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Riforme della scuola.....quali saranno le pentalegate?

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Prima di esprimere opinioni sulle posizioni riguardo a scuola, istruzione, università e ricerca, dichiarate nel "contratto" dal nuovo governo, a guida Giuseppe Conte, del Movimento 5* e Lega, faccio una, per quanto possibile sintetica, carrellata¹ sulle modalità e sulle riforme dell'istruzione in Italia partendo dal Medioevo fino alla "Buona Scuola".




Nel medioevo, l'istruzione e la scolarizzazione in Italia erano forniti interamente dalla Chiesa, e non è documentata l'esistenza di scuole laiche. 
In maniera sintetica, si può dire che vi erano solo tre tipi di scuole (religiose):
- scuole parrocchiali, che fornivano un'alfabetizzazione di base,
- scuole vescovili,
- scuole cenobiali dell'ordine benedettino.

La situazione della scuola inizia a cambiare nel XII secolo e si trasforma profondamente nel corso del secolo successivo. 
Nell'ambito delle scuole religiose, mentre le scuole parrocchiali tendono a sparire, per l'insegnamento superiore i benedettini vengono affiancati da altri ordini, come i domenicani, che istituiscono anch'essi scuole. Inoltre anche lo Stato diventa sensibile a questo fenomeno e si assiste ad uno sviluppo abbastanza rapido di scuole laiche a tre diversi livelli, grosso modo corrispondenti alle attuali scuole:
primaria, secondaria e universitaria.
L'insegnamento elementare laico si sviluppa grazie al moltiplicarsi di scuole sia private che comunali. 
Le università, che nell'età medievale iniziarono a formarsi nei primi decenni del XII secolo per continuare nel XIII secolo (tranne quella di Bologna fondata nel 1088), furono 
l'evoluzione di un modello di insegnamento impartito soprattutto nelle scuole delle chiese cattedrali e dei monasteri.

Nel corso del XIII secolo si svilupparono anche scuole laiche secondarie, rivolte ad alunni già alfabetizzati. Esse erano per lo più di due tipi:
- scuole d'abaco, nelle quali si apprendevano le tecniche di calcolo con le cifre arabe e i metodi della matematica mercantile. 
Si trattava di scuole che, nate in Italia, costituirono una tradizione della nostra cultura.
- scuole di grammatica, il cui programma d'insegnamento era basato sullo studio della lingua latina e la lettura di autori classici e soprattutto medievali.
Alla fine del XIII secolo le scuole religiose, pur rimanendo essenziali per la preparazione del clero, persero ogni importanza per l'istruzione dei laici: riacquisteranno un ruolo importante in questo settore solo all'epoca della Controriforma.




In epoca rinascimentale il sistema scolastico delle città italiane rimase fondamentalmente quello che si era delineato nel corso del '200, basato su scuole ecclesiastiche per la formazione del clero e scuole laiche, private e comunali, per i laici, che dopo un primo livello elementare si differenziavano in scuole d'abaco e scuole di grammatica. Il numero di scuole aumentò però notevolmente.
Tra il 1480 a Firenze e il 1587 a Venezia si stimava un livello di alfabetizzazione (per i maschi ovviamente) che andava da un 28% a un 33%.

Grande importanza nella storia delle istituzioni scolastiche ebbero le scuole istituite, nell'ambito della Riforma cattolica, dai gesuiti e successivamente da altri ordini religiosi. Il primo collegio dei gesuiti fu inaugurato a Messina nel 1548: nel 1600 i collegi aperti in Italia erano 49 ed erano diventati 111 alla fine del Seicento.
Altri ordini religiosi si occuparono dell'istruzione in volgare dei ragazzi dei ceti popolari e nel Seicento, grazie anche al contributo di altri ordini, come gli scolopi, i barnabiti e i somaschi, l'offerta di istruzione si era notevolmente accresciuta e i religiosi avevano riassunto un ruolo predominante nella scuola italiana, che fu incontrastato almeno fino alla seconda metà del Settecento.




Ma è nel Settecento che iniziò l'istituzione di scuole pubbliche promosse e controllate dallo Stato (e non dai comuni, come era accaduto già dal Medioevo).
E il primo Stato italiano che inaugurò la nuova politica scolastica nella penisola fu il Regno di Sardegna: una serie di riforme attuate da Vittorio Amedeo II di Savoia dal 1717 al 1727 istituirono scuole laiche statali di vario grado e un apposito "Magistrato" incaricato di vigilare contro la possibile ingerenza di ordini religiosi nella materia.
Nel Regno di Napoli la gestione delle scuole ricadeva in buona parte sugli istituti religiosi, ma lo Stato borbonico iniziò ad istituire un'istruzione pubblica. Furono Carlo III Ferdinando IV di Borbone ad organizzare la prima istruzione scolastica pubblica nei Regni di Napoli e di Sicilia.
Già nel 1766, poco prima dell'espulsione dei gesuiti, un piano di riforma che prevedeva l'istituzione di scuole pubbliche gratuite anche per i figli dei contadini fu preparato da Antonio Genovesi, su richiesta del ministro Tanucci parzialmente attuato.
Con la Rivoluzione francese (1789) si afferma una nuova concezione della scuola e l'istruzione primaria vi è concepita come pubblica, obbligatoria, gratuita e (per la prima volta) tutti i cittadini, sia maschi che femmine, devono accedervi.
Nelle repubbliche giacobine italiane e poi nel Regno d'Italia e nel Regno di Napoli del periodo napoleonico la scuola cercò di modellarsi su quella francese.



Nella prima metà dell'Ottocento, sotto l'ondata della Restaurazione, anche in Italia le innovazioni scolastiche vennero in parte abbandonate o comunque rallentate.
Arriviamo così alla scuola del regno d'Italia e alla legge Casati  che, promulgata nel 1859 per dare un assetto globale, dalla primaria all'università, all'istruzione pubblica in Piemonte e Lombardia, fu gradualmente estesa alle altre regioni col procedere del processo unitario.
La legge Casati esprimeva la cultura politica dei liberali piemontesi alla vigilia dell'unificazione politico-militare della penisola. 
Essa istituiva una scuola elementare articolata su due bienni, il primo dei quali obbligatorio. Dopo la scuola elementare il sistema si divideva in due: ginnasio (a pagamento) e le scuole tecniche. 
Nonostante le “scuole tecniche” permettessero il proseguimento degli studi alla scuola superiore e in alcuni casi all'università, il sistema risultava comunque classista, dato il fenomeno dell'auto-esclusione, che portava alla rinuncia agli studi i figli delle famiglie meno agiate.
Di fatto al censimento del 1871 si attestò un notevole peggioramento dell'analfabetismo rispetto alla situazione pre-unitaria.
Importante la legge Coppino del 1877 che fu uno dei punti qualificanti del programma e della politica della Sinistra storica. 
Essa porta la durata delle elementari a 5 anni, e introduce l'obbligo scolastico nel primo triennio delle elementari stesse e definisce le sanzioni per i genitori degli studenti che non adempiono a tale obbligo.
Si iniziarono a vedere gli effetti positivi, se pur limitati, del sistema scolastico con una significativa riduzione dell'analfabetismo grazie alla  legge Orlando del 1904, che prolungò l'obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età e alla successiva legge Daneo-Credaro del 1911, durante il ministero Giolitti, che rese la scuola elementare, fino ad allora gestita dai comuni, un servizio statale.




Ma un nuovo e concreto assetto dell'Istruzione pubblica lo darà nel 1923 la riforma Gentile del 1923, durante il primo governo Mussolini (1922-1924) con il filosofo Giovanni Gentile Ministro della Pubblica Istruzione. 
Purtroppo fu una riforma che penalizzò in maniera pesante e definitiva la formazione scientifica nella scuola italiana, al quale si opposero fermamente, ma senza successo, matematici e studiosi dell'epoca tra cui il grande matematico Federigo Enriques, e quello di aver ridotto ad un ruolo del tutto marginale l’insegnamento della scienza contribuì alla scissione tra le due culture scientifica ed umanistica che permarrà per diverso tempo e che forse ancora permane.
Introdusse l'esame di stato a conclusione del ciclo liceale consentendo l’accesso agli studi universitari solo agli studenti liceali, confermando la natura classista del sistema scolastico.
La riforma Gentile portava comunque l'obbligo dello studio a 14 anni di età e le scuole medie acquisivano un sistema a "doppio canale": da un lato un canale che consentiva, o meglio impegnava il giovane al proseguimento degli studi alle scuole superiori per ottenere un titolo di studi valido (per accedere a questo canale lo studente doveva superare uno specifico esame di cultura generale - esame di 5a elementare), dall'altro un canale (scuole di Avviamento al lavoro) che immetteva direttamente lo studente, al termine dei tre anni, nel mondo del lavoro senza consentire un proseguimento degli studi.




Questo fino al 1962-63, quando, dopo lunghe trattative tra DC e PSI, fu avviata la riforma dell'unificazione della scuola media  Media Unica, dove il Latino resta, ma è del tutto facoltativo.
Da questo momento non ci saranno riforme di rassetto degli ordini scolastici di rilievo se si escludono la liberalizzazione degli accessi all'università e le modifiche dell'esame di maturità del 1969, sotto la spinta di una rilevante stagione di movimenti studenteschi.



Dimostrazioni giovanili anni '90 contro l'autonomia scolastica proposta dalla riforma Berlinguer

Nel 1996 le elezioni politiche vengono vinte dalla coalizione dell'Ulivo e a capo del dicastero della Pubblica Istruzione viene posto l'ex rettore dell'Università di Siena Luigi Berlinguer, il quale si propone importanti obiettivi: 
- l'innalzamento dell'obbligo scolastico
- la riforma dell'esame di maturità
- l'autonomia scolastica 
- il riordino dei cicli.
In particolare però la "Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell'Istruzione" (legge n.30 del 10 febbraio 2000) non entrerà mai in vigore in quanto venne abrogata dalla cosiddetta riforma Moratti (legge n.53 del 28 marzo 2003), tutt'oggi in vigore, anche se i suoi decreti attuativi sono stati modificati dalla riforma Gelmini.
Vennero però attivate alcune riforme come quella dell'esame di maturità e dei corsi di studio universitari, con l'introduzione del "sistema del 3+2" ovvero della creazione della laurea triennale e della laurea specialistica.


"Buona Scuola" (legge n.107 del 13 luglio 2015 Governo Renzi)

Arriviamo così alla "Buona Scuola" (legge n.107 del 13 luglio 2015),  di iniziativa del governo Renzi che ha introdotto una nuova riforma della scuola in Italia, aumentando i poteri del dirigente scolastico, introducendo un sistema di valutazione del personale docente, la possibilità per gli studenti di personalizzare parzialmente il piano di studi se previsto dalla scuola che frequentano e l'obbligo della alternanza delle attività di scuola e lavoro anche per gli istituti non tecnici.
Con il Ministro Fedeli, che ha preso il posto del precedente Ministro Giannini sono entrati in vigore a partire dal 31 maggio 2017 i decreti delegati che, dalle parole del Ministro, prosegue il cammino avviato nei primi due anni di attuazione della legge Buona Scuola che ha gettato le basi per un cambiamento culturale importante: la scuola vista come comunità aperta, innovativa, inclusiva in cui ragazze e ragazzi diventano cittadini attivi, accorti, protagonisti, capaci di contribuire alla crescita e alla competitività del paese, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e nella piena attuazione dell’articolo 3 della nostra Costituzione”.

Questo in veloce sintesi il cammino delle riforme scolastiche che ha attuato alcuni cambiamenti di tipo amministrativo ma che sostanzialmente non ha portato molti cambiamenti nella didattica.
Una didattica che resta sempre molto slegata e che invece dovrebbe essere attuata attraverso una metodologia e un approccio culturale, che abbracci competenze di più discipline di studio e di più settori scientifici. 
Processo di integrazione di competenze, spesso indispensabile per affrontare in modo completo ed efficace la frammentazioni dei saperi connessa all'organizzazione della scuola secondaria, l'interdisciplinarità dovrebbe essere un obiettivo costante in tutte le moderne teorie didattiche.


Passaggio di consegne fra la Ministra uscente Valeria Fedeli e il neo Ministro Marco Bussetti

Il 1° giugno 2018 si è insediato il nuovo Governo guidato dal Primo Ministro Giuseppe Conte, formato da una coalizione Movimento 5* /Lega, nel "contratto" sottoscritto dai due rappresentanti Luigi Di Maio e Matteo Salvini.....qualcosa cambierà? 

Così si legge alla voce Scuola:
"......La nostra scuola dovrà essere in grado di fornire gli strumenti adeguati per affrontare il futuro con fiducia. Per far ciò occorre ripartire innanzitutto dai nostri docenti [......]
intervenendo sul fenomeno delle cd. “classi pollaio”, dell’edilizia scolastica, delle graduatorie e titoli per l’insegnamento. Particolare attenzione dovrà essere posta alla
questione dei diplomati magistrali e, in generale, al problema del precariato nella scuola dell’infanzia e nella primaria. [.....]L’eccessiva precarizzazione e la continua frustrazione delle aspettative dei nostri insegnanti rappresentano punti fondamentali da affrontare per un reale rilancio della nostra scuola.[....] Saranno introdotti nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all’origine il problema dei trasferimenti (ormai a livelli record), che non consentono un’adeguata continuità didattica.
[.......] strumenti efficaci che assicurino e garantiscano l’inclusione per tutti gli alunni, con maggiore attenzione a coloro che presentano disabilità più o meno gravi, ai quali va garantito lo stesso insegnante per l’intero ciclo. Una scuola inclusiva è, inoltre, una scuola in grado di limitare la dispersione scolastica che in alcune regioni raggiunge percentuali non più accettabili. A tutti gli studenti deve essere consentito l’accesso agli studi, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini.
[....] Intendiamo garantire la presenza all’interno delle nostre scuole di docenti preparati ai processi educativi e formativi specifici, assicurando loro la possibilità di implementare adeguate competenze nella gestione degli alunni con disabilità e difficoltà di apprendimento.
La c.d. “Buona Scuola” ha ampliato in maniera considerevole le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro.[....] no strumento così delicato che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso."

Per quel che riguarda la voce "Università e ricerca" si legge:
"[....]È prioritario incrementare le risorse destinate all’università e agli Enti di Ricerca e ridefinire i criteri di finanziamento delle stesse.
Il sistema universitario e il mondo della ricerca dovranno essere maggiormente coinvolti nello sviluppo culturale, scientifico e tecnologico del nostro paese, contribuendo ad indicare gli obiettivi da raggiungere e interagendo maggiormente con tutto il sistema Paese. Sarà dunque fondamentale implementare la terza missione delle università attraverso la loro interazione con gli altri centri di ricerca e con la società.
Attraverso una costante sinergia con la Banca per gli investimenti saremo in grado di assicurare maggiori fondi per incrementare il nostro livello di innovazione, rendendoli efficaci ed eliminando gli sprechi. Intendiamo incentivare, inoltre, lo strumento delle partnership pubblico-private, che consentiranno, di fatto, un maggior apporto di risorse in favore della ricerca. [.....] Occorrerà riformare il sistema dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), nell’ottica di potenziare un settore storicamente e culturalmente importantissimo per l’Italia. 
È necessario avere una classe docente all’altezza delle aspettative, eticamente ineccepibile. Occorre riformare il sistema di reclutamento per renderlo meritocratico, trasparente e corrispondente alle reali esigenze scientifico-didattiche degli atenei, garantendo il regolare turn-over dei docenti.
Occorre incentivare l’introduzione di nuove norme per garantire al maggior numero possibile di studenti l’accesso ai gradi più alti degli studi. Tra questi figurano la necessità di ampliare gli strumenti e le risorse per il diritto allo studio, incrementando così la percentuale di laureati nel nostro Paese, oggi tra le più basse d’Europa, e la revisione del sistema di accesso ai corsi a numero programmato, attraverso l’adozione di un modello che assicuri procedure idonee a verificare le effettive attitudini degli studenti e la possibilità di una corretta valutazione.
Amplieremo la platea di studenti beneficiari dell'esenzione totale dal pagamento delle tasse di iscrizione all’università, la cd. “No-Tax area”. Fondamentale sarà l’implementazione dell’Alta formazione tecnologico-professionale. Occorrerà armonizzare il sistema delle lauree professionalizzanti e degli ITS (Istituti Tecnici Superiori) al fine di aumentare il numero di studenti in questi percorsi di formazione terziaria.
Un intervento importante dovrà riguardare l'innovazione didattica ed in particolare quella digitale. Sarà incentivata l'offerta formativa on line e telematica delle università statali attraverso finanziamenti finalizzati, nonché meglio regolamentata l'offerta formativa delle università telematiche private.
Tra coloro che maggiormente hanno sofferto l’attuale condizione di difficoltà del sistema italiano troviamo il personale delle nostre università e dei nostri enti di ricerca. 
[.....] Pertanto è necessario incrementare significativamente le risorse finanziarie per valorizzare i nostri docenti e ricercatori, assicurando adeguate condizioni lavorative e superando la precarietà che in questi anni ha coinvolto in misura sempre maggiore anche il mondo universitario e della ricerca.
Intendiamo intervenire con strumenti che liberino quelle università in cui è ancora forte la presenza di “baronati” che sfruttano in maniera illegittima le risorse e il personale. Per un reale rilancio dei nostri atenei occorre, infatti, garantire la presenza di sistemi realmente meritocratici ed aperti a tutti coloro che intendano proseguire nella carriera accademica,
senza il timore di veder limitate le proprie aspettative da coloro che utilizzano in maniera indebita il proprio potere. 
Occorre inserire un sistema di verifica vincolante sullo svolgimento effettivo, da parte del docente, dei compiti di didattica, ricerca e tutoraggio agli studenti.
[.....]una particolare attenzione, anche del mondo dell’università e della ricerca, sia per la definizione di modelli di sviluppo ad hoc che per la messa a punto di interventi di formazione, disseminazione della conoscenza, innovativi e tecnologici, propedeutici alla creazione di valore dalle risorse specifiche. Verranno perciò promosse, valorizzate e potenziate esperienze e attività di formazione e ricerca in tal senso.
Non è più procrastinabile la semplificazione della legislazione universitaria attraverso la redazione di un testo unico.
Occorrerà apportare dei correttivi alla governance del sistema universitario e all’interno degli stessi atenei, ridisegnando il ruolo dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) per renderlo uno strumento per il governo (e non di governo), e individuando puntualmente i soggetti che potrebbero contribuire nei
processi decisionali, a cominciare dal CUN, organo elettivo di rappresentanza del mondo universitario.
Gli Enti pubblici di Ricerca italiani (EPR) svolgono oggi attività essenziali per lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione del nostro Paese.
Il modello italiano prevede un sistema estremamente frammentato, scarso coordinamento fra gli enti e un carente coinvolgimento sulle questioni di assoluta rilevanza strategica in materia di politiche per lo sviluppo del Paese. 
Per coordinare e raccordare strutturalmente gli Enti e Centri di ricerca sarà creata un’Agenzia Nazionale della Ricerca."

Belle parole condivisibili, ma solo belle parole, dichiarazioni di intenti più che progetti operativi, nessun cenno alle modalità di intervento o alle risorse finanziarie per applicare eventuali riforme e adeguamenti di strutture scolastiche, docenti, enti o centri di ricerca. 
Solo una eventuale traduzione in chiave specificatamente normativa potrà evidenziare appieno l’impatto che queste dichiarazioni avranno sul sistema scolastico nel suo complesso e si potrà valutare l'effettiva distanza che il nuovo esecutivo intende porre rispetto alle riforme finora avviate dalla "Buona Scuola".



Note
¹ Notizie estratte da Wikipedia





Autostrade....matematica e pedaggi

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E' tempo di vacanze, è tempo di autostrade!
Si ma cosa c'entra la matematica con le autostrade?
La matematica che coinvolge questo post è molto semplice e di facile interpretazione .....quello che invece non è assolutamente semplice e anzi è molto, troppo, contorto è il metodo di gestione delle nostre autostrade che, anche per un laureato in discipline matematico/economico/scientifiche, non risulta certo di facile applicazione.
Matematicamente parlando il calcolo per determinare il pedaggio parrebbe davvero elementare, una semplicissima moltiplicazione: 
numero dei km x costo a km = pedaggio
ma la realtà invece non è assolutamente così elementare!


Inaugurazione della Milano-Varese, 21 settembre 1924 - da Wikipedia 
Il 21 settembre del 1924 Vittorio Emanuele III, Re d'Italia, accompagnato dal quarantenne ingegner 
Piero Puricelli, giunge su una Lancia Trikappa 8 cilindri 4600 cc. al cantiere di Lainate 
per l'inaugurazione dei primi tre tratti, della Milano - Varese, quasi 50 km di quella che diverrà 
l'autostrada dei Laghi (attuali A8 e A9), prima autostrada realizzata in Italia. 

Ma veniamo al punto!
Giorni fa mi sono trovata sul tratto autostradale che collega Aosta al Monte Bianco e, facendo due conti, mi sono accorta dell'enorme differenza di pedaggio per questo tratto ......e mi sono chiesta "perché ciò?" 
La rete autostradale italiana, circa 6.500 km , tra cui sono compresi tratti statali e tratti privati è gestita da molte società diverse che applicano quindi anche tariffe molto dissimili.
Vi sono infatti autostrade gestite da società concessionarie e autostrade gestite dallo Stato attraverso l'ANAS con il compito, tra le altre cose (rifacimento e manutenzione manto stradale, viadotti, tunnels, aree di sosta, segnaletica etc etc...), di riscuotere i pedaggi.
Tra questi gestori spicca autostrade//per l'italia (non so poi perché Italia è scritto in minuscolo???), che è il maggior investitore privato del Paese e che conta ben 3020 km di autostrade gestite da sei Società Concessionarie collegate (Autostrade per l'Italia, S.A.M. (gestione transitoria), Traforo Monte Bianco (GEIE), R.A.V., Tangenziale di Napoli, S.A.T.) e al cui sito si trova una pagina dedicata al calcolo del pedaggio che risulterebbe derivato in parte dai chilometri percorsi e in parte da una quota fissa, in base ovviamente al tipo di veicolo.
Si legge:
"Il pedaggio autostradale è l'importo che il Cliente è tenuto a pagare per l'uso dell'autostrada. I proventi dei pedaggi servono alle società Concessionarie, che hanno costruito le autostrade con proprie risorse finanziarie, per recuperare gli investimenti già effettuati e per sostenere le spese di ammodernamento, innovazione, gestione e manutenzione della rete"
Con questa aggiunta che andrebbe eliminata in quanto assolutamente dubbia e non vera:
"Ad oggi la tariffa di Autostrade per l'Italia è tra le più basse in Europa" 


Antonio Segni inaugura l'autostrada del Sole (attuale A1), il 4 ottobre 1964, 
a bordo della Lancia Flaminia 335 presidenziale - da Wikipedia 

Nel 1950 viene costituita dall'IRI la Società Autostrade Concessioni e Costruzioni Spa con l'obiettivo di partecipare, insieme ad altri grandi gruppi industriali, alla ricostruzione post bellica dell'Italia, nel 1999 la Società Autostrade viene privatizzata e al Gruppo IRI, azionista di riferimento dalla nascita della Società, subentra con il 30% un nucleo stabile di azionisti privati, riuniti nella Società Schemaventotto Spa e il restante 70% è quotato in Borsa. 
Dal 2003, a seguito di un nuovo assetto organizzativo, le attività di concessione autostradale vengono conferite ad Autostrade per l'Italia, controllata al 100% da Autostrade SpA (oggi Atlantia) che rimane quotata in borsa.

Dalle informazioni raccolte nel sito  scopro quindi che le società concessionarie autostradali di Autostrade per l'Italia sono:
- Autostrade per l'Italia (2854,6 km di rete in concessione)
- Società Italiana per Azioni per il Traforo del Monte Bianco (SITMB 5,8 km) gestore della parte italiana dell'omologo tunnel (quota Autostrade per l'Italia 51%)
- Raccordo Autostradale Valle d'Aosta (R.A.V. 32,4 km) arteria di collegamento tra Aosta e il Monte Bianco
- Tangenziale di Napoli (20,2 km) asse portante al servizio dell'area metropolitana napoletana
- Società Autostrade Meridionali (SAM 51,6 km) che gestisce l'autostrada Napoli-Pompei-Salerno
- Società Autostrade Tirrenica  che detiene la Concessione per la realizzazione della tratta autostradale Livorno-Civitavecchia (SAT lunghezza prevista 242 km. di cui 54,65 km. già in esercizio).




Come si vede dalla cartina solo i tratti in verde fanno parte della gestione delle società di cui sopra, per gli altri tratti (in grigio) provvedono altri gestori ancora, che vedremo più avanti.

Tornando alla mia riflessione iniziale sul pedaggio del tratto Aosta ovest - Monte Bianco e andando nel sito della società di gestione R.A.V. scopro così che le tariffe in vigore dal 1 gennaio 2018 hanno avuto un  adeguamento del 52,69%.
52,69% ? mi chiedo!?  
E continuo a leggere: 
"Incremento disposto anche per effetto dei mancati e/o minori adeguamenti tariffari riconosciuti alla Società nel periodo 2014-2017 - Resta in vigore per tutto il 2018 - a seguito della richiesta di RAV e SAV del 6 dicembre 2017 approvata dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture".
Mi ricordavo un articolo letto tempo fa che parlava proprio degli aumenti dei pedaggi autostradali previsti per il 2018 che si assestavano intorno a un incremento medio del 2,74% (a fronte già di un’inflazione che si è attestata invece solo sullo 0,5%).....quindi il 56,69% è davvero un aumento astronomico!!??


5 classi di pedaggio - Tipo di veicolo

Comunque sia ognuno di noi dovrebbe essere in grado, pianificando un viaggio o una vacanza, di poter determinare, essenzialmente in base ai chilometri da percorrere, il conseguente pedaggio, in base anche ai tratti più o meno convenienti, se aperti o chiusi (come vedremo dopo)......invece no! Non è così semplice!
Continuando a leggere nel sito, scopro che la tariffa unitariakm. applicata dipende dai seguenti elementi:
- Tipo di veicolo utilizzato (5 classi). Sulle tratte di Autostrade per l'Italia e sulla quasi totalità delle altre Concessionarie la classificazione dei veicoli viene effettuata sulla base di elementi fisicamente misurabili quali:
      . la sagoma; cioè l'altezza del veicolo sulla perpendicolare dell'asse anteriore, per i veicoli a 2 assi (classi A, B)
      . il numero degli assi per i veicoli o convogli con più di due assi (classi 3, 4, 5).
- Caratteristiche dei tratti autostradali percorsi (di pianura o di montagna). La tariffa unitaria tiene conto dei costi di costruzione, gestione e manutenzione delle tratte autostradali (è per questo che i tratti di montagna, ricchi di viadotti e di gallerie, costano di più).
- Società concessionaria che gestisce la tratta nel caso di percorsi che comprendano più società autostradali. In questo caso è necessario calcolare separatamente i chilometri e le tariffe unitarie di ognuna prima di applicare gli arrotondamenti.
Si perché poi ci sono anche gli "arrotondamenti", quelli che in matematica si chiamano approssimazioni per difetto o per eccesso
- L'arrotondamento è applicato in maniera automatica senza alcuna discrezionalità da parte di Autostrade per l'Italia ed è disciplinato dal Decreto Interministeriale n. 10440/28/133 del 12 novembre 2001 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministero dell'Economia e delle Finanze.
Il sistema di arrotondamento prevede che se il pedaggio dovuto presenta una cifra finale inferiore ai 5 centesimi di €, il pedaggio che paga l'utente è arrotondato ai 10 centesimi inferiori; se la cifra finale è uguale o superiore ai 5 centesimi il pedaggio per l'utente viene arrotondato ai 10 centesimi superiori.
Quindi se ad esempio il pedaggio è pari a 1,13 € l'importo da pagare viene arrotondato a 1,10 €; se il pedaggio è pari a 1,16 € viene arrotondato a 1,20 €.
Ma c'è un'eccezione (giusto perché si deve complicare invece di semplificare) che è rappresentata dalla Tangenziale di Napoli sui cui pedaggi, per la particolarità dell'arteria e dell'unicità del sistema di classificazione adottato ai fini dei pedaggi applicati, l'arrotondamento è ai 5 centesimi di €.
Quindi se ad esempio il pedaggio è pari a 1,12 € l'importo da pagare viene arrotondato a 1,10 €; se il pedaggio è pari a 1,13 € viene arrotondato a 1,15 €.
Vi sono inoltre i "Sistemi aperti" cioè tratte con pedaggi indipendenti dai km che si differenziano dai cosiddetti "Sistemi chiusi" (la maggioranza), in cui si ritira un biglietto in entrata e lo si consegna in uscita, pagando il pedaggio corrispondente al percorso effettuato.
- Esistono casi in cui il pedaggio è indipendente dai km percorsi e la tariffa applicata è fissa.
Si tratta delle tratte autostradali definite appunto "Sistemi aperti" (ad esempio, A8 Milano - Laghi, A12 Roma - Civitavecchia ed alcune singole stazioni) in cui il cliente non ritira il biglietto che permette di stabilire da dove si proviene e/o dove si è diretti. 
Il percorso effettivamente compiuto non si conosce, di conseguenza la percorrenza (km) su cui si basa il calcolo dell'importo da pagare fa riferimento ad una lunghezza stabilita forfettariamente con l'approvazione dell'ente concedente.


Cartina Valle d'Aosta con evidenziato il tratto R,A.V. - immagine da R.A.V.

Rientra proprio in questa categoria di "sistema aperto" anche il tratto da me percorso partendo da Aosta Ovest a Morgex con tariffa a 8,40 €.
L’autostrada A5 che da Aosta raggiunge il Monte Bianco ha uno sviluppo complessivo di oltre 36 Km e rappresenta l’ultimo tratto di collegamento della rete autostradale occidentale italiana al Traforo del Monte Bianco, compreso appunto tra il casello di Aosta Ovest e l’ultima uscita in località Entrevès, immediatamente prima del traforo stesso. 
L'autostrada, i cui lavori di costruzione sono iniziati nel 1988, e sono terminati alla fine del 2006, comprende 10 gallerie a doppio fornice, per uno sviluppo in sotterraneo, di circa 24 chilometri (48 chilometri di scavo, considerando che ogni galleria è a doppio fornice).
Essendo un percorso di 36,9 km il costo è di 0,23 € a km, già caruccio, ma se si considera la tratta Aosta Ovest/Morgex di soli 18 km il costo sale di parecchio ed è di 0,46, quasi mezzo euro a km.


