposti, in quanto gli esperimenti sono generalmente impossibili (ed ovviamente non etici), e quindi tali modelli vengono testati su episodi passati. 
Questo dà molta importanza alla modellizzazione matematica come un possibile strumento predittivo per fronteggiare in tempo reale lo scoppio di un’infezione, che può essere epidemica o addirittura pandemica.
Come detto, esistono due approcci per la formulazione di modelli matematici in questo ambito, uno probabilistico e l’altro deterministico. 
Il primo modello risulta sicuramente più ricco di informazioni e più corretto da un punto di vista metodologico, ma proprio per questo più difficile da studiare matematicamente. Il secondo che si basa su equazioni differenziali, richiede meno dati e si sviluppa seguendo l'asserto che il processo epidemico sia con buona approssimazione deterministico.

Tornando al modello di Kermack e McKendrick, troviamo una prima versione del Teorema della Soglia Critica, di quello che svilupperà in seguito lo statistico inglese Maurice Kendall (1956 approccio di Kendall all'epidemia "generale") che permette di individuare un parametro critico σ (o Rzero), che dipende dalle costanti caratteristiche del modello e, in linea di principio, determinabile statisticamente.
Se σ ≤ 1 (con σ si identifica Rzero, velocità di propagazione), la malattia non supera il numero di infetti dell’istante iniziale e quindi decade a zero senza diffondersi in maniera drammatica attraverso la popolazione, se σ > 1, la malattia è sufficientemente forte da riuscire a diffondersi attraverso la popolazione. Più è grande il valore di σ e più la malattia sarà da considerarsi virulenta.


Anderson Gray McKendrick (a sinistra) e William Ogilvy Kermack  

E' interessante storicamente porre l'attenzione sul contributo alla diffusione di modelli biologici di tipo differenziale che si deve appunto a William Ogilvy Kermack e Anderson Gray McKendrick, che tra il 1927 e il 1933 pubblicarono uno studio matematico in tre parti, intitolato "A contribution to the mathematical theory of epidemics"
Anche se il modello contiene ipotesi irrealistiche, i concetti introdotti risultarono essenziali per fornire una prima valutazione intuitiva sulla dinamica delle epidemie, intuizione che comunque rimane confermata in modelli attuali anche se modificati e più complessi.
Essi si proponevano di indagare sulle dinamiche di diffusione di alcuni tipi di malattie infettive fra la popolazione e miravano a spiegare l’andamento apparentemente anomalo di epidemie, come quella di peste nell’isola di Bombay (1905-1906), in cui si era osservato che il numero di persone infette subiva una rapida crescita seguita da una decrescita inaspettata. 
Una delle domande alla quale cercarono di dare una risposta era: 
"Nel caso in cui un’epidemia si estingua, l’estinzione stessa è da imputarsi necessariamente all’esaurimento degli ospiti infettabili oppure è possibile che una pandemia termini lasciando salvo un gruppo consistente di individui non immuni e mai contagiati?"
A tale scopo nella prima parte del loro studio Kermack e McKendrick proposero un sistema differenziale non lineare del prim’ordine, che è divenuto appunto noto come modello epidemico di tipo SIR e che si applica allo studio di malattie infettive che, nel caso in cui il malato riesca a sopravvivere e guarire, conferiscono all’ospite l’immunità da un nuovo contagio, come succede per esempio con la febbre emorragica da Ebola, quella che si potrebbe definire "immunità di gregge", immunità divenuta drammaticamente popolare per le parole del Primo Ministro del Regno Unito Boris Johnson.²
Il vero problema iniziale consiste nel riuscire a valutare correttamente la velocità di propagazione che, dipendendo da dati statistici rilevati, non è facilmente determinabile ad epidemia in corso e qualsiasi modello non è in grado di cogliere quando cambi la curva dei contagi per una epidemia nuova ed è fondamentale capire su cosa si basino i modelli predittivi che vengono suggeriti e basati su equazioni statistiche. 




Essendo nell’universo della probabilità e non della certezza, servirebbero quindi molte più informazioni di quelle che si hanno, per esempio oggi sul Covid-19, per farne previsioni davvero attendibili.
Per modellare correttamente questa epidemia si dovrebbe tener conto oltre che del σ (o Rzero), di altri parametri quali: il tempo di incubazione, il tempo in cui il soggetto è asintomatico, la durata della patologia, le modalità di trasmissione...
Tutte variabili difficilmente valutabili essendo in presenza di un virus di cui si conosce davvero troppo poco.
Secondo le stime attuali, ciascun contagiato può infettare almeno due persone, che a loro volta infettano altrettante persone, in pratica uno scenario che potrebbe rivelarsi valido per l’Italia con un σ=2,6 (in base a uno studio dell’ospedale Sacco di Milano), o σ=2,2 (in base ad altri studi). 
Senza contare anche il fatto che non sappiamo quanti sono gli asintomatici, gli infetti con sintomi lievi, gli immuni o il numero effettivo di decessi e quindi qualunque modello matematico di tipo SIR non può dare previsioni attendibili.


di Andrea Pugliese

Per conoscere in dettaglio le procedure matematiche per ottenere questi modelli o la determinazione del valore Rzero, che può essere più o meno complessa, lascio qui il link a un interessante approfondimento tematico, proprio in riferimento alla situazione attuale dell'epidemia di Covid-19,  "La matematica delle epidemie: istruzioni per l’uso",  di Andrea Pugliese, professore di analisi matematica presso l’Università di Trento, che è il maggior studioso italiano di modelli matematici per le epidemie. 


Note

¹ Da un'interessante articolo del grande Giorgio Israel, storico della scienza, matematico ed epistemologo italiano dal titolo "Oltre il mondo inanimato: la storia travagliata della matematizzazione dei fenomeni biologici e sociali"
² "Il 60% dei britannici dovrà contrarre il Coronavirus per sviluppare l'immunità di gregge" queste le parole shock pronunciate inizialmente dal Premier Boris Johnson, poi ritrattate. Articolo di La Repubblica



Caccioppoli e Hardy, gossip matematico

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Gossip è una voce inglese, derivato dall'antico inglese godsibb "padrino". 
Successivamente questo significato fu esteso a "conoscenza familiare", e "persona con cui si parla di cose futili in maniera familiare" e, a partire dall'Ottocento, prese il senso di "chiacchiera inutile, voce senza fondamento".
Questa l'etimologia di una parola che ormai è entrata nell'uso comune quando si parla di "pettegolezzi" anche se non è da considerarsi una chiacchiera così futile come sembra, soprattutto quando ha per oggetto celebrità, o personaggi storici, per cui diventa narrativa.



Gossip matematico perché racconto storie curiose legate a due personaggi quasi contemporanei, un italiano e un inglese, ricordati per i loro grandi contributi matematici, ma che sono stati protagonisti anche di fatti curiosi, a volte forse fantasiosi, riportati dalle cronache dell'epoca e uniti da un tragico destino.
Inizierei, per una forma di patriottismo, da Renato Caccioppoli, uno dei matematici italiani a cui forse sono legati più aneddoti, sia per il suo carattere bizzarro e ribelle che per il periodo storico in cui visse. 
Genio antifascista Renato Caccioppoli è il grande matematico napoletano nato il 20 gennaio del 1904 e morto suicida, a palazzo Cellamare, l'8 maggio 1959.
Da una cartella clinica dell'ex ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di calata Capodichino, si evidenziano la genialità e le straordinarie capacità di Caccioppoli ("ingegno supernormale" si legge), che varcò la soglia del manicomio a seguito del celebre discorso contro Hitler e Mussolini, in occasione della visita del dittatore nazista a Napoli.
Renato Caccioppoli è una figura celebre nel campo di studi e di sviluppo dell’analisi matematica tanto che la sua genialità influenzò e continua ad influenzare tutt’oggi il pensiero matematico mondiale, ma la sua vita non fu soltanto spesa nel campo della ricerca ma fu anche caratterizzata dalla lotta e dal suo spirito anticonformista. 
Nel maggio del 1938, proprio in occasione della visita di Hitler a Napoli, il matematico decise, con coraggio, di denunciare gli orrori del nazismo e del fascismo in presenza dell’OVRA, la polizia segreta dell’Italia fascista, mettendosi a cantare la Marsigliese.
Nel 1936 il trentaduenne Renato Caccioppoli conobbe la bella sedicenne Sara Mancuso, figlia di un siciliano e di una napoletana, la quale, essendo vissuta a Nizza, aveva una buona conoscenza della lingua e della letteratura francese. Se ne innamorò a prima vista, la frequentò per tre anni e la sposò in Municipio il 29 giugno 1939. 
Il matrimonio, però, era stato celebrato dopo una dura e triste esperiemza di entrambi. 
Infatti nella tarda sera di uno dei primi giorni del maggio 1938, alla vigilia della visita di Hitler a Napoli, Renato e Sara erano entrati nella birreria Löwenbrau, ubicata presso il Grand Hotel de Londres vicino al teatro Mercadante (della quale oggi non c'è purtroppo alcuna traccia), nella quale fra gli avventori c’era  un gruppo di ufficiali della milizia, gerarchi fascisti e vari poliziotti. Visti i due giovani fidanzati, gli uomini in camicia nera, alticci per la birra bevuta, si misero a cantare Giovinezza, imponendo al pianista del locale di accompagnarli con la musica.
Quando il coro ebbe finito la propria esibizione, Caccioppoli, sedutosi al pianoforte, si mise a suonare con consumata perizia la Marsigliese, mentre Sara cantava in perfetto francese.
Fu di conseguenza arrestato e solo grazie all’aiuto della zia, Maria Bakunin, docente di Chimica all’Università di Napoli, fu scarcerato con l’attenuante di essere "incapace di intendere e di volere".


Caricatura di Renato Caccioppoli 

Non deve infatti sorprendere questa sua lotta contro le istituzioni, non per nulla era nipote di Mikhail Bakunin, il "padre" dell'anarchismo moderno.
L’attività di convinto antifascista di Renato Caccioppoli, si espresse anche spesso in atti di sarcastica presa in giro contro il regime, e famoso è il suo gallo tenuto al guinzaglio per ridicolizzare gli aspetti più grotteschi della dittatura fascista.
A seguito del divieto per gli uomini di passeggiare con cani di piccola taglia (circolare di Achille Starace, segretario del P.N.F. per “salvaguardia della virilità”) il matematico decise di camminare per le principali strade di Napoli con al guinzaglio un gallo.
Anche se pare sia un gossip un po' fantasioso l'immagine del matematico che tiene al guinzaglio un gallo è davvero esilarante.


Foto di gruppo con Renato Caccioppoli e don Savino Coronato

Un ultimo aneddoto è quello legato al suo caro amico e assistente all'università don Savino Coronato, un prete (come si vede nella foto di gruppo), pur essendo Caccioppoli un ateo e un grande anticlericale.
Una volta, durante un esame, don Savino scrisse alla lavagna un'ODE (Equazione Differenziale Ordinaria) e chiese a uno studente di risolverla. Il povero ragazzo non fu in grado di risolvere l'ODE di don Savino, che non era assolutamente risolvibile in termini elementari e non passò l'esame. 
Caccioppoli non disse nulla ma, dopo che tutti gli studenti se ne furono andati, si avvicinò a don Savino e gli disse: 
"Ci sono solo due ragazzi che possono risolvere l'ODE che hai scritto: io e il tuo capo".

I suoi ultimi anni furono i più tristi, le delusioni personali e politiche, il disincanto nei confronti del partito comunista, la crescente instabilità emotiva lo spinsero a isolarsi.
Ma che cosa accadde a Caccioppoli da indurlo nel maggio del 1959 a suicidarsi? Un genio della matematica, che conosceva quattro lingue, con interessi nel mondo della politica, della letteratura, del cinema, con una passione viscerale per la musica (a diciassette anni suonava perfettamente pianoforte e violino) e un’alta credibilità sociale, poteva mai elaborare l’idea di una morte anticipata?
La moglie Sara lo aveva abbandonato, andando a vivere con Mario Alicata, proprio un dirigente di quel partito comunista da cui si sentiva tradito, e la repressione sovietica dell’Ungheria, del 1956, minando alle fondamenta le sue certezze ideali, spense definitivamente in lui l’impegno politico.  
Forse anche la propria vena matematica sembrava averlo abbandonato, tanto che prese a bere sempre di più e andò progressivamente isolandosi, finché venerdì 8 maggio 1959, invece di andare all’università per l’ultima lezione dell’a.a. 1958-59, rinchiuso nel proprio appartamento di palazzo Cellamare, si tolse la vita con una Beretta 7,65.

"Ai primi di maggio del 1959, in una pizzeria con un gruppo di compagni, ebbe parole dure per un giovane che si era svenato per poi lasciarsi soccorrere. Disse: 'Quello è uno stupido. Per uccidersi davvero si fa così' e proseguì descrivendo la tecnica del cuscino contro la nuca, il punto preciso dove appoggiare la canna della pistola, il colpo inesorabile. L'8 maggio del 1959 Caccioppoli si uccise esattamente in questo modo, con un colpo sparato tra le 17 e le 19,15 da una Beretta 7,65. Il giorno precedente lo avevano visto a via Chiaia, probabilmente era andato a prendere la pistola dalla cassetta di sicurezza. Lo trovò la governante Tina, poco sangue sul cuscino, accanto una tazza di tè e qualche grissino, il proiettile uscito dalla fronte si era conficcato in uno scaffale". [G. Picone, I napoletani - Laterza, Bari 2005, p.174]

Non ebbe funerali religiosi, ma a seguire il suo feretro, pregando e piangendo, c'era il sacerdote don Savino Coronato, suo fedele collaboratore ed amico fino all'ultimo.
Lucio Lombardo Radice sul giornale Unità del 12 maggio 1959 scrisse fra l’altro: 
"Caccioppoli è morto senza dire perché, ma in fondo erano anni che ce lo diceva. [...] Per lui, la morte aveva un significato; riferito a Renato il vecchio adagio va così ribaltato: ‘Finchè c’è morte c’è speranza".


Forse per qualche somiglianza fisica ma soprattutto per la forte concomitanza nella ricerca dell'estetica in matematica Caccioppoli può ricordare Godfrey Harold Hardy di qualche anno più vecchio del napoletano ma sostanzialmente quasi contemporaneo, unito a lui dallo stesso tragico destino.