Salerno - Reggio Calabria l'autostrada più discussa e interminabile!
Il 21 gennaio 1962 l'ANAS apre ufficialmente il cantiere autostradale, alla presenza del presidente del consiglio 
Amintore Fanfani e con grandi aspettative ed entusiasmo, come testimonia la targa 
che venne posta quel giorno e che recita queste parole altisonanti:
"Dopo ventuno secoli la via che Roma aprì ad unire le genti del Mezzogiorno si riapre sulle antiche orme da 
Salerno a Reggio Calabria per continuare e completare tra il Settentrione e il Meridione d'italia 
la grande via del traffico e del lavoro"

Curiosando tra i meandri di queste informazioni ho anche scoperto che da Salerno Centro a Reggio Calabria Porto, per una tratta di 441 km, il costo è di 0,00 €, trattasi infatti di un tratto non soggetto a pagamento del pedaggio.
Dal seguente quadro si evidenziano sei tratte con significative differenze nel costo a km.
Dalle prime due tratte dell'esempio il costo a km. quasi si raddoppia passando alla quarta e quinta tratta.
Senza parlare dell'ultima tratta in cui il costo a km. è nettamente più basso, ma non viene certo spiegato il fatto che la tratta Salerno- Reggio Calabria è gratuita.

Roma - Napoli 223,6 km. pedaggio 15,70 € costo 0,070 € a km.
Roma - Milano 559,2 km. pedaggio 41,90 € costo 0,075 € a km.
Firenze - Torino 376,8 km. pedaggio 38 € costo 0,100 € a km.
Genova - Ventimiglia 141,1 km. pedaggio 18,70 € costo 0,132 € a km.
Milano - Torino 126,1 km. pedaggio 16,80 € costo 0,133 € a km.
Milano - Reggio Calabria 1246 km. pedaggio 59,50 € costo 0,047 a km.

Dopo tutte queste "semplici" informazioni ho quindi tristemente dedotto che un calcolo per stabilire il pedaggio è così complesso che anche un "matematico" si troverebbe in serie difficoltà.
Ci vengono in aiuto applicazioni che, impostando partenza ed arrivo, ci danno il pedaggio.
Ma anche qui non è così semplice come potrebbe sembrare.
Prendiamo ad esempio la tratta autostradale da La Spezia a Ventimiglia: essa si compone della A10, gestita da Genova a Savona dalla Società Autostrade, da Savona a Ventimiglia dalla Autofiori (gruppo Gavio), e della A12 che da Genova a Sestri Levante è gestita da Società Autostrade e da Sestri Levante a La Spezia da SALT (gruppo Gavio).
Se si chiede al sito autostrade//italia di conoscere il pedaggio per questa tratta, la risposta dipenderà dalla pagina: in una non verrà calcolato e questa sarà purtroppo la risposta:
"Il percorso da lei selezionato è gestito solo parzialmente da Autostrade per l'Italia S.p.A. In particolare non sono coperte da informazioni le seguenti tratte:
A10 Genova-Ventimiglia: tra Ventimiglia e C.C. A10 Tronco 1-Autostrada dei Fiori
A12 Genova-Roma: tra C.C. A12 Tronco 1-Salt e allacciamento A15
A12 Genova-Roma: tra allacciamento A15 e La Spezia"
nell'altra si avrà l'importo totale di 30,20 €
Chiedendolo invece al sito calcolopedaggio (in cui sono riportate generiche ed errate tariffe €/km) si ottiene come risposta 30,90 € ....quale sarà esatto?  
Tutto questo ovviamente senza specificare però il costo al km, le tratte a "sistema aperto o chiuso", il numero delle concessionarie presenti per tratta.....
Ma soprattutto ho scoperto che per le innumerevoli società di gestione (circa 26 di cui fa parte la già citata autostrade//italia con le sue controllate) non solo le tariffe subiscono notevoli differenze, ma anche gli aumenti previsti per il 2018 non sono stati equi ed uguali per ogni tratta.
Questi, nello specifico, sono gli adeguamenti per il 2018 dei pedaggi autostradali riconosciuti dopo che sono stati firmati i Decreti Interministeriali di concerto tra il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministro dell’Economia e delle Finanze del passato Governo, nel dicembre 2017:

Asti-Cuneo spa 0,00%
ATIVA spa 1,72%
Autostrade per l’Italia spa 1,51%
Autostrada del Brennero spa 1,67%
Autovie Venete spa 1,88%
Brescia-Padova spa 2,08%
Consorzio Autostrade Siciliane 0,00%
CAV spa 0,32%
Centro Padane spa 0,00%
Autocamionale della Cisa spa 0,00%
Autostrada dei Fiori spa 0,98%
Milano Serravalle Milano Tangenziali spa 13,91%
Tangenziale di Napoli spa 4,31%
RAV spa 52,69%
SALT spa 2,10%
SAT spa 1,33%
Autostrade Meridionali (SAM) spa 5,98%
SATAP spa Tronco A4 8,34%
SATAP spa Tronco A21 1,67%
SAV spa 0,00%
SITAF spa 5,71%
Torino – Savona spa 2,79%
Strada dei Parchi spa 12,89% 
Bre.be.mi. 4,69%
TEEM 2,70%
Pedemontana Lombarda 1,70%.


Grafico rincari 2018 - Immagine da Il Sole 24 0re

Mi sorge un dubbio....ma questi aumenti sono davvero giustificati e le norme contenute nel Codice degli appalti vengono rispettate? 
Cercando notizie scopro che, contrariamente a quanto previsto dalle norme anticorruzione contenute nel nuovo Codice degli appalti (previste per le aziende edili collegate o di proprietà delle concessionarie), si potranno eseguire in “house” cioè senza gara, il 40% dei lavori sulla rete. 
Nell'ultima legge di stabilità infatti un emendamento ha alzato la quota di lavori eseguibili in “house” dal 20% al 40%, lavori di manutenzione e costruzione, che andrebbero tutti messi a gara. 
Un patto corporativo concessionarie, sindacati e politica che in pratica è servito ad evitare la trasparenza. 
In questo modo i concessionari possono aumentare i lavori alle loro aziende senza l'obbligo di dimostrare un'esecuzione al meglio ed a un costo congruo, potendo così far lievitare anche i costi della manutenzione per giustificare nuovi aumenti tariffari.
A ben vedere sono anche diminuiti i costi di gestione (aumentando l’automazione, sono scomparsi i casellanti visto che il 70% usa Telepass), il traffico è cresciuto nello scorso anno del 2,3%, mentre gli investimenti complessivi sulla rete sono crollati a 800 milioni di euro contro una media annuale di 2,4 miliardi/anno nel periodo 2008-2015. 
Sembrerebbe quasi che piani fantasma d’investimento e di sicurezza ambientale possano giustificare l’autorizzazione governativa di questi aumenti tariffari.
Nel frattempo è cresciuta la produttività sulla vecchia rete autostradale, già pagata dallo Stato e, dopo le privatizzazioni, le concessionarie si sono assicurate incredibili rendite di posizione, grazie al rinnovo delle concessioni senza gara. 
Concessioni da cui derivano, come al solito, anche lauti profitti, forse ingiustificati, che penalizzano gli utenti, aumentano il costo del trasporto merci e frenano l’economia.
Chi ci perde pesantemente sono quindi automobilisti, trasportatori e sistema Paese, chi ci guadagna sono colossi che già prima degli aumenti avevano profitti enormi e senza rischi. 
Colossi quali per esempio il Gruppo Gavio il quarto operatore al mondo nella gestione di autostrade a pedaggio con un network di circa 4.150 km di rete.
Il Gruppo Gavio è tra i principali gruppi industriali d’Italia e le attività del Gruppo spaziano dalla gestione di reti autostradali in concessione alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali, dal settore dei trasporti alla logistica, dal settore della tecnologia a quelli della nautica. 
In Italia il Gruppo, attraverso SIAS (che comprende le concessionarie controllate SATAP, SALT, SAV, ADF, Asti-Cuneo, Autovia Padana, e quelle collegate ATIVA, TEEM, SITRASB, SITAF) gestisce circa 1.423 km di rete; in Brasile, attraverso il co-controllo di Ecorodovias, gestisce circa 2.640 km di rete mentre nel Regno Unito, tramite la partecipazione in Road Link, gestisce circa 84 km di rete.
In conclusione devo dire che non è stato semplice reperire queste notizie, di cui avevo solo un vago sentore e che amaramente devo constatare che in Italia: 
"la trasparenza (come la matematica) questa sconosciuta"!!! 




Francesco Molinari e un po' di matematica del golf

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Nel pomeriggio del 22 luglio 2018, Francesco Molinari ha cambiato la storia. 
Mai era accaduto che un italiano riuscisse a trionfare in un Major, il Claret Jug di Carnoustie, l'Open Championship di Scozia, uno dei quattro tornei principali del calendario golfistico (British Open, Augusta Masters, US Open e PGA Championship). 
Una domenica perfetta, in cui ha messo in riga i tre statunitensi, Jordan Spieth, Kevin Kisner e Xander Schauffele che all'ultimo giro occupavano la vetta. 
Dalla quinta posizione, a soli tre colpi dal trio statunitense, li ha scalzati e si è aggiudicato la Claret Jug.

Francesco Molinari si aggiudica l'Open Championship di Scozia - 22 luglio 2018

Un successo annunciato, iniziato il 27 maggio scorso con il primo posto nel BMW PGA Championship davanti a McIlroy, poi è arrivato il secondo posto (sfortunato per un solo colpo) nell’Open d’Italia e la vittoria nel Quickens Loans Nationals il primo luglio. con gli 8 colpi di vantaggio su Ryan Armour che gli avevano già permesso di entrare nella storia, divenendo il primo italiano a vincere nel PGA Tour dal successo di Toney Penna nel 1947.
Grandi traguardi, ma nulla di paragonabile a quanto accaduto all’Open Championship scozzese, il più antico e celebre dei Major, il trofeo che, per la prima volta dal 1860, porterà ora il nome e il cognome di un atleta italiano: Francesco Molinari, l’uomo ormai nella storia del golf.

Una prova davvero spettacolare ed emozionante dell’azzurro, caratterizzata da due birdie e nessun bogey.
Per chi conosce questo gioco, originario pare proprio della Scozia¹, da dove si è poi diffuso nelle isole britanniche e di lì nel resto del mondo, la parola par, bogey, birdie o eagle sono usuali ma per chi non lo conosce forse è meglio ricordare i termini, con la loro curiosa origine, che identificano il punteggio di gara.

Par
Nel golf, con par si intende il numero pre-determinato di colpi che un giocatore detto scratch (con handicap uguale a 0) dovrebbe impiegare per completare una buca (par della buca), un giro di 18 buche (par del campo) o un torneo (la somma dei par di ogni giro). 
Il par è un componente fondamentale dello stroke play (gara dove vengono contati i colpi eseguiti in ogni buca, tenendo conto dell'handicap del giocatore)., il tipo di partita più comune nei tornei di professionisti.
La lunghezza della buca determina generalmente il par, che è quasi sempre compreso tra 3 e 5. 
In linea di massima i "par 3" hanno una lunghezza compresa tra 90m e 230m, i "par 4" tra 230m e 410m, i "par 5" tra 410m e 550m, anche se nei campionati si possono trovare buche più lunghe. 
Normalmente, per i tornei professionistici, i par 5 più corti (fino a 460m) vengono temporaneamente convertiti in par 4. 
In alcuni campi sono presenti buche "par 6", anche se sono rare. 
Altri fattori rilevanti che intervengono nella determinazione del par di una buca sono la presenza di ostacoli come bunker, ostacoli d'acqua, dune o alberi.
Il par tipico di un percorso da campionato è 72, generalmente composto da quattro par 3, dieci par 4 e quattro par 5. 
Altrimenti, i percorsi che ospitano tornei di alto livello hanno sempre un par compreso tra 69 e 73. 
Chiudere la buca in par significa eguagliare il par della buca e viene segnato anche come "E" (dall'inglese even, pari). 
Dicesi inoltre par in regulation o regular quando viene eseguito con due putt (colpi interni al green) e i rimanenti fuori dal green.
L’origine del termine risale al 1870, quando un giornalista appassionato di golf, tale Mr. Doleman, introdusse  il par come il punteggio ideale con il quale si sarebbe dovuto completare il trofeo The Open.
Nel 1911 il termine venne riconosciuto anche a livello ufficiale negli Stati Uniti, ma soltanto nel 1925 gli inglesi accettarono il termine.
Prima di questa data, infatti “Par” era considerato un termine quasi offensivo dai britannici, che preferivano giocare con il sistema Bogey (il metodo di conteggio del punteggio nel golf nel diciannovesimo secolo).

Score
Score o punteggio in gara è il risultato di un giocatore che viene sempre confrontato con il par del campo. Se il campo è un par 72 e il giocatore ha impiegato 75 colpi per completare il giro, il suo score è di +3 sul campo, ossia ha eseguito tre colpi più del par per completare le 18 buche. Se il par è 72 e il giocatore impiega 70 colpi, il suo score è di -2 sul campo.
Nei tornei viene riportato il punteggio ottenuto in tutte le giornate di gioco, ossia si somma lo score ottenuto in ciascun giro.

Score della buca
Il punteggio di una buca è definito allo stesso modo, ma ad ogni punteggio viene assegnato un nome, un termine che in molti casi richiama il nome di uccelli anche se in origine non fu proprio così.

Bogey
Si dice bogey il punteggio +1 sul par della buca. 
Se il punteggio è di +2 si dice doppio bogey, se è di +3 è detto triplo bogey. Nel linguaggio comune per riferirsi a punteggi superiori al doppio bogey si usa la dicitura "tre sopra il par", "quattro sopra il par" e così avanti.
Il termine bogey ha un’origine folkloristica. Inizialmente, nel diciannovesimo secolo, il Bogey era il normale metodo di conteggio del punteggio nel golf, ma in seguito quando nel 1890. fu adottato dal Dr. Brown il "Ground Score", si identificò con il termine "Bogey Man" un pessimo giocatore di golf. Da allora, bogey venne adottato come comune termine per indicare un colpo sopra al Par.

Birdie
Si dice birdie il risultato di -1 sul par. 
Nonostante i birdie siano comuni per i giocatori professionisti, nessuno è stato in grado finora di completare il cosiddetto "giro perfetto" con 54 colpi su un par 72, equivalenti a 18 birdie.
Come anticipavo l'origine di "bordie" non è legata al termine bird nel senso di uccello, ma nel senso di sensazionale, da quando, nel 1800 ben due secoli fa, la parola “bird” veniva utilizzata per indicare qualcosa di bello e sensazionale: "Bird shot" (un colpo fantastico). Insomma, il bird del diciannovesimo secolo equivaleva al “cool” dei giorni nostri.
I termini successivi, eagle o albatros..... arrivarono dopo il birdie, proprio sull’equivoco nato dal ritenere che il termine birdie richiamasse quello più comune di "bird", uccello. 

Eagle
Si dice eagle (in inglese, aquila) il risultato di di -2 sul par della buca. 
Si ottiene generalmente su buche par 5, o più raramente su par 4 relativamente corti. 
Il nome deriva dall'analogia (errata) con birdie, volendo indicare con un uccello più grande un risultato migliore.

Albatross
Albatross è il nome di un uccello ancora più grande che indica un punteggio di -3 sul par. 
È molto raro da ottenere, generalmente viene eseguito su un par 5 con un drive molto lungo seguito da un approccio imbucato (detto chip in).

Condor
Nome del grande avvoltoio tipico delle Ande, indica completare una buca con -4 sul par. È estremamente raro, poiché significa imbucare con un sol colpo (hole in one) su un par 5.

Phoenix
Fenice, chiamato anche uccello di fuoco, è un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte, sta a significare il completamento di una buca con -5 sul par. Un phoenix è proprio un'"araba fenice" in quanto non è mai stato ancora segnato, poiché significa imbucare con un sol colpo (hole in one) su un par 6.

Ace
Si dice Ace o Buca in uno (hole-on-one o ace) il punteggio di 1 ottenuto su una buca. Consiste infatti nel completare la buca con un solo colpo, quello eseguito sul tee di partenza. 
Nonostante sia relativamente frequente su un par 3, dove corrisponde a un eagle, diventa molto raro su un par 4 (albatross) se non quasi impossibile su un par 5 (condor), nonché mai effettuato su un par 6 (phoenix).

Bunker attorno al green del Golf Course del 147esimo Open di Carnoustie in Scozia

Da queste prime curiosità è emerso il fatto che il gioco del golf è caratterizzato da numeri interi relativi (-1, -2.....+1, +2....) e dalla semplice somma dei punteggi ottenuti a ogni 
buca.
La matematica legata al golf ovviamente non si riduce solo a questi interi relativi ma a valutazioni più complesse e interessanti per capire le peculiarità di questo gioco.
Soprattutto le regole ufficiali del golf, che vengono continuamente riviste e aggiornate man mano che nuove attrezzature emergono, hanno stretti legami con la matematica. 
In generale, le valutazioni delle attrezzature da golf comportano la modellazione, le simulazioni e le statistiche per tenere conto della variazione dei processi fisici coinvolti nel colpire una palla con una mazza da golf.
In molti casi, la matematica viene utilizzata per porre limitazioni sull'attrezzatura da golf, come ad esempio limitare la distanza percorsa dalla palla, come previsto da modelli matematici. 
Le regole inoltre pongono dei limiti su un valore chiamato "coefficiente di restituzione", (C.O.R) che misura l'efficienza dell'impatto tra una mazza (club) e una palla.



Prima di entrare nel dettaglio per la determinazione del C.O.R. si deve considerare appunto l'attrezzatura costituita dai bastoni. 
Tutti i vari tipi di bastoni sono formati da tre parti, la testa, la canna e l’impugnatura ed esistono principalmente 3 tipi di bastone, i legni, i ferri e il putter.
Tranne il putter, tutti i bastoni sono costruiti per far volare la pallina più o meno lontano. 
La lunghezza della canna e l'inclinazione della faccia del bastone (loft), sono i parametri che principalmente determinano la differenza di lunghezza del volo di palla. 
Un bastone con canna più lunga e minore inclinazione della faccia del bastone determinerà una traiettoria più tesa e lunga di un bastone con canna più corta e una faccia del bastone maggiormente inclinata.

Traiettorie ferri e legni

Nell' illustrazione è rappresentata la gittata di ciascun bastone da golf e si può facilmente dedurre che un ferro con numero piccolo ha una traiettoria più tesa e potente di un ferro con numero grande. 
Anche se è bene precisare che in realtà, l'altezza del volo della palla nei giocatori professionisti è indicativamente la medesima con tutti i bastoni. I pro, infatti, hanno una altezza di circa 28/30 metri nella traiettoria della palla dal sand al driver.

In questo post non mi soffermerò nella descrizione delle caratteristiche dei vari bastoni da golf (che lascio alla curiosità del lettore qui ) ma sulla loro regolamentazione.
Per quanto riguarda le mazze da golf, l'elenco ufficiale comprende circa 20.000 clubs [8.000 drivers (legni) e 12.000 irons (ferri)]. 
Con l'obiettivo di assicurare che il gioco non sia snaturato da mazze da golf che colpiscono le palle in modo così efficiente che colpire diventa troppo facile, l'USGA nel 1998 ha implementato una regola che limita il coefficiente di restituzione ad un valore di 0,822.
Attualmente inoltre, ci sono circa 1200 tipi di palline da golf sulla lista ufficiale conforme, e ognuna deve essere ripresentata  ogni anno per la valutazione. 
Le regole pongono restrizioni sulla taglia, sul peso, sull'efficienza e sullo standard di distanza totale di una pallina da golf. 
In base quindi ai bastoni e alle palline si determina la fisica di base di impatto che può essere espressa utilizzando appunto la definizione del "coefficiente di restituzione" ( e ) e la conservazione del momento


La velocità di pre-impatto è evidenziato dalla u e quella del post-impatto dalla v , con i pedici di b e c che indicano, rispettivamente, le velocità relative alla pallina (ball) e alla mazza (club). 
La massa (mb) della pallina è generalmente vicino al valore limite di 45,93 g e la massa della testa del bastone (mc) varia da circa 180/200 g per un driver (il bastone più potente legno 1) fino a chiudere a 300 g per un wedge (il bastone con faccia molto inclinata per generare una traiettoria alta come il Sand, il Pitch e il Lob). 
L'applicazione banale delle equazioni (2.1) e (2.2) produce la quantità spesso indicata come “Smash Factor” (Fattore di Smash), vale a dire il rapporto tra la velocità della testa del bastone in entrata e la velocità della palla in uscita, in simboli:
Il coefficiente di restituzione misura quindi la proporzione di energia che viene trasferita dal bastone alla palla, dove 0 significa che non viene trasferita energia e 1 che è una collisione elastica perfetta in cui viene trasferita tutta l'energia. 
La regola introdotta dalla USGA nel 1998, che limitava il coefficiente di restituzione a un valore di 0,822 per i drivers, dalla sua nascita iniziale in questa forma, non è stata subito accettata, ma nel 2003 è stata adottata in tutto il mondo e applicata ad altri tipi di mazze, anche ai bastoni con i loft² più alti (fino a 35 °), il che significa che questo fattore di smash è in genere di poco inferiore a 1,5. 
È possibile aumentare questo rapporto aumentando la massa della testa del bastone, ma la sperimentazione negli ultimi 50 anni ha dimostrato che la massa ottimale della testa del bastone per un driver è rimasta intorno ai 200 g. 
Aumentare la massa della testa del bastone (lo swingweight nel golf è il punto di equilibrio del bastone) provoca una diminuzione sproporzionata della velocità della testa del bastone. 



Semplici modelli che utilizzano combinazioni di molle e ammortizzatori sono stati utilizzati per modellare le dinamiche dell'impatto. 
Questi modelli forniscono approfondimenti molto utili nella fisica sottostante. 
Un modello semplicistico tende a funzionare bene nella comprensione della fisica di base, tuttavia, anche altre quantità, come la velocità della testa del bastone, richiedono un'ulteriore verifica, non essendo ovviamente la testa del bastone una massa puntuale.
Il "coefficiente di restituzione"è quindi una misura dell'efficienza dell'impatto tra due corpi e come tale dipende da entrambi i bastoni e le palle. 
Nella valutazione di un equipaggiamento che rispetti questa regola, è necessario adottare uno standard. 
Ciò si ottiene essenzialmente in due modi:
- utilizzando una piastra di titanio del peso di circa 200 g progettata per avere la flessibilità necessaria per rappresentare 0,822 a una particolare velocità e per una data pallina da golf. 
Questo test è risultato distruttivo per la maggior parte dei bastoni ed è stato sostituito nel 2004 dal test del pendolo
- utilizzando un pendolo con una palla di metallo e un accelerometro si riesce a determinare questo valore su un bastone di prova, facendolo ripetutamente rimbalzare contro la faccia del bastone. Le misure temporali dell'accelerometro vengono quindi analizzate e utilizzate per stimare il coefficiente di restituzione del bastone. 

Pendolo per determinare il "coefficiente di restituzione"

Ma le parti più impegnative della modellazione dei processi fisici coinvolti nel golf coinvolgono il fattore umano. 
Gli analisti hanno tentato di quantificare la variabilità dello swing di un individuo utilizzando vari metodi statistici, come la deviazione standard e la deviazione assoluta mediana, meno comunemente utilizzata. 
Indici statistici molto utili anche per comprendere la variabilità individuale, importante per adattare i singoli giocatori alla migliore attrezzatura.
Migliore attrezzatura che comunque è sempre legata alle capacità del giocatore e al suo "Smash Factor", il coefficiente che indica appunto la capacità di un giocatore di trasformare la velocità della testa del bastone nella velocità di partenza della palla. 
Più questo valore è alto, migliore è la qualità del colpo. 
Un giocatore di Tour (con 0 di hcp) colpisce spesso lo sweetspot (centro o punto di equilibrio della faccia) e il suo Smash Factor (velocità della palla diviso velocità della testa) è circa 1,48, mentre un 20 di hcp colpisce ovunque nella faccia e di solito il suo fattore è minore di 1,30. 
Per chiarire meglio: se quel 20 di hcp usa il driver a 160 km/h, quel fattore potrebbe costargli fino a 35 metri. 
Un altro modo di vedere la cosa: colpire lo sweetspot è come guadagnare 20 km/h di velocità della testa del bastone.

Traiettorie

Senza trascurare il fatto che le traiettorie dei colpi subiranno variazioni significative (calcolabili o approssimabili) in funzione del tipo di pallina, dell'altitudine a cui si gioca, dei valori climatici (del caldo, del freddo, dell'umido o del secco) che inevitabilmente condizioneranno la performance delle 18 buche.
I tecnici del TrackMan hanno usato il loro sistema radar per misurare migliaia di colpi in diverse condizioni e hanno constatato quanto la temperatura giochi più scherzi di quanto non si creda. 
A 35 gradi, ad esempio, con un ferro 6 medio la pallina vola sette metri in più che a 4 gradi. Per quanto riguarda l’altitudine, a 1.500 metri di quota i giocatori con una velocità di swing media ottengono un vantaggio del 6%, un po’ meno con bastoni dalla traiettoria più bassa (come fairway wood o ibridi). 
Il che vuol dire che nei campi di montagna conviene usare un bastone in meno del solito.

Insomma anche nel golf l'importanza della matematica, sia per valutare gli standard delle attrezzature che le migliori traiettorie, consiste nella possibilità di costruire modelli, simulazioni e statistiche.
Certo non è sufficiente per far ottenere i risultati di Francesco Molinari sulle 18 buche dei campi di livello mondiale......questo è talento di pochi!


Note

¹All'epoca dei Romani era già in voga un gioco simile, che potrebbe esserne considerato l'antenato: si chiamava "Paganica", si giocava in campagna (il pagus, appunto) con bastoni e palle e veniva diffusamente praticato anche dai legionari nelle terre di confine dell'impero.
Comunemente, tuttavia, si ritiene che il golf sia originario della Scozia, da dove si è poi diffuso nelle isole britanniche e di lì nel resto del mondo.
Alcuni appassionati e storici citano, di contro, l'esistenza di documenti olandesi scritti la cui evidenza appare incontrovertibile: Steven van Hengel, storico, testimonia la pratica di un gioco chiamato golf nei Paesi Bassi già dal 1297.
(da Wikipedia
²Apertura della faccia del bastone espressa in gradi. Maggiore è il numero, più il bastone genera una traiettoria alta e corta.


Transilvania...dal tango ai numeri del Vampiro

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In Transilvania, dal tango alla matematica il passo è breve!
Recentemente a Braşov, in Romania, c'è stata una Maratona Tanguera che, per chi non lo sapesse, è un evento di due o tre giorni in cui si balla tango, nelle milonghe o per strada, tutta la giornata e la nottata.
Un evento che ha attirato tanti tangueri, tra cui anche i miei amici Silvia ed Alessandro, che non hanno certo perso l'occasione di visitare anche i luoghi che la leggenda dice essere stati dimore di Vlad III di Valacchia ispiratore, pare, di Dracula il Vampiro.
Proprio vicino a Braşov, il castello di Bran, presso l'omonimo villaggio di Bran, è un monumento nazionale della Romania, una fortezza che sorge sull'antico confine tra la Transilvania e la Valacchia.

Foto di Silvia Manzo

Proprio il castello di Bran ha ispirato la descrizione del castello di Dracula nel romanzo di Bram Stoker, ma non è il vero maniero storicamente appartenuto al voivoda Vlad III di 
Valacchia, il sanguinario principe il cui personaggio romanzato è stato identificato proprio con il famigerato Conte Dracula e la cui atrocità (forse leggendaria) è riportata in uno scritto anonimo intitolato "Storia del principe Dracula", pubblicato intorno al 1463 e diffuso in tutta Europa. 
Comunque il vero "castello Dracula"è l'ormai distrutto castello di Poenari, dove oggi restano soltanto le rovine delle sue fondamenta, anche se molto suggestive per una visita.

Foto di Silvia Manzo

La fortezza o castello di Poenari, situata nel comune di Arefu, nel Distretto di Argeş (sempre in Transilvania), affacciata sulla valle scavata dal fiume Argeş, fu eretto nel XIII secolo durante il regno di Valacchia, divenendo nel XIV secolo il castello più importante della famiglia dei Basarabidi. 
Ma a distanza di pochi decenni il castello venne abbandonato e versò in rovina fino al XV secolo, quando venne recuperato e rafforzato da Vlad III di Valacchia, il personaggio storico appunto ispiratore del mito di Dracula.

Ma come in Transilvania si incontrano, insieme agli amici tangueri e con l'aiuto del web, i luoghi del vampiro così, sempre sul web, si fanno anche incontri matematici interessanti, come Erich Friedman .
Erich Friedman, che è stato per 26 anni docente di Matematica alla Stetson University in Florida, è un simpatico ed eclettico matematico che si presenta (come lui stesso dichiara) come "ateo, liberale e femminista, iscritto all’ACLU, American Civil Liberties Union". 
Ex docente di Teoria dei Giochi, Teoria dei Grafi e Modelli Matematici, si dedica da quest'anno (2018) agli altri suoi interessi, tra cui la matematica ricreativa, i puzzle...e la sua ragazza di 30 anni.
Curiosando sul suo sito, si possono scoprire tante cose divertenti, tra cui i numeri che ha inventato e che sono stati battezzati proprio "Numeri di Friedman" di cui , come si vedrà, i numeri e gli pseudonumeri del Vampiro costituiscono una sottosequenza.

Non è ben chiaro con quale criterio venga dato un nome specifico a insiemi di numeri dalle proprietà particolari, ad esempio, numeri felici, numeri fidanzati, numeri fortunatinumeri vampiri, mentre ad altri rimanga invece il nome di chi li ha scoperti, come i numeri di Carmichael, i numeri di Cunningham, i numeri di  Armstrong o di Friedman.

Ma vediamo questi Numeri di Friedman (Friedman numbers). 

"Si dice di Friedman un numero intero positivo che può essere scritto in modo non banale usando le sue cifre, insieme ai simboli + - × / ^, alle parentesi ( ), mediante la loro concatenazione" 

Quindi appartiene a questo insieme il numero che è il risultato di un’espressione che utilizza le quattro operazioni fondamentali dell’aritmetica e l’elevazione a potenza, contenente tutte le sue cifre in un ordine qualsiasi, essendo permesso l’uso delle parentesi tonde. 
Ad esempio



I primi Numeri di Friedman (Friedman Numbers) sono i seguenti:

25, 121, 125, 126, 127, 128, 153, 216, 289, 343, 347, 625, 688, 736, 1022, 1024, 1206, 1255, 1260, 1285, 1296, 1395, 1435, 1503, 1530, 1792, 1827, 2048, 2187, 2349, 2500, 2501, 2502, 2503, 2504, 2505, 2506, 2507, 2508, 2509, 2592, 2737, 2916, 3125, 3159, …

Ma alcuni numeri di Friedman sono "più belli" di altri. 
I Numeri Belli di Friedman sono infatti quelli che nell’espressione mantengono lo stesso ordine delle cifre del numero di partenza.

I primi Numeri Belli di Friedman (Nice Friedman numbers) sono:

127, 343, 736, 1285, 2187, 2502, 2592, 2737, 3125, 3685, 3864, 3972, 4096, 6455, 11264, 11664, 12850, 13825, 14641, 15552, 15585, 15612, 15613, 15617, 15618, 15621, 15622, 15623, 15624, 15626, 15632, 15633, 15642, 15645, 15655, 15656, 15662, 15667, 15688, 16377, 16384, 16447, 16875, 17536, 18432, 19453, 19683, 19739, ...

Nella tabella che segue i Numeri Belli di Friedman sono evidenziati in rosso:



Vi sono inoltre i Numeri di Friedman Pandigitali (Pandigital Friedman numbers), che contengono cioè tutte le cifre (escluso lo zero quelli a 9 cifre, con lo zero quelli a 10 cifre) di cui attualmente si conoscono quelli riportati nelle tabelle (vedi qui)  e  di cui soltanto uno però è bello (evidenziato in rosso nella tabella):

268435179 = –268 + 4(3×5 – 17) – 9

e di cui due sono particolarmente eleganti:
123456789 = ((86 + 2 × 7) 5 - 91) / 3 4 
987654321 = (8 × (97 + 6/2) 5 + 1) / 3 4

Il più piccolo dei Numeri di Friedman costruiti con un’unica cifra, che è anche un numero bello, è il seguente:
99999999 = (9 + 9/9) 9-9 / 9 - 9/9

Ma e i Numeri Vampiri o del Vampiro? 
Intanto vediamo che cosa si intende per Vampiro.
Il Vampiro è un essere mitologico o folcloristico che sopravvive nutrendosi dell'essenza vitale (generalmente sotto forma di sangue) di altre creature, nonché una delle figure dominanti del genere horror.
Nonostante entità di tipo vampirico siano diffuse in numerose culture ed epoche il termine "vampiro" divenne popolare solo agli inizi del XVIII secolo, in seguito all'influenza delle superstizioni presenti nell'Europa dell'est e nei Balcani, dove le leggende sui vampiri erano molto diffuse, sebbene fosse noto anche con altri termini, come vrykolakas in Grecia e strigoi in Romania. 
La superstizione nei confronti dei vampiri crebbe a tal punto da far nascere una grave isteria collettiva che in alcuni casi portò a piantare paletti nei cadaveri e ad accusare alcune persone di vampirismo.
I folcloristici vampiri dell'Europa dell'est presentavano una notevole varietà di rappresentazioni, dal simile agli umani al cadavere putrefatto. 
Fu, prima, il successo del romanzo "Il vampiro" di John Polidori (1819) ad instaurare la carismatica e sofisticata figura del vampiro nelle arti che influenzò le opere vampiresche del XIX secolo e ispirò personaggi come "Varney il vampiro" e il "Conte Dracula", e quindi soprattutto il romanzo "Dracula", scritto nel 1897 da Bram Stoker, ad essere considerato la quintessenza del romanzo vampiresco e che fornì le basi per le opere moderne.



Il vampiro è solitamente raffigurato come una pallida creatura notturna, dagli occhi malvagi e dai lunghi denti canini (dette zanne), e così, con le caratteristiche zanne, sono rappresentati i suoi numeri. 
Sempre nel sito di Friedman infatti si ritrovano anche i numeri Vampiri (o del Vampiro) e gli pseudonumeri Vapiri.

"In matematica, un numero vampiro (o vero numero del vampiro) è un numero naturale composto v, con un numero pari di cifre n, che può essere fattorizzato in due interi x e y (chiamati zanne) che non abbiano entrambi degli zeri finali e ognuno dei quali abbia n/2 cifre, dove v contiene precisamente tutte le cifre di x e y, in un ordine qualsiasi, contando la molteplicità"

Per esempio: 
1260 è un numero del vampiro, le cui zanne sono 21 e 60 (dato che 21x60 = 1260)
1260 ha infatti 4 cifre e 12 e 60 hanno entrambi 4/2 = 2 cifre, ed è inoltre formato dal prodotto delle cifre 21 e 60. 
126000, invece, non è un numero del vampiro perché le sue zanne (210 e 600) hanno entrambe degli zeri finali. 

I primi Numeri del Vampiro sono:

1260, 1395, 1435, 1530, 1827, 2187, 6880, 102510, 104260, 105210, 105264, 105750, 108135, 110758, 115672, 116725, 117067, 118440, 120600, 123354, 124483, 125248, 125433, 125460, 125500,... 
(sequenza A014575 dell'OEIS).

Gli pseudonumeri del Vampiro (definiti nel 1995 da Clifford A. Pickover) sono simili ai numeri del vampiro, ad eccezione delle zanne: le zanne di uno pseudonumero del vampiro di lunghezza n non devono necessariamente essere di lunghezza n/2 e gli pseudonumeri del vampiro possono anche avere un numero dispari di cifre.

"Uno pseudonumero vampiro è un numero che può essere scritto come il prodotto di numeri che insieme contengono le stesse cifre del numero stesso.
Più generalmente, possono esserci più di due zanne. 
In questo caso, i numeri del vampiro sono dei numeri n che possono essere fattorizzati con le cifre di n"

Esempi:
126 = 6x21 
1395 = 5x9x31

La sequenza degli pseudonumeri del Vampiro inizia con questi numeri:

126, 153, 688, 1206, 1255, 1260, 1395, 1435, 1503, 1530, 1827, 2187, 3159, 3784, 6880,... (sequenza A020342 dell'OEIS

Poi si trova anche un numero primo del vampiro che, come lo definì Carlos Rivera nel 2002, è un numero del vampiro le cui zanne sono i suoi fattori primi. 
La sequenza dei numeri primi del vampiro inizia con:

117067, 124483, 146137, 371893, 536539...

Quindi il più piccolo numero primo del vampiro conosciuto è:

117067 = 167x701 

e il più grande conosciuto è:

(94892254795×1045418+1)2

ed è stato scoperto da Jens K. Andersen nel 2002.

I numeri Vampiri e di conseguenza anche gli pseudonumeri Vampiri, proprio per la loro definizione, sono tutti Numeri di Friedman e costituiscono un sottoinsieme di questi numeri.

Per approfondire l’argomento si veda la pagina di Friedman dedicata ai suoi numeri:
Vi invito perciò a curiosare fra le tante pagine del sito, dove si scoprono tante altre curiosità: il Centro di Impacchettamento di Erich, una Guida dei ristoranti di DeLand, la città in cui vive, la sua Collezione di giochi, l’Oroscopo matematico, il suo Albero genealogico matematico, il Test per valutare la propria Abilità matematica, le Barzellette matematiche...insomma buon divertimento! 



La Matematica è più di una forma d'arte

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"La matematica è più di una forma d'arte."
(Takakazu Seki, 関孝和 1642-1708)¹

Perché per Takakazu Seki la matematica è più di un'arte?
E a quale matematica si riferiva?
Si riferiva al "Wasan" con i suoi artistici e colorati "Sangaku"!




Durante il periodo Edo, tra il 1603 e il 1868, il Giappone visse un lungo periodo di isolamento, durante il quale interruppe quasi del tutto le relazioni con il resto del mondo.
Per oltre due secoli, fiorì così in Giappone una cultura unica e originale, che influenzò tutte le discipline e la matematica che si sviluppò in quegli anni, senza influenze straniere, prese il nome di wasan. 
Il wasan era praticato da studiosi ma anche da persone comuni, che affrontavano problemi matematici per divertimento e per risolvere le necessità della vita quotidiana, come costruire un ventaglio o disporre i fiori in un vaso. 




Spesso i quesiti venivano disegnati su piccole tavolette di legno, i sangaku, che venivano appese di fronte ai templi per sfidare i pellegrini e i passanti a scrivere la soluzione sul retro della tavola. 
Una matematica "partecipativa", artistica e divertente di cui nei secoli si sono purtroppo perse le tracce.
Una matematica che ha origine cinese, origine che si riscontra ad esempio nella rappresentazione dei numeri tramite bastoncini di legno o di bambù detti sangi (算木) disposti su un'apposita griglia.
Si trattava di un vero sistema numerico posizionale con cifre da 1 a 9 e dallo zero 0, adottato dal periodo che va dal 475 a.C. circa al 16° secolo.


Numeri scritti in sangi (算木) Triangolo di Tartaglia 

La pagina riprodotta sopra riporta i numeri del triangolo di Tartaglia scritti utilizzando i sangi (算木).



Ogni campo della griglia contiene una cifra del sistema numerico decimale e  i colori rosso e nero permettevano di distinguere tra numeri positivi e negativi.
I sangi³ davano la possibilità di eseguire operazioni aritmetiche di diverso tipo, di estrarre radici quadrate e cubiche, di trattare sistemi lineari e di risolvere equazioni algebriche.


Numeri sangi (算木) 

Quando l'uso del soroban  (l'abaco giapponese) prese il sopravvento, le aste di conteggio furono abbandonate tranne in una notazione simbolica per l'algebra, dove i sangi si svilupparono e modificarono soprattutto grazie proprio a Seki Takakazu, che sviluppò i "numeri delle aste" in notazione simbolica per l'algebra, migliorando drasticamente la matematica giapponese. 
E' bene ricordare però che  giapponesi non ebbero una loro propria matematica fino all'anno 1627, quando fu pubblicato Jink ̄o-ki . 
Questo fu infatti il primo libro di matematica giapponese pubblicato, che essenzialmente spiegava come usare il soroban e, fino ad allora, gran parte dell'apprendimento e dello studio in matematica provenivano dai classici della Cina, con particolare attenzione a The Nine Chapters e Cheng's Treatise. 
Questo ritardo nello sviluppo della matematica fu anche dovuto al fatto che fino alla fine del 1500, la maggior parte degli usi della matematica in Giappone consistevano nell'imposizione di tasse sulla terra (geometria) e per le transazioni commerciali (l'aritmetica di base).
Esistevano quindi figure di "specialisti in matematica" del "Dipartimento di Intelligenza Aritmetica" che però conoscevano solo la geometria sufficiente per ottenere l'area del terreno e calcolare l'imposta richiesta. 
Il governo aveva quindi, fino allora, visto la matematica come un mezzo per un fine, vale a dire per l'acquisizione di denaro. 
Intorno agli inizi del 1600 le cose cominciarono a cambiare e un nuovo gruppo di sovrani, i Tokugawa, prese il controllo di tutto il Giappone, unendo tutte le terre sotto un unico governo. 
Il Dipartimento di Intelligenza aritmetica si sciolse e le tasse non furono più legate alla quantità di terra posseduta.
I Tokugawa apportarono altri importanti cambiamenti, la chiusura dei confini giapponesi e la messa al bando (e quindi l'eliminazione) del cristianesimo e dei missionari.  
Tutti i missionari furono infatti messi a morte insieme a quelli che non volevano rinnegare il cristianesimo.


Tokugawa Ieyasu primo shōgun del periodo Edo

Iniziò però in Giappone un periodo di pace, chiamato periodo Edo, che durò fino al 1868, quando furono riaperti i confini, e fu durante questo periodo che la cultura matematica incominciò a svilupparsi e a prosperare.
Durante il tempo della Grande Pace i samurai divennero i nuovi nobili del Giappone e, non più necessari come guerrieri, ricevettero incarichi governativi e divennero, molto più spesso, insegnanti itineranti.
Il tempo era ormai maturo per un'esplosione di apprendimento nei luoghi che, dato che non c'erano edifici scolastici, maggiormente creavano aggregazione, come il santuario locale o il tempio buddista. 
Sempre più persone furono indotte così a riunirsi per funzioni religiose, educative e sociali, tanto che nel secolo successivo il popolo giapponese avrebbe raggiunto il più alto tasso di alfabetizzazione di tutte le nazioni, diventando uno dei più istruiti.
Si sviluppò così la matematica wasan con i suoi sangaku. 
Queste tavolette avrebbero adornato templi e santuari mostrando la nuova conoscenza appresa. 
Tuttavia i sangaku avevano anche un significato più profondo e divennero un modo per ringraziare gli dei e gli spiriti per la nuova conoscenza.


Takakazu Seki o Kōwa Seki

Uno dei protagonosti di questo rifiorire di cultura matematica wasan fu proprio Takakazu Seki o Kōwa Seki, che  è stato infatti uno dei più grandi matematici giapponesi.
Seki Kowa, chiamato anche Takakazu, nacque verso il 1642, probabilmente a Fujioka, Gumma, in Giappone. 
Seki è il suo cognome, e Kowa è la lettura cinese dei caratteri, mentre la lettura giapponese è Takakazu. Il suo secondo nome è Shinsuke e lo pseudonimo è Jiyutei.
Nato in una famiglia di guerrieri samurai, secondo figlio di Uchiyama Shichibei Nagaakira in tenera età fu però adottato da una nobile famiglia di nome Seki Gorozayemon e prese il nome con cui ora è conosciuto, Seki, che deriva proprio dalla famiglia che lo adottò. 
Seki si rivelò subito un bambino prodigio in matematica. 
Da autodidatta si era formato una cultura matematica e, a nove anni, iniziò a parlarne con un istitutore di casa che si rese conto del talento del ragazzo.
Iniziò il suo studio da libri matematici stampati durante la dinastia Chosun, portati dall'esercito di Hideyosi. 
A quel tempo la dinastia Chosun praticava infatti un sistema matematico ben organizzato in libri di testo. 
Ben presto Seki costruì una biblioteca di libri giapponesi e cinesi sulla matematica e venne riconosciuto come un esperto, "Il Saggio Aritmetico"(termine che è scolpito sulla sua 
lapide), e presto ebbe molti allievi. 
Come si legge in "Una storia della matematica giapponese" (Chicago, 1914) di DE Smith e Y Mikami:

"A tempo debito, come discendente della classe dei samurai, servì in un ufficio pubblico, quello di esaminatore dei conti del Signore di Koshu, proprio come Newton divenne il direttore della zecca sotto la regina Anna. 
Quando il suo signore divenne l'erede dello Shogun, Seki divenne samurai di Shogunate e nel 1704 ottenne una posizione d'onore come maestro di cerimonie nella casa dello Shogun"


 
Statua in bronzo di Takakazu Seki (città Fujioka, prefettura di Gunma)

Ma Seki fu soprattutto un illustre esponente della scuola wasan, che considerava la matematica più vicina all'arte che alla scienza o alla tecnologia. 
Nonostante ciò (o, forse, proprio per questo), Seki e i matematici wasan spesso precedettero quelli occidentali nella scoperta di importanti teoremi e algoritmi, soprattutto nell'algebra lineare, nella multilineare e nella soluzione approssimata delle equazioni algebriche non lineari.




Scritto sul numero di Bernoulli e coefficienti binomiali  (1712) 

Anche se gran parte del primo sviluppo di Wasan fu preso in prestito dalla matematica formulata in Cina, durante il periodo Edo, subì una rivoluzione proprio per mano di Seki Kowa. 
La matematica, già prima del periodo Edo in Giappone, comprendeva la conoscenza della geometria (essenzialmente importata dalla Cina), ma è curioso il fatto, come fa notare M Fujiwara in "Miscellaneous notes on the history of Wazan", che i matematici giapponesi 
usassero il Teorema di Pitagora per trasformare i problemi geometrici in quelli algebrici. 
Sempre alla scuola di Wasan e alla matematica giapponese si deve la creazione di un calendario astronomicamente accurato, anche se non ci sono molti documenti riguardanti la matematica che si sviluppò su questo argomento.   


Dimostrazione del Teorema di Pitagora
               
Va ricordato anche che già intorno al 13° secolo, la versione giapponese dell'abaco, il soroban  fu introdotto in Giappone dalla Cina, il suanpan, e adottato per eseguire calcoli complessi e noiosi in modo molto rapido ed efficiente. 
Si può infatti imparare a eseguire calcoli estremamente rapidamente con il soroban e ancora oggi, alcuni studenti giapponesi imparano a fare calcoli mentalmente visualizzando un soroban nell'aria. 

Kowa e i suoi seguaci svilupparono uno stile distintivo della matematica e formularono appunto concetti sviluppati contemporaneamente in Occidente, come l'algebra lineare e il calcolo. 
Una caratteristica di Wasan sono i Sangaku o San Gaku (算額 tavoletta di calcolo), enigmi geometrici scolpiti su tavolette di legno, senza soluzione, che venivano posti come offerte ai santuari shintoisti o ai templi buddisti durante il periodo Edo da membri di tutte le classi sociali.
I Sangaku erano dipinti a colori su tavolette di legno (ema) e appesi nei recinti dei templi buddisti e dei santuari shintoisti come offerte ai kami e ai buddha, come sfide per i membri della congregazione o come dimostrazioni delle soluzioni alle domande. 
Questi problemi sono spesso indicati in inglese come  "Japanese Temple Problems" (Problemi del tempio giapponese) e, di solito, erano di natura geometrica e riguardavano la ricerca di aree, volumi e raggi di cerchi. 





I Sangaku erano quindi enigmi che molti cercavano di risolvere, inclusi nobiltà, preti e popolani. 
Ci sono molti libri che contengono questi problemi con la traduzione inglese e c'è un meraviglioso sito web  (link SanGaku) che contiene questi problemi tratti dal libro di H. Fukagawa e D. Pedoe "Japanese Geometry Problems: San Gaku" - Charles Babbage Research Center, 1989. I disegni e le soluzioni sono state elaborate da Kevin Mirus.


Quali sono i raggi dei cerchi blu? 

Purtroppo quando il contatto con l'Occidente fu stabilito nel periodo Mejii, che seguì il periodo di Edo, lo stile Wasan fu abbandonato a favore della matematica occidentale, tanto che Wasan e la storia della matematica giapponese sono stati poco studiati e presi in considerazione in occidente.
La maggior parte di queste tavolette è stata inoltre tristemente persa durante la modernizzazione del periodo Mejii, anche se ne sono rimaste circa 900 .  
Il governo dovette adottare la matematica occidentale per essere in grado di comunicare con tutti i nuovi partner commerciali con cui si erano ristabiliti i rapport e,  a tal fine, fu indetta una legge che mise fuori legge Wasan al fine di far adottare nelle scuole solo la matematica occidentale. 
Chiunque avesse ancora insegnato Wasan avrebbe perso la  licenza di insegnamento e sarebbe stato imprigionato. 


Replica di Hatsubi-Sampo esposta nel Museo Nazionale di Natura e Scienza , Tokyo , Giappone 

Nel 1674 Seki pubblicò "Hatsubi Sampo" in cui risolse quindici problemi Sangaku che erano stati posti. 
Un lavoro notevole per l'attenta analisi dei problemi che ha fatto Seki e che certamente è stato uno dei motivi del suo grande successo come insegnante.
Seki ha inoltre anticipato molte delle scoperte della matematica occidentale. 
Infatti Seki ideò un nuovo sistema di notazione matematica (endan-jutsu) e lo impiegò per formulare autonomamente molti teoremi e teorie che erano state, o sarebbero state di lì a poco, scoperte in Occidente.

Vediamole nel dettaglio:

- Seki fu il primo matematico a studiare i determinanti nel 1683 e un contributo notevole di questo matematico all'algebra fu proprio la scoperta del determinante (Biografia nel dizionario della biografia scientifica - New York 1970-1990). 
Studiò infatti le matrici 2x2 e 3x3, e, pur non essendo in grado di determinare una formula generale, ottenne comunque un risultato più generale di quello che Leibniz avrebbe ottenuto dieci anni più tardi. 
- Seki ha anche scoperto i numeri di Bernoulli prima di Jacob Bernoulli e la riscoperta autonoma di molti risultati del calcolo infinitesimale.
- Studiò equazioni trattando sia le radici positive che quelle negative, anche se non aveva ancora alcun concetto di numeri complessi. 
- Fu il primo in Giappone a studiare i quadrati magici e le equazioni diofantee.
Per esempio, nel 1683, considerò le soluzioni intere di ax - by = 1 dove a , b sono numeri interi.
Scrisse sui quadrati magici, sempre nel suo lavoro del 1683 (fu il primo trattato del tema in Giappone), dopo aver studiato un'opera cinese di Yank Hui sul tema nel 1661. 
- Introdusse i caratteri kanji per rappresentare variabili e incognite nelle equazioni, ed anche se fu obbligato a limitare il suo lavoro alle equazioni fino al quinto grado, in quanto il suo alfabeto algebrico (endan-jutsu) non era adatto alle equazioni generiche dell'n-esimo ordine, fu in grado di creare equazioni con coefficienti letterali di qualsiasi grado e con diverse variabili, e di risolvere equazioni simultanee. 
In questo modo fu in grado di derivare l'equivalente di f(x), e quindi di giungere alla nozione di discriminante (una funzione speciale della radice di un'equazione polinomiale esprimibile mediante i coefficienti del polinomio).
- Nel 1685, risolse l'equazione cubica 30 + 14 x - 5 x 2 - x 3 = 0 usando lo stesso metodo che userà Horner cento anni dopo.
- Scoprì il metodo Newton o Newton - Raphson per risolvere le equazioni e introdusse una versione della formula che poi si dirà di interpolazione di Newton.
- Un altro dei contributi di Seki fu sulla rettificazione del cerchio, ovvero il calcolo del pi greco. 
Un'altra importante scoperta attribuita a lui è infatti enri (円 理), o principio del cerchio, un sistema matematico sostanzialmente equivalente al calcolo sviluppato dai suoi contemporanei Newton e Leibniz in Europa, ed è così chiamato perché la sua prima applicazione era il calcolo del valore di pi a 15 cifre decimali.
Ottenne un valore che era corretto fino al 9° decimale,  risultato che i suoi allievi portarono alla precisione fino al 18º decimale.


Il soroban in Yoshida Koyu s' Jinkōki (edizione 1641)

Purtroppo la segretezza che ha circondato le scuole in Giappone, rende difficile determinare i contributi fatti da Seki, anche se si è riusciti ad attribuirgli queste importanti scoperte nel calcolo, tramandate poi dai suoi stessi allievi.
Gran parte della sua fama infatti gli deriva, soprattutto, dalle riforme sociali che introdusse allo scopo di sviluppare lo studio della matematica in Giappone e di renderlo ampiamente accessibile.
Considerando il fatto che Seki sviluppò molti concetti matematici allo stesso tempo e anche prima dei matematici in Europa, perché i giapponesi abbandonarono lo stile Wasan al contatto con l'Occidente? 
In che senso la matematica occidentale era "superiore" a quella Wasan? 
                          
Va ricordato che il termine Wasan , da wa ("giapponese") e san ("calcolo"), fu coniato nel 1870²  e impiegato per distinguere la teoria matematica giapponese originaria dalla matematica occidentale (洋 算yōsan).
Questo schema matematico, evolutosi durante un periodo Edo (1603-1867) in cui il popolo giapponese era isolato dalle influenze europee, fu introdotto da Kambei Mori che è stato il primo matematico giapponese noto nella storia. 
Kambei è conosciuto soprattutto come insegnante di matematica giapponese che, tra i suoi studenti più importanti, istruì Yoshida Shichibei Kōyū , Imamura Chishō e Takahara Kisshu, studenti che vennero chiamati dai loro contemporanei "i tre aritmetici".


Promulgazione della Costituzione Meiji, xilografia in stile ukiyo-e di Yōshū Chikanobu, 1889

Quando all'inizio del periodo Meiji (1868-1912), il Giappone e la sua gente si aprirono all'Occidente e gli studiosi giapponesi adottarono la tecnica matematica occidentale, questo portò a un calo di interesse per le idee usate in Wasan . 

Molto probabilmente una delle principali differenze tra la matematica giapponese e la matematica occidentale sta nel contesto in cui sono state sviluppate. 

Ad esempio, è vero che Seki Kowa ed i suoi seguaci hanno sviluppato un sofisticato metodo equivalente al calcolo di Newton e Leibniz, ma lo hanno applicato solo a indagini geometriche, come la ricerca di aree e volumi. 

Newton invece sviluppò il calcolo allo scopo di descrivere una teoria fisica, la teoria della gravità. 
In Occidente gran parte dello sviluppo della matematica fu in questo periodo motivata da domande che sorgevano in fisica e  che riguardavano forze e quantità non facilmente visualizzabili, come energia e quantità di moto, e quindi sorse un nuovo livello di astrazione della matematica, mentre in Giappone la matematica rimase focalizzata sulla soluzione di problemi geometrici che potevano essere facilmente visualizzati ed essere esteticamente piacevoli. 
Il più alto livello di astrazione in matematica ha dato un maggiore potere di risoluzione dei problemi e ha aperto nuove strade per l'esplorazione matematica. 
È per questo motivo che credo che, sebbene Wasan e la matematica occidentale fossero alla stessa altezza all'inizio del XVIII secolo, la matematica occidentale accelerò il suo sviluppo e acquisì molto più prestigio della matematica del Giappone, proprio agli albori della modernizzazione giapponese.


Note

¹ Citazione da
https://web.archive.org/web/20040407050516/http://www-gap.dcs.st-and.ac.uk:80/~history/Quotations/Seki.html
² da Helaine Selin - Enciclopedia della storia della scienza, tecnologia e medicina nelle culture non occidentali  (p. 641 su Google Libri). 
Helaine Selin (nata nel 1946) è una scrittrice americana, autrice  di numerosi best seller 
³ Il lettore interessato ad approfondire il calcolo con i sangi può trovare diverse spiegazioni nella pagina di wikipedia dedicata al rod calculus. 




La luce magica dei solidi in cristallo di Jack Storms

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"Quando non c’è luce non c’è colore, non c’è forma, non c’è vita"
(Michelangelo Merisi detto il Caravaggio 1571 - 1610)


I solidi in cristallo, che magicamente creano uno spettacolo ipnotico di luci con colori di fuoco e ghiaccio, sono tra le opere dello scultore californiano Jack Storms



La magia della luce, che dà colore, forma e vita, emana da queste sculture realizzate con tre diversi tipi di vetro, cristallo al piombo, cristallo ottico e vetro dicroico, che Jack Storms plasma con una tecnica unica e sorprendente, un processo a "vetro freddo".
Processo che Jack apprende durante il suo anno da studente alla Plymouth State University e che richiede molto più impegno rispetto alla lavorazione del "vetro a caldo" dei soffiatori di vetro, che plasmano il pezzo mentre il vetro si scioglie.
Come ci racconta sul suo sito web, Jack apprese il processo del "vetro freddo", cioè di unire il cristallo al piombo con il vetro dicroico, da un artista del vetro nel New Hampshire. "Lavorando fianco a fianco con l'artigiano per oltre un anno, ho imparato ogni componente e sfaccettatura di questa forma d'arte incredibilmente difficile e rara e alla fine sono diventato uno scultore abbastanza abile da potermi esprimere  da solo ed aprire nel 2004 lo StormWorks Studio"
L'artista dopo qualche anno, nel 2013, ha trasferito quindi il suo studio a Valencia, in California, dove ha ampliato le sue attività e ha aperto Storms Publishing.


 
Video Viv Storms Fine Jewelry by Jack Storms

Questi pezzi scolpiti a mano e splendidamente riflettenti iniziano con un nucleo di frammenti di vetro dicroici di cui ogni faccia viene lucidata e laminata fino a brillare come uno specchio. Questo nucleo viene poi avvolto e scolpito, in vetro ottico che rifrange la luce e che passa attraverso i pezzi e crea un ulteriore spettacolo di luci.
Quindi tutto inizia al centro. 
Lavorando con blocchi di cristallo al piombo, li taglia più volte, levigando e lucidando ogni fetta. Poi, con la precisione di un chirurgo, inserisce tra di loro un vetro dicroico in ogni fase, fermandosi per incollarli e levigarli prima di ripetere il processo. 
Il risultato finale? 
Sculture di vetro a forma di cubi, uova e persino bicchieri di champagne e bottiglie di vino, che ostentano un'esposizione caotica di colori, pezzi che non solo attirano l'attenzione ma che ipnotizzano ed emozionano.


Bella Vino Chardonnay by Jack Storms

Ognuna delle sculture di Jack Storms inizia quindi al centro, da un nucleo centrale, e poi l’artista esegue dei tagli, delle riduzioni, delle aggiunte, frantuma, lucida e assembla insieme il vetro centinaia di volte fino a che non riesce ad ottenere il core design che sta cercando. 
Core design che dipende anche da una "magica" relazione matematica.
Jack è noto infatti per l’utilizzazione della serie di Fibonacci come riferimento per tutti i disegni delle sue realizzazioni in vetro e quindi il suo lavoro richiede sia creatività artistica che esattezza matematica. 
Ma cosa c'entra Fibonacci?
E' proprio seguendo la sequenza di Fibonacci, e quindi il perfetto rapporto di proporzioni che ne deriva, che Jack fa sì che un pezzo di vetro riesca a catturare ed emanare luce e bellezza oltre la nostra immaginazione.