Godfrey Harold Hardy, chiamato Harold solo da pochi amici intimi, altrimenti "G.H.", è stato uno dei più grandi matematici inglesi che si sarebbe guardato bene però dal dichiarare la sua vera professione. 
Nacque in Inghilterra il 7 febbraio 1877 e a soli 22 anni diventò fellow al Trinity College di Cambridge.
"I do what I do because it is the one and only thing that I can do at all well"¹
La matematica infatti dominò la sua vita e solo il gioco del cricket poteva competere per la sua attenzione tanto da dire alla sorella, pochi giorni prima di morire: "se sapessi di dover morire oggi stesso, credo che vorrei ugualmente conoscere i risultati del cricket".
E' generalmente conosciuto da coloro che non rientrano nel campo della matematica per il suo saggio del 1940 sull'estetica della matematica, "A Mathematician's Apology", che è spesso considerata una delle migliori introspezioni nella mente di un matematico ed è una delle più riuscite descrizioni di cosa significhi essere un artista creativo, ma forse è noto soprattutto per il merito di aver riconosciuto il talento di Srinivasa Ramanujan, il matematico autodidatta indiano che Hardy invitò a Cambridge e con il quale collaborò ad importanti lavori.


Nell'immagine Srinivasa Ramanujan (al centro), G.H. Hardy (estrema destra) 
e altri scienziati al Trinity College dell'Università di Cambridge, nel 1916.

Forse a causa della prematura morte del genio indiano, colpito a 32 anni dalla tubercolosi, o forse a causa di un infarto che lo colpì a 62 anni, nel 1939, Hardy cadde in depressione e, dopo un tentativo di suicidio non riuscito, fu convinto da Charles Percy Snow a scrivere "A Mathematician's Apology". Ritentò poi il suicidio l'1 dicembre 1947 e quella seconda volta gli fu fatale.
Proprio l'amore per il cricket lo portò a fare amicizia con il giovane Charles Percy Snow , chimico, fisico e romanziere che scrisse una prefazione al suo libro "A Mathematician's Apology". 
Sempre a proposito di cricket famose sono le sue scommesse con Dio, che risultavano decisamente curiose se fatte da uno come lui, che dichiarava laplacianamente di non credere nell’Onnipotente.
Soleva recarsi a vedere le partite di cricket, di cui era fervente appassionato, ben preparato alla pioggia con quella che definiva la sua "batteria anti-Dio": ombrello, impermeabile, e valigia piena di carte da lavoro. 
"Dio crederà che io pensi che piova. E allora non farà piovere. E io mi godrò la partita con il bel tempo"
C'è da ricordare che in caso di pioggia (anche se piuttosto leggera) le partite di cricket vengono bloccate senza possibilità di essere riprese (nota a cura del Glamorgan Cricket  Fan Club – RdA).


Cambridge Univ. Cricket 1899

Sono poi curiose due cartoline da lui scritte in tempi e situazioni diverse.
Negli anni '20 scrisse una cartolina ad un amico, una sorta di elenco di "sei auguri di buon anno", in cui Godfrey Hardy elencava i suoi sei obiettivi di vita e l'elenco fu successivamente riprodotto da Paul Hoffman nella sua biografia di Paul Erdös, "The Man Who Loved Only Numbers":

1) Dimostrare l'ipotesi di Riemann
2) Non far uscire 211 nel quarto inning dell'ultimo Test Match at the Oval (si trattava di cricket)
3) Dimostrare definitivamente l'inesistenza di Dio
4) Essere il primo uomo sul monte Everest 
5) Essere proclamato il primo presidente dell'URSS, di Gran Bretagna e Germania
6) Assassinare Mussollini

E infatti scriveva:
"My book (Prime Obsession) has six: To prove the RH, to make 211 not out in the fourth innings of the last Test Match at the Oval (I have no idea what that means), to find an argument for the non-existence of God which shall convince the general public, to be the first man atop Mount Everest, to be proclaimed the first president of the USSR of Great Britain and Germany, and to murder Mussolini."²
Sembra che non abbia però raggiunto nessuno di questi obiettivi.

Un'altra, forse più famosa, cartolina G.H. la scrisse tornando da un congresso in Danimarca.
Al momento di prendere il battello il mare era assai agitato, al punto di preoccupare molti dei passeggeri e Hardy comprò allora la cartolina, scrisse una bugia e la imbucò prima di salire sul battello. 
Qual'era la bugia?
"Ho dimostrato l’ipotesi di Riemann"
Queste le parole vergate in bella calligrafia sulla cartolina postale indirizzata al Trinity College di Cambridge con la firma in calce di Godfrey Harold Hardy, le cui stranezze erano note a tutti, a Cambridge, dal magnifico rettore fino all’ultimo usciere. 
Come lo stesso Hardy poi spiegò, quella frase era in realtà una sua speciale "assicurazione", una delle sue scommesse con Dio.
"Vedete se la nave affondasse, l’intera comunità dei matematici rimarrebbe con il dubbio atroce che io abbia davvero dimostrato l’ipotesi di Riemann. Dio ha già permesso che una cosa del genere accadesse con Fermat, non permetterà certo che accada un’altra volta. Quindi, state tranquilli: questo battello arriverà tranquillamente a destinazione"
Hardy era estremamente timido da bambino e fu socialmente imbarazzante, freddo ed eccentrico per tutta la vita. 
Durante i suoi anni scolastici era il migliore della sua classe nella maggior parte delle materie, e vinse molti premi e riconoscimenti, ma odiava doverli ricevere davanti a tutta la scuola. 
Era a disagio quando veniva presentato a nuove persone e non sopportava di guardare se stesso riflesso in uno specchio e si dice che, quando alloggiava negli hotel, coprisse tutti gli specchi con degli asciugamani.
Ma era anche di una onestà intellettuale rara, e non si adeguò mai per comodità alla corrente dominante del pensiero: 
"Non ha senso cercare di rientrare nell’opinione comune della maggioranza. Per definizione, c’è già troppa gente che lo fa" 
e i suoi comportamenti eccentrici hanno probabilmente contribuito alla leggenda del "genio distratto". 
Oltre agli specchi, odiava le macchine fotografiche, tanto che sembra non esistano più di cinque sue foto, anche se la maggior parte dei contemporanei lo giudicasse un bell'uomo. 
Con ogni probabilità, l’aneddoto matematico più famoso che lo riguarda è quello del "taxi di Ramanujan". 




Si racconta che il famoso matematico indiano, celebre per la sua impressionante familiarità con i numeri e capacità di calcolo, ricevette la visita di un collega mentre era ricoverato in ospedale a Putney. 
L’amico era arrivato in taxi, e tanto per far conversazione disse a Ramanujan che il suo taxi aveva il numero 1729, che gli sembrava abbastanza poco interessante, come numero. 
"Assolutamente no!" rispose il macinanumeri, senza pensarci un istante "È interessantissimo, invece! È il numero più piccolo che si possa esprimere come somma di due cubi in due modi diversi!" 
Infatti la risposta del grande Ramanujan all'amico fu che 1729 si può ottenere come somma dei cubi di 10 e di 9 o di 1 e 12:

1729 = 10³+ 9³ = 1000 + 729
1729 = 1³+ 12³ = 1 + 1728

Anche se non compare, in tutte le versioni dell’aneddoto, il nome del visitatore di Ramanujan, quel visitatore era proprio Godfrey Hardy. 

Entrambi i grandi matematici divennero noti al grande pubblico grazie a scrittori e al cinema che ne illustrarono la vita di ribelli, il carattere bizzarro e il tragico suicidio che sicuramente li accomunano.


L'attore Carlo Cecchi nei panni di Renato Caccioppoli
Video di uno spezzone del film

Carlo Cecchi, nel ruolo di Renato Caccioppoli fu protagonista nel 1992 del  film diretto da Mario Martone "Morte di un matematico napoletano".
Un libro è a lui dedicato dal giornalista Piero Antonio Toma, dal titolo "Renato Caccioppoli, l'enigma" e lo storico italiano Giovanni Pugliese Carratelli commemora il matematico napoletano nel libro "Renato Caccioppoli a trenta anni dalla sua scomparsa".
Nota curiosa, nella "Storia della filosofia greca. Da Socrate in poi" del 1986, lo scrittore Luciano De Crescenzo, cita Renato Caccioppoli con queste parole:
"E' come sempre, elegantissimo: abito scuro, da sera, un po’ sgualcito e sporco di gesso sulle maniche, ma con tanto di gardenia all’occhiello. Probabilmente è ancora l’abito che indossava ieri. Il Maestro questa notte non deve aver dormito: avrà conversato d’amore e di politica, suonato il pianoforte, bevuto e cantato. Di notte lui non ama restare solo: va in giro per le strade di Napoli, frequenta i piccoli bar dei quartieri spagnoli [...]. Ma non sono certo i suoi meriti di scienziato e farcelo amare: Caccioppoli era innanzitutto uno spirito libero, poi secondariamente, un genio, un cuore d’oro, un eccezionale pianista, un filosofo e un poeta". 
"Quando voglio vantarmi di qualcosa, dico che ho fatto il corso di analisi e calcolo con Caccioppoli, al termine del quale ricevette un "21" di scoraggiamento" 
Caccioppoli gli disse infatti che era un "voto di scoraggiamento" perchè vedeva l'allievo molto più incline a discipline diverse e sostanzialmente  umanistiche.

L'attore Jeremy Irons nei panni di Godfrey Hardy 
Video del trailer ufficiale del film

Godfrey Hardy diviene noto al grande pubblico grazie a Jeremy Irons che interpretò Hardy nel film "L’uomo che vide l’infinito", diretto da Matt Brown, basato sulla biografia del matematico indiano scritta da Kanigel, "L’uomo che vide l’infinito. La vita breve di Srinivasa Ramanujan, genio della matematica".
Hardy è un personaggio importante anche nella biografia che fece David Leavitt nel 2007, "The Indian Clerk", in cui descrive i suoi anni a Cambridge e il suo rapporto con John Edensor Littlewood e Ramanujan. 
Hardy appare come personaggio secondario in "Uncle Petros and Goldbach's Conjecture", nel romanzo matematico del 1992, dello scrittore greco Apostolos Doxiadis
Nel 1998 Doxiadis tradusse il libro in inglese, rielaborandolo in modo significativo, e fu pubblicato nel 2000 (editore britannico: Faber and Faber ed editore statunitense: Bloomsbury USA). 
Il libro divenne un bestseller internazionale, ed è stato pubblicato fino ad oggi in oltre trentacinque lingue. Ha ricevuto la lode, tra gli altri, del premio Nobel John Nash, del matematico britannico Sir Michael Atiyah, del critico George Steiner e dello psichiatra Oliver Sacks. Zio Petros è uno dei 1001 libri da leggere prima di morire
"Uncle Petros and Goldbach's Conjecture"è stato il primo destinatario del Premio Peano, il primo premio internazionale per libri ispirati alla matematica, e finalista per il Prix ​​Médicis. 
Nel libro Hardy e Littlewood hanno un ruolo nella ricerca di Petros e Doxiadis li descrive come i famosi matematici britannici del novecento che rappresentano, al contrario di Petros, i ricercatori moderni che insieme, e non lavorando isolatamente, indagano su determinati problemi senza ossessionarsi su un'unica congettura come stava cercando di fare Petros. 


Note

¹ Traduzione "Faccio quello che faccio perché è una e l'unica cosa che posso fare bene" 
² Traduzione "Il mio libro (Prime Obsession) ha sei obiettivi: per dimostrare l'RH, per non far uscire 211 nel quarto inning dell'ultimo Test Match at the Oval (non ho idea di cosa significhi), per trovare un argomento per la non esistenza di Dio che convincerà il grande pubblico, per essere il primo uomo in cima al Monte Everest, per essere proclamato il primo presidente dell'URSS di Gran Bretagna e Germania, e per assassinare Mussolini"

Fonti

Ricordo di un allievo di Caccioppoli
http://pietrocongedo.blogspot.com/2012/09/rocordo-di-renato-caccioppoli-50-anni.html
Renato Caccioppoli, spunta la cartella clinica: «Ingegno supernormale»
https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/arte_e_cultura/17_febbraio_02/renato-caccioppoli-spunta-cartella-clinica-ingegno-supernormale-6df49cc4-e947-11e6-93a0-3d5159668082.shtml
Libro "I Napoletani" di Generoso Picone 
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842077015
Articolo "Stanlio e Ollio" come "Littlewood e Hardy"
http://www.rudimathematici.com/archivio/049.pdf
Taxi 1729
https://viaggiermeneutici.com/2016/11/21/taxi-1729/
G.H. Hardy fan of the cricket 
https://www.cricketcountry.com/articles/gh-hardy-mathematician-and-unapologetic-cricket-fan-652715







Volo Air Canada 143 e le unità di misura

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Il Carnevale della Matematica, il numero 143 di ottobre, è ospitato da Roberto Zanasi, ed ha per tema, "come dice il numero stesso", "Viaggi, anche interstellari, eros, thanatos, Bacco e Venere, e drammi".
A proposito di viaggi interstellari forse si riferiva al Cosmos 143, un satellite artificiale russo? O a proposito di viaggi e drammi al volo Air Canada 143?
Chissà!
Comunque a me ha ricordato proprio il volo Air Canada 143, un volo di linea della compagnia aerea canadese Air Canada in servizio tra Montréal ed Edmonton che il 23 luglio 1983 effettuò un drammatico atterraggio di emergenza.

Volo Air Canada 143 appena atterrato al Gimli Industrial Park Airport 

Come ci raccontano le cronache dell'epoca, l'aereo si trovò inaspettatamente senza combustibile e l'equipaggio (il capitano Bob Pearson e il primo ufficiale Maurice Quintal entrambi di grande esperienza), ritrovatosi repentinamente con tutti i motori spenti e non recuperabili, fece planare il velivolo in discesa per più di 100 km, alla velocità di circa 410 km/h e da un'altezza di 41.000 piedi (12.497 m) sul Red Lake, Ontario, in una sorta di volo a vela, fino al Gimli Industrial Park Airport (una base militare dismessa a Gimli, nella provincia di Manitoba), dove toccò terra in modo quasi perfetto, circa un quarto d'ora dopo lo spegnimento dei motori, senza fare vittime o feriti.
Tanto che il velivolo, riparato a seguito degli irrilevanti danni subiti, tornò operativo e divenne in seguito noto con il soprannome di "Gimli Glider" (l'aliante di Gimli).