Featured Lumiere by Jack Storms 

In effetti, la sequenza di Fibonacci, che genera il rapporto aureo, è sempre stato uno strumento importante nell'arte ed è stata utilizzata da molti artisti e architetti come Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, Le Corbousier....ma forse mai per captare in un modo così perfetto la luce e creare effetti così sorprendentemente ipnotici e affascinanti.
Stiamo parlando del rapporto aureo, il "Φ", uno dei numeri irrazionali più affascinante, stiamo parlando del "numero d'oro", del "numero magico", del "golden ratio" che è veramente unico nelle sue proprietà matematiche e che pervade l'arte, l'architettura e il design, la musica, la finanza...e tutta la natura stessa. 
Le prime applicazioni del rapporto aureo, risalgono a 5000 anni fa, agli antichi Egizi, anche se non ne è stata ritrovata una precisa definizione, poi furono i Greci, 3000 anni fa, a introdurre per primi il concetto di "sezione del segmento in media ed estrema ragione", terminologia originaria che fu in seguito abbreviata nel solo termine sezione, "sezione aurea". 
Ma il vero trionfo della sezione aurea nell’ arte si ebbe nel Rinascimento quando rappresentò per tutti gli artisti di quel periodo un canone di bellezza cui ispirarsi.
Il primo incontro con la "divina proportione" in genere avviene in Geometria. 
Trattasi infatti della proposizione 11 del libro II degli Elementi di Euclide che recita così: 
 "Come dividere un segmento in modo che il rettangolo che ha per lati l’ intero segmento e la parte minore sia equivalente al quadrato che ha per lato la parte maggiore”.
Ma Φ può essere approssimato, con crescente precisione, anche dai rapporti fra due termini successivi della successione di Fibonacci, a cui è appunto strettamente collegato.
Leonardo Pisano, noto anche con il nome di Fibonacci, visse tra il XII il XIII secolo, uno dei più grandi matematici del Medioevo, ideò una successione  di numeri interi positivi, definita per ricorrenza, in cui ciascun numero è la somma dei due precedenti e i primi due termini della successione sono per definizione F1=1 e F2=1.
Tale successione ha quindi una definizione ricorsiva secondo la seguente regola:
F1=1
F2=1
Fn=F{n-1}+F{n-2}
1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144,..ad infinitum 


Fibonacci, la sua serie e il rapporto "Φ"

Qui non voglio dilungarmi sulla sequenza di Fibonacci (lascio un link per i più curiosi) ma, anche attraverso video suggestivi, vorrei tornare a parlare delle meravigliose forme scultoree in vetro che da questo perfetto "rapporto aureo" traggono origine. 

Iniziamo con il Chroma Cube.

Chroma Cube by Jack Storms

Il cubo è una forma geometrica ordinaria conosciuta in tutto il mondo, ma la scultura cubica di Jack Storm è tutt'altro che ordinaria. 
Il Chroma Cube è realizzato con il miglior cristallo ottico al piombo e vetro dicroico, è stato meticolosamente tagliato e lucidato e, presentando oltre trecento tagli, brilla come un grande diamante e la sua bellezza e complessità ne fanno una delle sculture più ricercate di Jack Storm.


Video Chroma Cube by Jack Storms


Un'altra stupenda opera è quella chiamata Full Core Cirque

Full Core Cirque by Jack Storms

In quest'opera l'artista crea una sorta di contrasto tra il nucleo e la corona circolare dell'esterno, che attrae l'occhio in un gioco di visioni alterne dal centro al contorno.


Video Full Core Cirque by Jack Storms

Ed ora la suggestiva Chroma Spherix.

Chroma Spherix by Jack Storm

Chroma Spherix si può definire un sogno a lungo immaginato da Jack che ha sempre desiderato creare i suoi nuclei di cristallo in sfere, ma che non era mai riuscito con i mezzi che aveva per modellare il vetro. 
Finalmente Jack ha ideato gli strumenti e la tecnica per realizzare la sfera, inventando un tornio che gli ha permesso di trasformare il vetro come il legno, ed è così nato questo capolavoro che attira la luce in ogni direzione brillando come il sole.
"I use a cutting edge medium to make organic and familiar things", ha spiegato a proposito del processo di trasformazione del vetro sul tornio. 


Video Chroma Spherix by Jack Storms


E infine lo spettacoloso Möbius

 Möbius by Jack Storms 

Nel Möbius ogni angolo visualizzato offre una resa visiva spettacolare e sempre diversa. 
Il Möbius inspiegabilmente ha un solo smusso che racchiude l'intero pezzo, senza inizio e senza fine e c'è una tale transizione tra le forme che l'effetto del gioco di luci diventa particolarmente ipnotizzate.


Video Möbius by Jack Storms

Concludo questo meraviglioso viaggio di luce e colori con un video che spiega come Jack Storms crea i suoi capolavori di vetro, le opere d'arte che possono richiedere da 8 a 18 settimane per essere completate dall'inizio alla fine, comportando un grande dispendio di lavoro, perfezione e pazienza.
Operando con tre diversi tipi di vetro, cristallo ottico, cristallo al piombo e vetro dicroico, Jack taglia e impila frammenti di vetro dicroico e li incolla con una speciale resina epossidica bicomponente per ottenere un "look core fluttuante", quindi sovrappone il vetro o il cristallo intorno alla prima struttura, quindi la elabora a mano in una forma specifica. Possono quindi essere necessarie più di dieci settimane per produrre un pezzo. 
Ma poiché Jack è alla continua ricerca della perfezione, il processo di ideazione grafica, di lucidatura, di assemblaggio di affilatura e riaffilatura, di recisione sono passaggi necessari che attua con la massima dedizione e il massimo impegno.


Video Glass Sculpture by Jack Storms

Nel 2011, la Harrington Art Partnership ha incaricato Storms di creare una grande campana di vetro per l'esposizione pubblica al Firehouse Arts Center di Pleasanton, in California. 
La Firehouse Crystal Bell, pesante 500 libbre e alta mezzo metro, è un'allusione alla storia della galleria d'arte come prima stazione dei pompieri della città ed è stata creata in parte anche per onorare i pompieri del passato. 
La campana è composta da oltre ottomila pezzi di vetro e Storms ha impiegato circa due anni per concluderla.


Firehouse Crystal Bell by Jack Storms

Nel 2012, Douglas Biro ha commissionato a Storms la creazione di un'opera d'arte per commemorare lo storico trionfo di Derek Jeter, interbase, capitano e bandiera dei New York Yankes, l'u0mo che nel 2009 ha trascinato la squadra di baseball della Grande Mela al trionfo nelle World Series, evento che non accadeva dal lontano 2000. 
E' nata così, 3000 Hits Baseball Bat, la mazza da baseball in cristallo ottico, progettata con tremila pezzi di vetro. 
L'opera è di proprietà privata ed è conservata nella casa di Jeter. 


3000 Hits Baseball Bat by Jack Storms 

Recentemente il Rotary Club Carmel Valley ha incaricato Storms di creare una scultura in dono al presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo per celebrare l'apertura della prima banca del sangue in Africa.
Prima banca del sangue nata soprattutto grazie all'impegno di una donna Giwa-Tubosun il cui lavoro le è valso una nomination per il 2014 nella "100 Women List" della BBC.


Fonti

Notizie e immagini dal sito ufficiale di Jack Storms
https://jackstorms.com/
Video dal canale youtube di Jack Storms
https://www.youtube.com/user/glasssculptor/videos?disable_polymer=1






Dallo stemma dei Borromeo alla teoria dei nodi

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"Le nœud borroméen permet de tenir ensemble les troi registres, Réel, Symbolique, Imaginaire. Il n’y a aucune préséance d’un registre sur les autres. R,S,I ils ont même valeur et en même temps il faut les distinguer." 
(Jaques Lacan 8 juillet 1953 a la Société Française de Psychanalyse - Paris)¹ 

Link è una parola che ormai tutti usiamo spessissimo e che, in inglese, ha il significato di catena, collegamento, legame. 
Nel web, sta a indicare un collegamento tra pagine diverse (collegamento ipertestuale), ma in matematica, e più precisamente nella teoria dei nodi, un link è una collezione di nodi nello spazio.
Ma i link o i nodi cosa c'entrano con i Borromeo?


Stemma dei Borromeo sul palazzo settecentesco di via Manzoni 39 a Milanoi 

Girando per Milano e in Lombardia capita di ammirare le dimore, palazzi e castelli, della famiglia Borromeo che,  originaria di San Miniato in Toscana, divenne un'importante famiglia della nobiltà milanese e che per secoli ebbe forte influenza sulla città di Milano e sulle zone del Lago Maggiore (il cosiddetto "Stato Borromeo").
E come ogni casata che si rispetti ha il suo stemma su cui, tra gli altri simboli, come l’unicorno, il cammello o il cedro...troneggiano i tre cerchi a punta di diamante intrecciati, in modo tale che spezzandone uno anche gli altri due si disgiungano, simboleggiando l’unione indissolubile tra Borromeo, Sforza e Visconti
Gli "anelli o cerchi di Borromeo"è quindi un esempio di link con tre componenti, ciascuna delle quali è un nodo banale (cioè sciolto) e "link borromeo" (più erroneamente ma comunemente detto "nodo borromeo") deve il suo nome proprio al simbolo araldico fatto risalire alla persona di Federico Borromeo, cardinale e arcivescovo di Milano, che lo scelse appunto come suo emblema, simbolo della dinastia borromea e, data la sua religiosità, i tre anelli potrebbero rappresentare anche la trinità cristiana.


Il settecentesco palazzo Borromeo di via Manzoni 39 a Milanoi 

Sul "nodo borromeo" si è particolarmente focalizzato l'interesse di Jaques Lacan, psichiatra e filosofo francese, che ipotizzò una relazione tra Reale, Simbolico e Immaginario, ponendo questi tre concetti come le tre dimensioni dello spazio abitato da chi parla. 
Anche queste tre dimensioni infatti sono caratterizzate dal legame particolare, che nessuna delle tre può esistere senza le altre due. 
La particolarità sta quindi nel fatto che il punto di incastro non segue più un ordine, dal Reale all’Immaginario con al centro il Simbolico, poiché tutti gli anelli possono diventare centrali e avere le peculiarità dell’anello di mezzo. 
Fra gli anelli non vige una scansione gerarchica, dal migliore al peggiore o dal più al meno efficace e ognuno ha la sua importanza in rapporto agli altri due.
La particolarità degli anelli del "nodo borromeo"è proprio quella di essere indispensabili per l’unità del link, cioè per l'unità della collezione di nodi nello spazio, ma uniti in modo tale che se uno di essi qualsiasi viene sfilato anche gli altri due si liberano.


Jaques Lacan disegna il suo "nodo borromeo"
Schema a "nodo borromeo" tratto dai seminari del mercoledì, tenuti da Jaques Lacan a Parigi dal 1953 fino al 1980

Quando si parla di "nodo borromeo" si intende quindi un link formato da tre anelli che rimane unito poiché questi sono legati a tre e, essendo a due a due scollegati, basta che uno venga tagliato che il vincolo che li unisce si sciolga. 
Il "nodo borromeo" si presta quindi a divenire simbolo di soggetti diversi, ma nello stesso tempo collegati, senza che nessuno possa assumere le caratteristiche di anello centrale, posto fra gli altri due.
I soggetti di questo link quindi possono essere altri come Corpo, Mente e Psiche.
Tutti  e tre possono rappresentare il medio del legame, poiché ognuno dei tre potrà assumere le caratteristiche di anello centrale, posto fra gli altri due.
Gli "anelli di Borromeo" sono quindi un modo per ben simboleggiare queste tre componenti che devono essere si analizzate singolarmente ma che nello stesso tempo devono coesistere considerando il fatto che si deve far in modo che quella presa in considerazione continui ad essere influenzata dalle altre.
In questo caso quindi il link sta a simboleggiare che il benessere dell’uomo è garantito dall’equilibrio delle tre componenti, che sono indispensabili e quindi non disgiuntibili.
- Corpo, insieme delle caratteristiche fisiche, biologiche e meccaniche percettibili con i sensi
- Mente, l’insieme delle capacità del cervello caratteristiche dell’essere umano, come la sensazione, il pensiero, l’intuizione, la ragione, la memoria e la volontà
- Psiche, l’astrazione concettuale che include facoltà intellettive conoscitive e la coscienza, non solo fattori razionali ma anche irrazionali come l’inconscio o il concetto filosofico-religioso di anima.
Un dibattito, iniziato nell’antichità, che continua ancora oggi tra i numerosi studiosi che si interrogano sul rapporto che lega il Corpo, la Mente e la Psiche, un legame a tre componenti sciolte.


Il Tempietto del Santo Sepolcro è una delle meraviglie che Leon Battista Alberti, matematico, umanista, 
filosofo, architetto, musicista, scrittore e molto altro, realizzò per il potente mecenate Giovanni Rucellai (1403-1481) come  sacello a riproduzione del Santo Sepolcro conservato nell’Anastasis di Gerusalemme. 

Un altro esempio di "link a tre componenti", il cui significato simbolico è legato alle imprese personali dei Medici (Lorenzo il Magnifico, Piero e Casimo), sono i tre anelli con diamante intrecciati, sempre con una disposizione triangolare che si trovano a Firenze.
Una delle 30 formelle che adornano il tempietto del Santo Sepolcro, opera di Leon Battista Alberti e collocato nella cappella annessa alla ex-chiesa di san Pancrazio, è costituita da tre anelli col diamante, intrecciati secondo una disposizione triangolare. 
Si noti però che questo link non ha la proprietà di unità e dissociazione degli anelli di Borromeo, infatti, in questo caso, gli anelli sono tutti intrecciati tra loro, anche a due a due.

Aldilà della simbologia araldica o filosofica, il "link borromeo", a partire dalla metà del XX secolo, diventa il paradigma del progresso scientifico e gli "anelli di Borromeo" nella forma più schematica è stato adottato anche come logo dell'Unione Matematica Internazionale (IMU

Questo è un logo di proprietà di International Mathematical Union (IMU)

 Gli "anelli borromei" possono essere disposti in maniere molto "simmetriche": ad esempio, possono essere
realizzati con tre curve piane disposte su tre piani a due a due ortogonali fra loro

Di questo stretto legame col progresso scientifico ne parlò in un articolo, apparso il 28 maggio 2004 sulla prestigiosa rivista americana "Science", dal titolo "Molecular Borromean Rings", Kelly S. Chichak1 (insieme a Stuart J. Cantri  e ad altri scienziati dei dipartimenti di chimica e biochimica delle Università di California e Missouri, candidati al Premio Nobel)dove inizialmente si legge:

"Un oggetto di particolare interesse nella teoria dei nodi è noto come "anelli Borromean" (BRs). Esso si presenta nella topologia a bassa dimensionalità ed è formato da tre anelli interbloccati in modo tale che la scissione di un qualsiasi anello porti agli altri due a cadere a pezzi. Sebbene questo simbolo possa essere rintracciato già nell'iconografia paleocristiana e nella mitologia nordica, la sua proliferazione su stemmi e statue commissionate dalla famiglia Borromeo nella Toscana del XV secolo ha segnato il suo destino etimologico. 
Oltre al fatto che il simbolo ha fatto incursioni culturali nell'arte, nella teologia e nell'araldica, l'ultimo secolo ha visto la sua comparsa sull'orizzonte scientifico nella fisica delle particelle e il magnetismo,  fino ad assumere un ruolo vitale nella modellizzazione di processi di sintesi chimica e di aggregazione molecolare"

Da questo articolo si capisce quindi come gli "anelli di Borromeo molecolari" siano esempi di molecole meccanicamente interconnesse nei quali tre macrocicli sono legati in maniera che rompendone uno qualsiasi si permette ai restanti di dissociarsi. 
È ritenuto quindi il più piccolo esempio  di "link borromeo". 
La loro sintesi è stata riportata per la prima volta proprio nel 2004 dal gruppo J. Fraser Stoddart² ed è conosciuto come borromeato il composto di tre macrocicli interpenetrati formati dalla reazione tra 2,6-diformilpiridina composti diamminici, complessato con ioni zinco.
Ha assunto così un ruolo vitale nella modellizzazione di processi di sintesi chimica e di aggregazione molecolare.

Vorrei ora soffermarmi però proprio sui termini nodo e link, per introdurre la cosiddetta teoria dei nodi.



Nodo banale (due rappresentazioni)
Nodi primi fino a sette incroci

La teoria dei nodi è una branca della topologia, a sua volta branca della matematica, che si occupa di nodi, ovvero di curve chiuse intrecciate nello spazio. 
La teoria ha applicazioni in fisica subatomica, chimica supramolecolare e biologia.
Per i suoi stretti legami con lo studio delle varietà di basse dimensioni (1, 2, 3 e 4), la teoria dei nodi è spesso considerata una branca della topologia della dimensione bassa.
Benché intuitiva, la definizione matematica di nodo presenta delle piccole sottigliezze e si possono scegliere essenzialmente due definizioni:
- un nodo può essere definito come una linea spezzata chiusa 
- un nodo può essere definito come una curva differenziabile nello spazio 
e si definisce quindi una nozione appropriata di equivalenza fra nodi. 


Link a 2,3,4,5 componenti

Un link è una unione finita disgiunta di nodi e più precisamente, nella teoria dei nodi, un link è una collezione di nodi nello spazio.
Più formalmente, un link è un insieme finito di curve semplici chiuse disgiunte nello spazio euclideo tridimensionale e tali curve sono supposte differenziabili.
Due link sono ritenuti equivalenti se sono collegati da una isotopia, ovvero da un movimento continuo del link che (a differenza dell'omotopia) richiede che il link "resti tale" ad ogni istante. Tramite la nozione di isotopia, il link modellizza l'idea di un certo numero di elastici flessibili, possibilmente annodati fra loro, che possono essere deformati ma non tagliati né reincollati.


Esempi di nodi e link

Un primo accenno di sistematizzazione della teoria dei nodi venne fatto da Alexandre-Théophile Vandermonde (1735-1796), il matematico che introdusse il determinante, nel XVIII secolo, ma a parte rari sprazzi, si dovette attendere la fine del XX secolo per vedere la teoria dei nodi trovare una formalizzazione, anche in conseguenza della sua importanza in fisica teorica, per l'elaborazione delle teorie note collettivamente come teoria delle stringhe.

Il primo impiego in fisica è però dovuto a William Thomsonossia Lord Kelvin che, in pieno dibattito tra teoria ondulatoria e corpuscolare, propose nel 1867 i “vortex atoms”, atomi vortice o mulinello, formati da un'onda intrecciata in un nodo chiuso (come quello in figura  (c) il nodo a trifoglio).
Annodandosi in maniere più o meno complicate, si determinerebbero le proprietà chimico-fisiche degli atomi, concetto che, traslato alle particelle subatomiche e allo spaziotempo, si potrebbe identificare nella teoria delle stringhe. 
Le molecole deriverebbero quindi dall'unione dei nodi.
In realtà i nodi sono un caso particolare di link, ossia curve chiuse intrecciate nello spazio, che a differenza dei nodi  possono essere formati da più curve. 
Le molecole di Thomson sarebbero dunque dei link.
Per sviluppare la teoria era necessario però stabilire quali fossero i diversi tipi possibili di nodi e una tale classificazione avrebbe fornito una classificazione degli atomi, associando a ogni tipo di nodo un particolare atomo. 
I legami fra atomi sarebbero dunque stati spiegati da reciproci annodamenti, senza bisogno di far intervenire speciali forze atomiche.

La proposta stimolò uno studio dei tipi più semplici di nodi e un seguace di Lord Kelvin, Peter Guthrie Tait si pose quindi il problema della classificazione dei nodi. 
Egli considerò solo i nodi alternati, ossia quelli in cui il filo passa alternativamente sopra e sotto ogni incrocio e nel 1899 lo statunitense Charles Newton Little espanse la classificazione ai nodi non alternati, fino a 10 incroci.

La teoria di Thomson, che a taluni potrebbe apparire bizzarra, ai tempi in cui fu formulata era capace di spiegare molti dati sperimentali, ma cadde in disuso quando nella prima metà del ’900 Niels Bohr propose invece di considerare gli atomi come sistemi solari in miniatura, tenuti insieme da forze analoghe a quella gravitazionale.
La teoria dei nodi ebbe dunque nuova vita solo nel ’900 quando se ne intuirono le potenzialità come strumento applicabile anche in altre aree scientifiche come la fisica e la biologia. 
Nonostante i grandi sviluppi degli ultimi anni, il problema principale resta una classificazione completa dei nodi ed è quindi lecito affermare che la storia dei nodi non è ancora conclusa.

Come ultima curiosità legata al "link borromeo" lascio tre immagini che permettono di costruire con tre braccialetti (in questo caso, ma potrebbero essere semplicemente tre spaghi) questo affascinante legame dei tre "cerchi dei Borromeo".


Due anelli slegati vengono uniti a un terzo che passa sopra all'anello di destra
 e sotto a quello di sinistra 
Chiudendo il terzo anello si ottiene il "link borromeo" 
Si costruisce così il "link borromeo" con tre miei braccialetti -  © Annalisa Santi 2018




Note

¹ "Il nodo Borromeo permette di tenere insieme i tre registri, Reale, Simbolico, Immaginario.
Non c'è la precedenza di un registro sugli altri. R, S, I hanno lo stesso valore e allo stesso tempo devono essere distinti."
(dal discorso di apertura "Le symbolique, l’imaginaire, le réel" di Jaques Lacan, 8 luglio 1953, alla Società Francese di Psicoanalisi di Parigi)

² Sir James Fraser Stoddart (Edimburgo, 24 maggio 1942) è un chimico britannico, attivo nel campo della chimica supramolecolare e della nanotecnologia, già vincitore nel 2008 della Medaglia Davy e vincitore del premio Nobel per la chimica nel 2016 assieme a Jean-Pierre Sauvage e Ben Feringa per la progettazione e la sintesi di macchine molecolari. 


Fonti

Per la teoria dei nodi e per le immagini ho fatto riferimento al programma KnotPlot , un programma ideato dal canadese Robert Glenn Scharein, del dipartimento di matematica dell'Università dello Utah, per la visualizzazione interattiva e l’elaborazione di nodi 3D e 4D.





L'equazione su una tomba…l’epitaffio di Diofanto!

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"Οὑτός τοι Διόφαντον ἔχει τάφος· ἆ μέγα θαῦμα! καὶ τάφος ἐκ τέχνης μέτρα βίοιο λέγει"
"Questa tomba rinchiude Diofanto e, meraviglia! dice matematicamente quanto ha vissuto"



Diofanto di Alessandria (in greco: Διόφαντος ὁ Ἀλεξανδρεύς) fu un grande matematico greco e, anche se della sua vita si sa ben poco e pare sia vissuto nel periodo tra il II e il III secolo d.C. ad Alessandria d'Egitto in epoca romana, alcuni ritengono che sia stato l'ultimo dei grandi matematici ellenistici. 
In un epigramma della “Antologia Palatina”, attribuito a Metrodoro di Bisanzio¹, grammatico e aritmetico vissuto nel VI secolo d.C., si legge una curiosa indicazione dalla quale è possibile trarre l’età del grande matematico greco Diofanto.
L'indovinello che, secondo la leggenda, Diofanto  stesso volle venisse scritto sulla propria tomba sotto forma di epitaffio, è un problema aritmetico proposto sotto forma appunto di epigramma², e che fa parte della raccolta di 45 indovinelli, corrispondenti ad equazioni di primo grado ad un’incognita, che l'epigrammista greco Metrodoro incluse nell’Antologia Greca. 
Infatti il libro XIV dell'Antologia Palatina³ contiene 150 epigrammi, di cui 45 sono i problemi aritmetici raccolti da Metrodoro. 


Immagine presunta di Diofanto ed edizione del 1621 della Arithmetica di Diofanto, 
tradotta a Parigi in latino da Claude Gaspard Bachet de Méziriac.

Ma cosa dice l'indovinello? 
Ecco il testo greco che ci svelerebbe la sua età:

"Οὑτός τοι Διόφαντον ἔχει τάφος· ἆ μέγα θαῦμα!
καὶ τάφος ἐκ τέχνης μέτρα βίοιο λέγει.
Ἕκτην κουρίζειν βιότου θεὸς ὤπασε μοίρην,
δωδεκάτην δ'ἐπιθείς μῆλα πόρεν χνοάειν·
τῇ δ'ἄρ'ἑβδομάτῃ τὸ γαμήλιον ἥψατο φέγγος,
ἐκ δὲ γάμων πέμπτῳ παῖδ'ἐπένευσεν ἔτει.
Αἰαῖ, τηλύγετον δειλὸν τέκος, ἥμισυ πατρός
σοῦ γ'ἐκάης δυεροῦ μέτρον ἑλὸν βιότου.
Πένθος δ'αὖ πισύρεσσι παρηγορέων ἐνιαυτοῖς
τῇδε πόσου σοφίῃ τέρμ'ἐπέρησε βίου."

Ed ecco il testo tradotto in italiano:

"Questa tomba rinchiude Diofanto e, meraviglia!
dice matematicamente quanto ha vissuto.
Un sesto della sua vita fu l'infanzia, (1/6x)
aggiunse un dodicesimo perché le sue guance si coprissero della peluria dell'adolescenza. (1/12x)
Dopo un altro settimo della sua vita prese moglie, (1/7x)
e dopo cinque anni di matrimonio ebbe un figlio. (5)
L'infelice (figlio) morì improvvisamente quando raggiunse la metà dell'età che il padre ha vissuto. (1/2x)
Il genitore sopravvissuto fu in lutto per quattro anni (4)
e raggiunse infine il termine della propria vita." (x)

Ma allora quanti anni visse Diofanto?

Per conoscere questa età si può tradurre in equazione l’epitaffio indicando con x l’età di Diofanto e si ha:


da cui, con facili calcoli, si ricava x, cioè l'età di Diofanto.
Riducendo infatti i due membri dell’equazione allo stesso denominatore (84) si ha:

14x + 7x + 12x + 420 + 42x + 336 = 84x

ossia

84x - (14x + 7x + 12x + 42x) = 420 + 336

da cui

9x = 756

da cui

x = 756/9

da cui

x = 84

Diofanto visse quindi 84 anni! 
Soluzione che l’autore dell’Antologia Greca, Metrodoro di Bisanzio, non dà, ma che avrebbe sicuramente saputo ottenere.



Note 

¹ Metrodoro (di Bisanzio ?), epigrammista greco, anteriore alla seconda metà del sec. 6º d. C., di cui si hanno nell'Antologia Palatina parecchi epigrammi: iscrizioni funerarie, descrizioni di statue, problemi matematici versificati, interessanti per la storia dell'insegnamento della matematica.
² L'epigramma è una breve ed agile composizione in versi che ebbe un notevole uso nellaGrecia antica.
³ L'Antologia Palatina è una raccolta di circa 3700 epigrammi divisi in 15 libri. Fu scoperta nel 1606 da Claude de Saumaise in un codice dell'XI secolo conservato nella Biblioteca Palatina di Heidelberg. Oggi il codice si trova in parte a Heidelberg e in parte nella Biblioteca Nazionale di Parigi, portatovi da Napoleone Bonaparte.
Ciascun libro è dedicato ad un determinato argomento.
In particolare, il libro XIV offre ai lettori un gruppo di variopinti problemi aritmetici, assieme a numerosi indovinelli e oracoli.



La matematica del Natale...tra libri e sfere temari

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La matematica non è certamente la prima cosa a cui si pensa durante le vacanze e le feste di Natale, neanche al secondo o al terzo posto o forse nemmeno all'ennesimo (dove n è un numero intero positivo arbitrariamente grande).





Per una buona percentuale della popolazione, come ha purtroppo dimostrato recentemente anche il discorso del giornalista e conduttore Enrico Vaime (qui il testo e i simpatici e pungenti commenti di due matematici, Sandra Lucente e Pietro Di Martino e qui quello di Maurizio Codogno), equazioni, calcoli e geometria sembrerebbero cose da evitare del tutto. 
Con tutti gli acquisti di regali, l'invio di auguri, le feste con amici, familiari e colleghi di lavoro, la matematica parrebbe essere la cosa più lontana dalle nostre menti.
Eppure la matematica ci potrebbe aiutare a fare l'albero di Natale "perfetto"  o a dimostrare l'"esistenza" di Babbo Natalecome spiegai in due post, sempre dedicati alle feste natalizie, degli anni passati.





Pensando e ripensando come porre rimedio a questa mancanza di passione matematica che spesso diventa "analfabetismo matematico" avrei trovato una "piccola soluzione".
Se per il giorno di Natale ci aspettiamo regali ben lontani dalla Matematica, per la Vigilia potremmo invece incominciare ad adottare una bellissima tradizione islandese, quella di scambiarsi nella notte di vigilia, quindi tra il 24 e il 25 dicembre, un piccolo libro e anzi, io direi, un piccolo libro di matematica.

Piccoli libri divertenti da leggere sorseggiando una buona tazza di cioccolato, come da tradizione del "Jolabokaflod" (o "Christmas Book Flood" o "Un'inondazione di libri per Natale"), che ci spiegassero, divertendoci, magari come un'applicazione dei Solidi Platonici in una guida step-by-step e in un linguaggio semplice, possa portare alla creazione di una stella a 20 punte dell'icosaedro, un grazioso ornamento natalizio a forma appunto di stella.
Se vi va l'idea di costruire subito una stella icosaedrica, senza aspettare alla Vigilia il libretto, potete trovare un valido aiuto qui dove viene spiegato step-by-step come fare un icosaedro, in sei passaggi e con grande semplicità, oppure qui , la stella icosaedrica più complessa, ma di più effetto e con tutti i calcoli matematici del caso.



Icosaedro 

A questo punto non posso però non fare una piccola digressione sui Solidi Platonici.
Si perché la stella a 20 punte si ottiene dall'icosaedro che fa parte dei  Solidi Platonici, che devono il loro nome alla descrizione che ne fa Platone (vissuto tra il 428 e il 327 a.C.) nel dialogo “Timeo”.
Caposaldo della cultura occidentale di ogni epoca, l’opera di Platone diviene paradigmatica anche in questo caso, determinando la fortuna di queste particolari figure geometriche che assumono il nome del loro divulgatore.
Platone infatti non fu il primo a occuparsi di queste figure geometriche, benché ne abbia dato un’interpretazione speciale.
I loro primi studiosi furono i Pitagorici e, in seguito e in maniera più sistematica, Teeteto, contemporaneo dello stesso Platone.




I Solidi Platonici vengono chiamati anche Poliedri Regolari, soprattutto in ambito matematico, oppure, specialmente quando gli autori si rifanno all’antichità, Figure Cosmiche.
Figure Cosmiche perché Platone stesso le associò ai quattro elementi fondamentali Terra, Acqua, Aria e Fuoco.

Alla Terra, immobile, plastica e solida, è legato l’Esaedro.
L’Esaedro, chiamato anche Cubo è formato da sei quadrati.

All’Acqua si associa l’Icosaedro, definito come la forma meno mobile dopo il Cubo, la più grande e la meno acuta.
L’Icosaedro è formato da venti triangoli equilateri.