Si ma cosa c'entra questo volo con la matematica?
Potrebbe sembrare un volo pindarico ma in effetti c'entra, soprattutto con le unità di misura!
L'Air Canada 143 era un Boeing 767 che normalmente veniva rifornito usando un dispositivo automatico, ma quel giorno il dispositivo di carico automatico di carburante FQIS era difettoso e quindi il controllo della quantità di combustibile imbarcata fu effettuato manualmente tramite uno strumento detto dripstick, che misurava il volume del liquido caricato nei serbatoi.
Purtroppo il carburante era stato calcolato in libbre invece che in kilogrammi e l'errore si verificò nell'inserire il valore ottenuto dal dripstick nel computer di bordo.
Tutti i calcoli per determinare il combustibile necessario venivano abitualmente fatti in unità di peso e non di volume, quindi per confrontare la quantità richiesta con la quantità imbarcata sarebbe stata necessaria una conversione fra le due grandezze. 
L'aereo in questione era il primo 767 dell'Air Canada sul quale la quantità di combustibile veniva misurata dal computer di bordo in kilogrammi, mentre tutti gli altri aerei e i manuali della compagnia usavano le libbre. 
Quindi a causa di questa variazione nelle unità di misura di peso, da libbre a chilogrammi, vennero commessi errori nel volume (litri) del carburante necessario aggiuntivo, con il risultato finale che il volo partì con 22.300 libbre invece che 49.200, in quanto il risultato di 22.300 ottenuto dai calcoli era stato interpretato come 22.300 kg.
Non mi dilungherò su tutte le fasi di questo spettacolare atterraggio (le trovate qui) soffermandomi invece sulle due unità di misura, kilogrammo e libbra.

"Le Grand Kilo"
Il kilogrammo ufficiale, in platino/iridio custodito a Parigi
 al Bureau International des Poids et Mesures di Sèvres

Il kilogrammo è l'unità di base della massa nel Sistema Internazionale (SI) di unità di misura, ed è accettato come unità di peso, vale a dire "la forza di gravità che agisce su un determinato oggetto", ed è quasi esattamente uguale alla massa di un litro di acqua.
La scelta del grammo come unità di misura risale al 1793, quando il grammo fu definito come "il peso di una massa di acqua distillata di un centimetro cubo portata alla temperatura di 3,98 gradi centigradi, a pressione atmosferica standard"
Il sistema decimale nasce infatti con la Rivoluzione Francese e la parola grammo, prima dell’introduzione del sistema decimale, indicava un ventiquattresimo dell’oncia, che a sua volta era la dodicesima parte della libbra, dove oncia e libbra sono misure che risalgono alla Roma antica quando la ventiquattresima parte della libbra si chiamava scrupolo e pesava in effetti poco più di un grammo attuale (1,16 grammi circa).
Scrupulum, in latino piccolo sassolino, veniva usato per indicare un piccolo peso, al disotto del quale non c’erano altre unità di misura più piccole¹
Grammo, invece, viene dal francese gramme, e questo a sua volta dal latino tardo gramma, che deriva a sua volta dal greco, γράμμα (piccolo peso).. 
Due anni dopo, nel 1795, venne introdotto il kilogrammo, di nuovo definito in termini di massa di acqua distillata, "quella di un decimetro cubo, sempre alla temperatura di 3,98°C, a pressione atmosferica standard" e successivamente il decimetro cubo di acqua fu abbandonato e si passò a un campione di kilogrammo, e quindi a un cilindro al 90% di platino e al 10% di iridio, custodito a Sèvres, vicino a Parigi. 
Tale definizione era infatti difficile da realizzare accuratamente, anche perché la densità dell'acqua è legata in parte alla pressione, e per evitare questo problema, il chilogrammo venne ridefinito come la massa precisa di una particolare massa standard, "le Grand Kilo", creata per approssimare la definizione originale e realizzata nel 1875.
Da allora e fino al giugno 2019 il sistema del chilogrammo campione è rimasto in vigore, quando l'ultima Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure ha ridefinito il chilogrammo, che non è più basato sul campione custodito a Parigi, ma su una costante della Fisica, il numero di Planck.

Il NIST-4, la speciale bilancia statunitense che ha misurato la costante di Planck

Ma non solo il kilogrammo, tutte le sette unità di misura del Sistema Internazionale (SI) sono state coinvolte da questa rivoluzione che rappresenta una svolta epocale, paragonabile a quella che alla fine del Settecento vide nascere dalla Rivoluzione Francese la prima unificazione delle misure.
Il Bureau International des Poids et Mesures ha colto l'occasione davvero storica per rilanciare l’attenzione nei confronti del Sistema Internazionale (SI) e delle sue sette unità di misura fondamentali.
Dal 20 maggio 2019 in tutto il mondo sono infatti entrate in vigore nuove definizioni di quattro unità di misura fondamentali: il kilogrammo appunto (definito in relazione alla costante di Planck), il kelvin (definito in base alla costante di Boltzmann), l’ampere (definito in base alla carica elettrica elementare), la mole (definita in base alla costante di Avogadro, l’unica tra le costanti fisiche fondamentali a portare un nome italiano), ma anche il metro (lunghezza, agganciato alla velocità della luce nel vuoto), il secondo (tempo, connesso all’atomo di cesio) e la candela (luminosità), che erano già state riferite a costanti della fisica in precedenti revisioni.
Perché "Le Grand Kilo" di platino/iridio non era conforme a definire il kilogrammo?
Quest’unità di massa, ma anche di peso, era l’ultima a fare ancora riferimento a un campione fisico, il prototipo del chilogrammo, detto "Le Grand Kilo", in lega di platino e iridio realizzato nel 1875 (alcuni sostengono 1889?) e conservato a Sèvres, vicino a Parigi, nel famoso istituto, il Bureau International des Poids et Mesures (BIPM)
In primo luogo la sua riproduzione richiedeva l’accesso al campione primario, e in pratica non era riproducibile senza incorrere in un errore di circa 2 microgrammi (milionesimi di grammo) mentre i metrologi² tendono, nelle altre misure fondamentali, a un errore virtualmente uguale a zero.
In secondo luogo, e forse più imbarazzante per i metrologi, era problematico il comportamento dell’unità campione. 
"Le Grand Kilo" doveva essere periodicamente ripulito e controllato e, nelle revisioni che si sono succedute nel tempo, tendeva a perdere peso, tanto che, negli ultimi 100 anni, aveva perso 50 microgrammi, una quantità 25 volte più grande del suo errore di riproducibilità. 
Le sofisticatissime bilance attualmente disponibili non lasciavano dubbi sul fatto che il cilindro di platino/iridio subisse variazioni di un milionesimo di grammo al mese subito dopo le periodiche operazioni di pulitura e lavaggio e quindi fu ritenuto non  idoneo a definire con precisione il kilogrammo.
Nel corso della 26ª Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure, che si é tenuta dal 13 al 16 novembre 2018 a Versailles, come ho ricordato, il kilogrammo è stato ridefinito e di conseguenza il campione conservato presso il Bureau ha oggi semplicemente un valore storico e documentale. 

La via a Mantova dedicata al fisico, scrittore e politico Gilberto Govi

A questo punto della narrazione e a proposito del  Bureau International des Poids et Mesures vorrei ricordare un fisico italiano, anzi mantovano, che ne fu il primo direttore dal 1875 al 1877, Gilberto Govi (1826-1889).
Gilberto Govi il grande attore genovese? Ovviamente no ma si tratta dello zio, omonimo, famoso fisico e scrittore dell'epoca.
Infatti a Gilberto Govi (1885–1966), attore italiano e fondatore del Teatro Dialettale Genovese, venne dato il nome di Gilberto proprio in onore dello zio paterno, appunto lo scienziato Gilberto da Mantova.
Oltre a mantenere, dal 1878 fino alla morte, la Cattedra di fisica dell’Università di Napoli Federico II fu anche un grande divulgatore e una sua passione fu la ricerca nella storia della scienza, sia valorizzando e facendo conoscere scienziati rimasti nell’ombra come Giovanni Battista Baliani, precursore di Evangelista Torricelli o Eusebio Sguario, precursore di Benjamin Franklin, sia curando la pubblicazione di manoscritti tra cui la traduzione latina dell’Ottica di Claudio Tolomeo ritenuta perduta e riscoperta nel 1869.
Negli ultimi anni studiò gli effetti dell'elettricità e del magnetismo e inventò un barometro ad aria e il termometro registratore a gas.
Gran parte della sua ricerca storica fu dedicata a Leonardo da Vinci, in particolare al suo Codice Atlantico e a Galileo Galilei.

Dopo aver chiarito l'unità di misura chilogrammo vediamo di capire cosa sia la libbra e il perché sia stata per così tanto tempo mantenuta in molti paesi anglosassoni al posto del chilogrammo, e quindi del sistema decimale, e permanga ancora.
La libbra imperiale (nel sistema avoirdupois, o internazionale SI) è ufficialmente definita come 453,59237 grammi, vale a dire che una libbra corrisponde a poco meno di mezzo chilo (0,453 Kg). 
Come ricordavo è durante la Rivoluzione Francese che si creano i fondamenti del sistema metrico decimale, con la legge del 18 germinale anno III (7 aprile 1795), che nasce dalla necessità di disporre di unità di misura unificate in sostituzione dell’enorme numero di unità in uso nei diversi paesi e regioni e quindi  dall'esigenza di creare un sistema universale di misurazioni in accordo con le necessità pratiche, scientifiche, economiche e le idee politiche del momento, e che  stabilisce di adottare le seguenti unità:  
a) per le lunghezze, il metro, ricavato dal meridiano terrestre, con i suoi multipli e sottomultipli decimali. Progetto a cui collaborarono efficacemente due matematici ed astronomi Jean-Baptiste Delambre (1749 - 1822) e Pierre François André Mechain (1744 - 1804)  
b) per le aree, per i volumi, il metro quadrato e il metro cubo, e come multipli e sottomultipli i quadrati e i cubi dei multipli e sottomultipli del metro; in particolare, l'ara uguale a 10 × 10 metri, l'ettaro uguale a 100 × 100 metri, il litro uguale a un decimetro cubo
c) per i pesi (vocabolo usato, come nella vita comune, per indicare piuttosto le masse), il chilogrammo, come definito sopra, con i suoi multipli e sottomultipli decimali.

Tabella di conversione 

L'Assemblea Nazionale incaricò l'Académie des Sciences di studiare una soluzione ed essa nominò una Commissione della quale il matematico di origine piemontese  Lagrange (Giuseppe Luigi Lagrangia) fu chiamato a far parte e questo lavoro per l’elaborazione del sistema metrico costituì il suo maggior impegno a Parigi negli anni della Rivoluzione.
Dalla Francia il sistema metrico decimale passò negli stati soggetti all’impero napoleonico, ma con la caduta di Napoleone e il ritorno ai singoli sistemi di ogni paese a seguito della Restaurazione, si manifestarono ben presto gli inconvenienti delle misure del vecchio tipo, cosicché dal 1837 il sistema metrico decimale veniva impiegato di nuovo in molti stati, tra cui l'Italia nel 1861, alla nascita del Regno.
Ma non tutti i paesi furono propensi ad adottare tale sistema soprattutto quelli legati all'Inghilterra, tra cui l'Impero Britannico, gli Stati Uniti d'America e il Canada.
La Gran Bretagna ha adottato ufficialmente il sistema metrico decimale solo nel 1965, ben 170 anni dopo la sua adozione in Francia e ancora mantiene parallelamente quello che viene definito il "Sistema Iperiale Britannico", un'evoluzione delle unità di misura romane e di quelle utilizzate dalle popolazioni anglosassoni, che è stato a sua volta la base per il "Sistema Consuetudinario Statunitense".
Con la 1ª Conférence générale des poids et mesures (CGPM) del 1889 in Francia nasce il "Sistema MKS" perché comprendeva solo le unità fondamentali di lunghezza (metro), di massa (chilogrammo) e di tempo (secondo), che diventerà nel 1946 "Sistema MKSA", su proposta del grande fisico e accademico italiano Giovanni Giorgi (1871 - 1950), che aggiunse l'ampère come grandezza base alla corrente elettrica, chiamato anche "Sistema Giorgi". 
Evolvendosi nel tempo, il Sistema Internazionale giunge alle recentissime trasformazioni nelle sette unità di misura definite nel giugno 2019 e che si basano sulle sette costanti fondamentali.

Ma come ho già sottolineato alcuni paesi hanno proseguito per moltissimo tempo ad adottare sistemi di misurazione basati su antiche usanze e riferite a basi diverse da quella decimale.

La missione fallita nel 1793 del botanico e aristocratico Joseph Dombey 

Tutta colpa dei Corsari!
Gli USA possono davvero incolpare i Corsari, se ancora oggi ragionano in miglia, libbre e galloni? 
Forse si per via di un incontro mancato tra le Unità di Misura Universali e il Congresso degli Stati Uniti, che ha probabilmente ritardato l'adozione del Sistema metrico negli Stati Uniti di quasi un secolo come ci racconta la storia qui riportata.
Il Sistema metrico decimale, introdotto in Francia nel 1791, non arrivò infatti in tempo sul tavolo del Congresso, dove avrebbe potuto semplificare la vita di milioni di americani proprio a causa di un assalto corsaro.
Nel 1793 il botanico e aristocratico Joseph Dombey fu incaricato di partire in missione per gli Stati Uniti con due campioni standard del nuovo sistema di misurazione: una barra per l'esatta misura di un metro e un cilindro di rame del peso preciso di un chilo.
Attraversando l'Atlantico, avrebbe dovuto incontrare negli USA Thomas Jefferson, Segretario di Stato Americano e sostenitore del nuovo sistema, ma una tempesta sorprese Dombey nelle acque caraibiche di Guadalupa, dove finì nelle mani di corsari britannici, che, come si sa, erano sponsorizzati dal governo di Sua Maestà a patto che attaccassero soltanto le navi mercantili nemiche.
Dombey fu catturato e imprigionato a Montserrat, un'isola delle Piccole Antille dove poco dopo morì e quindi le sue merci furono confiscate e messe all'asta. 
La Francia si adoperò allora per mandare un secondo emissario, ma quando questi finalmente arrivò, il Segretario di Stato era cambiato, ed Edmund Randolph, in carica dal 1794, non era particolarmente interessato a perorare la causa del nuovo sistema di misurazione.

Tornando al volo Air Canada 143 e alle libbre, che tanto danno avrebbero potuto causare, va ricordata la loro origine storica. 
La libbra è un'unità di misura di massa di origine romana il cui nome deriva dal latino libra, che significa "bilancia".
Nel mondo antico era comune la coincidenza delle unità monetarie con quelle di peso, ad esempio una libbra d'oro o una libbra d'argento, e la più antica unità monetaria dell'antica Roma era l'"asse librario", un pezzo di bronzo marchiato del peso di una libbra, e, da Carlo Magno in avanti, la parola libra denotò direttamente una moneta, quella da cui deriva il nome lira.
In inglese tuttora la stessa parola pound indica sia la libbra, la cui abbreviazione lb deriva dal latino libra, che la lira sterlina, il cui simbolo £ è una variazione della lettera L.



Il sistema britannico ha però considerato contemporaneamente diverse unità di misura di massa chiamate libbra, unità diverse utilizzate per la pesatura di sostanze diverse quali lana, preziosi, merce generica, ecc., tra cui la libbra Avoirdupoids, la Troy, la Tower, la London, ecc. che avevano diversi tipi di sottomultipli e con rapporti piuttosto complessi di relazione fra loro, sistemi progressivamente abbandonati, anche se non del tutto. Peraltro erano in uso anche libbre di derivazione francese nel sistema di unità di misura del Regno Unito, ad esempio nelle Isole del Canale.
Prima dell'adozione del sistema metrico attraverso la legge del 7 aprile 1795, l'unità di riferimento in Francia era la libbra di Parigi, una livre de poids de marc che valeva 489,5 g., era divisa in 16 once di 8 grandi, e ogni grande valeva 72 grani.
Anche in Italia vi erano differenze tra libbre e libbre come ricorda il manuale veneziano di Bartolomeo di Paxi: "Libbre 100 di Firenze fanno al grosso di Venezia libbre 71 in 72", e poi troviamo le libbre napoletane (circa 320,76 g.), le libbre toscane (339,54 g.) o quella ferrarese o forlivese (da circa 345 g. a 329 g.).
La libbra britannica (detta anche libbra internazionale) attuale equivale a 453,59237 grammi, e l'oncia (ounce) è un suo sottomultiplo: una libbra è pari a 16 once e quindi un'oncia è uguale a 28,3495231 grammi.
Decisamente più complesso il calcolo rispetto a quello decimale ma che viene tutt'ora usato. 
Quattordici libbre equivalgono a uno stone (pietra), unità che attualmente si usa in Gran Bretagna e Irlanda per esprimere il peso delle persone.
Gli USA ancora oggi usano la libbra statunitense, che in seguito a verifiche effettuate sui rispettivi sistemi di rilevamento della unità, ha riscontrato una infinitesima differenza rispetto alla libbra britannica, inferiore a una parte su 10 milioni. Tale differenza è considerata trascurabile agli scopi pratici, per cui i valori di conversione al sistema metrico, per usi correnti, sono considerati gli stessi.

Eppure su questo sistema, concepito in un'epoca preindustriale si regge sostanzialmente ancora l'intera industria degli Stati Uniti e avanzi di questa follia persistono proprio in aviazione, dove le quote si misurano ancora in piedi
Una convenzione internazionale stabilisce infatti che le distanze verticali, in aeronautica Flight Level, siano misurate in piedi (misura anglosassone che vale circa 30 centimetri).
Normalmente abbreviato con la sigla FL (Flight Level), il livello di volo indica la quota alla quale un aereo sta volando (o alla quale è autorizzato a salire o a scendere) espressa in centinaia di piedi rispetto a un immaginario e ideale livello medio del mare.

I 4 strumenti di base disposti a "T"(Anemometro, Orizzonte Artificiale, Altimetro e 
Girobussola in basso al centro) completati in basso a destra dal variometro 
e in basso a sinistra dal virosbandometro, 
che insieme compongono i cosiddetti "standard six" o "pack six"


 
 Note

¹la parola scrupolum veniva usata anche per indicare un fastidio, come quello provocato da un sassolino, e nel senso di un fastidio dell’animo
² Metrologo studioso, esperto di metrologia fisica, scientifica o primaria, che è la scienza che contribuisce allo sviluppo delle definizioni delle unità di misura, alla realizzazione e al mantenimento dei campioni delle unità e alla determinazione delle costanti fondamentali della fisica e delle discipline applicate da essa dipendenti per le nozioni di base

Londra...caffè e matematica

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Per coloro che non conoscono la tradizione dell'insegnamento della matematica nei caffè di Londra, il titolo di questo articolo potrebbe sorprendere. 
Certamente chi oggi frequenta i caffè di Londra si renderà conto che la tradizione non è sopravvissuta, tuttavia, prima di fare esplicito accenno alla matematica nei caffè, esaminerei brevemente la tradizione del consumo di caffè a Londra.
Consumo di caffè davvero sorprendente soprattutto essendo gli Inglesi, da sempre, considerati consumatori di tè, ma giustificato anche dal fatto che era una bevanda che incuriosiva.
Appena arrivata in Europa dalla Turchia, anche se il gusto del caffè del XVII secolo pare fosse piuttosto disgustoso, prese piede fino quasi alla fine del XVIII secolo quando le Coffee Houses scomparvero quasi completamente.

Divertente immagine legata alla "matematica del caffè"

Come ci si potrebbe aspettare, c'è poco accordo su quando sia iniziato il consumo di caffè in Inghilterra e lo storico Anthony Wood scrive, in Athenae Oxonienses (studiosi di Oxford 1691), che la prima caffetteria aprì a Oxford: 
Jacob, un ebreo, aprì un caffè all'Angelo, nella parrocchia di San Pietro a est, Oxon, e fu lì che alcuni, che si dilettarono della novità, bevvero.
Trattasi di una caffetteria fondata da un uomo armeno di nome Jacob Harutiun Vartian, nota come Pasqua o Pascal Rosée, presso l'Angelo della parrocchia di San Pietro. Un edificio sullo stesso sito o vicino ad esso ora ospita un bar-caffetteria chiamato The Grand Café e anche la Queen's Lane Coffee House di Oxford, fondata nel 1654, esiste ancora oggi. 
Sicuramente, poco dopo questi caffè, ne vennero aperti molti altri e nel 1663 è stato registrato che ci fossero ben 82 caffetterie a Londra, anche se non sempre e da tutti ben accette, tanto che ci furono decise opposizioni. 
Ad esempio, nel 1674 fu istituita la "Petizione delle donne contro il caffè" e si affermava che il caffè:
...ha reso gli uomini infruttuosi come i deserti da cui si dice che venga portata l'infelice bacca.


E l'anno successivo il re Carlo II cercò addirittura di liberare Londra dai suoi caffè con un editto
:
Considerando che è più evidente che la moltitudine di caffetterie degli ultimi anni istituiti e mantenuti all'interno di questo regno, il dominio del Galles e la città di Berwick-upon-Tweed, e il grande ricorso di persone oziose e disamorate per loro, hanno prodotto effetti molto malvagi e pericolosi, così come il fatto che molti commercianti e altri vi trascorrono male la maggior parte del loro tempo, che potrebbe e probabilmente sarebbe altrimenti impiegato nelle loro mansioni e affari legali, ma anche per quello in tali case e occasionalmente dell'incontro di tali persone al suo interno, molti rapporti falsi, maliziosi e scandalosi vengono elaborati e diffusi all'estero, per la deformazione del governo di Sua Maestà e per il disturbo della pace e della quiete del regno, Sua Maestà ha ritenuto opportuno e necessario che le suddette caffetterie siano per il futuro abbattute e soppresse.
L'editto mirava a vietare la vendita di caffè, cioccolata, sorbetto e tè nei caffè, considerati luoghi di "depravazione", ma la protesta fu tale che re Carlo II decise di fare marcia indietro e non fu fatta ulteriore menzione del suo editto.

Molte caffetterie fungevano da punto d'incontro per diversi gruppi di persone tanto che molte davano il nome di un particolare caffè come indirizzo dove poter essere contattate. 
Ad esempio la Child's Coffee House vicino al Gresham College, era frequentata dal clero, la Lloyd's Coffee House, fondata da Edward Lloyd in Tower Street nel 1680, aveva come clienti armatori e commercianti e fungeva da hub attraverso il quale passavano le notizie sulle navi (si trasferì a Lombard Street nel 1692 e alla fine si trasformò in assicurazioni e divenne i famosi Lloyd's di Londra), o la Grecian Coffee House, come potrebbe suggerire il nome, attirò coloro che erano interessati alla filosofia e ad altre discipline accademiche. 
Lo storico George Macaulay scrive: 
Coloro che desideravano trovare un gentiluomo di solito chiedevano non se vivesse in Fleet Street o Chancery Lance, ma se frequentasse il Grecian o il Rainbow.
Una delle due caffetterie menzionate in questa citazione è il Rainbow, la seconda caffetteria più antica di Londra, aperta da James Farr in Fleet Street nel 1657.


Una cronologia del caffè
1650: la prima caffetteria registrata in Inghilterra viene aperta a Oxford
1652: la prima caffetteria di Londra, Pasqua Rosee apre a St. Michael's Alley  
1657: la seconda caffetteria di Londra The Rainbow apre in Fleet Street
1674: viene pubblicata la "Women's Petition Against Coffee", che affermava che il caffè fa gli uomini "Pamphlet"
1675: un  editto di re Carlo II condanna le caffetterie come luoghi dagli "effetti malvagi e pericolosi" 
1683: sono aperti circa 2.000 coffee house a Londra
1754: si apre la Beford Coffee House 


Un'altra citazione di uno che frequentava 
la Grecian Coffee House è la seguente: 
Mentre altre parti della città sono esclusivi luoghi di divertimento, generalmente trascorriamo la serata a questo tavolo indagando sull'antichità e riflettendo su qualsiasi idea che ci dia nuove conoscenze.
In Inns and Taverns of Old London di Henry C Shelley si legge 
Uomini di scienza così come studiosi hanno dato il patrocinio liberale al greco. Era cosa comune che le riunioni della Royal Society continuassero in modo sociale in questo caffè, dove il presidente,  , era spesso tra le parti. Anche qui venne il , il grande astronomo, per incontrare i suoi amici durante la sua visita settimanale a Londra da Oxford ...
Quindi uno dei gentiluomini che si potevano trovare al Grecian Coffee House era , dove a volte incontrava  .

La Jonathan's Coffee House, in Exchange Alley


La Jonathan's Coffee House, in Exchange Alley, aveva commercianti come clienti ed era considerata alla stregua della Borsa di Londra e   e  partecipavano spesso a discussioni scientifiche con Jonathan.

Parlare di  e  ci riporta al nostro argomento di matematica nei caffè di Londra. 
Per prima cosa, cito un passo da un'opera di Thomas Sydserf intitolata Tarugo's Wiles, o The Coffee House, una commedia in cui nell'Atto III c'è questa conversazione tra due clienti della caffetteria: 
Cliente 1 : Mi è stato detto, signore, che il caffè ispira un uomo in matematica.

Cliente 2 : Fintanto che impedisce di dormire, che sai è il modo pronto per distrarre, di conseguenza il miglioramento della matematica.
Non solo i caffè erano luoghi di incontro, ma in essi venivano tenute conferenze, e queste non erano solo lezioni improvvisate tenute nel corso della discussione, ma piuttosto erano adeguatamente pubblicizzate e di solito non lezioni una tantum, ma piuttosto serie di conferenze estese. 
A causa di questa funzione educativa, i caffè venivano spesso chiamati Penny Universities, e il nome derivava dal fatto che facevano pagare un biglietto d'ingresso di un penny.

Testa di leone della Button's Coffee House


Daniel Button era il proprietario della Button's Coffee House, situata in Russell Street, Covent Garden. Questo caffè aveva molti clienti letterari e in particolare Richard Steele che lo usò come ufficio per il Guardian che iniziò a pubblicare nel 1713
Lo stesso Steele pubblicò un annuncio per un corso di conferenze proprio alla Button's Coffee House: 
A decorrere dall'11 gennaio 1713 al 14 , un corso di lezioni filosofiche sulla meccanica, idrostatica, pneumatica, ottica, .... Questo corso di esperimenti sarà tenuto dal signor  e Francis Hauksbee ...
, tuttavia, non era universalmente popolare come docente perché si allontanava dal suo argomento matematico per fare commenti religiosi, tanto che Henry Newman scrisse una lettera a Richard Steele il 10 agosto 1713
Ti ringrazio per la tua gentilezza nei confronti del signor  in quanto è un ente di beneficenza non solo per lui ma per il pubblico nel metterlo su un divertimento che potrebbe distoglierlo da quegli studi che lo hanno reso così odioso al rimprovero di brave persone. Gli ho fatto notare immediatamente il tuo favore e suppongo che aspetterà i tuoi comandi. Chiedo solo il permesso di suggerirti una cosa quando lo fa, perché verrà con più autorità da te che forse qualsiasi uomo nel regno accanto, e cioè che sarai lieto di evocare il silenzio su tutti gli argomenti estranei al matematica nelle sue conversazioni o lezioni al tuo bar. Ha una voglia matta di sfogare le sue nozioni sul battesimo e sulla dottrina ariana, ma la tua autorità può trattenerlo almeno mentre è sotto la tua tutela.
Forse vale una nota per ricordare cosa sia "la dottrina ariana". 
È un'eresia cristiana proposta per la prima volta all'inizio del IV secolo dall'Alessandrino Ario che, sulla base di uno studio della Bibbia, affermò la convinzione che Gesù fosse più uomo e meno Dio. 
In altre parole, gli ariani non credono nell'identificazione di Dio, Gesù Cristo e lo Spirito Santo, quindi non credono nella dottrina della Trinità. 
 era un ariano incline a far conoscere le sue opinioni nei caffè. 
 era un ariano, ma per paura che sarebbe stato licenziato (o peggio) non rese mai pubbliche le sue opinioni ariane.