All’Aria si collega l’Ottaedro, forma intermedia per mobilità, grandezza e acutezza.
L’Ottaedro è formato da otto triangoli equilateri.

Al Fuoco si unisce il Tetraedro, la forma più mobile, piccola e acuta delle tre.
Il Tetraedro che viene detto anche Piramide a base triangolare è formato da quattro triangoli equilateri.

E il Dodecaedro?
Platone, nel "Timeo", si limita a un breve accenno riguardo al Dodecaedro, non rivelandone il nome e limitandosi a far dire a Timeo che “il dio se ne servì per decorare l’universo” ovvero “ricamare le costellazioni sull’insieme dei cieli” tanto che può essere forse associato a un quinto elemento che li comprende tutti.
Elemento che sarà successivamente definito, dagli studiosi, come Etere e chiamato perciò anche Quintessenza.





Ritornando ai nostri piccoli libri, questi potrebbero anche spiegarci che le applicazioni della matematica al Natale possono essere diverse e farci capire e risolvere tanti piccoli problemi: come l'economia negli acquisti dei regali, o la teoria dei giochi come strategia per vincere a Monopoli o ad altri giochi, o l'ottimizzazione dei modi per tagliare un panettone o la teoria combinatoria per gestire l'assegnazione dei regali ad amici, parenti e colleghi senza rischiare doppioni o ricicli sbagliati. 
E che dire dell'applicazione delle catene di Markov  per simulare l' annuale discorso di Natale del Presidente della Repubblica?
Di questo, che trovo davvero comico, ne parlano in un libretto (loro ovviamente parlano del discorso della Regina), uscito recentemente (sempre purtroppo solo in inglese "The Mathematics of Christmas"), Hannah Fry e Thomas Oléron Evans, due matematici che, con umorismo ma anche rigore, cercano di diffondere la matematica.
E Hannah Frey è la stessa autrice di un altro libro, "The Mathematics of Love", forse più adatto per San Valentino che per Natale, che, con un approccio probabilistico che si basa soprattutto su dati statistici, su algoritmi matematici, nonché sulla teoria dei giochi, il tutto correlato da grafici e da belle illustrazioni, vuole rispondere a queste domande: 
troverò il partner perfetto? 
durerà la mia relazione?
La Fry, che appare spesso anche su radio e televisione della BBC, ha davvero un talento per portare la matematica alle masse e il suo video/discorso TED³, sulla "Matematica dell'amore", ha raccolto oltre quattro milioni di visualizzazioni.


Hannah Fry con Adam Rutherford che registra il programma radiofonico della BBC, 
che esplora i misteri della scienza di tutti i giorni.  (© BBC)


Tra queste strenne/matematiche natalizie potremmo trovare anche i libri di John Allen Paulus che con "A Mathematician Reads the Newspaper" (nella traduzione italiana "Un matematico legge i giornalici insegna a leggere i giornali, a distinguere le "bufale" dalle news, a non farci abbindolare da grafici manipolati...o che, con "Innumeracy: Mathematical Illiteracy and Its Consequences" (nella traduzione italiana di Chiara Faglia "Gli snumerati. Impariamo a far di conto per fare i conti con il mondo"), ci fa capire come l'Innumeracy o l'analfabetismo matematico abbia gravi conseguenze anche sulle scelte di vita. 
Nel libro Paulos, anche lui con un approccio umoristico, porta dozzine di esempi che ci mostrano come in innumerevoli casi l'analfabetismo matematico  influisca non solo sulla gestione di problemi di economia personale o sull'organizzazione della vita di tutti i giorni, dei viaggi ecc ecc, ma spiega anche come questo determini la scelta sbagliata di compagni, valutazioni inappropriate di test o di notizie e soprattutto il fascino della pseudo-scienza che sempre più sta dilagando.

"Odio la matematica”, “di matematica non ho mai capito nulla”, “la matematica è astratta, non serve a nulla”; frasi come queste le abbiamo sentite tutti, molte persone le ripetono senza provare vergogna e a volte addirittura con un pizzico di orgoglio. 
Non riuscire ad astrarre semplici concetti matematici (come le proporzioni o le potenze) è socialmente accettato e diffuso addirittura in ambienti accademici, dove invece l’analfabetismo è considerato come una vera e propria piaga. 
Perché l’analfabetismo matematico non preoccupa tanto quanto l’analfabetismo?
Per definire una persona incapace di ragionare con i numeri gli inglese usano il termine “innumerate”, coniato dal professore di scienze cognitive Douglas Hofstadter e diffuso nel 1989 proprio dal matematico John Allen Paulos, che scrisse questo libro proprio per affrontare il problema.




Sempre a proposito di libretti da donare la vigilia di Natale e da leggere magari da un tablet o da un PC ecco quelli della collana "Altramatematica" che, oltre ad avere come minimo comun denominatore un approccio "pop" e coinvolgente ad argomenti complessi, permette di approcciarsi alla saggistica scientifica come se si leggesse un romanzo, un modo diverso per parlare di numeri, un modo più accattivante, divertente. 
Sono in chiave 40k, agile, smart e digital. 
Tra gli autori di Altramatematica alcune delle voci più autorevoli del web: professori, studiosi, blogger di successo come Maurizio Codogno (curatore della collana), Peppe Liberti, Roberto Zanasi, Paolo Alessandrini, i Rudi Mathematici, Marco Fulvio Barozzi, Flavio Ubaldini...scopriteli tutti qui

Ce n'è per tutti i gusti, dalla "Matematica del Pallone" o "dei Pink Floyd" di Paolo Alessandrini a "Di 28 ce n'è 1dei Rudi Mathematici, dalla "Musica dei numeri" o "dell'Irrazionale" di Flavio Ubaldini alla "Fanta Matematica" di Maurizio Codogno o dalla "Crisi di Identità" di Marco Fulvio Barozzi ai "Racconti Matematici" di Spartaco Mencaroni...



Temari. Foto ©Nana Akua

E che dire delle "sfere temari"?
La Matematica delle feste, oltre che scoperta o riscoperta attraverso i piccoli libri della Vigilia, potrebbe essere utilizzata proprio per creare ornamenti e addobbi, come le palle di Natale.
Potrebbe infatti anche applicarsi al ricamo, con le sfere "temari" in cui l'arte del ricamo si unisce all'arte geometrica. 


Temari. Foto ©Nana Akua

Sono le meravigliose palle ricamate i cui disegni sono perfezioni geometriche caleidoscopiche di incastri di quadrati, triangoli, pentagoni o combinazioni più complesse, che richiamano le opere di Maurits Cornelis Escher.




Temari. Foto ©Nana Akua


Le sfere "temari" (letteralmente "palle a mano") la cui usanza, originaria della Cina e introdotta poi in Giappone, risale addirittura al 7 ° secolo, recentemente  hanno avuto una rinascita di interesse e sono tornati in auge grazie a tutorial¹, video² e piccoli libri che spiegano come ottenere questi "temari" che, ispirati da geometrie semplici ma anche complesse, presentando una serie vertiginosa di motivi ricamati a mano fissati su una forma sferica, con giochi perfetti e coloratissimi di fili da ricamo e fili di seta.


Tutorial  per imparare l'arte di "temari" 

Un tempo erano usate come gioco ed erano realizzate con i fili ricavati da "kimono" usati, in seguito la tecnica si è evoluta tanto da permettere anche delle realizzazioni molto complesse che possono essere messe in mostra, appese al soffitto, usate come palline per il Natale, e per arricchire il centrotavola.
Tornate di moda anche grazie ad artigiane ed artiste che vi si dedicano, come la moscovita Tatiana Vigdorova (al cui sitoè possibile acquistare le sue opere) le sfere "temari" sono diventate un dono molto apprezzato e amato, simbolo di profonda amicizia e lealtà, nonché di buon augurio per chi lo riceve. 
Poiché sono intrise dello spirito gentile e dell'abilità dell'artigiano che le ha assemblate, si ritiene che portino fortuna e felicità e i colori dei fili usati così come i motivi ricamati possono avere diversi significati, legati però sempre all'augurio di avere una lunga e felice vita.
Certo attraverso dei tutorial o dei video è possibile imparare i rudimenti di questa bellissima arte del ricamo e cimentarsi a plasmare queste affascinanti sfere, senza però pensare di arrivare velocemente a quei livelli di perfezione.

Basti pensare che per poter diventare un artista di "temari" riconosciuto ufficialmente dall'Associazione Giapponese di Temari bisogna fare corsi specifici di formazione che durano dieci anni e servono a completare tutti i livelli di certificazione durante i quali si testano le capacità e la tecnica.
Non mi resta a questo punto che augurare una bellissima Vigilia piena di libri (di Matematica), alla moda islandese, e un Natale festoso con addobbi e regali di buon augurio fatti di sfere "temari", alla moda giapponese.


Note

¹ Se volete imparare l'arte di "temari" trovate questo tutorial
² Un video (in inglese) che spiega l'arte di "temari"
³ TED video/discorso di Hannah Fry 


I magici numeri di Sophie Germain

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"Proof", un dramma di David Auburn vincitore del premio Pulitzer 2001, "Proof" anche un film  del 2005 ispirato al dramma, è una storia in cui la matematica gioca un ruolo importante, anche se traspare una matematica dominata da pochi geni, magari folli o depressi.
100 minuti a cui hanno contribuito, con diverse centinaia di riviste e libri, i membri della MAA  (Mathematical Association of America), dell' AMS (American Mathematical Society), del College Mathematics Journal e del Mathematics Magazine, dando così la possibilità di ricreare l'atmosfera di un vero set di matematici. 




Tra questi contributi, che risaltano nella trama e nell'importante Teoria dei Numeri che Catherine (la protagonista della storia) cerca di dimostrare essere sua, troviamo citato il più grande (almeno per il 2005, data di uscita del film) numero primo di Sophie Germain.
Trattasi del numero 

7068555 · 2¹²¹³º¹ - 1 

composto di 36.523 cifre, scoperto nel gennaio di quell'anno, ma ampiamente superato poi dal numero di Sophie Germain 

2618163402417 · 2¹² ºººº - 1

composto da 388.342  cifre decimali, scoperto nel febbraio 2016 da James Scott Brown attraverso il progetto di calcolo distribuito PrimeGrid 
Ben lontani però, come grandezza e numero di cifre, dagli ultimi numeri primi di Mersenne, scoperti recentemente.
Il mondo infatti, proprio dal 21 dicembre 2018, ha un nuovo numero primo¹, il più grande numero primo composto da quasi 25 milioni di cifre: 

2⁸²⁵⁸⁹⁹³³-1 

Fa appunto parte dei numeri primi di Mersenne che hanno una formula semplice: 2ⁿ-1. 
In questo caso, "n"è uguale a 82.589.933, che è di per sé un numero primo, ed è composto da 24.862.048 cifre.


La Parigi di Sophie Germain

Ma qui non volevo parlare di numeri primi in generale ma appunto dei numeri primi di Sophie Germain e della vita travagliata e a volte tragicomica della loro ideatrice. 
Se infatti i numeri primi di Mersenne sono considerati "i gioielli della teoria dei numeri"², come potremmo definire quelli di Sophie Germain?
Decisamente delle rarità!
Proprio grazie alla ricerca sui numeri primi più grandi, i numeri primi di Germain conoscono oggi una nuova popolarità. 
Sono infatti tra le specie più ricercate e in particolare quelli della forma p = k x 2ⁿ - 1 
Si definisce infatti numero primo di Sophie Germain un numero primo p tale che 2p+1 è anch'esso un numero primo, dove il numero 2p+1 è invece chiamato primo sicuro³. 

Questi "rari gioielli" prendono nome dalla matematica francese Sophie Germain (Parigi 1 aprile 1776 - Parigi 27 giugno 1831), che all'inizio del XIX secolo li usò per dimostrare un caso particolare dell'Ultimo Teorema di Fermat, secondo il quale, lo ricordo, l'equazione

xⁿ + yⁿ = zⁿ 

non ha soluzioni per n maggiore di 2 e con x, y e z numeri interi. 
Ma come se ne servì per dimostrare un caso particolare del Teorema di Fermat?
Dopo i progressi di Euler, per circa cinquanta anni non ci furono miglioramenti, nonostante l'Ultimo Teorema fosse diventato il problema più famoso della teoria dei numeri, e all'inizio del XIX secolo i matematici erano semplicemente riusciti a dimostrare che non ci sono soluzioni alle seguenti equazioni:

x ³ + y ³ = z ³

x ⁴ + y ⁴ = z ⁴

ma questa situazione mutò radicalmente proprio grazie a Sophie Germain.
La Germain lavorò per anni alla teoria dei numeri interessandosi appunto all'Ultimo Teorema di Fermat e ottenedo così un risultato che riteneva molto importante. 
Volendo delle conferme sulla validità della sua scoperta, decise di contattare la massima autorità d'allora, cioè Carl Friedrich Gauss, usando però lo pseudonimo di Monsieur Le Blanc.

A questo punto è meglio fare un passo indietro e chiarire il perché dello pseudonimo.
Nel 1789, l'anno che segna l'inizio della Rivoluzione francese, l'anno dell'assalto alla Bastiglia e della sua distruzione, una ragazzina di tredici anni, Sophie Germain, figlia di un ricco mercante parigino eletto deputato all'Assemblea Costituente, scopriva il suo grande amore per la matematica.
Sophie si dedicò completamente ad essa, passando le notti sui libri di Newton e di Euler nonostante l'opposizione del padre contrariato per questi interessi della figlia, considerati poco femminili, e che le confiscava abiti e candele per scoraggiarla. 



Un'acquaforte del Settecento de l''Ecole Polytecnique dove, ai suoi corsi, 
non potevano accedere le donne

Questo però non fermò Sophie che, quando nel 1794 venne  aperta a Parigi l'Ecole Polytechnique, che sarebbe stato il luogo ideale per perfezionare la sua preparazione di autodidatta, decise di iscriversi con uno stratagemma.
Dato che i corsi erano allora riservati ai soli uomini riuscì ad ottenerne le dispense utilizzando il nome di uno studente che aveva abbandonato gli studi, Antoine-August Le Blanc.
Uno pseudonimo grazie al quale poteva anche chiedere spiegazioni e far correggere le proprie soluzioni ai problemi proposti agli studenti, senza doversi esporre e rivelare così la sua femminilità.
Un gioco che continuò finché il celebre Lagrange, che teneva il corso di analisi, stupito per le soluzioni brillanti e ingegnose proposte da Le Blanc non chiese di incontrarlo, obbligando in tal modo Sophie a rivelare la sua vera identità. 
Lagrange, stupefatto e ammirato nel trovarsi di fronte a una giovane e brillante donna, ne divenne amico e consigliere, aiutandola a proseguire gli studi. 

Con Gauss si ripetè un'analoga situazione!
Gauss in effetti non si era mai interessato al teorema di Fermat ritenendo l'enunciato privo di interesse, ma quando ricevette la lettera di Le Blanc rimase così impressionato dal suo risultato da dedicarsi comunque al problema e da confermarne la validità del suo metodo. 
La Germain però non ricevette risposta e, dopo l'invasione della Prussia nel 1806 da parte di Napoleone, preoccupata per la sorte di Gauss, scrisse ad un amico di famiglia, il generale Joseph-Marie Pernety, chiedendo di riservare al grande matematico un'attenzione particolare. 
Fu così che, quando il generale incontrò Gauss, gli spiegò che il trattamento di riguardo nei suoi confronti era dovuto all'intervento di una giovane matematica parigina Sophie Germain, che firmava i suoi lavori con lo pseudonimo di Monsieur Le Blanc. 
Gauss scoprì così la vera identità del suo interlocutore e scrisse queste parole che rappresentano il più prezioso omaggio all'intelligenza di Sophie: 

"Quando una persona di sesso femminile che, secondo il nostro giudizio e i nostri pregiudizi maschili, deve urtare in difficoltà infinitamente superiori a quelle che incontrano gli uomini per giungere a familiarizzarsi con le spinose ricerche della matematica, quando questa persona riesce, nonostante tutto, a sormontare simili ostacoli e a penetrare fino alle regioni più oscure della scienza, ella deve senza dubbio possedere un nobile coraggio, un talento assolutamente straordinario e un genio superiore."

In una delle lettere indirizzate a Gauss, Germain riporta quello che oggi è noto come il "Teorema di Germain", il suo più importante contributo alla teoria dei numeri, un notevole passo avanti verso la soluzione del teorema di Fermat. 
Sophie Germain introduce un nuovo metodo di indagine al problema che si basava sull'utilizzo di una tipologia particolare di numeri primi che in seguito verranno appunto chiamati "numeri primi di Sophie Germain". 
Per questi numeri primi la Germain riuscì a dimostrare che "probabilmente" non esistevano soluzioni del teorema di Fermat; intendendo per "probabilmente" che queste eventuali soluzioni avrebbero dovuto avere delle proprietà talmente particolari da rendere difficile l'esistenza di questi numeri. 
Sophie Germain dimostrò quello che venne poi definito il "primo caso" dell' Ultimo Teorema di Fermat per ogni primo dispari p quando 2p + 1 è anche un numero primo. 

Legendre successivamente dimostrò che se p è un primo tale che 4p + 1, 8p + 1, 10p + 1, 14p + 1, o 16p + 1 è anche un primo, allora il "primo caso" dell' Ultimo Teorema di Fermat vale per p <100, ricordando che i numeri primi di Sophie Germain minori di 100 sono:
2, 3, 5, 11, 23, 29, 41, 53, 83, 89
Per questi numeri primi p Germain osservò che xⁿ + yⁿ = zⁿ non ha soluzioni con x, y e z interi, diversi da zero e che non siano multipli di p. 
Proprio le ingegnose argomentazioni portate da Sophie Germain a sostegno della sua dimostrazione servirono poi ad altri matematici per progredire ulteriormente nella soluzione del Teorema di Fermat.



Com'è noto, dopo anni anzi secoli di attesa, l'Ultimo Teorema di Fermat è stato dimostrato da Andrew Wiles, che insieme al suo ex allievo Richard Taylor, diede una prima stesura della dimostrazione del teorema (che conteneva un difetto di elaborazione) e che, dopo un anno tormentato, arrivò alla successiva e definitiva presentazione, il 24 ottobre 1994, dei due manoscritti, "Modular elliptic curves and Fermat's Last Theorem" e "Ring theoretic properties of certain Hecke algebras", con i quali fu accettata definitivamente la sua dimostrazione.
(pièce musical/matematica molto originale "Fermat's Last Tango"

In seguito Gauss abbandonò la teoria dei numeri per dedicarsi alla matematica applicata e la Germain, senza più appoggi nel campo della matematica, decise di concentrarsi sulla fisica, rimasta incuriosita dagli esperimenti di un fisico tedesco Ernst Chladni, dove diede importanti contributi nello studio delle vibrazioni elastiche.

Sophie Germain rappresenta sicuramente una rivoluzionaria!
Nacque, daltronde, nel 1776, l’anno che segnò l’inizio della Rivoluzione Americana e fu nel 1789, anno in cui scoppiò la Rivoluzione Francese, che scoprì l’amore per la matematica
Tutta la sua vita è stata una vera e propria rivoluzione,  perché si dedicò alla matematica e alla fisica, discipline riservati ai soli uomini, sfidando le convenzioni e i pregiudizi sociali dell'epoca, senza poter accedere a una formazione formale per diventare una famosa matematica. 
Un esempio di donna che, soffocata dalla rigida discriminazione sessuale, non potè esprimere le sue vere potenzialità e che morì a Parigi, nel 1831, prima che l'Università di Gottingen le potesse conferire, su sollecitazione di Gauss, la laurea honoris causa, laurea che, nonostante i suoi grandi meriti scientifici, non era riuscita ad ottenere.
Un esempio lampante di una delle migliaia di altre donne brillanti e capaci a cui non fu data la possibilità di condividere i loro doni intellettuali con il mondo.



Delle quasi 100 strade di Parigi che prendono il nome da matematici, solo una prende 
il nome da una donna, Rue Sophie Germain - foto © Cheryl Slaughter




Note

¹ In matematica, un numero primo è un numero intero positivo che abbia esattamente due divisori distinti. In modo equivalente si può definire come un numero naturale maggiore di 1 che sia divisibile solamente per 1 e per sé stesso; al contrario, un numero maggiore di 1 che  abbia più di due divisori è detto composto. Ad esempio 2, 3 e 5 sono primi mentre 4 e 6 non lo sono perché sono divisibili rispettivamente anche per 2 e per 2 e 3. L'unico numero primo pari è 2, in quanto tutti gli altri numeri pari sono divisibili per 2.
² Così li definiva Chris Caldwell, un matematico dell'Università del Tennessee, Martin, nel 2009 parlando a NPR (National Public Radio) di questi grandi numeri primi.
³ In teoria dei numeri, un numero primo sicuro è un numero primo esprimibile nella forma 2p + 1, dove p è anch'esso numero primo e p è detto numero primo di Sophie Germain.


Fonti

Informazioni da
https://www.pbs.org/wgbh/nova/proof/germain.html
https://www.agnesscott.edu/lriddle/women/germain.htm
https://primes.utm.edu/top20/page.php?sort=SophieGermain




2019 sinonimo di Felicità

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Davvero il 2019 è sinonimo di Felicità?
Finalmente dovrebbe prospettarsi un anno felice...si perché il 2019 ha tutte le caratteristiche per poter essere "felice", visto che il 2019 è proprio un "numero felice"!


Ulteriori spiegazioni da un articolo precedente

Al 2019 corrisponde infatti la somma:


2²+0²+1²+9²=4+0+1+81=86
da cui
8²+6²=64+36=100
da cui
1²+0²+0²= 1


Cercherò di spiegare questa curiosità matematica ricordando che è detto "felice" o "non felice" (da non confondere con il numero di Harshad derivato dal sanscrito harsa "grande gioia") un numero così definito:
dato un numero n, si definisce una sequenza data dalla somma dei quadrati delle cifre di n; allora n è felice se e solo se questa sequenza porta a 1.
Ovvero, più semplicemente, tramite il seguente processo:
partendo da un qualsiasi numero intero positivo, si sostituisce al numero la somma dei quadrati delle sue cifre (o il quadrato della cifra se unica) e si ripete quindi il processo fino ad ottenere 1 (con ulteriori iterazioni che porteranno sempre a 1), oppure si entrerà in loop, ovvero in un ciclo che non porterà mai a 1.
I numeri per cui tale processo darà 1 sono quindi "numeri felici", mentre quelli che non danno mai 1 sono "numeri infelici". 




Una visione più filosofica e poetica la troviamo in questi versi che contengono forse il vero senso della felicità come unità:

il cielo, raggiunta l’unità divenne chiaro
la terra, raggiunta l’unità divenne tranquilla
lo spirito, raggiunta l’unità divenne potente
la valle, raggiunta l’unità divenne piena
le creature, raggiunta l’unità divennero vive
(Lao Tse)

Per Lao Tse il problema della felicità ha infatti “una soluzione che dipende soprattutto dal raggiungimento dell'unità"; quindi raggiungere la felicità vuol dire raggiungere l’unità.
Così come i numeri possono essere felici se anche loro raggiungono l’uno!
Sono i versi di Lao Tse (Laozi o Lao Tsu soprannome, che vuol dire "vecchio maestro", forse di Chung-erh o Po-yang o anche Lao tan che pare visse nel VI secolo a.C. di qualche anno più vecchio di Confucio) che arrivano dal 
 Tao Te King, la sacra scrittura del Taoismo.


Articolo pubblicato precedentemente su Facebook il 24 dicembre 2018
di Annalisa Santi
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10218788574093860

Cicale...dal canto romantico ai numeri primi 13 e 17

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Sogno d’un dì di estate. Quanto scampanellare tremulo di cicale.
(Giovanni Pascoli)

Il canto delle cicale, e delle Magicicada di cui parleremo, è sicuramente la fase più romantica della vita di questa specie. E' il loro corteggiamento e quindi il canto dell’estate più romantico che possa esistere! 


Il canto delle cicale, più propriamente definito "frinire" prodotto da un organo particolare presente nell’addome, è infatti un vero e proprio corteggiamento. 
Il maschio così facendo attira la femmina, che leggiadra e sensuale si avvicina al maschio, riproducendo un canto più delicato. Complice in modo del tutto essenziale anche il clima caldo dei giorni estivi, si accoppieranno, depositeranno le uova, ma poi, dopo poche settimane, moriranno.



Ma le cicale cosa c'entrano con i numeri primi?
In Natura non si trovano solo i numeri di Fibonacci e, come vedremo, le cicale Magicicada conoscono anche i numeri primi. 
Esistono infatti due specie di cicale chiamate Magicicada septendecim e Magicicada tredecim, cicale periodiche che spesso vivono nello stesso ambiente, ma che si trovano solo nell'America settentrionale orientale.
Magicicada septendecim è di colore nero e misura quasi 4 cm., gli occhi e le zampe sono generalmente di colore rosso-arancio e le ali sono chiare con venature arancioni.
Generalmente Magicicada tredecim è simile a Magicicada septendecim sia in apparenza che in comportamento, ma con canti con toni più bassi, senza bande scure sul lato inferiore dell'addome, che varia dall'arancione chiaro al colore caramello, e di dimensioni leggermente inferiori. 


Accoppiamento di cicale Magicicada

Si dicono septendecim e tredecim in quanto hanno cicli di vita di 17 e 13 anni rispettivamente. 
Per tutti questi anni tranne l'ultimo rimangono nel terreno alimentandosi con la linfa delle radici degli alberi, poi, nell'ultimo anno del ciclo, compiono la metamorfosi da ninfe ad adulti completamente formati ed emergono in massa dal terreno.
È un evento straordinario quando, ogni 17 anni, gli esemplari di Magicicada septendecim si impadroniscono della foresta in una sola notte. 
Emettono il loro canto sonoro, si accoppiano, si alimentano, depositano le uova, poi, dopo sei settimane, muoiono e la foresta torna silenziosa per altri 17 anni.
Qui le fantastiche immagini della loro trasformazione




Ma perché queste due specie hanno scelto come durata della loro vita un numero primo di anni?
Ci sono diverse spiegazioni possibili.
Siccome entrambe le specie hanno sviluppato cicli di vita che durano un numero primo d'anni, capiterà molto di rado che si sincronizzino per emergere nello stesso anno. 
In effetti le due specie dovranno dividersi la foresta solo una volta ogni 13 x 17 = 221 anni. 
Immaginate che cosa succederebbe se avessero scelto cicli composti da numeri d'anni non primi, per esempio 18 e 12? 
Nello stesso periodo di 221 anni si troverebbero in sincronia ben sei volte, e precisamente negli anni 36, 72, 108, 144, 180 e 216, cioè in quelli composti dagli stessi numeri primi che sono i costituenti elementari sia di 18 che di 12.
I numeri primi 13 e 17 evitano quindi alle due specie di cicale una competizione eccessiva. 

Il fungo massospora cicadina infetta le cicale periodiche e provoca la caduta dell'addome. 
La cicala nella foto è ancora viva, nonostante i segmenti del suo corpo mancanti. 

Ci sono due fasi di infezione da massospora cicadina
In entrambe le fasi, il fungo esce dall'addome della cicala mentre la cicala è viva.

L'evoluzione di un fungo che emergeva in simultanea con le cicale offre un'altra possibile spiegazione.
Come molti altri insetti anche le Magicicada hanno molti predatori, che hanno a che fare con pesticidi o terribili agenti patogeni fungini. 
Alcuni di questi funghi entomopatogeni prendono il controllo dei corpi dei loro ospiti in modi innovativi ma inquietanti. 
Uno di questi funghi è la massospora cicadina, che infetta le cicale periodiche Magicicada che compaiono nell'est del Nord America. 
Dopo aver trascorso oltre un decennio nel terreno in attesa che emergano i suoi ospiti, il fungo infetta le cicale e fa esplodere i loro addomi. Le cicale poi volano in giro e cercano di accoppiarsi, diffondendo invece l'infezione fungina sia attraverso l'aria che attraverso il contatto. 
È difficile immaginare un'infezione più orribile di questa, anche nel mondo degli insetti.

Per le cicale quel fungo è davvero letale, perciò hanno sviluppato un ciclo di vita che permettesse di evitarlo. 
Passando a un ciclo della durata di 17 o di 13 anni, ovvero di un numero primo d'anni, le cicale si sono garantite la certezza di emergere negli stessi anni del fungo molto meno spesso di quanto accadrebbe se i loro cicli di vita durassero un numero non primo d'anni.
Per le cicale, i numeri primi 13 e 17 non sono quindi una semplice curiosità astratta ma la chiave per la sopravvivenza e non portano loro certo sfortuna.


Si perché in molte credenze o superstizioni popolari questi due numeri invece spesso sono considerati "portasfortuna", infatti la triscaidecafobia e la eptacaidecafobia sono rispettivamente la paura del numero 13 e del numero 17.
La triscaidecafobia (dal greco τρεισκαίδεκα treiskaídeka, "tredici" e φόβος phóbos, "paura") è la paura irragionevole del numero 13, principalmente legata alla cultura popolare e alla superstizione nordica. 
Il termine è stato coniato da Isador Coriat nell'opera Abnormal Psychology, anche se in alcune culture il numero 13 è considerato simbolo di fortuna e prosperità, specialmente nella regione del Tibet, in Cina.
L'eptacaidecafobia (dal greco ἑπτακαίδεκα "diciassette" e φόβος phóbos, "paura") è invece la paura del numero 17. 
Il numero 17, in particolare abbinato al giorno venerdì, è ritenuto particolarmente sfortunato in Italia e altri paesi di origine greco-latina. 
Già nella Grecia antica il numero 17 era aborrito dai seguaci di Pitagora in quanto era tra il 16 e il 18, perfetti nella loro rappresentazione di quadrilateri 4×4 e 3×6.

Per me, come per le simpatiche e canore cicale Magicicada il 13 e il 17 non portano sicuramente sfortuna: il 13 è il giorno in cui sono nata, che ritengo una grandissima fortuna, mentre il 17 è sicuramente un numero propizio. 
Secondo la Cabala ebraica 17 infatti è il valore numerico delle lettere ebraiche tet (9) ט + vav (6) ו + beit (2) ב, che, lette nell'ordine, danno la parola tov (טוב ) "buono, bene".