Un altro cliente abituale di Button's Coffee House era  che scrisse molti opuscoli popolari. A volte terminava le lettere con: 
Da uno sfavillante scrittore di pamphlet di Button's Coffee House.
La Slaughter's Coffee House a St Martin's Lane, fondata nel 1692, era famosa come centro per i giocatori di scacchi, ma era anche un luogo popolare per coloro che cercavano consigli matematici e  era considerato il matematico residente al Slaughter's, dando consigli sul rischio, o sulla possibilità di perdita, come la chiamava. 
Era questo per lui un modo per guadagnare un po' di soldi, così come giocare a scacchi dove  giocava proprio per soldi. 
In Inns and Taverns of Old London di Henry C. Shelley scrive: 
Tra le prime caffetterie ad essere stabilite nel West-end di Londra fu quella aperta da Thomas Slaughter a St Martin's Lane nel 1692 e conosciuta come Slaughter's. Rimase sotto la supervisione di Mr Slaughter fino alla sua morte nel 1740 e continuò a godere di una prospera carriera per quasi un secolo in più, quando la casa fu demolita. La maggior parte dei suoi clienti erano artisti e gli uomini famosi annoverati tra loro includevano Wilkie, Wilson e Roubiliac. Ma la figura più patetica associata alla sua storia è quella di  , quel matematico francese che divenne amico di  e Nonostante le sue meravigliose capacità fu spinto a mantenersi dalle misere miserie guadagnate insegnando e risolvendo i problemi degli scacchi da Slaughter's. Nei suoi ultimi giorni la vista e l'udito fallirono entrambi, e alla fine morì di sonnolenza, venti ore di sonno divennero abituali con lui. Al momento della morte di De Moivre, o poco dopo, il carattere dei frequentatori di Slaughter ha subito un cambiamento ...
Infine diamo un'occhiata a un altro corso di matematica tenuto in un caffè londinese, ma questa volta da qualcuno un po 'meno conosciuto. 
John Harris che nacque intorno al 1666 e si laureò all'Università di Oxford vent'anni dopo, scrisse:
Qui venivano lette lezioni di filosofia e chimica sperimentali e si insegnava un corso di matematica molto "tollerabile" (semplice e basilare), poi mi fu dato il permesso di insegnare matematica.

Harris tenne infatti un corso di matematica e astronomia al Marine Coffee House di Birchin Lane. Questo non era un evento una tantum, ma si svolgeva ogni anno tra il 1698 e il 1704 e produsse persino un libro, in qualche modo il libro di testo per integrare il suo corso, che pubblicò nel 1703 intitolato Description and Uses of the Celestial and Terrestrial Globes and of Collins 'Pocket Quadrant.

Una Coffee House Inglese del XVII secolo

Si conclude qui questo excursus nei caffè londinesi che dimostrano come, soprattutto tra il XVII  e il XVIII secolo, questi luoghi fossero quasi sostitutivi di Università. "Penny Universities" appunto dove sia gli studiosi che gli studenti erano clienti abituali e chiunque avesse un soldo poteva partecipare a una conferenza o avere accesso a libri o notizie stampate. Le caffetterie hanno rafforzato la popolarità della cultura, delle notizie di stampa e hanno aiutato la crescita di vari mercati finanziari tra cui assicurazioni, azioni e aste, con una grandissima importanza per la diffusione della cultura e, come abbiamo visto, proprio della matematica. 

Secondo lo scrittore e romanziere francese di quel periodo, Antoine François Prévost, i caffè, "dove hai il diritto di leggere tutti i giornali pro e contro il governo", erano le "sedi della libertà inglese".

Sir John Theodore Houghton, uno scienziato e fisico gallese del secolo scorso, che ha pubblicato anche le sue scoperte sui contributi apportati dai caffè al progresso dell'apprendimento, a proposito delle "Penny Universities" ha concluso: 

Questi caffè rendono socievoli tutti i tipi di persone, i ricchi e i poveri si incontrano, così come anche i dotti e gli ignoranti. Migliorano le arti, la finanza e tutte le altre conoscenze; perché qui un uomo curioso, che mira a una buona cultura, può ottenere di più in una sera di quanto ne guadagnerà con i libri in un mese.

Alla fine del XVIII secolo, con un aumento della domanda di tè, assistiamo al declino del caffè e di conseguenza delle Coffee Houses. 
La British East India Company, all'epoca, aveva un interesse maggiore per il commercio del tè rispetto al commercio del caffè, poiché la concorrenza per il caffè si era intensificata a livello internazionale con l'espansione dei caffè in tutto il resto d'Europa. 
La politica del governo promosse il commercio con l' India e la Cina e il governo offrì incoraggiamenti a tutto ciò che avrebbe stimolato la domanda di tè.  
Il tè era diventato di moda a corte e le case da tè, che attiravano la clientela di entrambi i sessi, iniziarono a crescere in popolarità.
Aytoun Ellis, autore del libro "The penny universities: A history of the coffee houses" spiega: 
Erano serviti al loro scopo e non erano più necessari come luoghi di incontro per la critica e il dibattito politico, scientifico o letterario
La crescente popolarità del tè è spiegata anche dalla facilità con cui viene preparato: 
Per preparare il tè, tutto ciò che serve è aggiungere acqua bollente; il caffè, al contrario, richiede tostatura, macinatura e infusione


Fonti

Spunti e libera traduzione da un articolo di JJ O'Connor e EF Robertson su Scuola di matematica e statistica dell'Università di St Andrews, in Scozia

Riferimenti
A.I Dale, Most honourable remembrance: The life and work of Thomas Bayes ( New York- Berlin- Heidelberg, 2003).
B. Lillywhite, London Coffee Houses: un libro di riferimento delle caffetterie del XVII e XIX secolo ( Londra, 1963).
E.F Robinson, La prima storia dei caffè in Inghilterra ( Londra, 1893).
H.C Shelley, Locande e taverne della vecchia Londra ( Pitman, Londra, 1909).
Un Browning (ed.), Documenti storici inglesi 1660 - 1714, in D.C Douglas (Ed.), Documenti storici Inglesi VIII (Eyre e Spottiswoode, London, 1953).
https://en.wikipedia.org/wiki/English_coffeehouses_in_the_17th_and_18th_centuries
https://mathshistory.st-andrews.ac.uk/HistTopics/Coffee_houses/


Shannon il giocoliere della Scienza

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 "Shannon ha fatto per la scienza del computer ciò che Einstein ha fatto per la fisica"

Claude Shannon, il matematico monociclista giocoliere che ha trasformato l'"informazione" da un'idea vaga in un concetto preciso che sta alla base della rivoluzione digitale.

Il tema "palle in gioco",  del 147° Carnevale della Matematica tenuto dai Rudi Mathematici, mi ha dato lo spunto per parlare di Claude Elwood Shannon (Petoskey, 30 aprile 1916 – Medford, 24 febbraio 2001) che è stato un ingegnere e matematico statunitense, con una ben meritata reputazione di "padre del digitale", la tecnologia oggi dominante e veramente onnipresente, ma anche appassionato giocoliere.
Tra le sue passioni e i suoi molti hobbies, c'era quello per la giocoleria ed è noto come stupisse, correndo per i corridoi dei Bell Labs con un monociclo lanciando in aria palline da giocoliere.


Claude Shannon su monociclo - Foto ©  famiglia Shannon

Gli strumenti di base della giocoleria sono la palla, l'anello e la clava. 
In generale i giocolieri si destreggiano con quasi tutto, ma le palle, di cui parlerò, sono le più facili da usare, anche se i giocolieri professionisti usano gli anelli e le clave più impressionanti, spesso infuocate.

Nonostante la sua natura divertente e giocosa, la giocoleria ha un lato scientifico più serio e il primo studio scientifico noto sulla giocoleria apparve nel 1903 quando Edgar James Swift pubblicò un articolo sull'"American Journal of Psychology" che documentava la velocità con cui gli studenti imparavano a lanciare due palline con una mano. 
Negli anni '40 fu fondata l'"International Jugglers Association" e negli anni '50 e '60 la giocoleria fu usata per confrontare le abilità di apprendimento generale.
Fu solo negli anni '70 che gli aspetti scientifici della giocoleria iniziarono a essere studiati seriamente.
In effetti, è stato proprio Claude Shannon ad avviare questa ricerca e a creare le prime macchine da giocoliere, formulando un teorema di giocoleria, costruendo una macchina robotica di giocoleria, con parti di un set di Erector, programmandola per destreggiarsi tra tre palline di metallo facendole rimbalzare contro un tamburo, e diventando così una specie di giocoliere accademico.

Macchina robotica di giocoleria di Shannon - Foto © Mark Ostow

Questa sua passione, a cui si dedicò con metodo scientifico, è anche una testimonianza della convinzione di Shannon che qualsiasi cosa potesse  essere oggetto di una seria analisi matematica.  

Giocoleria a parte, il nome di Claude Elwood Shannon è sicuramente molto più importante, per la nostra era digitale, di nomi famosi come quelli di Bill Gates o Steve Jobs, in quanto è stato l'artefice di ciò che noi oggi conosciamo come la rivoluzione digitale tanto che si dice che "Shannon ha fatto per la scienza del computer ciò che Einstein ha fatto per la fisica".
John von Neumann, Alan Turing e molti altri innovatori ci hanno fornito computer in grado di elaborare le informazioni, ma è stato Claude Shannon a darci il concetto moderno di informazione, con un salto intellettuale. 
Shannon è noto infatti per aver fondato la teoria informatica con un documento fondamentale, "A Mathematical Theory of Communication", che pubblicò nel 1948, quando era un ricercatore di 32 anni presso i Bell Laboratories.

Non molto tempo dopo la sua nascita, il 30 aprile 1916, divenne chiaro che Claude Shannon sarebbe diventato un grande inventore. 
Da giovane, aggiustava le radio dei vicini o trasformava le recinzioni di filo spinato in una linea telegrafica, attraverso la quale comunicava con un amico.
Nel 1936, dopo due lauree di primo livello in matematica e ingegneria elettronica si distinse subito per le sue doti di matematico.
Interessandosi fin dall’inizio all’algebra di Boole e alla trasmissione dei segnali, fondò la teoria della progettazione di circuiti digitali nel 1937, quando a soli 21 anni, da studente universitario al Massachusetts Institute of Technology (MIT), scrisse la sua tesi dimostrando che le applicazioni elettriche dell'algebra booleana potevano costruire qualsiasi relazione numerica logica.
La tesi evidenziava come i simboli di George Boole potessero essere utilizzati come una sequenza d’interruttori "accesi" o "spenti" (on/off) e come l’aritmetica binaria (stringhe di "0" e "1") potesse essere applicata ai circuiti elettrici.
Quello che immaginava era un computer costruito con circuiti elettrici invece che con motori, attingendo all'algebra booleana che, con parole più semplici, assegna il valore di "1" alle dichiarazioni "vere" e il valore di "0" a quelle "false", applicando quindi il valore di "1" per circuito acceso, e il valore della "0" al circuito spento, facendo nascere, con questo metodo semplice e geniale, il metodo digitale.
In questo studio Shannon dimostrò infatti che il fluire di un segnale elettrico attraverso una rete di interruttori (cioè dispositivi che possono essere in uno dei due stati) segue esattamente le regole dell'algebra di Boole, se si fanno corrispondere i due valori di verità (Vero e Falso) della logica simbolica allo stato Aperto o Chiuso di un interruttore. 
Pertanto, dimostrando che un circuito digitale può essere descritto da un'espressione booleana, la quale può poi essere manipolata secondo le regole di questa algebra, Shannon definì un potente metodo, ancora oggi usato, per l'analisi e la progettazione dei sistemi digitali di elaborazione dell'informazione.

Claude Shannon ai Bell Labs davanti al calcolatore analogico.
Concepito da Bush e dai suoi studenti alla fine degli anni '20 e completato nel 1931,
 l'analizzatore differenziale era un computer analogico - Foto © MIT museum

Potremmo definire proprio questa scoperta come l'anello di congiunzione tra il mondo analogico e quello digitale, tanto che lo stesso Howard Gardner definì la tesi di Shannon "forse la più importante, e anche la più nota, tesi di master del secolo".
Shannon ha così aperto la strada al campo della teoria informatica, che affronta la questione di come quantificare le informazioni, in "bit" e "byte", dato che per esprimere le informazioni in un "bit", si utilizza una cifra binaria, un "1" o uno "0", e che queste cifre binarie possono descrivere qualsiasi cosa, dalle parole alle immagini, dalle canzoni ai video o al software di gioco più sofisticato.
Con la più elegante semplicità, Shannon aveva mostrato che tutti questi tipi di media potevano essere espressi allo stesso modo, con un concetto veramente innovativo che ha cambiato per sempre la comunicazione elettronica.
Gli anni '80 vedranno l'ascesa del personal computer ma il declino personale di Shannon, che lasciò il MIT nel 1978 e a cui, alla fine, fu diagnosticato il morbo di Alzheimer.
Shannon entrò in una casa di cura nel 1993 e anche se furono proprio i contributi di Shannon a rendere possibile Internet, per una crudele ironia della sorte, proprio quando la rivoluzione di Internet iniziò a cambiare il mondo moderno, Shannon cadde nella demenza. 
Morì nel febbraio 2001, lasciando dietro di sé un'influenza su tutto, dai telefoni cellulari al mondo cibernetico, alla TV ad alta definizione...



La cavia meccanica dei Bell Labs, il topo chiamato Teseo - © Nokia Corporation

Come ricordavo Shannon era anche un uomo pieno di hobbies ed un inventore originale che, in quella che lui chiamava la sua "stanza dei giocattoli", progettò una vasta gamma di aggeggi e diede vita, tra l'altro, a un topo meccanico (Teseo, dalla leggenda del Minotauro) che era in grado, grazie a un dispositivo magnetico, di muoversi all'interno di un labirinto modificabile e di trovare un pezzo di formaggio.
La cavia meccanica dei Bell Labs, il topo chiamato appunto Teseo, è considerata la prima macchina capace di apprendere autonomamente, il prototipo di un nuovo sistema di comunicazione in cui il labirinto è il campo dal quale trarre gli insegnamenti necessari per la propria autonomia di movimento e può essere considerato quindi uno dei primi algoritmi che "imparavano" dall’esperienza fatta, insomma un precursore dell’intelligenza artificiale.

Claude Shannon insieme alla moglie Betty Moore Shannon
la sua più stretta collaboratrice -  © Andrew e Peggy Shannon

Detto per inciso, era anche molto amato dalla mia mamma, "scientifica" giocatrice alla roulette, perché, come lei, Shannon frequentava i Casinò e infatti aveva l’abitudine di passare i weekend a Las Vegas, con la moglie Betty Moore Shannon, applicando varie teorie alla roulette o al tavolo da blackjack.
Progettò anche un computer indossabile, che utilizzò proprio per scopi di gioco d'azzardo, facendo viaggi redditizi a Las Vegas anche insieme a Edward O. Thorp, il matematico del conteggio delle carte e autore di "Beat the Dealer", una sorta di Bibbia per tutti i giocatori di blackjack.

Uno dei primi modelli della statua dedicata a Shannon 
con l'iscrizione della sua equazione - © Eugene Daub

Ma tornando alle "palle", all'inizio degli anni '80, Shannon pubblicò il primo teorema matematico formale della giocoleria, correlando la durata del tempo in cui le palline sono in aria con la durata di ciascuna pallina nella mano del giocoliere. Il suo teorema ha così dimostrato l'importanza della velocità della mano per una giocoleria di successo.
Da allora molti matematici sono stati affascinati dalla giocoleria: 
"Penso che sia una questione di dare un senso all'ordine che è negli schemi di giocoleria", ha detto Jonathan Stadler, un professore di matematica alla Capital University in Ohio, che ha iniziato a fare giocoleria da adolescente. "Ha a che fare con la comprensione di come le cose si susseguano"

I vincoli fisici che influenzano la maestria e limitano il numero di oggetti manipolati derivano ovviamente dalla gravità e ogni palla deve essere lanciata sufficientemente in alto per dare al giocoliere il tempo di affrontare le altre palle. 
Così che la necessità di velocità o l'altezza aumenta rapidamente con il numero di oggetti manipolati.
Questi vincoli temporali sulla giocoleria sono proprio riassunti dal teorema di Shannon che definisce le relazioni che devono esistere tra il tempo in cui le mani sono vuote o piene e il tempo che ogni pallina trascorre in aria.
Shannon ha presentato i suoi teoremi in un articolo che ha scritto negli anni '80 dal titolo "Scientific Aspects of Juggling" in cui fornisce le prime basi matematiche della giocoleria.

Shannon apre l'articolo con un dialogo tratto da "Lord Valentine's Castle", il romanzo di fantascienza di Robert Silverberg ambientato nel lontano pianeta di Majipoor, e, prima di passare agli aspetti matematici, sottolinea l'importanza che, nel leggere questo suo articolo, le persone "cerchino di non dimenticare la poesia, la teatralità e la musica della giocoleria".
Prosegue quindi, nell'arco di circa due pagine, viaggiando per oltre 4.000 anni e coprendo una gamma considerevole di cenni popolari e culturali della giocoleria. 
Sin dai tempi antichi, la giocoleria è stata considerata principalmente una forma di intrattenimento e il suo tour storico si apre con la prima raffigurazione conosciuta di giocoleria, che proviene dalla tomba di un principe egizio del Medio Regno (1994-1781 a.C.) in cui quattro donne lanciano tre palle ciascuna. 

Prima rappresentazione di giocoleria - Immagine da Scientific Aspects of Juggling

Da lì si parte per l'isola polinesiana di Tonga, con il marinaio-avventuriero Capitano James Cook e lo scienziato Georg Forster
L'anno era il 1774 e Forster osservò, in "A Voyage Round the World", che i tongani avevano un talento per mantenere più oggetti sospesi nell'aria in sequenza. 
Shannon cita anche l'osservazione di Forster di una ragazza che, "vivace e disinvolta in tutte le sue azioni, giocava con cinque zucche, delle dimensioni di piccole mele, perfettamente sferiche. Le lanciava in aria una dopo l'altra continuamente e non mancava mai di catturarle tutte con grande destrezza, almeno per un quarto d'ora".
Si ritorna quindi sulla terraferma e a un'altra ragazza, protagonista nel 400 a.C., al banchetto di Senofonte e Socrate, che, vedendo la giovane donna destreggiarsi tra dodici cerchi in aria, è stupito nell'osservare: 
"L'impresa di questa ragazza, signori, è solo una delle tante prove che la natura della donna non è davvero inferiore a quella dell'uomo, tranne che nella sua mancanza di giudizio e forza fisica."
Un giudizio, che non fa certo annoverare Socrate tra i femministi ante litteram e di cui Shannon, forse, ne mette in dubbio anche la capacità visiva.
La ragazza infatti, giocando con dodici cerchi, avrebbe detenuto il record mondiale per il maggior numero di oggetti manipolati contemporaneamente e su questo fatto Shannon è disposto a concedere a Senofonte e Socrate il beneficio del dubbio: 
"Chi potrebbe chiedere testimoni migliori del grande filosofo Socrate e del famoso storico Senofonte? Sicuramente potevano entrambi contare fino a dodici ed erano attenti osservatori".
Più avanti nell'articolo, Shannon rende più esplicito il caso delle giocoliere, precisamente due che ha scelto per una menzione speciale: Lottie Brunn, "la giocoliera donna più veloce del mondo" protagonista nel circuito europeo degli anni '20, e Trixie Firschke, la "first lady dei giocolieri", una star tedesca nata in una famiglia di cistercensi di Budapest.
Così, iniziando dall'antico Egitto e passando per l'ibrido del menestrello medievale di "giocoleria, magia e commedia", Shannon finisce nel mondo degli spettacoli di varietà del ventesimo secolo e dei loro protagonisti che hanno ispirato una generazione di ragazze e ragazzi, incluso il giovane Claude Shannon, a terrorizzare i loro genitori con l'intento di voler scappare per unirsi al circo.

Enrico Rastelli, giocoliere bergamasco, 
in uno dei suoi più famosi numeri di scena

Conclusa la lezione di storia, passa a un'indagine più seria: come comprendere la psiche di un giocoliere e la pratica della giocoleria?
In questa analisi Shannon considera due tipologie di giocolieri: giocolieri delle prestazioni e giocolieri tecnici, dove i tecnici si destreggiano in un gioco di numeri, una corsa al maggior numero di oggetti manipolati.  
Tra questi ha dato molto spazio a uno dei più grandi tecnici del mondo, Enrico Rastelli, in grado di tenere dieci palline in aria contemporaneamente, e di cui la rivista Vanity Fair disse a elogio: 
"Nella sua devozione ventennale al suo mestiere questo figlio d'Italia elevò la giocoleria, probabilmente per la prima volta, a ciò che era inconfondibilmente un'arte."
Rastelli e i giocolieri tecnici sono quelli che hanno maggiormente interessato Shannon  e, da allora, i matematici, dando loro la possibilità di organizzare con numeri e formule implicite la ricerca di gestire un numero sempre crescente di oggetti.  

Si arriva così alla parte strettamente matematica che Shannon introduce con un riferimento al Jazz.
Non deve sorprendere in quanto il suo amore per la giocoleria è stato superato solo dal suo amore per la musica, e quindi apre la sezione matematica con un riferimento al batterista Gene Krupa, che sosteneva che "Il ritmo incrociato del 3 contro 2 è uno dei più seducenti conosciuti." e che per Shannon era utile per un'introduzione alla matematica della giocoleria. 
Il modello tre contro due è infatti lo schema con cui la maggior parte delle persone impara per la prima volta a destreggiarsi: tre palline in due mani.

Osservando i movimenti di un giocoliere ciò che emerge è una serie di parabole prevedibili; una palla lanciata in aria produce un arco, più palle, più archi. 
Non resta che combinarli in uno schema coerente, impostato su un ritmo, ed è così che Shannon affronta il problema della giocoleria, non solo come esercizio di coordinazione, ma come formula algebrica.
 
Così si presenta l'equazione di Shannon:
(F + D) H = (V + D) N

Le variabili che Shannon usa per formare i suoi teoremi sono:
D - il tempo di sosta (tempo che una palla trascorre in una mano tra quando viene presa e quando viene lanciata)
F - il tempo di volo (tempo che una palla trascorre in aria tra quando viene lanciata e quando viene presa)
V - il tempo libero tempo una mano è vuota tra il lancio di un oggetto e la presa del successivo)
H - numero di mani coinvolte
B - numero di palline giocate

Teorema 1

In una giocoleria uniforme: (F + D) / (V + D) = B / H o (F + D) H = (V + D) N
Cioè, il numero di palline e mani è proporzionale al tempo totale per ogni circuito di palline e ogni circuito di mani. 
Questo teorema è rappresentato schematicamente per la cascata di tre sfere in figura

Immagine © Juggling
Teorema 2

Se B e H sono relativamente primi (non hanno un divisore comune), allora c'è essenzialmente un unico giocoliere uniforme. Le palline sono numerate da 0 a B-1 e le mani da 0 a H-1 in modo tale che ogni pallina passa attraverso le mani in sequenza ciclica e ogni mano prende le palline in sequenza ciclica.

Teorema 3

Se B e H non sono primi relativamente e n è il loro massimo comune divisore, allora B = np e H = nq, dove p e q sono primi tra loro. In questo caso, ci sono tanti tipi di juggle quanti sono i modi di partizionare n in una somma di interi.

Di questi tre teoremi trovate la dimostrazione in  "Scientific Aspects of Juggling" dove Shannon spiega anche come abbia intrapreso e portato a termine con successo la sperimentazione.
Shannon ha infatti condotto una serie di esperimenti per misurare i vari tempi di permanenza, i tempi di assenza e i tempi di volo coinvolti nella giocoleria effettiva e ha chiamato il sistema che ha usato "Jugglometer".

tre schemi di base: a cascata, a doccia e a fontana - Immagine © Juggling

In sostanza, la giocoleria si riduce al semplice movimento del lancio, con ogni palla che segue un arco parabolico pulito mentre viene lanciata, tranne per il fatto che ci sono più palle che seguono percorsi intrecciati in schemi ripetuti periodicamente. 
Per un singolo giocoliere, ci sono tre schemi di base: 
- la cascata, in cui un numero dispari di palline viene lanciato da una mano all'altra
- la fontana, in cui un numero pari di palline si destreggia in due colonne separate
- la doccia, in cui tutte le palline vengono lanciate in cerchio. 
Un giocoliere più esperto potrebbe lanciare più di un oggetto da una sola mano contemporaneamente, una pratica nota come multiplexing.
Il modo in cui i giocolieri coordinano i loro arti per muoversi ritmicamente e con la stessa frequenza all'interno di questi vincoli è diventato un obiettivo primario nello studio del movimento umano. 

I ricercatori hanno preso in prestito concetti dalla teoria matematica degli oscillatori accoppiati [vedere "Coupled Oscillators and Biological Synchronization", di Steven H. Strogatz e Ian Stewart da Scientific American, dicembre 1993]
Il fenomeno chiave nell'oscillazione accoppiata è la sincronizzazione: la tendenza di due arti a muoversi con la stessa frequenza. 
Il particolare tipo di coordinazione mostrato dalle mani del giocoliere dipende dallo schema di giocoleria. 
Nella cascata, ad esempio, l'incrocio delle palle tra le mani richiede che una mano prenda alla stessa velocità con cui l'altra lancia. Anche le mani si alternano: una mano prende una palla dopo che l'altra ne ha lanciata una.
Il motivo a fontana, al contrario, può essere stabilmente eseguito in due modi: lanciando (e afferrando) le palle contemporaneamente con entrambe le mani (in sincronia) o lanciando una palla con una mano e afferrandone una con l'altra allo stesso tempo ( fuori sincrono). Teoricamente, si può eseguire la fontana con frequenze diverse per le due mani, ma quella coordinazione è difficile a causa della tendenza degli arti a sincronizzarsi.
La definizione dei vincoli fisici e temporali è un aspetto dell'analisi di giocoleria e un modello realistico deve anche incorporare almeno altri tre fattori complicanti. 
In primo luogo, l'oscillazione della mano del giocoliere non è uniforme, perché la mano è riempita con una palla durante una parte della sua traiettoria e vuota durante la parte rimanente. In secondo luogo, i movimenti di entrambe le mani sono influenzati dalle esigenze fisiche di lancio e ripresa accurati. Terzo, il tempismo tra le mani si basa su una combinazione di visione, sensazione e memoria.
Questi tre fattori rendono gli schemi di giocoleria intrinsecamente variabili, in quanto due lanci e due catture non sono esattamente gli stessi, ma l'analisi di questa mutevolezza fornisce utili indizi sulla strategia generale dei giocolieri per produrre uno schema solido che minimizzi la possibilità di errore.

Le variabili associate al lancio (angolo di rilascio, velocità di rilascio, posizione dei lanci, altezza dei lanci) sono quelle più strettamente controllate: i giocolieri tentano di lanciare le palle nel modo più coerente possibile, il cui tempismo deve obbedire al teorema di Shannon. 
Data l'altezza, una misura cruciale del tasso di giocoleria è il cosiddetto rapporto di permanenza, che è definito come la frazione di tempo in cui una mano tiene una palla tra due prese (o lanci). 
In generale, se il rapporto di permanenza è grande, la probabilità di collisioni in aria sarà piccola. Questo perché la mano mantiene la palla per un tempo relativamente lungo e quindi ha l'opportunità di lanciare con precisione. Se il rapporto di permanenza è piccolo, il numero di palline nell'aria mediato nel tempo è grande, il che è favorevole per apportare correzioni.

Divertente immagine di Claude Shannon in sella a un biciclo
 o velocipede - Foto ©  famiglia Shannon

Ci sono molte possibili combinazioni di lanci, quindi come fanno i giocolieri a decidere quali produrranno uno schema valido? 
Lo fanno per mezzo di un sistema di notazione matematica chiamato "scambio di sito" che collega ogni pallina lanciata a quanto tempo rimane in aria, descrivendola in termini di "battiti". 
Ad esempio, un tiro di una battuta significa che il giocoliere passa semplicemente la palla da una mano all'altra. 
Se la palla viene lanciata in aria, l'altezza che raggiunge determina quanto tempo impiega la palla a tornare nella mano del giocoliere: due battiti, tre battiti o più...Più battiti, più alta deve essere lanciata la palla per mantenere lo schema. Grazie alla disponibilità di strumenti di animazione online, un giocoliere può vedere come apparirà un determinato schema prima di tentare il trucco nel mondo fisico.