Foto  ©Annalisa Santi 



Fonti

L'Enigma dei Numeri Primi - Marcus Du Sautoy
Magicicada periodiche
https://www.cicadamania.com/where.html
http://www.magicicada.org/about/species_pages/species.html
Fungus Fact Friday
http://www.fungusfactfriday.com/221-massospora-cicadina/

Batracomiomachia e un'inedita vittoria dei topi

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Questa volta la matematica non c'entra...ma c'entrano i topi!
Stavamo rientrando da una serata tanguera quando l'amico Vito, conoscendo anche la mia passione per i topi, mi ha ricordato un divertente poemetto di Leopardi, "Paralipomeni della Batracomiomachia".

Bronzo di Bjorn Okholm Skaarup

Paralipomeni della Batracomiomachia, che parolone!
Trattasi di un ampio poemetto satirico in ottave scritto da Giacomo Leopardi (1798-1837) durante il suo soggiorno napoletano, tra il 1831 e la morte del poeta nel 1837.
L’opera sarà pubblicata solo postuma nel 1842, a Parigi (anche per sfuggire alla censura politica), grazie all’intervento dell’amico Antonio Ranieri (1806-1888).
Paralipomeni perché si presenta come la continuazione di una storia.
Paralipomeni viene infatti usato, come già in ambito biblico, per indicare un'aggiunta di cose precedentemente tralasciate (dal greco paraleipómena, a sua volta da paralèipô, appunto omettere, tralasciare) nella Batracomiomachia, la Battaglia dei topi e delle rane, (dal greco bátrachos (rana), mys (topo) e máche (battaglia)), poemetto ellenistico eroicomico erroneamente attribuito a Omero. 
Di qui l'uso di chiamarlo Batracomiomachia pseudomerica che Leopardi aveva già tradotto anni prima. 
La traduzione da parte di Giacomo Leopardi uscì infatti in tre redazioni successive, nel 1815, nel 1921 e infine nel 1926.

Prima di raccontare brevemente la divertente trama di questo poemetto ci vuole però una premessa: la storia della Batracomiomachia pseudomerica, anch'esso un poemetto giocoso di 303 versi (testo integrale tradotto dal Leopardi nel 1815)


Rara raffigurazione della Batracomiomachia incisa da Giuseppe Patrini 
su disegno del pittore Francesco Zuccarelli, tratta dal frontespizio 
di un’edizione dello stampatore veneziano G.B. Albrizzi del 1744 
(Biblioteca civica di Belluno)

Inizia così:
"Un topo un dì, tra’ topi il più ben fatto,
Venne d’un lago alla fangosa sponda:
Scampato egli era allor da un tristo gatto
E calmava il timor colla fresc’onda;
Mentre beveva, un garrulo ranocchio
Dalla palude a lui rivolse l’occhio."

e così racconta:

"Il re delle rane Gonfiagote persuade il timoroso Rubabriciole, figlio del re dei topi Rodipane, a montare sulle sue spalle per visitare il lago, assicurandolo che non correrà pericoli. Tuttavia, appare all'improvviso un serpente d'acqua e Gonfiagote, per sfuggirgli, si immerge, facendo così annegare Rubabriciole. 
La guerra scoppia immediatamente, e proprio quando la vittoria sembra ormai dei topi, Zeus scaglia il suo fulmine, e allo stesso tempo i granchi, giunti sul campo di battaglia, annientano alcuni topi facendoli a pezzi, mentre altri fuggono in preda al panico"


Particolare della xilografia di Gianni Verna

La battaglia si svolge nell'arco di un giorno, contro i dieci anni di durata della guerra di Troia e la Batracomiomachia è uno dei pochi testi pervenutici integri di quel filone di poesia scherzosa che dovette avere non poca diffusione probabilmente in ogni epoca della letteratura greca e "La guerra dei topi e delle rane", in particolare, recupera tematiche, scene e motivi dell'epica arcaica sovvertendoli in chiave di parodia.
Il significato di questa parodia può essere quello di una guerra inutile che si scatena per motivi apparentemente futili o forse per ataviche incomprensioni. 
Un poemetto scherzoso che si pone alle origini di quella favola antica e popolare che vede al centro animali riconducibili sotto molti aspetti alla natura umana.


Miniatura dal Pontificale di Guillaume Durand (XIII sec.)

Dopo questa premessa ecco la trama del poemetto di Leopardi (qui il testo completo) a cui manca però il finale.

Inizia così:
Poi che da' granchi a rintegrar venuti
Delle ranocchie le fugate squadre,
Che non gli aveano ancor mai conosciuti,
Come volle colui ch'a tutti è padre,
Del topo vincitor furo abbattuti
Gli ordini, e volte invan l'opre leggiadre,
Sparse l'aste pel campo e le berrette
E le code topesche e le basette;
e così racconta:

"I topi (liberali), sconfitti dalle rane (borboniche) e dai granchi (austriaci), eleggono su base costituzionale il re Rodipane, di cui diventa primo ministro il conte Leccafondi, intellettuale progressista e impegnato in politica; i granchi intervengono per reprimere questo regime, di cui non possono tollerare l'esistenza, mettendo in rovinosa fuga i topi. 
Il conte Leccafondi allora va in esilio per cercare aiuto per la sua patria oppressa, incontra Dedalo, e scende persino nel regno dei morti a chiedere consiglio ai topi defunti, che però rispondono alle sue domande con una fragorosa risata. 
Alla fine essi gli consigliano di rientrare in patria e rivolgersi al generale Assaggiatore. Leccafondi riesce a ritornare a Topaia e dopo mille insistenze ad ottenere l'aiuto di Assaggiatore" 

Il poemetto si interrompe qui, perché come spiega Leopardi, al manoscritto da cui aveva tratto la storia manca la parte finale.
Ed ecco che torna in gioco l'amico Vito che, spinto dalla prof delle Medie inferiori a immaginare e  raccontare liberamente il finale, trovò logica e ovvia soluzione quella di un ritorno vincente dei topi:

"I topi sferrarono  un attacco navale contro le rane utilizzando le foglie galleggianti e le sbaraglarono!"



L'immagine,che rispecchia la conclusione di Vito,
 mi è stata data dall'amica Agnieszka Miruk

"Leopardi mette sarcasticamente in rilievo sia la violenza del potere autoritario dei granchi (e quindi del potere austriaco che soffoca l’aspirazione alla libertà del popolo italiano) che gli errori e le debolezze dei topi (e, in particolare, delle figure dei carbonari al canto VI). 
L’atteggiamento leopardiano è quello di distaccata disillusione nei confronti del mito del progresso e dell’ottimismo ottocentesco. 
Il rifiuto stesso del’assolutismo non si traduce in un’acritica esaltazione della libertà ma riconosce i limiti dell’azione liberale di Leccafondi ed è inflessibile nel giudicare molto negativamente le velleità degli intellettuali 'carbonari', che per Leopardi vedono nella causa della libertà solo un gioco di società, risultando così del tutto inutili ed inoffensifivi per il potere dei granchi 'austriaci'."


Se il poemetto leopardiano discute, sotto la veste di favola, gli avvenimenti politici del 1820-21 e il fallimento dei moti rivoluzionari, satireggiando gli Austriaci (rappresentati dai granchi, alleati delle rane), i Borbone (le rane), e gli insorti liberali napoletani (i topi), la conclusione del giovane Vito voleva essere invece una vittoria degli insorti e della libertà.




Alicia Boole...dai politopi ai numeri politopici

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"...voi che potete "vederlo" per davvero, un angolo, e contemplare l'intiera circonferenza di un Circolo nella beata regione delle Tre Dimensioni... come potrò mai render chiara a voi l'estrema difficoltà che incontriamo noi, in Flatlandia, per riconoscere le nostre rispettive configurazioni?" 
(Edwin Abbott Abbott, Flatlandia, Adelphi, 1998)

Premettendo che politopo non ha nulla a che vedere con i topi, questo simpatico termine, derivato dall’aggettivo greco πολύς cioè "molto" e τόπος cioè "luogo", mi dà anche l'occasione per parlare dei numeri politopici e di una matematica, Alicia Boole. 


"Alcuni cerchi" di Vassily Kandinsky, 1926
Nella terna di forme primarie (triangolo, quadrato, cerchio), il cerchio è l'indicazione più chiara 
per la quarta dimensione.

In matematica, un numero figurato è un numero intero che può essere rappresentato mediante uno schema geometrico e regolare.
Orbene intendendo per politopo d-dimensionale o d-politopo l'analogo di un poligono nel piano (d=2) e di un poliedro nello spazio usuale (d=3) generalizzato ad uno spazio euclideo reale, se lo schema è un politopo si ha un numero politopico. 
Più semplicemente dato che i poligoni si possono quindi anche chiamare 2-politopi e i poliedri 3-politopi, quindi un numero 2-politopico o poligonale è un numero figurato che può essere disposto a raffigurare un poligono regolare e un numero 3-politopico o poliedrico è un numero figurato che può essere disposto a raffigurare un poliedro regolare.


Numeri 2-politopici esagonali ©Mauro Fiorentini
Numeri 3-politopici dodecaedrici ©Mauro Fiorentini

Prendendo come primo esempio quello dei numeri triangolari possiamo quindi definire:
"un numero triangolare Tn è un numero figurato che può essere rappresentato sotto forma di una griglia triangolare equilatera di elementi tale che ogni riga successiva contiene un elemento in più del precedente."
Più semplicemente, i numeri triangolari sono i numeri di palline che si possono disporre a triangolo e i numeri triangolari centrati sono i numeri di palline che si possono disporre a costituire triangoli uno intorno all’altro intorno a una pallina centrale.



Immagini ©Mauro Fiorentini

Elenco di numeri triangolari :
1, 3, 6, 10, 15, 21, 28, 36, 45, 55, 66, 78, 91, 105, 120,136, 153, 171, 190, 210, 231, 253, 276, 300, 325, 351, 378, 406, 435, 465, 496, 528, 561, 595, 630, 666, 703, 741, 780, 820, 861, 903, 946, 990, 1035, 1081, 1128, 1176, 1225, 1275, 1326, 1378, 1431....

Non esiste limite alle categorie che possono essere definite mediante figure, esattamente come non esiste limite al modo di disporre palline sul piano o nello spazio: si può partire dai poligoni regolari, per arrivare a rettangoli sormontati da un triangolo o da un ettagono. 

Numeri 2-politopici stellari ©Mauro Fiorentini

Considerando i numeri politopici che corrispondono a forme con un alto grado di simmetria si ha:
in due dimensioni, ovvero 2-politopici, esistono tre categorie:
- i numeri poligonali, corrispondenti ai poligoni regolari
- i numeri poligonali centrati, corrispondenti ai poligoni regolari
- i numeri stellari.


in tre dimensioni, ovvero 3-politopici, abbiamo:
- i numeri platonici, corrispondenti ai cinque solidi platonici (tetraedro, cubo, ottaedro, dodecaedro e icosaedro)
- i numeri platonici centrati, corrispondenti ai cinque solidi platonici
- i numeri tetraedrici troncati
- i numeri ottaedrici troncati
- i numeri dodecaedro-rombici
- i numeri dodecaedro-rombici di Haüy
- i numeri piramidali (II)
- i numeri piramidali centrati
- i numeri stella octangula

Numeri 3-politopici a stella octangula ©Mauro Fiorentini

Il concetto di numeri n-politopici può essere esteso a più dimensioni, anche se è alquanto difficile figurarseli!
In 4 dimensioni vi sono 6 politopi regolari, ai quali corrispondono altrettante categorie di 4-politopici:
- ipertetraedrici a 4 dimensioni
- ipercubici a 4 dimensioni
- iperottaedrici a 4 dimensioni
- 24-cella 
- 120-cella 
- 600-cella 

In 5 o più dimensioni vi sono solo 3 politopi regolari, ai quali corrispondono altrettante sequenze di numeri 5-politopici:
- ipertetraedrici a 5 dimensioni
- ipercubici a 5 dimensioni
- iperottaedrici a 5 dimensioni

Vorrei ricordare a questo punto che il termine politopo o meglio n-politopo, per definire uno spazio matematico a n dimensioni,  è stato coniato da Alicia Boole, la figlia di George Boole, il fondatore della logica matematica.


Alicia Boole Stott e i suoi politopi conservati all'Università di Groningen in Olanda

Alicia Boole, nata a Cork in Irlanda l'8 giugno 1860, era infatti la terza figlia di George Boole e di Mary Everest.
La mamma Mary, nata a Gloucester, in Inghilterra, colta e appassionata di matematica anche lei come il marito George, era nipote di quel Sir George Everest (1790-1866), matematico, geometra e cartografo, che eseguì un importante studio trigonometrico in India, Great Trigonometrical Survey, per cui in suo onore la Royal Geographical Society nel 1865 diede il suo nome al "Cima XV", la cima più alta del mondo (29.029 piedi, cioè 8.848 metri), nota appunto con questo nome. 
Mary, vissuta prima in Francia, rientrò in Inghilterra e alla morte del padre sposò il suo istitutore George Boole nel 1855. Andarono a vivere a Castle Road, vicino a Cork, in Irlanda ed ebbero cinque figlie destinate a essere ricordate nel mondo della cultura e soprattutto in ambito matematico.
La prima Mary Ellen Boole (1856-1900) sposò il matematico e scrittore Charles Howard Hinton (1853-1907), la seconda Margaret Boole (1858-1935) sposò Edward Taylor, uno dei padri fondatori dell'antropologia moderna, e fu la madre del fisico/matematico Geoffrey Ingram Taylor, Alicia Boole, la terza appunto conosciuta dai suoi amici come Alice è la matematica di cui parlerò, la quarta Lucy Everest Boole (1862-1905) divenne farmacista e la prima donna ad essere eletta membro dell'Institute of Chemistry, e l'ultima Ethel Lilian Boole (1864-1960) sposò Wilfrid Michael Voynich e divenne una nota scrittrice.
Curioso notare che Wilfrid Michael Voynich fu un rivoluzionario polacco, antiquario e bibliofilo, l'eponimo del manoscritto Voynich, di cui ho parlato nell'articolo sul numero primo di Belphagor, il numero 100000000000000666000000000000001. 
Questo intrigante primo palindromo, che ha un 1 per ogni estremità, 666, il numero della bestia nel mezzo e tredici zeri su ciascun lato che separa il 666 dalle unità, ha come simbolo una sorta di π invertito, che viene proprio dal famoso e contestato manoscritto Voynich.  


Foto di famiglia con Alicia in alto al centro ©Raccolte speciali dell'Università di Bristol
Da sinistra a destra, dall'alto verso il basso: 
Margaret Taylor, Ethel L. Voynich, Alicia Boole Stott, Lucy E. Boole, Mary E. Hinton, Julian Taylor, 
Mary Stott, Mary Everest Boole, George Hinton, Geoffrey Ingram Taylor, Leonard Stott.

George Boole morì quando Alicia aveva solo quattro anni e, incapace di mantenersi senza un marito, la sua vedova Mary lasciò l'Irlanda con quattro delle sue cinque figlie per vivere a Londra. 
Lì divenne bibliotecaria al Queen's College, il primo college femminile in Inghilterra, e usò la sua conoscenza della matematica e dei metodi di insegnamento per agire come tutor non ufficiale per le studentesse. 
Tuttavia l'unica figlia che lasciò a Cork fu proprio Alicia, che fu allevata in parte da sua nonna, in parte dal suo prozio, e furono anni in cui si sentiva repressa e infelice, finché, a undici anni, andò a Londra, dove si unì a sua madre e alle sue sorelle. 
Anche se Alicia non ebbe un'istruzione formale, la matematica le fu insegnata da sua madre Mary. 
Questo non fu certo un insegnamento convenzionale in quanto Mary aveva le sue idee sull'insegnamento in generale e sull'insegnamento della matematica in particolare. 
Inoltre fu assistita in questa sua formazione matematica  anche dal cognato Charles Howard Hinton, che svolse un ruolo importante.
Hinton studioso dei metodi di visualizzazione geometrica delle dimensioni superiori, nonché di teosofia, e scrittore di romanzi scientifici, contribuì certo fortemente alle sue successive ideazioni degli n-politopi. 
Come nota di gossip ricordo che il "poliedrico" pensatore Charles Howard Hinton fu condannato per bigamia dopo aver sposato, oltre alla sorella Mary Ellen nel 1880, anche Maud Florence nel 1883.
Howard Hinton pubblicò il libro "Una nuova era di pensiero" di cui Alicia Boole scrisse parte della prefazione e anche alcuni dei capitoli sulle sezioni dei solidi tridimensionali e la sua distribuzione fu promossa dalla stessa Alicia in quanto Hinton era andato con Mary Ellen in Giappone, dopo la sua condanna per bigamia. 
Alicia riuscì a dimostrare che esistono solo sei politopi regolari nella quarta dimensione e questi politopi erano stati elencati per la prima volta da Schläfli nel 1850 nel trattato che fu pubblicato nel 1901 dopo la sua morte.
I sei politopi regolari sono: l’ipercubo (o iperesaedro), l’ipertetraedro, l’iperottaedro, il 24-celle, il 120-celle ed il 600-celle.


I modelli di Alicia Boole Stott all'Università di Groningen in Olanda ©Museo universitario di Groningen 

Curiosa la descrizione di Geoffrey Taylor su come Alicia abbia scoperto i sei politopi regolari su quattro dimensioni:

"Il metodo di scoperta di Alice era tipicamente quello di una dilettante. Ha iniziato notando che un angolo in una normale figura quadridimensionale delimitata da tetraedri, per esempio, può avere solo 4 , 8 o 20 di essi che si incontrano in un punto perché una sezione di spazio tridimensionale vicino all'angolo in una posizione simmetrica poteva essere solo un tetraedro, un ottaedro o un icosaedro. Poi ha tracciato, usando solo la costruzione di Euclide, il progresso della sezione mentre la figura quadridimensionale passava attraverso il nostro spazio tridimensionale. In questo modo Alice, utilizzando solo le costruzioni di Euclide, ha prodotto sezioni di tutti e sei i politopi regolari."


Alicia Boole insieme a Pieter Hendrik Schoute  ©Raccolte speciali dell'Università di Bristol
Da sinistra a destra, dall'alto verso il basso: 
Mary Stott, GI Taylor, Margaret Taylor, PH Schoute, A. Boole Stott 

Dopo il matrimonio con Walter Stott nel 1890 e la nascita di due figli, Mary e Leonard, condusse una vita di sacrifici e privazioni, ma non abbandonò mai i suoi studi e le sue ricerche sui politopi, tanto da interessare e stupire il matematico olandese Pieter Hendrik Schoute con il quale venne in contatto e a cui inviò le fotografie dei suoi modelli di cartone e legno per rappresentare le sezioni tridimensionali di solidi regolari convessi quadridimensionali, che lei appunto aveva chiamato politopi.
Fu così che Schoute studiò la geometria euclidea a più di 3 dimensioni, scrivendo 28 tavole, in collaborazione con Alicia Boole Stott che, proprio con le sue ricerche sui politopi regolari, generalizzò il concetto di poliedri regolari.
Schoute lavorò con Alicia per quasi 20 anni, persuadendola a pubblicare i suoi risultati che poi fece con due articoli pubblicati ad Amsterdam, "On certain series of sections of the regular four-dimensional hypersolids" (1900) e "Geometrical deduction of semiregular from regular polytopes and space fillings" (1910), da cui si comprende che è stata la prima matematica a enumerare e descrivere tutti i 45 politipi semiregolari.
Scrisse anche tre documenti insieme a Schoute , ovvero "On Models of 3-dimensional sections of regular hypersolids in space of 4 dimensions" (1907), "On the sections of a block of eight-cells by a space rotating about a plane" (1908), e "Over wederkeerigheid in verband met halfregelmatige polytopen en netten" (1910). 
Anche se dopo la morte di Schoute, nell'aprile del 1913,  il lavoro di Alicia sui politopi sembrò fermarsi, tuttavia, l'Università di Groningen la onorò invitandola a partecipare alle celebrazioni per il trecentenario dell'università e assegnandole una laurea honoris causa il 1 ° luglio 1914. 
Fu proposta infatti per il riconoscimento da Johan Antony Barrau (1873-1953) che dopo aver letto i suoi documenti scrisse: 

"Da questi documenti, si deduce un dono molto speciale di riuscire a vedere la posizione e le forme in uno spazio a quattro dimensioni. Tre di questi articoli sono stati scritti congiuntamente con il dottor Pieter Hendrik Schoute, che ha collaborato per molti anni  con l'Università di Groningen, ed è questa proficua collaborazione con il professore la ragione per cui  la Facoltà di Matematica e Fisica ha proposto la signora Alicia Boole Stott per la laurea honoris causa in Matematica e Fisica, da conferire in occasione della prossima commemorazione dei 300 anni dell'Università."

Tuttavia, per qualche motivo non chiaro, Alicia non andò alla commemorazione a Groningen e la laurea fu assegnata "in absentia", ma furono esibiti i suoi modelli geometrici che possono essere visti tuttora come parte della mostra online di Groningen dei modelli matematici di superfici


Disegni dei piani delle sezioni perpendicolari della cella  600  conservati presso 
l'Università di Groningen in Olanda ©Museo universitario di Groningen  

Nel 1930 fu presentata ad Harold Coxeter, col quale lavorò a diversi problemi e che la descrisse dicendo: 

"La forza e la semplicità del suo carattere combinata con la diversità dei suoi interessi ne fa un'amica ispiratrice."

Durante la collaborazione con Coxeter, che avveniva per lettera o durante i famosi "tè e politopi", Alicia ottenne altri importanti risultati, relativi alla costruzione di poliedri mediante l'utilizzo della sezione aurea.
Collaborazione che si concluse quattro anni prima della sua morte (17 dicembre 1940), quando Coxeter lasciò l'Inghilterra per prendere un posto a Toronto nel 1936, destinato a diventare “il re dello spazio infinito”.
In quell'occasione così gli scrisse la quasi ottantenne Alicia:

"Mio caro! Non so come scriverti, le parole sembrano così futili accanto a una separazione così grande! Ma in realtà non posso che rallegrarmi per il tuo bene, che è appena capitato... Mentre sto scrivendo la mia mente è tornata al mondo adorabile che abbiamo visitato insieme e che tu hai reso tanto tuo. Mi chiedo dove tu arriverai! Come vorrei poterti seguire."


Flatlandia è un racconto fantastico, scritto dal reverendo e pedagogo Edwin Abbott Abbott, che basandosi 
sul meccanismo di mondi concentrici, incompatibili e incomunicanti, mette in dubbio
 i nostri stessi punti di riferimento, e si chiude con l'inquietante ipotesi di una quarta dimensione.

Così come Alicia e Hinton parlavano di quarta dimensione assimilabile alla grandezza temporale, un po’ com'è esposto nella teoria della relatività ristretta di Einstein, anche in seguito Henri Poincaré e altri si porranno il problema di ciò che è la realtà e di ciò che l’essere umano percepisce. 
Mentre la ricerca matematica sulla geometria a più di tre ordinarie dimensioni ha portato frutti tangibili nel mondo della scienza fisica, basti pensare alla formulazione appunto della teoria della relatività del 1904, il romanzo di Edwin Abbott Abbott (Flatlandia di cui ho citato una frase in apertura) e le altre forme di diffusione del pensiero geometrico hanno ispirato tantissimo l’immaginario collettivo e quello di scrittori, artisti e registi cinematografici del XX secolo.
Negli ultimi anni i fisici hanno cominciato a parlare di configurazioni che coinvolgono 10, 11 o 26 dimensioni, mentre i matematici ormai parlano con disinvoltura di strutture in spazi n-dimensionali. 
Uno dei modi più comuni di pensare alle dimensioni è di considerarle come ciò che i matematici, i fisici o gli ingegneri chiamano "gradi di libertà".

Molti considerano i politopi convessi tra i più importanti oggetti geometrici e ritengono che gran parte della geometria euclidea si riduca essenzialmente alla teoria dei politopi convessi. 
Attualmente i politopi trovano importanti applicazioni nella ottimizzazione, nella programmazione lineare, nella computer grafica e in molti altri campi. 
La loro importanza ha portato a studiarli anche con strumenti software specifici e a definire precise regole per la codifica dei singoli oggetti politopo.


Vista della cella a 10 celle nella 3- sfera, con assi di simmetria periferica 18 "x 31" 
Stampa a colori di un'immagine al computer del 2013 ©photo gallery Banchoff 

"Grazie agli straordinari progressi della computer graphics, oggi possiamo avere una diretta esperienza visiva di oggetti che esistono solo in dimensioni superiori. 
Quando osserviamo queste immagini muoversi sullo schermo di un computer grafico, la sfida che ci viene lanciata è simile a quella che dovettero sostenere i primi scienziati che lavorarono con un telescopio, con un microscopio o con i raggi X.  Stiamo vedendo cose che non erano mai state viste prima d’ora, e stiamo appena cominciando a imparare come devono essere interpretate queste immagini. Siamo davvero solo nella primissima fase di una nuova era, l’era della visualizzazione delle dimensioni."

Queste parole di Thomas Francis Banchoff  dimostrano che tutto ciò che Alicia Boole Stott ed i suoi successori si erano sforzati di fare usando una matita ed un foglio di carta, o con fogli di cartoncino, adesso lo si può fare unendo le conoscenze algebriche con le costruzioni geometriche, calcolando miliardi di coordinate in tempuscoli minimi con l’ausilio dei processori elettronici.
Proprio come afferma uno dei più grandi esperti mondiali di computer graphics, il professor Thomas Francis Banchoff, che su uno schermo di un elaboratore elettronico si possono osservare le vere immagini che rappresentano ciò che potremmo percepire se potessimo entrare negli spazi a dimensioni superiori.


"L'ipercubo" di Attilio Pierelli al Dipartimento di Matematica Università di Tor Vergata - Roma

Ho iniziato questo articolo con l'arte pittorica di Kandinsky e quindi chiudo con l'immagine di un'altra opera d'arte, scultorea di Attilio Pierelli, sempre legata al concetto di politopo.
Se per Kandinsky il cerchio è l'indicazione più chiara per la quarta dimensione (4-politopo):

"Perché il cerchio mi affascina? 
Perché: 1) è la forma più modesta, ma si afferma senza riguardo; 2) è precisa, ma inesauribilmente variabile; 3) è stabile e instabile allo stesso tempo; 4) sommessa e forte nello stesso tempo; 5) una tensione che porta in sé infinite tensioni. Il cerchio è una sintesi dei maggiori contrasti e unisce il concentrico con l'eccentrico in una forma e in un equilibrio. Nella terna di forme primarie (triangolo, quadrato, cerchio), il cerchio è l'indicazione più chiara per la quarta dimensione […] Il cerchio è la sintesi delle più grandi opposizioni. Combina il concentrico e l’eccentrico in un’unica forma e in equilibrio." (Kandinsky)

per Pierelli l'indicatore più significativo è l'ipercubo:

"Tutti i giorni, per 10 anni, per almeno tre ore, studiai per comprendere a fondo il legame tra la realtà e la sua immagine […] Ordine ed equilibrio sono i dati che si incontrano nella geometria iperspaziale e posso dire che nel creare le sculture ispirate agli iperspazi, mi trovo di fronte alla necessità di lavorare in modo esasperatamente ordinato per ottenere il miglior risultato estetico." (Attilio Pierelli)


In geometria, un tesserattoè un 4-politopo, cioè un ipercubo quadridimensionale.
Curioso ricordare che il nome "tesseract" fu coniato proprio dal matematico e scrittore Charles Howard Hinton, cognato di Alicia Boole nel 1880 quando scrisse l’articolo "What Is the Fourth Dimension?" in cui immagina che i punti dello spazio tridimensionale possano rappresentare intersezioni tra oggetti quadridimensionali e lo spazio tridimensionale.
Una proiezione del tesseratto nel piano può essere realizzata disegnando due cubi paralleli, e collegando i corrispettivi vertici con dei segmenti.
Il tesseratto ha 16 vertici, 32 spigoli, 24 facce quadrate e 8 facce tridimensionali cubiche. 
Su ogni vertice incidono 4 spigoli, 6 facce quadrate e 4 facce cubiche. 
"L'ipercubo", realizzazione di Attilio Pierelliè un'opera che dà un esempio di percezione fisica di idee astratte, in quanto l'artista è stato capace di rappresentare la quarta dimensione nella tridimensionalità.
Una sequenza aritmetica regola la struttura iperspaziale dell’Ipercubo, composto da otto cubi tridimensionali, a loro volta formati da sei superfici quadrate bidimensionali. 
Ciò che si trova al di là della nostra esperienza può essere percepito soltanto attraverso espedienti di natura illusionistica, ma l’opera d’arte ci porta a riconoscere come tali illusioni ottiche possano comunque creare un mondo davanti a noi. 

"Il punto di partenza per una nuova concezione è dovuto probabilmente a Kandinsky, che nel suo libro 'Ueber das Geistige in der Kunst' ('Informazioni sull'arte spirituale') pone nel 1912 le premesse di un'arte nella quale l'immaginazione dell'artista sarebbe stata sostituita dalla concezione matematica […] Così, se nell’incertezza delle percezioni sensibili noi andremo a considerare il pensiero matematico, come l’astrazione che rende pensabile la natura, l’opera di un artista sarà allora la sua materializzazione."



Fonti

Image
©Pat'sBlog
https://pballew.blogspot.com/2014/10/those-amazing-boole-girls.html
©Mauro Fiorentini
http://www.bitman.name/math/indiceanalitico/6
©Raccolte speciali dell'Università di Bristol
http://www.bristol.ac.uk/homepage/
©Museo universitario di Groningen  
https://www.master-abroad.it/universities/Olanda/University-of-Groningen/



I quadrati magici tra matematica, arte e leggenda

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"Capire tu mi devi!
Di Un fai Dieci, getta via il Due,
uguaglia il Tre, e sarai ricco.
Che crepi il Quattro!
Di Cinque e Sei, dice la strega, fai Sette e Otto.
È tutto fatto. Se Nove è Uno, Dieci è nessuno.
Questa è la tabellina della strega!" 
(Johann Wolfgang von Goethe)¹ 

Cosa c'è di così magico nel Quadrato Magico?
I quadrati magici sono chiamati "magici" perché ogni riga, colonna e diagonale nel quadrato ha la stessa somma, chiamata la costante magica, dove somma è il termine che usiamo per definire l'operazione di addizione dei numeri nel quadrato.
"Panquadrato" 64x64 di Ugo Adriano Graziotti - 1983

Prima di addentrarmi nella spiegazione da un punto di vista strettamente matematico racconterò un po' di storia e mi soffermerò a parlare di tre curiosi quadrati: il quadrato magico di Lo Shu,  quello non proprio magico della Sagrata Familia, per concludere con il Panquadrato di Adriano Graziotti.