Qui non mi dilungherò oltre, lasciando, per la curiosità del lettore, il link a un articolo in cui tutti i processi, le dimostrazioni e le sperimentazioni sono spiegate in dettaglio 

Il "diorama" di giocoleria di Claude Shannon - Foto © MIT museum

Nel 1982 Shannon costruì il suo "diorama" di giocoleria no-drop in cui il display presenta tre clown animati, che ricordano tre grandi giocolieri: il russo Sergei Ignatov"il poeta della giocoleria", l'italiano Enrico Rastelli e la rumena Virgoaga, detentori all'epoca del titolo mondiale.
I tre si destreggiano con il loro numero record di oggetti di scena: Ignatov si destreggia con 11 anelli, Rastelli con dieci palline e "Virgoaga" con sette clave. 
I pagliacci si muovono come se stessero davvero facendo i giocolieri e Shannon, in un articolo scritto al riguardo nel numero di marzo 1982 della rivista "Juggler's World", disse:
"I più grandi giocolieri di tutti i tempi non possono sostenere i loro numeri per più di pochi minuti, ma i miei piccoli pagliacci si destreggiano tutta la notte e non fanno cadere mai un oggetto!"


I pagliacci che si destreggiano nel "diorama" - Foto © MIT museum

Fino all'arrivo di Shannon sulla scena, i matematici erano stati riluttanti a usare un passatempo come fonte di dati ed esperimenti e nessuna rivista scientifica aveva esplorato la matematica della giocoleria, ma da quel momento la giocoleria detiene un fascino estetico oltre che intellettuale per il matematico. 
"Il modo in cui mi sento quando guardo una bella equazione è lo stesso che provo quando guardo un bel modello di giocoleria", ha detto Burkard Polster della Monash University australiana, che ha scritto il libro sulla matematica della giocoleria nel 2002, "The Mathematics of Juggling". 

Concludo con una nota davvero giocosa, un simpatico video di uno spettacolo del febbraio 2015 di Federico Benuzzi, giocoliere e insegnante di Fisica e Matematica, che dimostra, come diceva Galileo, che "Il buon insegnamento è per un quarto preparazione e tre quarti teatro"




Pi Day, Oscar Chisini e isoperimetri

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Ci sono almeno due ragioni perché per questo 14 marzo, giorno dedicato al pi greco, io parli di un grande matematico, Oscar Chisini.
Una ragione sta nel fatto che, come Einstein, nacque in questo giorno ma dieci anni dopo, nel 1889, l'altra è che nella sua teoria elementare degli isoperimetri il pi greco è protagonista.
Ce ne sarebbe anche una terza, legata ai miei ricordi universitari, quella dell'aula dell'allora Facoltà di Matematica (oggi Dipartimento) di via Saldini 50 a Milano, a lui dedicata.

Aula Oscar Chisini al Dipartimento di Matematica a Milano in via Saldini 50

Terzo figlio di una famiglia di origini nobili veneziane, Oscar Chisini nasce a Bergamo appunto il 14 marzo 1889.
Il padre era un militare in servizio permanente e la famiglia ne seguì le tappe della sua carriera e, dopo gli studi classici prima a Ravenna e poi a Bologna (all’epoca in Italia vi era un unico tipo di Liceo nel quale l’insegnamento del Latino e del Greco erano obbligatori), Oscar si iscrive all’Università a Bologna, prima a Ingegneria e poi passa a Matematica, dove sotto l'ala del grande Federigo Enriques si laurerà nel 1912.
Collaborando proprio col grande Federico Enriques, prima di partire volontario nella prima guerra mondiale, nel 1915, vede pubblicato il primo volume delle "Lezioni sulla teoria delle funzioni e delle equazioni algebriche", che avrà 4 volumi e diventerà nota come l’Enriques-Chisini.
I quattro volumi di questa monografia, iniziata appunto nel 1915 e terminata nel 1934 (I-1915, II-1918, III-1924, IV-1934), furono concepiti in quello che Chisini chiamava un modo peripatetico, cioè camminare sotto i portici di Bologna con Enriques che forse si fermava a scrivere sul pavimento con la punta dell'ombrello, tanto da far nascere in lui l'idea che "la geometria ti insegna come eseguire il ragionamento corretto sull'immagine sbagliata".
La sua collaborazione con il grande Enriques fu per Oscar molto importante, sia per la sua formazione scientifica che didattica, un grande alla cui morte, nel giugno del 1946, Chisini dedicò queste parole:

"Si è perduto, con la scomparsa di Federico Enriques, il matematico italiano che più si accosta ai grandi filosofi antichi per ampiezza di vedute e profondità di pensiero, si è perduto un maestro particolarmente generoso e affettuoso con i suoi allievi, un giudice acuto e imparziale, un uomo che, pur conscio del proprio valore, era modesto e, soprattutto, era buono: così la sua dipartita fu pianta da quanti veramente lo conobbero e molti ne rimasero sbigottiti, tanto che ancor ora non sanno persuadersi che tanta luce di pensiero sia spenta per sempre"  

La sua partecipazione alla guerra, come ufficiale dell'artiglieria alpina, gli fa interrompere questa sua collaborazione e rallentare la carriera, anche se, come la maggior parte dei matematici coinvolti direttamente nel conflitto, Chisini mette le proprie conoscenze a profitto nella soluzione di problemi militari e inventa e brevetta un telemetro logaritmico per la determinazione della quota degli aerei in volo mediante una proiezione bicentrale.
A guerra conclusa, conseguita la libera docenza nel 1918, ricoprì vari incarichi d'insegnamento nelle Università di Bologna e Modena e nel 1923 vinse il concorso per la cattedra di Geometria dell'Università di Cagliari, passando poi nel 1925 a quella di Algebra e Geometria analitica. 
Dopo essere passato, dal 1925, al Politecnico di Milano, nel 1929 Chisini fondò, assieme a Gian Antonio Maggi e Giulio Vivanti, l'Istituto di Matematica dell'Università degli Studi di Milano, e ne tenne la posizione di direttore dai primi anni trenta fino al 1959. 
Nel 1952 fece in modo che l'Istituto di Milano venisse dedicato alla memoria di Federigo Enriques e l'istituto di Matematica ha mantenuto tale nome anche dopo essere divenuto il Dipartimento di Matematica a partire dal 1982.
Chisini si impegnò molto nella didattica e nella divulgazione della matematica, scrivendo vari manuali universitari (in particolare "Lezioni di geometria analitica e proiettiva", di cui la prima edizione è del 1944) e testi per le scuole secondarie.
Fu uno dei principali contributori all'Enciclopedia Italiana e dal 1946 al 1967 fu direttore della rivista "Il Periodico di matematiche", organo della Società Mathesis e fu uno dei maggiori esponenti della scuola italiana di geometria algebrica.
Tra i suoi allievi, che furono anche validissimi professori negli anni in cui io frequentai la Facoltà (oggi Dipartimento) di Matematica, vanno ricordati Bruno de Finetti, Carlo Felice Manara, Modesto Dedò, Ermanno Marchionna e Cesarina Tibiletti Marchionna.
Come racconta proprio Carlo Felice Manara (Biografia, estratto dal "Periodico di Matematiche" ), Chisini univa spesso agli argomenti matematici delle sue lezioni, lunghi passaggi della Divina Commedia di Dante, dovuti alla sua dotta preparazione classica.
Uno dei suoi biografi, Eugenio Giuseppe Togliatti, evidenzia come l'attività di Oscar Chisini nelle scienze matematiche sia stata triplice: ricerca scientifica nel campo della geometria algebrica, ricostruzione originale di alto livello di teorie matematiche e coinvolgimento attivo nell'insegnamento della matematica. 
Fu proprio quest'ultimo a portarlo a riflettere sulla nozione di media, dandone infine una definizione originale nel 1929 che fu prima apprezzata e adottata dal suo allievo Bruno de Finetti e poi divenuta punto di riferimento in statistica come "media Chisini". 
Inoltre Oscar Chisini è internazionalmente conosciuto per i suoi lavori in Geometria algebrica tra cui l’introduzione del concetto di treccia caratteristica di una curva piana (Trecce di Chisini).
Sempre nell'ambito del suo lavoro di insegnante e divulgatore scrisse molti articoli e libri su vari aspetti della matematica elementare. 
Proprio sulla rivista "Il Periodico di matematiche" pubblicò importanti articolo: "Sul principio di continuità" (1956), una lezione espositiva sul principio di continuità nella geometria algebrica, a partire dalle idee di Keplero, "La superficie cubica (1957), una trattazione chiara ed originale delle principali proprietà delle superfici cubiche, presentandola come introduzione preliminare allo studio della geometria algebrica e "Isoperimetri" (1960) che contiene pensieri elementari sul problema isoperimetrico piano.
  
E così, dopo queste note biografiche, arrivo a parlare di quel secondo motivo per cui proprio in questo pi day parlo del grande matematico Oscar Chisini, vale a dire la sua teoria elementare degli isoperimetri, dove appunto pi greco è protagonista, "Sulla teoria elementare degli isoperimetri", che pubblicò in "Questioni riguardanti le Matematiche elementari" curato da F. Enriques (edited by Zanichelli, Bologna, 1914, 541-639) 

"Sulla teoria elementare degli isoperimetri"
 
Problema
Se si ha un pezzo di corda di lunghezza data, diciamo l, qual è la superficie più grande che vi può essere racchiusa?


Il problema facile da esprimere non è semplice da risolvere!
Analizziamo la disuguaglianza isoperimetrica nel piano 

Nota¹ sulla Superficie del cerchio - Immagine © Paola Gario

Ma si sa che π è più piccolo di 4, dunque l’area del cerchio è più grande dell’area del quadrato. 
L’area S del quadrato è minore dell’area del cerchio, 
S ⩽ l²/4π o anche che 4πS ⩽ l²
La disuguaglianza isoperimetrica dice che, qualunque sia la forma che la corda va a contornare, la superficie S che si ottiene verifica la disuguaglianza 4πS ⩽ l²

Immagine © Paola Gario

Il problema ha un enunciato duale, cercare il perimetro minimo che racchiude una data area, e i due problemi sono equivalenti.
Isoperimetri si diranno dunque le figure il cui contorno abbia ugual lunghezza ricordando che la parola "isoperimetri"è parola del linguaggio tecnico di origine greca (ἴσος = uguale, περί = intorno, μέτρον = misura). 

Nello spazio è la sfera che realizza il più gran volume e la disuguaglianza isoperimetrica si scrive:
36πV² ⩽ S³

Il problema ha una storia antica e viene fatto risalire al mito della fondazione di Cartagine nel 814 a.C. e alla sua regina Didone, come riporta Virgilio nell'Eneide (libro I, 365-369).

Didone fonda Cartagine - Dipinto a olio su tela (161 x 200 cm) di Giambattista Pittoni
 eseguito indicativamente nel 1720 e conservato nella collezione del Museo Nazionale
 Ermitage di San Pietroburgo, in Russia.

Collegato al problema isoperimetrico e molto simile, anche se immerso nel mito, è infatti il cosiddetto problema di Didone, legato alla fondazione di Cartagine. 
Didone fu la mitica fondatrice della città di Cartagine, della quale si hanno notizie da alcuni storici romani, anche se il resoconto più noto delle vicende che la videro protagonista è quello messo in poesia da Virgilio, che così ci racconta.
La principessa fenicia Didone (conosciuta anche come Elissa) fuggì con alcuni fedelissimi dalla città natale di Tiro dopo aver scoperto che il re Pigmalione (suo fratello) aveva assassinato suo marito Sicheo; dopo un lungo viaggio approdò sulle coste dell’Africa settentrionale (in Libia). Qui contattò il re locale Iarba per l’acquisto di un appezzamento di terra su cui costruire una nuova città ed  egli, per tutta risposta, le affidò una pelle di toro e le disse che poteva prendere tanto terreno quanto tale pelle potesse racchiuderne.

“Devenere locos ubi nunc ingentia cernis Moenia sergentemque novae Karthaginis arcem, mercatique, solum, facti de nomine Byrsam, taurino quantum possent circumdare tergo. Sed vos qui tandem? quibus aut venistis ab oris? quove tenetis iter?” 
("Giunsero ai luoghi dove ora vedi enormi mura e la nascente fortezza della nuova Cartagine e comprarono tanta terra quanto una pelle di toro potesse circondarne, per questo [il 'luogo fu chiamato'] Birsa² dal nome dell'accaduto. Ma voi chi mai siete? da quali spiagge veniste? dove volgete la rotta?")

Virgilio non descrive dettagliatamente come Didone risolse il problema della pelle di toro, tuttavia la tradizione tramanda che la principessa, senza perdersi d’animo, escogitò un astuto stratagemma per accaparrarsi un terreno quanto più vasto fosse possibile, includente la collina su cui costruire la rocca. Didone ordinò che la pelle fosse tagliata in listarelle sottili, le quali fossero legate insieme ai capi per formare una lunga corda.
Con tale corda, la principessa fece congiungere le rive dai lati opposti dell’altura, acquisendo così la proprietà della collina ed un comodo sbocco sul mare; inoltre viene specificato che Didone fece disporre la corda a forma di semicerchio in modo da racchiudere la maggior area possibile.

Ecco così spiegati l’origine ed il nome del problema di Didone:
Tra tutte le curve della stessa lunghezza aventi estremi su una retta assegnata, determinare quelle che delimitano con la retta la figura piana d’area maggiore.
e del suo “duale”:
Tra tutte le curve aventi estremi su una retta assegnata che delimitano con la retta figure piane della stessa area, determinare quelle che hanno lunghezza minore.

C’è una stretta correlazione tra il problema di Didone ed il problema isoperimetrico: infatti, se Γ è una curva che risolve il problema di Didone, allora la figura che si ottiene riflettendo rispetto alla retta assegnata quella determinata da Γ è necessariamente una soluzione di un problema isoperimetrico. Parimenti, se si taglia a metà con una retta una figura che risolve il problema isoperimetrico si ottiene una figura il cui bordo curvo è necessariamente la soluzione di un problema di Didone. 

Il matematico greco Zenodoro (ca. 200–140 a.C.)

Ma le prime congetture circa le soluzioni del problema hanno origine molto più antica e sicuramente precedente alla storia di Didone, anche se i primi risultati nella determinazione delle soluzioni sono da attribuirsi al matematico greco Zenodoro (ca. 200–140 a.C.) il quale, con ragionamenti di tipo geometrico sintetico, riuscì a dimostrare che il cerchio ha area maggiore di ogni poligono (regolare o no) avente lo stesso perimetro. 
Sebbene tale risultato fosse tutt’altro che completo, esso portò i geometri a formulare il cosiddetto teorema isoperimetrico classico:
Tra tutte le figure piane aventi lo stesso perimetro, il cerchio è quella d’area massima

Zenodoro è infatti noto come l'autore del trattato "Sulle figure isometriche", oggi perduto, ma fortunatamente, conosciamo molte delle sue intuizioni grazie al Libro V delle "Collezioni matematiche" di Pappo che riporta 14 sue proposizioni, citate anche nei "Commentari dell'Almagesto" di Teone di Alessandria. 