I quadrati magici hanno una storia molto antica e già gli antichi Cinesi, intorno al 650 a.C., conoscevano l’unico quadrato di ordine 3, che chiamarono Lo Shu.




Il quadrato magico "Lo Shu"

Secondo un'antica leggenda cinese, si dice che il primo quadrato magico sia stato trovato sul dorso di una tartaruga e questa storia è la prima documentazione scritta di un quadrato magico.. 
Questa leggenda risale al 650 a.C., ai tempi delle grandi inondazioni in Cina, secondo la quale la disastrosa piena del fiume Lo, causata dall’ira dal dio del fiume contro la popolazione, ebbe fine solo con la comparsa di una tartaruga.
Racconta che un giorno l'imperatore Yu (夏禹), che camminava lungo il fiume Lo (洛河), notò una tartaruga che usciva dall'acqua con strani segni sul dorso e, dopo un attento esame, scoprì che i segni rappresentavano dei numeri, e che il modello formava un quadrato magico.
La tartaruga che emerse dal fiume aveva infatti un insolito motivo 3 x 3 sul suo guscio che in seguito divenne la base del "Lo Shu Square", una griglia matematica in cui la somma dei numeri di ogni riga, colonna o diagonale è la stessa. 
Indipendentemente dalla direzione in cui si considerano i numeri, orizzontale, verticale o diagonale, la loro somma porta sempre a 15.
Lu rimase sbalordito e decise di chiamare la tartaruga "Lo Shu". "Lo"è il nome del fiume e "Shu" significa libro, testo o pergamena, quindi il nome può essere tradotto come "Il libro del fiume Lo". 



Il numero 15 è considerato un numero potente perché corrisponde al numero di giorni in ciascuno dei 24 cicli dell'anno solare cinese. In altre parole, è il numero di giorni nel ciclo della luna nuova fino alla luna piena.
Il "Lo (Luo) Shu Square", a volte chiamato il Magic Square, è anche alla base dell'antica astrologia del Feng Shui , della scuola di Xuan Kong Fei Xing , così come dell'I-Ching.  
Come si vede dall'immagine, nel "Lo Shu Square" il numero 5 è al centro, con numeri dispari e pari che si alternano alla sua periferia.



I quattro numeri pari - 2,4,6,8 - sono ai quattro angoli del quadrato, mentre i cinque dispari - 1,3,5,7,9 - formano una croce al centro, intorno al numero 5 (五wu) che richiama i 5 elementi che, secondo la tradizione, compongono l’universo (acqua, metallo, legno, fuoco e terra). 
I numeri dispari, simboli di luce, trasportano l'energia Yang, e i numeri pari, simboli di ombra, quella Yin, quindi nel "Lo Shu Square" i numeri Yin e Yang si alternano attorno al suo numero centrale 5.
I numeri nel "Lo Shu Square" sono un'espressione di energie specifiche e a loro vengono attribuite proprietà specifiche. 
Ad esempio, il numero 9 (九jiu) suona come la parola eternità. Gli antichi cinesi consideravano il 9 l’ultimo numero degli uomini dal momento che i numeri dal 10 in poi appartenevano al cielo. Per questo il nove fu in età imperiale un numero ad uso esclusivo dell’imperatore: le stanze della città proibita (la residenza dell’Imperatore a Pechino) sono proprio 9.999. mentre il numero 1 (一 yi) rappresenta l’onore, la leadership e lo sviluppo permanente.
La numerologia cinese trova infatti le sue radici nella tradizione taoista ed è chiaramente spiegata nel Classico dei Mutamenti, I Ching o Yi Jing (易經 Yìjīng), un antico testo di divinazione cinese e il più antico del classici cinesi, uno dei 5 classici confuciani su cui si basa la cultura tradizionale cinese. 
Tradizione che considera appunto i numeri dispari simboli di luce e uomo (yang) e i numeri pari di ombra e femmina (yin).²
La configurazione del "Lo Shu Square" era considerata comunque simbolo di armonia ed era un modello importante per il tempo e lo spazio e serviva da base per la pianificazione della città, la progettazione di tombe e di templi. Il quadrato magico è stato usato per designare gli spazi di importanza politica e religiosa. 


Il quadrato magico Lo Shu sul retro di una piccola tartaruga (al centro), circondata dai segni dello zodiaco 
cinese e dagli otto trigrammi, tutti portati da una grande tartaruga (che, presumibilmente, rappresenta
 il cavallo del Drago che in precedenza aveva rivelato i trigrammi di Fu Xi). 
Disegnato da un anonimo artista tibetano.

Se vogliamo definire  più rigorosamente un quadrato magico allora possiamo considerarlo come una matrice quadrata di numeri interi positivi da 1 a n² tale che la somma degli n numeri in ciascuna riga, colonna e diagonale principale sia sempre lo stesso numero, chiamato costante di magia, che si calcola con la formula:

M(n) = ½ n (n² + 1)

Allora il nostro quadrato magico "Lo Shu" può definirsi come una matrice quadrata di numeri interi positivi di ordine n = 3, la cui costante di magia vale:

M(3) = ½ ∙ 3 (3² + 1) = 3/2 ∙ 10 = 15



Script originale di Shams al-Ma'arif

Breve storia

Noti anche in India e in Persia, i quadrati magici giunsero in Europa relativamente tardi, attraverso la traduzione di fonti arabe, prima dalle opere del filosofo ed astrologo ebreo Abraham ben Meir ibn Ezra (ca. 1090–1167), che potrebbe essere stato uno dei primi pionieri dell’introduzione dei quadrati magici in Europa e poi, come elementi occulti, nel Rinascimento.
Abraham ben Meir tradusse infatti molte opere dall’arabo in ebraico e dalla Spagna, dove visse a Granada, giunse in Italia con molti viaggi diffondendo così le sue opere anche relative ai quadrati magici. 
La vera riscoperta dei quadrati magici in Europa avvenne però nel Quattrocento, con lo sviluppo in Italia del neoplatonismo rinascimentale, periodo in cui la teoria generale dovette essere riscoperta indipendentemente dai precedenti sviluppi in Cina, India e Medio Oriente.
Le correnti numerologiche sfociarono in una rinascita degli studi matematici, persino in persone lontane da tentazioni occultistiche, come Luca Pacioli (1445 - 1517), che tuttavia chiamò “divina” la famosa proporzione


Sator³ esempio di quadrato magico letterale
Paracelso lo considerava un talismano erotico e  Girolamo Cardano 
nel suo "De rerum variegate", un rimedio contro la rabbia
Il Sator di Capestrano che risale al VIII sec. d.C. è una incisione (misteriosamente) rovesciata 
su una lastra infissa a circa due metri da terra nella facciata della chiesa romanica
 di San Pietro ad Oratorium di Capestrano

Pacioli si occupò di quadrati magici, nel manoscritto "De viribus quantitatis", redatto  presumibilmente tra il 1496 e il 1508, dove associò i diversi quadrati magici ai pianeti allora conosciuti, secondo una tradizione già iniziata prima del loro arrivo in Europa. 
Un vero e proprio "mago" rinascimentale fu il medico, algebrista, inventore e astrologo milanese Girolamo Cardano (1501 - 1576), e il "mago" d'oltralpe Cornelio Agrippa di Nettesheim (1486–1535) che nell’edizione del 1533 della sua opera "De Occulta Philosophia" descrive i quadrati magici nel secondo libro, dedicato alla magia celeste, cioè al potere delle stelle e dei pianeti. 




Di ogni quadrato magico, Agrippa fornisce la descrizione in chiave planetaria, secondo il seguente schema:
Ordine 3: quadrato di Saturno
Ordine 4: quadrato di Giove
Ordine 5: quadrato di Marte
Ordine 6: quadrato del Sole
Ordine 7: quadrato di Venere
Ordine 8: quadrato di Mercurio
Ordine 9: quadrato della Luna.

Sempre di questo periodo rinascimentale è il famoso quadrato magico 4x4 che Albrecht Dürer  (1471 - 1528) immortalò nel 1514 nella sua incisione Melencolia I, che si crede essere il primo visto nell'arte europea. 
Su questo però non mi soffermerò, avendone già parlato in un precedente articolo completamente dedicato al grande artista "Albrecht Dürer, dalla magia alla matematica" (di cui lascio qui il link per la curiosità del lettore). preferendo invece parlare di uno più discusso recentemente, sempre 4x4, quello posto sulla facciata della Passione della Sagrada Família a Barcellona. 



Il quadrato di Subirachs 
sulla facciata della Passione della Sagrada Família³ a Barcellona

Il quadrato "non magico" di Subirachs 

La facciata della Passione della Sagrada Família⁴ a Barcellona, ideata da Antoni Gaudí (1852 - 1926) e progettata dallo scultore Josep Subirachs (1927 - 2014), presenta un quadrato 4 × 4 la cui costante è 33, l'età di Gesù al tempo della Passione. 
Strutturalmente, è molto simile al quadrato magico in Melancholia 1 di Albrecht Dürer, ma riporta i numeri in quattro delle celle ridotti di 1


Parallelo tra il quadrato di  Josep Subirachs e quello del Albrecht Dürer

E' facile anche notare che pur avendo lo stesso schema di sommatoria, questo non è un vero quadrato magico (non è un quadrato magico normale) perché non rispetta la regola che un quadrato magico n x n debba contenere ciascuno degli interi positivi da 1 a n². dato che due numeri (10 e 14) sono duplicati e due (12 e 16) sono assenti. 
Subirachs prese il quadrato magico dall'incisione del pittore tedesco Albrecht Dürer, Melencolia I , e lo adattò, ripetendo i numeri 14 e 10 invece di 12 e 16, per arrivare fino a 33, l'età in cui si ritiene tradizionalmente che Gesù sia stato giustiziato. 
Tradizionalmente creduto perché, storicamente, questo non è mai stato confermato, tuttavia è vero che 33 è anche un numero simbolico, e non del tutto casuale, basato sull'importanza del numero 3 nel mondo cristiano, come simbolo della trinità.
Inoltre, nel quadrato della Sagrada Familia, c'è anche una sorta di firma subliminale nascosta. Sommando i numeri che si ripetono e guardando la loro corrispondenza nell'alfabeto romano, otteniamo le iniziali INRI, l'acronimo che significa Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum (Gesù di Nazareth, re degli ebrei) ed è il segno che Ponzio Pilato scrisse sulla croce di Gesù e qui, la sua firma.
I numeri che compaiono due volte sono infatti 10 e 14 e la loro somma è 10+10+14+14 = 48.
Ma 48 è anche la somma delle lettere della parola INRI (nell'alfabeto latino).
INRI = 9+13+17+9 = 48.




Dopo i brevi cenni storici e dopo aver parlato di questi due quadrati, magici e non, per soddisfare la curiosità lascio alcune considerazioni matematiche legate a questi quadrati (altre e più dettagliate potreste trovarle qui).

Alcune considerazioni matematiche sul Quadrato Magico

Un quadrato magico è una disposizione di numeri interi in forma di tabella quadrata in cui siano rispettate due condizioni:
- i valori siano tutti distinti tra loro 
- la somma dei numeri presenti in ogni riga, in ogni colonna, e in entrambe le diagonali, dia sempre lo stesso risultato, denominato "costante di magia" del quadrato (o "costante magica", o "somma magica"). 
In matematica, una tabella di questo tipo è detta matrice quadrata. In modo analogo a quanto avviene con queste ultime, il numero di righe (o di colonne) è detto "ordine" del quadrato magico.
Quindi possiamo definire più rigorosamente un quadrato magico come una matrice quadrata di numeri interi positivi da 1 a n² tale che la somma degli n numeri in ciascuna riga, colonna e diagonale principale sia sempre lo stesso numero, chiamato costante di magia.

Costante di magia 

La costante che è la somma di qualsiasi riga, colonna o diagonale è chiamata "costante magica" o "somma magica", M. 
Ogni quadrato magico normale ha una costante dipendente dall'ordine n, calcolato dalla formula:



Questa può essere dimostrata notando che la somma di 1+2+...+n² è n²(n² +1)/2
Poiché la somma di ogni riga è M, la somma delle somme di riga è nM = n²(n² +1)/2, che diviso per l'ordine n produce la costante magica. 
Per i normali quadrati magici di ordine n = 3, 4, 5, 6, 7 e 8, le costanti magici sono, rispettivamente: M = 15, 34, 65, 111, 175, e 260 (sequenza A006003 in OEIS ). 

Proprietà

- Il quadrato magico di ordine 1 è banale 



Il quadrato magico 1 × 1, con una sola cella contenente il numero 1, è chiamato banale , perché tipicamente non viene preso in considerazione quando si discutono i quadrati magici; ma è effettivamente un quadrato magico per definizione, se consideriamo una singola cella come un quadrato di ordine uno.

- Il quadrato magico di ordine 2 non può essere costruito 


I normali quadrati magici di tutte le dimensioni possono essere costruiti ad eccezione di 2 × 2 (cioè, dove l'ordine n = 2).

Numero di quadrati magici di un dato ordine 
Escludendo rotazioni e riflessioni, quante configurazioni hanno i quadrati magici?

- 1 sola configurazione del quadrato magico 3 × 3
Del quadrato magico di ordine 3 [M(3)=15] è possibile una sola configurazione. Eccone un esempio (ruotato rispetto al "Lo Shu"):

- 880 configurazioni del quadrato magico 4 x 4 
Del quadrato magico di ordine 4 [M(4)=34] sono possibili 880 configurazioni diverse senza rotazione o riflessione, come stabilì per primo Frénicle de Bessy nel 1693. Ecco un esempio  molto simile al famoso quadrato magico del Durer (le due colonne centrali sono state invertite)



- 275.305.224 configurazioni dei quadrato magico 5 x 5
Del quadrato magico di ordine 5 [M(5)=65] sono possibili 275.305.224 configurazioni diverse, come stabilito da R. Schroeppel nel 1973 con l’ausilio del computer. Eccone un esempio:



- Per il caso 6 × 6, si stima che siano circa 1,8 × 10^19 configurazioni, come stabilito statisticamente da Pinn e Wieczerkowski nel 1998. Eccone un esempio: 



- Per il caso n?
Non è stata determinata la regola che consenta di stabilire il numero di quadrati magici di un qualsiasi ordine n.


Alcune trasformazioni che preservano la proprietà magica
(altre trasformazioni più dettagliate qui

- Ciascun quadrato magico rimane magico se ruotato di 90°, 180° o 270° gradi, oppure se viene riflesso rispetto all’asse orizzontale, verticale e a ciascuna delle sue diagonali.

- Un quadrato magico rimane magico quando i suoi numeri sono moltiplicati per qualsiasi numero fisso k e avrà come costante magica kM(n)
Nell'esempio seguente gli elementi del quadrato di sinistra (M(4)=34) sono stati raddoppiati nel quadrato di destra (M(4)=68):



- Se aggiungiamo o sottraiamo la stessa quantità q a ciascun numero di un quadrato magico, otteniamo di nuovo un quadrato magico. Un quadrato magico normale a cui abbiamo aggiunto o sottratto q ha costante magica M(n) + nq o M(n) - nq.
Nell'esempio seguente a ogni elemento del quadrato magico normale di sinistra è stato aggiunto q=3 e quindi la costante magica del quadrato di sinistra risulta M(4)=34+4x3=46



- Un quadrato magico rimane magico quando i suoi numeri vengono aggiunti o sottratti da qualsiasi numero fisso. In particolare, se ogni elemento in un quadrato magico normale viene sottratto da n² + 1, otteniamo il complemento del quadrato originale. Nell'esempio seguente, gli elementi del quadrato 4 × 4 a sinistra (M(4)=34) vengono sottratti da 17 (4²+1) per ottenere il complemento del quadrato a destra (M(4)=34) 



Il Panquadrato di Adriano Graziotti

Concludo questo breve excursus sui quadrati magici, che per secoli hanno affascinato matematici e artisti, parlando dell'opera che ho usato per aprire questo post.
Si tratta del "Panquadrato" un'opera molto intrigante del matematico, pittore e scultore italiano Ugo Adriano Graziotti (1912 - 2000), che è considerato il più grande quadrato magico ed è entrato, a buon diritto nei Guinnes dei primati.


Dettaglio del Panquadrato di Graziotti

E' un quadrato magico di ordine 64 che comprende tutti i numeri naturali da 1 a 4096 e la cui costante magica è: 

M(64) = ½ ∙ 64(64² + 1) = 32 ∙ 4097 = 131.104

Oltre a risultare dalla somma dei numeri delle righe, colonne e diagonali, la costante magica 131 104, è data anche dalla somma dei numeri che compongono le raffigurazioni simmetricamente distribuite nel quadrato: 4 labirinti, 4 semidiagonali, 4 greche, 4 vampiri e i 2 bracci della croce centrale. 
Si ottengono cosi 18 "sottoquadrati" aventi la stessa costante del quadrato principale. 
Il numero 87, nell'ultima casella in basso a destra, è la criptica firma dell'artista: infatti le iniziali "H" e "G" di Hadrianus Graziotti corrispondono rispettivamente all'ottava e settima lettera dell'alfabeto. Il numero accanto, 2736, è l'anno di esecuzione del quadrato secondo il calendario dell'antica Roma: esso è dato dalla somma di 1983, anno di composizione del lavoro, e 753 a.C., anno della fondazione dell'Urbe. 
Complesso da descrivere, davvero geniale da concepire rientra tra le opere che l'artista dedicò alla sua passione matematica, e quello dei quadrati magici fu uno dei temi di ricerca sulla arcaica scienza che più appassionò Graziotti. 



Note

¹Filastrocca dell'Antro della Strega che possiamo leggere nel Faust, il celeberrimo poema dello scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe. 
Questa filastrocca si presta ad una interpretazione matematica e può essere letta infatti come un algoritmo per costruire un quadrato magico a partire dai numeri naturali da 1 a 9.
La filastrocca in tedesco recita: 
"Du mußt verstehn!
Aus Eins mach’ Zehn, Und Zwei laß gehn,
Und Drei mach’ gleich, So bist Du reich.
Verlier’ die Vier!
Aus Fünf und Sechs, So sagt die Hex’, Mach’ Sieben und Acht,
So ist’s vollbracht. Und Neun ist Eins, Und Zehn ist keins.
Das ist das Hexen-Einmal-Eins!"

² Istituto Confucio dell'Università di Torino 

³ Il Satorè un’iscrizione in latino, che appaia come lapide o come graffito, apparentemente semplice ed elegante, fatta di lettere anziché di numeri, una lastra di pietra su cui sono incise cinque parole latine di cinque lettere ciascuna che formano una frase palindroma "Sator Arepo Tenet Opera Rotas", leggibili in direzioni orizzontali e verticali (manca la direzione obliqua presente dei quadrati magici numerici). 
Il testo, ancora oggi senza una chiara spiegazione, significa "Il seminatore sul carro conduce con cura le ruote".
Ma il motto racchiude in sé molte particolarità. Innanzi tutto: la terza parola, TENET, è palindroma, ossia può essere letta in entrambi i sensi. Inoltre se prendiamo la frase nella sua interezza anch’essa risulta sorprendentemente palindroma. Partendo dall’ultima parola: ROTAS, letta al contrario risulta SATOR, come la prima. La penultima, OPERA, risulta AREPO, come la seconda, e così via. 
Il quadrato Sator forse più antico è il quadrato scoperto a Pompei nel 1936 dall’archeologo ed epigrafista italiano Matteo Della Corte, 
Il Sator è anche detto Latercolo pompeiano proprio perché i due più antichi esemplari ad oggi noti emersero in Italia, appunto negli scavi di Pompei, città sepolta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., anche se molti altri vennero collocati su chiese ed edifici soprattutto fra il 1000 e il 1800 e sono visibili su un numero sorprendentemente vasto di reperti archeologici.
Altre curiosità esoteriche e religiose qui

⁴ La Sagrada Família, nome completo in lingua catalana Temple Expiatori de la Sagrada Família (Tempio espiatorio della Sacra Famiglia) di Barcellona, Catalogna (Spagna) è il capolavoro di Antoni Gaudí, architetto catalano, definito l'architetto di Dio.
Nel 1866 nacque l'Associació Espiritual de Devots de Sant Josep (Associazione spirituale dei devoti di San Giuseppe), con l'intento di promuovere la fabbricazione di un tempio dedicato alla Sacra Famiglia. Tramite le donazioni che riceveva, l'associazione comprò il terreno su cui ora sorge la chiesa nel 1881 e in seguito si apprestò alla costruzione.
L'incarico fu affidato ad Antoni Gaudí nel 1884. Egli lavorò al progetto e seguì i lavori di costruzione per oltre 40 anni, dedicando completamente a questa impresa gli ultimi 15 della sua vita.
Dal 1940 gli architetti Francesco Quintana, Puig Boada, e Lluis Gari hanno portato avanti i lavori. Le sculture di J. Busquets e del controverso ma possente Josep Subirachs decorano le fantastiche facciate.
La costruzione della chiesa è tutt'oggi finanziata dalle donazioni all'associazione e i lavori procedono lentamente, anche a causa delle difficoltà del progetto. Numerosi edifici circostanti dovrebbero essere abbattuti per far posto alla scalinata principale.
La Sagrada Familia non è stata ancora finita e i responsabili assicurano che sarà terminata nel 2026 e si prevede che al suo completamento possa essere la più grande basilica del mondo.


Fonti
https://en.wikipedia.org/wiki/Magic_square
https://www.thespruce.com/feng-shui-magic-of-the-lo-shu-square-1274879
https://it.wikipedia.org/wiki/Sagrada_Fam%C3%ADlia


Michel Rolle e il vitalizio di Colbert

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Michel Rolle, chi era costui? Direbbe Don Abbondio!
I vitalizi, tanto di attualità negativa oggi, esistevano anche del XVII secolo?
Forse non erano dati alla "casta" politica, ma assegnati per merito!
  
Chi alle scuole superiori o all'università ha studiato un po' di Analisi non può certo non ricordare:
"Data una funzione f(x) continua in un intervallo [a,b], derivabile in (a,b) e tale che f(a)=f(b),  esiste un punto ξ ∈ (a,b) tale che f′(ξ)= 0"
(nel 1846 Giusto Bellavitis diede il nome di Rolle al teorema)


Michel Rolle (1652-1719) presunto ritratto - Autore sconosciuto
Immagine © Wikipedia

In tutti i testi elementari di analisi matematica infatti si trova dimostrato questo teorema, il teorema di Rolle.
Si tratta dunque di un teorema molto noto che si porta nel programma di Analisi già nell'ultimo anno del Liceo Scientifico e negli esami di Analisi 1 o Matematica 1 delle facoltà scientifiche,  che però, a ben vedere, non nacque per essere applicato a funzioni bensì Rolle trovò il teorema, che oggi porta il suo nome, nel quadro delle ricerche finalizzate ad ottenere un metodo di risoluzione numerica per le equazioni di grado qualsiasi. 
Il suo obiettivo era infatti quello di localizzare le radici di un polinomio p(x), cioè trovare intervalli della retta reale all’interno dei quali si è certi dell’esistenza di una o più radici del polinomio. 
Tant'è che Rolle pubblicò nel 1691 un opuscolo dedicato alla dimostrazione del metodo, la "Démonstration d’une methode pour resoudre les égalitez de tous les dégrez".
Le equazioni considerate da Rolle erano a coefficienti reali ed il metodo era propedeutico al calcolo delle radici reali, mentre un’estensione al caso complesso fu enunciata molto tempo dopo da Gauss, nel 1816.




Ma lasciamo stare il Teorema di Rolle e vediamo invece un'altra curiosità, forse meno conosciuta, ma sempre legata al grande matematico francese.
Dalla sua biografia leggiamo che Michel Rolle (Ambert, 21 aprile 1652 – Parigi, 8 novembre 1719) era figlio di un mercante e che ricevette solo un'istruzione molto elementare, lavorando prima come trascrittore per un notaio e poi per vari avvocati nella sua regione natale, l'Alvernia. 
All'età di ventitré anni si trasferì a Parigi, sposato presto e gravato di una famiglia, aveva però difficoltà a guadagnare abbastanza soldi come maestro, scriba e inventore. 
Dotato comunque di genialità e avendo imparato da autodidatta l'analisi algebrica e diofantea, nel 1682 pose fine alle difficoltà economiche, perché ottenne un vitalizio da Jean-Baptiste Colbert per aver risolto uno dei problemi di Jacques Ozanam

"Trouver quatre nombres tels que la différence de deux quelconques fait un quarré et que la somme des deux quelconques des trois premiers soit encore un quarré"

Il problema posto da Ozanam era quello di trovare una super quadrupla a, b, c, d, vale a dire nel trovare quattro numeri tali che la differenza di due qualunque di essi fosse un quadrato perfetto e la somma di due qualunque dei primi tre fosse anch’essa un quadrato perfetto.



Oggi la risoluzione formale utilizza funzioni ellittiche
Immagine © Gerard Villemin

Anche se Ozanam aveva affermato che tali numeri, molto rari, avrebbero potuto essere formati da almeno 50 cifre e che imporre una somma quadrata fosse una vera sfida, Michel Rolle trovò una tale quadrupla, i cui quattro numeri avevano sette cifre e nel "Journal des sçavans", il 31 agosto 1682, venne pubblicata un'elegante soluzione al difficile problema posto pubblicamente da Ozanam.
Nell'articolo dal titolo "PROBLEME RESOLU PAR LE SIEUR Rolle professeur d'arithmetiquesi fornisce una delle soluzioni date da Rolle, in cui i quattro numeri sono espressi da polinomi omogenei in due variabili e di grado venti, le cui radici vengono determinate attraverso il suo metodo a cascata.


Articolo (pag.285) del "Journal des sçavans" del 31 agosto 1682 

I numeri trovati in questo modo hanno appunto solo sette cifre e Rolle specifica che la quadrupla è quindi formata dai seguenti 4 numeri:

2.399.057
2.288.168
1.873.432
6.560.657

Come si vede dalla copia digitale (in Gallica) del giornale dell'anno 1682 si tratta di un breve articolo che inizia alla fine di pag 284 e finisce all'inizio di pag 286, ed è collocato tra un articolo sull'"ELOQUIENTIAE FORENSIS..." e uno "DE L'AME DES PLANTES...".

Fatto sta che questo brillante exploit portò a Rolle un riconoscimento pubblico e il vitalizio ricevuto da Colbert gli diede la possibilità di proseguire nei suoi studi matematici, di pubblicare le sue scoperte e di ricevere vari incarichi. 
Rolle in seguito godette del patrocinio del ministro Louvois, lavorò come insegnante di matematica elementare, ed ebbe anche un incarico amministrativo a breve termine nel Ministero della Guerra. Nel 1685 si unì all'Académie des Sciences in una posizione di livello molto basso per il quale non ricevette uno stipendio regolare fino al 1699, quando Rolle fu promosso ad una posizione salariata nell'Academia, divenendo "pensionnaire géometre", posto ambito dato che solo 20 dei 70 membri dell'Accademia, erano pagati.
Tra gli accademici di spicco, come "pensionnaire géometre", c'erano oltre a Rolle, l'abate Jean Gallois, un sostenitore della matematica greca, Pierre Varignon, che caldeggiò le idee di Leibniz. e Guillaume François Antoine de L'Hospital, un accademico onorario, che nel 1696 aveva pubblicato "Analyze des infiniment petits". 
Sebbene fosse la sua abilità nell'analisi diofantea a rendere la reputazione di Rolle, la sua area preferita era l'algebra delle equazioni, di cui pubblicò nel 1690 il "Traité d'algèbre", la sua opera più famosa.




Rolle osteggiò in un primo tempo l'analisi infinitesimale, per cui anche l'Accademia era molto divisa, ma nell'autunno del 1706 riconobbe pienamente a Varignon, Fontenelle e Malebranche, il valore delle nuove teorie infinitesimali.
Resterà a l'Académie des Sciences di Parigi fino alla morte avvenuta, dopo un secondo ictus (nel 1708 subì un primo attacco di apoplessia) l'8 novembre 1719. 
Si spegneva così all'età di 67 anni, l'abile algebrista che rompeva con le tecniche cartesiane e che nonostante la sua posizione critica ai metodi infinitesimali ne fu un valido interprete e futuro protagonista.


MacWilliams, un matematico donna

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Cosa immagini quando senti un nome legato a un teorema? 
La probabilità è che la prima immagine che viene in mente sia quella di un matematico uomo, perché certi stereotipi prevalgono.


Viso del matematico Neil James Alexander Sloane che ho sovrapposto a un viso di donna (immagine).
Neil James Alexander Sloane è stato coautore insieme a Jessie MacWilliams del libro 
"Theory of Error-Correcting Codes" (1977)

E' capitato anche a me quando mi sono imbattuta nel Teorema di MacWilliams. 
Ho immediatamente immaginato MacWilliams come un uomo, ma ho piacevolmente poi scoperto, anche attraverso un simpatico aneddoto, che Jessie MacWilliams, in realtà, era una donna incredibilmente talentuosa. 
Questo conferma che l'immagine tipica di un "matematico"è dipinta come l'immagine di un uomo. Lo stereotipo ha influenzato persino me, matematica, a immaginare un matematico come un uomo ogni volta che sento un nuovo nome. 
Questo nonostante fin dalle medie (la mitica prof.ssa Massarani), quindi al liceo (prof.ssa  Carniello) e all'università (prof.ssa Marchionna di Algebra, prof.ssa Roux di Istituzioni di Analisi o prof.ssa De Socio di Meccanica Razionale...) abbia avuto, come docenti delle bravissime "matematiche" donne! 
Va anche notata la mancanza (o mancanza di conoscenza) di modelli femminili in matematica, che contribuisce a questa disparità. 
Tutti sanno quanto siano importanti i modelli di ruolo per bambini e adolescenti, soprattutto quando iniziano a pensare ai loro progetti per il futuro. 

"La matematica può essere meravigliosa, in quanto ha così tante applicazioni e penso che queste dovrebbero essere mostrate agli studenti in giovane età. Tuttavia, la maggior parte delle ragazze semplicemente non la considera, dato che spesso non conoscono nessun "matematico" donna."