Le proposizioni più importanti da lui testate sono:

Di tutti i poligoni regolari di uguale perimetro, quello con l'area maggiore ha il maggior numero di angoli.

Un cerchio è più grande di qualsiasi poligono regolare di contorno uguale.

Di tutti i poligoni dello stesso numero di lati e perimetro uguale, quello equilatero ed equiangolare è l'area maggiore.

Di tutte le figure solide le cui superfici sono uguali, la sfera è la più grande nel contenuto solido.

Oscar Chisini dà un’esposizione profonda del problema prima nel piano, poi nello spazio, partendo  dagli antichi. 
Esamina i problemi isoperimetrici di Pappo e tratta una prima dimostrazione del teorema che si attribuisce a Zenodoro.  
Poi passa ai contributi moderni alla teoria elementare, evidenziando i nodi critici del passaggio rettilineo/curvilineo.
Esamina gli importanti contributi di Gabriel Cramer e di Jakob Steiner e, soffermandosi sul suo "metodo di simmetrizzazione" e sulle sue criticità, analizza il metodo della "dilatazione parallela" di Hermann Minkowski.

Le dimostrazioni classiche, comprese quelle di Steiner, hanno però una lacuna a cui gli sviluppi moderni dell’analisi superiore hanno dato soluzione. 
Esse ammettono l’esistenza di una figura di area massima tra quelle di dato perimetro (di un n-gono di area massima, piuttosto che di una curva di area massima). 
Le dimostrazioni classiche, secondo Chisini, possono essere "interpretate come procedimenti di trasformazioni che conducono a serie illimitate di figure convergenti verso una figura limite"
"Con ciò la teoria stessa potrebbe ritenersi esaurita; ma si affaccia naturale la domanda se gli stessi teoremi non possano rendersi indipendenti dall’esistenza del massimo [… ]. Ho potuto rispondere a questa domanda limitandomi all’uso di procedimenti affatto elementari ed euclidei, e presento quindi i risultati così ottenuti come a coronamento dell’edificio".



Non mi dilungo nella spiegazione ma lascio il link a un'esauriente trattazione dello stesso Oscar Chisini per l'Enciclopedia Italiana (1933) riportata da Treccanitratta dal suo capitolo "Sulla teoria elementare degli isoperimetri",  in "Questioni riguardanti le matematiche elementari" di F. Enriques (parte 3ª, Bologna 1927, pagine 201-310).



Note

¹ La superficie del cerchio, come noto, equivale a πr² ed essedo r=l/2π si ha:
Sup = π(l/2π)²= πl²/4π²= l²/4π 
² La zona ricevette il nome di Birsa (che in greco significa 'pelle' o 'cuoio' ), dal sostantivo 'pelle' (per l'appunto 'byrsa'), che era, se così si può dire, il nome del fatto, ossia il termine centrale che indicava cosa era accaduto. 



 

Animali matematici

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"Animali"è il tema proposto da Paolo Alessandrini per il Carnevale della Matematica #150 di maggio ed io mi sono ricordata di un curioso e interessante articolo, letto circa un anno fa, proprio dedicato alla matematica degli animali.
Scritto molto bene da Erik Nelson, un dottorando in filosofia presso la Dalhousie University che si concentra sulla filosofia della cognizione animale, e correlato da un simpatico video, mi ha dato lo spunto per rispondere al tema, con questa libera traduzione intercalata da mie considerazioni e alcune note.

I pappagalli grigi africani sono molto chiacchieroni 

Si pensa che gli esseri umani siano diversi dagli altri animali in modo fondamentale tanto da renderci unici, o anche più avanzati di altre specie. 
Spesso però queste affermazioni di superiorità umana sono utilizzate per giustificare il modo in cui trattiamo gli animali, in casa, in laboratorio o nell'allevamento industriale.

Allora cos'è che ci rende così diversi dagli altri animali? 
Molti filosofi, passati e presenti, hanno indicato che siano le nostre capacità linguistiche. 
Questi filosofi sostengono infatti che il linguaggio non solo ci permette di comunicare tra di noi, ma rende anche le nostre vite mentali più sofisticate di quelle che mancano di linguaggio. Alcuni filosofi sono arrivati ​​al punto di sostenere che le creature prive di linguaggio non sono in grado di essere razionali, fare inferenze, afferrare concetti o persino avere credenze o pensieri.

Illustrazione di uno scimpanzé imbronciato dal libro di Charles Darwin del 1872,
 "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali". (Collezione Wellcome)

Anche se siamo disposti ad accettare queste affermazioni, cosa dovremmo pensare degli animali che sono in grado di parlare? 
Molti tipi di uccelli , per esempio i pappagalli, sono in grado di emettere suoni di tipo linguistico, e ai gorilla e agli scimpanzé è stato insegnato a comunicare usando il linguaggio dei segni. 

Queste vocalizzazioni o comunicazioni indicano davvero che, come gli esseri umani, anche questi animali sono capaci di sofisticati processi mentali?
Gli studiosi hanno generalmente risposto a questa domanda negando che i pappagalli parlanti e i gorilla che comunicano con segni dimostrino qualcosa di più di una mimica intelligente. 
Robert Brandom , illustre Professore di Filosofia dell'Università di Pittsburgh, ha affermato che se un pappagallo dice "rosso" quando gli si mostrano oggetti rossi e "blu" quando gli si presentano oggetti blu, non ha effettivamente dimostrato di comprendere il significato di quelle parole, perché, secondo Brandom e molti altri studiosi, comprendere il significato di una parola richiede di comprendere sia il significato di quella parola sia le connessioni che esistono tra quella e altre parole.
Quindi, se un pappagallo è in grado di dirci il colore di oggetti diversi, ciò non significa necessariamente che il pappagallo capisca il significato di quelle parole. Per fare ciò, un pappagallo dovrebbe dimostrare di comprendere anche che il rosso e il blu rientrano nella categoria del colore, o che se qualcosa è totalmente rosso non può, allo stesso tempo, essere completamente blu.

Pappagallo grigio il più usato per esperimenti di tipo matematico

Ma quale tipo di comportamento dimostrerebbe che un pappagallo o uno scimpanzé hanno capito le parole che stanno usando? 
Erik Nelson, come filosofo che si concentra sullo studio della cognizione animale, per rispondere a questo tipo di domanda, esamina il lavoro sia empirico che teorico.
In una recente ricerca, sostiene che testare le capacità aritmetiche di un animale può fornire informazioni su quanto siano in grado di capire. 
Per capirne il perché, dobbiamo però fare una breve deviazione attraverso la filosofia della matematica.

Il matematico e filosofo tedesco Gottlob Frege

Alla fine del 1800, il matematico e filosofo tedesco Gottlob Frege (Wismar, 8 novembre 1848 – Bad Kleinen, 26 luglio 1925), considerato quasi unanimemente dalla critica odierna uno dei più grandi logici dopo Aristotele ed il padre del pensiero formale del Novecento, cercò di dimostrare che l'aritmetica è una scienza logica oggettiva. 
Molti filosofi e matematici all'epoca pensavano che l'aritmetica fosse semplicemente un artefatto della psicologia umana e Frege temeva che una tale comprensione avrebbe reso l'aritmetica del tutto soggettiva, ponendola su un terreno non più solido delle ultime tendenze della moda.


Il frontespizio del "Die Grundlagen der Arithmetik" 
di Gottlob Frege, pubblicato nel 1884.

In "Die Grundlagen der Arithmetik", Frege inizia analizzando logicamente che tipo di entità siano i numeri e ritiene che la chiave di questa indagine sia capire cosa serve per rispondere alla domanda "quanti?".
Se ti passo un mazzo di carte e chiedo: "Quante?" senza specificare cosa voglio contare, sarebbe difficile anche solo capire che tipo di risposta sto cercando. 
Ti sto chiedendo quanti mazzi di carte, quante carte, quanti semi o qualsiasi altro numero di modi per dividere il mazzo? 
Se chiedo: "Quanti semi?" e rispondi “quattro”, stai dimostrando non solo che sai contare, ma che capisci cosa sono i semi.

Frege pensava che l'applicazione delle etichette numeriche dipendesse dalla capacità di cogliere la connessione tra ciò che viene contato e quanti ce ne sono. 
Risposta "quattro" alla domanda "Quanti?" potrebbe sembrare un atto disconnesso, come i pappagalli che chiamano semplicemente "rossi" gli oggetti rossi. Quindi, se gli animali sono in grado di rispondere correttamente in modo affidabile alla domanda "Quanti?" questo dimostrerebbe che capiscono la connessione tra la quantità numerica e gli oggetti di cui vengono interrogati.

Immagine dal Video di Irene Pepperberg

Un esempio di animali che dimostrano una vasta gamma di capacità aritmetiche è dato dal lavoro che Irene Pepperberg ha fatto con i pappagalli grigi africani, i più famosi suoi soggetti Alex e Griffin.
Alex, un pappagallo africano grigio, è stato in grado di dimostrare grande abilità con i numeri e ha cambiato il modo in cui pensiamo ai cervelli degli uccelli.
Nel 1977, la dottoressa Irene Pepperberg e Alex, il suo primo soggetto di ricerca sui pappagalli grigi, iniziarono una ricerca fondamentale sulle capacità cognitive dei pappagalli, fornendo una nuova visione dell'intelligenza non umana. 
Attraverso i suoi metodi pionieristici, Alex ha imparato a utilizzare con precisione oltre cento etichette per descrivere oggetti, forme, colori e materiali, ha fatto semplici calcoli e ha compreso i concetti di "nessuno", "uguale / diverso", "più grande/più piccolo". 
Per testare le capacità aritmetiche di Alex, Pepperberg gli mostrava una serie di oggetti su un vassoio e gli chiedeva: "Quanti?" per ciascuno degli oggetti. Ad esempio, gli mostrava un vassoio con oggetti di forma diversa e gli chiedeva: "Quanti quattro angoli?" (La parola di Alex per i quadrati.) e Alex è stato in grado di fornire la risposta in modo affidabile per importi fino a sei.
Alex è stato anche in grado di fornire il nome dell'oggetto se gli è stato chiesto di cercare un certo numero di quegli oggetti. 
Ad esempio, se un vassoio conteneva diverse quantità di oggetti colorati, inclusi cinque oggetti rossi, e ad Alex veniva chiesto: "Di che colore è cinque?" Alex è stata in grado di rispondere correttamente dicendo "rosso".
Le indagini di Pepperberg sulla capacità di apprendere e comprendere l'aritmetica di base forniscono esempi che dimostrano che Alex era in grado di fare di più che imitare semplicemente i suoni umani. 
Fornire la risposta giusta quando gli veniva chiesto "Quanti?" implicava che fosse in grado di capire le connessioni tra la quantità numerica e gli oggetti su cui veniva interrogato.

Uno scimpanzé alle prese con questioni numeriche

Sebbene i risultati di Pepperberg siano impressionanti, sono tutt'altro che unici e le capacità numeriche sono state identificate in molte specie diverse, in particolare gli scimpanzé. 
Le scimmie sono matematiche, anche se imprecise! 
La ricerca comparativa ha verificato che le scimmie utilizzano informazioni quantitative e numeriche, come dimostrato in un articolo "Abilità matematiche della scimmia" di Michael J. Beran, Bonnie M. Perdue e Theodore A. Evans in cui si delineano molti di questi risultati. 
L'articolo inizia con una sintesi storica del lavoro con i primati nella valutazione del ruolo che il numero gioca nella vita di questi animali e si concentra quindi sulla questione se i primati possono contare e possono usare i simboli per rappresentare le informazioni numeriche. 
Anche se le prove per il conteggio sono limitate, pare chiaro che possono esprimere giudizi di grandezze ordinate e possono imparare ad associare simboli con varie quantità e numeri di elementi.

Immagine di un cane a cui vengono riempite ciotole con più o meno cibo 

Alcune di queste capacità dimostrano che gli animali comprendono le connessioni sottostanti tra diverse parole ed etichette e che stanno quindi facendo qualcosa di più che imitare i suoni e le azioni degli umani che li circondano.
Gli animali che possono fare operazioni aritmetiche di base ci mostrano che alcuni sono davvero in grado di comprendere i termini che usano e le connessioni tra di loro. 
Diversi studi hanno suggerito che dozzine di specie animali sono in grado di elaborare informazioni numeriche. 
Animali diversi come mammiferi, uccelli, anfibi, pesci e persino alcuni invertebrati sono stati studiati con successo attraverso una formazione approfondita e l'osservazione del comportamento spontaneo, fornendo la prova che le capacità numeriche non sono limitate ai primati. 
Lo studio delle specie non primate rappresenta uno strumento utile per ampliare la nostra comprensione dell'unicità delle nostre capacità cognitive, in particolare per quanto riguarda le radici evolutive della mente matematica.
I test sui cani, ad esempio, hanno dimostrato che hanno una conoscenza di base della cardinalità: il numero di cose in offerta. 
Se viene mostrata una pila di leccornie e poi viene mostrata di nuovo la pila dopo che è stata nascosta e il numero di leccornie è leggermente cambiato, reagiranno in modo diverso rispetto al fatto che non ci fosse stato alcun cambiamento.

Tuttavia, è ancora una questione aperta se la loro comprensione di queste connessioni sia il risultato dell'apprendimento di espressioni linguistiche o se le loro espressioni linguistiche aiutino semplicemente a dimostrare le capacità sottostanti.

Il cavallo Clever Hans

Vorrei ricordare, come curiosità finale, quella del cavallo di nome Clever Hans  divenuto famoso all'inizio del '900, entusiasmando il pubblico con le sue capacità di conteggio. 
Il suo allenatore poneva un problema e il cavallo batteva la risposta. 
Alla fine, però, si è scoperto che Hans non poteva davvero aggiungere o sottrarre, ma stava invece rispondendo a segnali sottili e involontari del suo allenatore, che si sarebbe visibilmente rilassato quando il cavallo avesse raggiunto il numero corretto. 



Fonti

Libera traduzione, alcune immagini e video tratti da "Animals that can do math understand more language than we think"
https://theconversation.com/animals-that-can-do-math-understand-more-language-than-we-think-133736 



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