Quindi il problema non è che i modelli di ruolo nel campo non esistano, è piuttosto che non si conoscono. 
Tuttavia, gli stereotipi profondamente radicati, insieme alla sottorappresentazione di queste figure nei media, nei libri di storia e nella conoscenza generale possono causare un circolo vizioso che può perpetuare anche la mancanza di donne nei campi STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics)
Avere pochissime donne in matematica (o non conoscerle) e modelli femminili in campo scientifico possono dissuadere le ragazze dal prendere parte a quelle carriere, che di conseguenza lasceranno una mancanza di modelli di ruolo per le generazioni future.



Ma qual'è l'aneddoto legato alla signora MacWilliams che scoprì una serie di equazioni fondamentali, le "MacWilliams Identities"?
Florence Jessie Collinson, da sposata MacWilliams, (4 gennaio 1917 - 27 maggio 1990) è stata una matematica inglese che ha contribuito nel campo della teoria della codifica. 
Nata a Stoke-on-Trent, in Inghilterra, studiò all'Università di Cambridge, ricevendo un BA nel 1938 (BA sta per il Bachelor of Arts, del tutto equivalente alla nostra Laurea) e un MA (Master of Arts) in economia l'anno successivo. 
Trasferitasi negli Stati Uniti nel 1939, grazie a una borsa di studio, studiò alla Johns Hopkins University sotto la guida di Oscar Zariski e, l'anno dopo, nel 1940, seguì Zariski alla Harvard University per studiare lì per un anno. 
Sposatasi quindi con Walter MacWilliams nel 1941, lasciò il suo lavoro in campo matematico per alcuni anni, per crescere i suoi tre figli, una femmina e due maschi. 
Nel 1958 divenne programmatrice e imparò la Teoria dei Codici (la Teoria dei Codici è un ramo della teoria dell'informazione, o più in generale della matematica e dell'informatica, che studia i codici per la trasmissione di dati su cui si basano numerose applicazioni: telecomunicazioni, wireless, segnalazione ferroviaria, etc) presso i Bell Labs, a Murray Hill nel New Jersey, dove trascorse poi gran parte della sua carriera, fino al definitivo ritiro nel 1983. 
(Teoria dei Codici - MacWilliams Identities a pag 25)
MacWilliams voleva diventare membro dello staff tecnico dei Bell Labs ma, sebbene avesse svolto importanti ricerche e nonostante la laurea a Cambridge, le fu negata una promozione in una posizione di ricerca matematica finché non conseguì un dottorato di ricerca. 
Così nel 1961 tornò ad Harvard per un anno e ottenne un dottorato di ricerca, studiando la teoria della codifica con Andrew Gleason, con la tesi "Problemi combinatori della teoria dei gruppi elementari". 
L'aneddoto che si racconta riguarda proprio questo dottorato che conseguì studiando alla Harvard University insieme alla figlia Ann, che ottenne anche lei in quell'anno un dottorato in matematica. 
Un raro esempio di madre e figlia che frequentano e  ottengono insieme il dottorato, così come raccontò, in un necrologio apparso sul SIAM News di Chicago nel novembre 1990, Vera Pless dell'Università dell'Illinois, in occasione della sua morte avvenuta appunto quello stesso anno.

Jessie fece lavori importanti sui codici di correzione degli errori e ha pubblicato nel 1977, insieme a Neil JA Sloane, il libro "The Theory of Error-Correcting Codes".
Le sue equazioni, note come "MacWilliams Identities", sono ampiamente utilizzate dai teorici della codifica, sia per ottenere nuove informazioni teoriche sulla correzione dei codici degli errori che per determinare le distribuzioni di peso di specifici codici. 
Le equazioni di MacWilliams hanno anche portato a risultati importanti nell'area della teoria combinatoria.



MacWilliams lavorò anche sui codici ciclici, generalizzandoli a codici di gruppo abeliani e, insieme a Henry Berthold Mann, ha risolto un problema difficile che coinvolge alcune matrici di progettazione. 
A proposito del suo libro, "The Theory of Error-Correcting Codes", scritto nel 1977 in collaborazione con Neil JA Sloane ai Bell Labs, Vera Pless nota come questo libro enciclopedico, con quasi 1.500 riferimenti, copra molte diverse aree della teoria della codifica e scrive:

"I numerosi problemi di ricerca sparsi nel libro hanno stimolato il lavoro in molte aree della teoria dei codici".

Va infatti ricordato che la rilevazione e correzione dell'errore attraverso codici matematici, in  informatica, telecomunicazioni, e teoria dell'informazione, ha grande importanza pratica nel mantenimento dell'integrità dell'informazione nei sistemi con un canale rumoroso, o nei dispositivi per l'immagazzinamento dei dati caratterizzati da una scarsa affidabilità.
Dove la rilevazione d'errore consiste nella capacità di scoprire la presenza di errori causati dal rumore o da altri fenomeni deterioranti durante una trasmissione di dati (ad es. tramite il bit di parità) e la correzione d'errore consiste invece nell'ulteriore abilità di ricostruire i dati originali, eliminando gli errori occorsi durante la trasmissione.
Come sappiamo nel cosiddetto segnale digitale, il messaggio è convertito in simboli e attualmente la codifica digitale¹ in uso è quella relativa al sistema binario di 1 e 0, di conseguenza, convertire un fenomeno naturale o analogico in digitale vuol dire convertirlo in una sequenza di bit. 
Tale tipo di segnale solitamente non subisce molti disturbi e viene ricevuto quasi identico rispetto a quello emesso e l’apparato che riceve il segnale deve quindi decodificare il segnale digitale e trasformarlo in un linguaggio comprensibile. E' quindi tutt'ora molto importante trovare soluzioni per correggere eventuali errori che si possono trasmettere in situazioni di disturbo.

È solo in tempi recenti che ci si è posti il problema della comunicazione sicura, vale a dire della trasmissione di dati o messaggi privati tramite canali protetti, in cui si fosse certi che nessuna interferenza ne modificasse il contenuto. Tali interferenze presenti nel canale di passaggio vengono solitamente chiamate fonti rumorose, le quali spesso provocano la perdita di dati, ma più frequentemente modificano la natura del messaggio senza che il ricevente apparentemente ne percepisca il difetto.
La Teoria dei Codici, nata solamente negli anni ’40 del XX secolo, si preoccupa proprio di ovviare a questo problema.
Il processo che sta alla base di questa teoria è molto semplice. L’idea è quella di codificare il messaggio in questione, costituito da blocchi di cifre o parole, attraverso una stringa di numeri ridondante, cioè composta da più cifre di quelle strettamente necessarie, in modo tale che il ricevitore possa accorgersi di eventuali cambiamenti del formato iniziale e correggere gli errori presenti.
Dal punto di vista matematico, i codici più interessanti sono i codici lineari, per i quali esistono specifiche tecniche di codifica/decodifica, nonché di correzione di errori, attuabili semplicemente utilizzando strumenti di algebra lineare.



Note

¹ Digitale; il termine deriva dall’inglese digital, ovvero cifra, derivato dal latino ‘digitus’, ovvero dito.
Anche la telefonia mobile e la produzione musicale hanno subito dei cambiamenti di qualità e formato, passando dal sistema analogico a quello digitale. 
Per la telefonia si è passati dal Etacs al Gsm per finire con il 5G e, nel campo musicale, dal vecchio vinile (disco a 33 o 45 giri) al cd, per finire agli mp3 e mp4. 
Insomma il digitale ha portato una vera e propria rivoluzione che è entrata a far parte della nostra vita quotidiana, anche se dimentichiamo gli studiosi e i ricercatori che hanno permesso di raggiungere risultati sempre migliori.


Codice binario, tra arte e matematica

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“Abbiamo cercato di trasferire in arte ed andare ‘oltre’ il linguaggio che si cela dietro la più grande invenzione del secolo scorso: il computer. Ogni quadro custodisce, ed è celato, sottoforma di linguaggio binario, un messaggio, un ‘segno’ dell’umanità [...] Si crea così un dialogo artistico con chi saprà, uomini e donne del nostro tempo, leggerne il sottile linguaggio d’amore.”
(Giordano Redaelli) 


Superficie verde salice. L'albero è...(2018) - M&G Redaelli -  foto © Annalisa Santi

Come ci fa capire lo stesso Giordano Redaelli questo quadro fa parte della serie di opere, da lui ideate insieme al padre Michele, che, attraverso il codice binario, traducono su tela parole, frasi simboliche e anche pensieri di filosofi come Aristotele, di santi come Madre Teresa, e di scienziati come Einstein o Margherita Hack. 

L'opera citata fa parte della mostra "Arte e Salute alle radici della prevenzione", una mostra collettiva d'arte contemporanea sul tema dell'albero, molto interessante e irtrigante (inaugurata in questi giorni alla Sala Eventi del grattacielo Pirelli a Milano, a cura di Francesca Bianucci e Chiara Cinelli), che mi ha dato lo spunto per prendere in considerazione alcune opere esposte che mi hanno particolarmente colpito per le chiare implicazioni matematiche.


Mostra "Arte e Salute alle radici della prevenzione" dal 15 al 29 maggio 2019 allo 
Spazio Eventi Grattacielo Pirelli - via Fabio Filzi 22 - Milano

Tra queste opere vorrei oggi analizzare, legandola solo a curiosità matematiche, questa opera di Giordano e Michele Redaelli.     
Appare forse singolare che l'opera presenti questa semplice composizione di numeri, per di più limitati a solo due, lo <0> e l’ <1>, anche se l’arte, di ogni tempo e civiltà, spesso in modo inconsapevole, presenta una struttura matematica. 
Traducendo il codice binario del quadro, in testo a noi più comprensibile, si legge la frase "L'albero è salute. ~ L'albero è vita".
Anche in questo acrilico su tela è celato quindi il significato dell'albero che simbolicamente, sia nella pittura, dalle tele di grandi artisti del passato agli interpreti contemporanei, come nelle anonime trame dei tappeti persiani, è sempre stato universalmente considerato un simbolo di vita e di salute.
Dall’immagine biblica dell’albero della vita alle parole di Alce Nero, il mistico Sioux che lo rappresentava al centro del cerchio del mondo, l’albero costituisce davvero un’immagine universale e archetipica, un simbolo potente che vive e si moltiplica, nello spazio e nel tempo, in un’infinita varietà di forme.

Una di queste varietà e che ha costituito per me una particolare curiosità matematica è rappresentata appunto dall'opera "Superficie verde salice. L'albero è..." di M&G Redaelli. 
Una curiosità matematica basata sulla polarità espressa dal codice binario che, sul piano estetico, i due artisti traducono elaborando un linguaggio astratto improntato all’essenzialità visiva e al rigore:

“Questa polarità si esprime in una serie di opposte tensioni che dettano il ritmo dell’opera, infondendo dinamismo al rigore della composizione: semplicità e complessità, luce e ombra, pieno e vuoto, ripetizione e variazione, esattezza e ambiguità, positivo e negativo. La monocromia delle tele associata alla ripetizione seriale dei numeri 0 e 1, disposti in sequenze regolari ma variabili, crea un clima percettivo di pura astrazione visiva che invita a fare un passo più in là, oltre i confini dell’opera stessa”.
(Francesca Bianucci e Chiara Cinelli)

A parte le considerazioni estetiche, ben sottolineate dalla competenza delle due curatrici della mostra, prendo io spunto proprio da quest'opera per introdurre alcune curiosità, magari meno note, sul codice binario.
In informatica e discipline affini, l'espressione codice binario si riferisce, in generale, a notazioni che utilizzano simboli binari (o bit) e può avere numerosi significati specifici:
- nel contesto della programmazione, per codice binario si intende un codice eseguibile da un processore, ovvero si riferisce a un programma (o altra porzione di software) scritto in linguaggio macchina
- nel contesto della rappresentazione dei dati, il termine codice binario si può riferire a un modo di rappresentazione dei numeri interi corrispondente al sistema numerico binario o a un sistema derivato (per esempio la rappresentazione in complemento a due)
- l'espressione codice binario potrebbe essere usata anche in senso generico per intendere un codice (nell'accezione della teoria dell'informazione, della crittografia o di altre discipline analoghe) che utilizza un alfabeto composto da due soli simboli (zero e uno).
Interessante curiosità è l'esempio della codifica binaria di 4 colori diversi: rosso, verde, blu, giallo, in cui a ciascun colore può essere associato il seguente codice: 
rosso 00, verde 01, blu 10, giallo 11.

Ma storicamente a chi si deve l'ideazione del sistema binario?
Il sistema numerico binario è un sistema numerico posizionale in base 2, vale a dire che utilizza solo due simboli, <0> e <1> , invece delle dieci cifre utilizzate dal sistema numerico decimale.  Ciascuno dei numeri espressi nel sistema numerico binario è definito "numero binario" così come i numeri che solitamente usiamo col sistema decimale, a base 10 (0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9), sono definiti "numeri decimali".
In informatica il sistema binario è utilizzato per la rappresentazione interna dell'informazione dalla quasi totalità degli elaboratori elettronici, in quanto le caratteristiche fisiche dei circuiti digitali rendono molto conveniente la gestione di due soli valori, rappresentati fisicamente da due diversi livelli di tensione elettrica. 
Tali valori assumono convenzionalmente il significato numerico di 0 e 1 o quelli di vero e falso della logica booleana.
Tradizionalmente, l’invenzione del sistema si fa risalire al filosofo e matematico tedesco Gottfried W. Leibniz che, nel 1679, pose le basi dell’aritmetica binaria nel suo celebre manoscritto “De Progressione Dyadica” e successivamente Leibniz intuì che il suo sistema potesse essere usato anche a fini logici. Intuizione che si concretizzerà a metà del XIX secolo, quando il matematico inglese George Boole fonderà la logica matematica, ponendo le basi per il futuro linguaggio informatico.


 "Mathesis biceps. Vetus, et noua" (1669) - Juan Caramuel 

Ma fu davvero Leibeniz il primo? 
Al sistema numerico binario sono stati attribuiti molti padri, ma il primo a proporne l'uso fu Juan Caramuel con la pubblicazione del volume "Mathesis biceps. Vetus, et noua" pubblicato a Campagna nel 1669, dieci anni prima della pubblicazione, nel 1679, del “De Progressione Dyadica” di Gottfried Wilhelm von Leibniz, e se ne trova traccia anche nelle opere di Nepero.
Caramuel, chiamato "Magnus" dai contemporanei, fu veramente un uomo straordinario, il cui ingegno portentoso e versatile gli permise di riuscire in tutti i settori dello scibile.
Conoscitore di ben ventiquattro lingue, poliglotta-poligrafo, lasciò una produzione bibliografica talmente copiosa e svariata da sbalordire, ma non è passato alla storia per l'ideazione del sistema binario, bensì è forse più noto come architetto, soprattutto per la Cattedrale con fronte curvilineo che si affaccia sulla splendida piazza Ducale di Vigevano. 
Solo quindi successivamente, il matematico tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz ne studiò l'aritmetica, prendendo spunto dagli esagrammi cinesi, incentrati sull’alternanza binaria delle linee continue e spezzate, dell’I Ching o Libro dei Mutamenti, l’antico testo della cultura tradizionale cinese, attribuito al leggendario imperatore Fu Hsi (Leibniz, il sistema binario e la Cina).


Leibniz accosta gli otto trigrammi fondamentali ai primi otto numeri binari (da 0 a 7), 
sostituendo la linea spezzata Yin con lo 0 e la linea continua Yang con l’1
 e leggendo i trigrammi dal basso verso l’alto. 
Combinando questi 8 trigrammi, si ottengono i 64 esagrammi 
che costituiscono il sistema completo dell’I-Ching

Sarà quindi Leibniz sia ad usare le cifre <0> e <1> per la codifica dei numeri, che a descrivere le principali regole aritmetiche che soggiacciono alla matematica binaria. 
Nel 1703, per sostenere tale sistema di numerazione egli scrisse:

"Invece della progressione di dieci in dieci, impiego da molti anni la progressione più semplice di tutte, che va di due in due, ritenendo che sia perfettamente adeguata alla scienza dei numeri. Utilizzo solo due caratteri, “0” e “1” e poi, quando sono arrivato a due, ricomincio" 
(Leibeniz)

Però, come accennato prima, non ebbe un seguito immediato e l'aritmetica binaria venne ben presto dimenticata e riscoperta solo nel 1847 grazie al matematico inglese George Boole che aprirà l'orizzonte alle grandi scuole di logica matematica del Novecento e soprattutto alla nascita del calcolatore elettronico.

Tornando all'opera dei Redaelli, analizzando e convertendo il testo (usando questo convertitore), si vede come questo codice venga qui utilizzato come codice puramente alfabetico e non numerico.
Ma anche qui salterà agli occhi un'altra curiosità legata al codice e a una importante teoria matematica, la teoria dei codici.

Come anticipato le righe del codice corrispondono alla frase (tradotta da binario ad alfabeto latino ASCII)
L albero è salute. ~ L albero è vita.

000111000101001100L000110001100001a01101100l01100010b01100101e01110010r01101111o00100000spaziovuoto11101000è00100000spaziovuoto01110011s01100001a01101100l01110101u01110100t01100101e00101110.00100000spaziovuoto01111110~00100000spaziovuoto01001100L0001100101100001a01101100l01100010b01100101e01110010r01101111o00100000spaziovuoto11101000è00100000spaziovuoto01110110v01101001i01110100t01100001a00101110.00011101

Va qui però notata una stranezza che parrebbe un errore. 
Nel testo, a questo simbolo corrisponde sia 0001110001 iniziale che 00011001 (in seguito con un 1 e uno 0 in meno) perché mai? 

= 0001110001 o 00011001

E'un esempio molto banale e semplicistico (solo per rendere l'idea), per spiegare l' importanza della ridondanza nella codifica dell'informazione.
Le informazioni in codice binario devono essere comprensibili ad un operatore umano, e assumono prevalentemente la forma di caratteri alfanumerici (numeri decimali, lettere dell’alfabeto, simboli di punteggiatura, simboli matematici etc..).
Tale apparente incomunicabilità fra i due linguaggi, viene ricomposta mediante l’adozione di opportune codifiche, mediante le quali è possibile rappresentare in modo univoco un certo numero di simboli con configurazioni di bit prestabilite e una stringa o parola in un dato alfabeto è una successione di simboli (anche ripetuti) di quell’alfabeto.
Per rappresentare le 10 cifre distinte dei numeri decimali, occorrono codici binari a 4 bit (m = 4), quando, oltre alle cifre decimali, si vogliono anche codificare caratteri (maiuscoli e minuscoli), punteggiatura, simboli matematici etc... occorre estendere il numero di bit m del codice.
Il codice decimale BCD (Binary Coded Decimal)
Con questa codifica, ogni cifra decimale è rappresentata
dal binario puro corrispondente, secondo la tabella

Il numero decimale (5902) convertito in codice binario BCD

Il codice ASCII (l'acronimo ASCII significa American Standard Code for Information Interchange) è di gran lunga il codice alfanumerico più diffuso per lo scambio di informazioni fra sistemi di elaborazione e costituisce di fatto uno standard per la codifica dell’informazione nei sistemi di elaborazione.
Il codice ASCII standard è codificato su 7 bit, e quindi può rappresentare al massimo 2^7 = 128 simboli diversi.

Lo standard Unicodeè stato introdotto per rappresentare caratteri di testo in sistemi informatici, ed è stato assunto come standard internazionale con la sigla ISO/IEC 10646.
Unicode propone uno standard per rappresentare i caratteri e simboli di tutti i linguaggi scritti, simboli matematici etc... e usa un codice a 16 bit, con cui `e possibile codificare 2^16 circa 65. 000 caratteri distinti.

Un codice si dice ridondante, quando codifica i simboli distinti con n = m+r bit, cioè usando r bit aggiuntivi rispetto agli m bit strettamente richiesti dalla codifica binaria.


m bit di parola
r bit di ridondanza
n = m + r bit di parola codice

L’idea è quella di codificare il messaggio in questione, costituito da blocchi di cifre o parole, attraverso una stringa di numeri ridondante, cioè composta da più cifre di quelle strettamente necessarie, in modo tale che il ricevitore possa accorgersi di eventuali cambiamenti del formato iniziale e correggere gli errori presenti.
L’aggiunta di bit di ridondanza permette quindi di costruire codici che consentono di controllare eventuali errori di trasmissione.
Si hanno due tipi di codici ridondanti:
- codici a rivelazione di errore che consentono di individuare la presenza di un errore
- codici a correzione di errore che consentono non solo di individuare la presenza di un errore, ma anche di identifcarne la posizione in modo da poterlo correggere.




In questo articolo non mi dilungherò ulteriormente su questo interessante ma complesso argomento che lascio alla curiosità del lettore, ricordando che fu anche grazie al contributo di una matematica inglese Florence Jessie Collinson MacWilliams e alle sue equazioni "MacWilliams Identities", che è stato possibile raggiungere ottimi livelli nel campo della teoria della codifica e quindi della trasmissione delle informazioni che ormai diamo per semplici e scontate.

Il termine digitale deriva dall’inglese digital, ovvero cifra, derivato dal latino ‘digitus’, ovvero dito. 
Come sappiamo nel cosiddetto segnale digitale, il messaggio è convertito in simboli e attualmente la codifica digitale in uso è quella relativa al sistema binario di <0> e <1> , di conseguenza, convertire un fenomeno naturale o analogico in digitale vuol dire convertirlo in una sequenza di bit (e viceversa). 
Tale tipo di segnale solitamente non subisce molti disturbi e viene ricevuto quasi identico rispetto a quello emesso e l’apparato che riceve il segnale deve quindi decodificare il segnale digitale e trasformarlo in un linguaggio comprensibile. 
E' quindi tutt'ora molto importante trovare soluzioni per correggere eventuali errori che si possono trasmettere in situazioni di disturbo.

Anche la telefonia mobile e la produzione musicale hanno subito dei cambiamenti di qualità e formato, passando dal sistema analogico a quello digitale. 
Per la telefonia si è passati dal Etacs al Gsm per finire con l'attualissimo 5G e, nel campo musicale, dal vecchio vinile (disco a 33 o 45 giri) al cd, per finire agli mp3 e mp4. 
Insomma il digitale ha portato una vera e propria rivoluzione che è entrata a far parte della nostra vita quotidiana, anche se dimentichiamo gli studiosi e i ricercatori che hanno permesso di raggiungere risultati sempre migliori.




Uno, nessuno e 95 miliardi

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“Ho trovato in filosofia un metodo per realizzare in tutte le scienze, mediante l’Ars Combinatoria, ciò che Cartesio ed altri hanno fatto in aritmetica e in geometria mediante l’algebra e l’analisi, cioè un mezzo concreto, percepibile con i sensi che serva di guida alla mente. Senza di esse la nostra mente non potrebbe percorrere alcun cammino senza fuorviarsi.” 
(G. W. Leibniz)


"Uno, nessuno e 95 miliardi" versione 1

Quando ho visto quest'opera l'ho trovata geniale e mi ha subito intrigato!
L'opera "Uno, nessuno e 95 miliardi"è un acrilico su tela tessuta con telaio a mano. Una collaborazione a quattro mani e due teste dell'artista Alberto Pigato e della creativa e tessitrice Simona Lombardo. 
Il quadro è formato da 9 piccole tele da 25x25 cm movibili, la cui tela è tessuta con telaio a mano, quindi ognuna può non solo occupare in tutti i modi possibili le posizioni del quadrato 3 x 3 ma anche essere posizionata in quattro modi diversi (rispetto ai suoi lati). 
Come non vedere immediatamente la possibilità matematica di determinarne le possibili combinazioni? 
Sono più di 95 miliardi infatti, come spiegherò, anche se l'autore dell'opera di combinazioni ha preferito "crearne" due che ben inseriscono, con armoniosi incastri geometrici, i nove "tasselli" di cui è composta.


"Uno, nessuno e 95 miliardi" versione 2

Si perché l'opera è non solo originale per questa curiosità matematica che sottende, ma anche perché è stata concepita appunto a due mani, dall'artista Antonio Pigato¹ e dalla creativa Simona Lombardo², con questi "tasselli", piccole tele 25x25, dipinte in acrilico da Alberto su tela tessuta su telaio a mano da Simona.
Genialità e artigianalità si fondono per ottenere quest'opera davvero affascinante e originale.
Un'opera che non aveva ancora un titolo quando mi fu mostrata ma che può dirsi davvero come "una", nella sua completezza dei 9 riquadri, "nessuna" perché nessuna è univocamente determinabile e "95 miliardi" perché sono davvero più di questo numero le possibili combinazioni e quindi i possibili quadri che teoricamente si potrebbero ottenere. 

Ma come si determinano queste possibilità di scelta? Cosa si intede per teoria combinatoria?
La Combinatoria studia le possibilità di combinare in tutti i modi possibili degli elementi semplici dati, secondo una regola prescritta.
Lo scopo del calcolo combinatorio è quello di contare vari tipi di possibili scelte in svariate situazioni e alla base del calcolo combinatorio vi è l’importante "Principio di moltiplicazione".

Se una scelta può essere fatta in N modi diversi, per ciascuno dei quali una seconda scelta può essere fatta in n modi diversi, e per ciascuno dei modi in cui sono state effettuate le prime due scelte una terza scelta può essere fatta in m modi diversi, ecc ecc... allora la successione di tutte le scelte potrà compiersi in N∙n∙m∙....modi diversi.

Scelte totali = N∙n∙m∙....

Nel nostro caso la scelta può essere fatta in N = 9 modi diversi, e per ogni k = 1,2..,9  (k = 1,2..,N) la scelta da compiere al k-mo passo puo essere fatta in m = 4 modi diversi. 
Il principio di moltiplicazione dice che allora il numero totale di possibili scelte è il prodotto 

Stot = m∙1∙m∙2∙m∙3....m∙(N−1)∙m∙N

Nel nostro caso 

Stot = 4∙1∙4∙2∙4∙3∙4∙4∙4∙5∙4∙6∙4∙7∙4∙8∙4∙9 = 4⁹ (1∙2∙3∙4∙5∙6∙7∙8∙9) = 4⁹∙9! = 95.126.814.720 

Se poi vogliamo usare un simbolo che in matematica abbrevia, in una notazione sintetica, la moltiplicazione di un certo numero di fattori, possiamo usare la produttoria, il cui simbolo è dato dalla lettera greca Π (pi maiuscola).
        
         

Applicando quindi quello che viene chiamato "Principio di moltiplicazione" otteniamo 95 miliardi e passa di combinazioni (o scelte), che ben si visualizzano attraverso questa bellissima animazione creata dal Prof. Sergio  Casiraghi (cliccando sulla bandierina si avvia l'animazione)




"Per evitare la prolissità e la labilità della logica tradizionale, abbiamo pensato di inventare (mediante l'aiuto di Dio) una logica nuova e compendiosa che possa essere acquisita senza troppa difficoltà e troppa fatica, possa esser conservata nella memoria completamente e totalmente e ricordata con grande facilità"
 
Queste parole le scrisse Ramon Liull (Palma di Majorca, 1232 – Palma di Maiorca, 29 giugno 1316), nel prologo al "Liber de nova logica", originariamente in catalano a Genova, nel 1303, e tradotto in latino l'anno seguente. 
Parole per introdurre, anche se molto succintamente, le origini, vere o supposte, e il percorso di questa teoria combinatoria che mi ha permesso di determinare tutte queste possibili combinazioni.
Le origini della combinatoria risalgono a tempi antichi come dimostrano i quadrati magici, dalla famosa tartaruga cinese³ al quadrato magico della tradizione alchimistica del Dürer o appunto l'Ars lulliana, anche se è solo in tempi moderni che la combinatoria assume i contorni di disciplina autonoma.
"Ars magna", di Ramon Llull (Raimondo Lullo) © Wikipedia

Ramon Liull  (italianizzato in Raimondo Lullo) è stato uno scrittore, teologo, logico, astrologo, alchimista, mistico e missionario spagnolo, tra i più celebri dell'Europa del tempo.
I pilastri della sua produzione scritta sono i quattro libri, monumentali, che presentano la sua "arte": "Ars compendiosa inveniendi veritatem" e "Art demostrativa", "Ars generalis" e "Art breu".
Per Llull, l'"arte"è un metodo di ragionamento e di catalogazione del sapere, un vero e proprio "metodo dei metodi" che, grazie all'uso di diagrammi, lettere dell’alfabeto e formule mnemoniche, si offre come strumento per distinguere il vero dal falso, per garantire un approccio esaustivo ad ogni campo del sapere e per comunicare in modo efficace ottenendo i risultati prefissati.
L'"arte" di Llull infatti serve a risolvere ogni problema, attraverso la scomposizione di ogni quesito in parti più piccole e successivamente la riduzione in lettere dell'alfabeto. 
Queste lettere fanno parte di ruote che saranno in grado di fornire infinite combinazioni ed è per questo che si può definire quindi un precursore della teoria combinatoria. 
Possiamo definire la "combinatoria" lulliana una nuova logica, una "arte generale" basata sui principi o gli elementi primi che contengono i fondamenti di tutte le scienze.
Con il nome di "Ars Combinatoria", l'"Ars Magna" ricompare quindi con Leibniz (1646–1716). 
Uno studio sistematico dei metodi combinatori fu da lui avviato nella "Dissertatio de arte combinatoria" che, unitamente all'"Ars Conjectandi" di Jakob Bernouilli, sul calcolo delle probabilità, ne pose le basi.
Nella sua "Dissertatio de arte combinatoria" (1666) Leibniz si proponeva di creare un metodo con il quale, servendosi di proposizioni primitive, attraverso la loro combinazione, si potessero verificare le verità già presenti (ars demonstrandi) e trovarne di nuove (ars inveniendi).

Frontespizio del libro stampato nel 1690 © Wikipedia

Moltissimi altri studiosi si sono occupati di problemi legati alla teoria combinatoria, fin da Fibonacci (1170 - 1235) o Tartaglia (1499 - 1557), e quindi, insieme a Leibniz nel XVII secolo, Caramuel, Harriot, Pascal e De Moivre.
Quindi nel XVIII e XIX secolo Eulero, Lagrange, Galois e Cauchy, ma è soprattutto dal XX secolo che la combinatoria prende finalmente la forma di disciplina autonoma. 
La combinatoria raggiungere una certa autonomia dopo la pubblicazione del testo "Combinatory Analysis" di Percy Alexander MacMahon nel 1915 e la sua importanza è cresciuta gradualmente negli anni successivi con i testi di König sulla teoria dei grafi e di Marshall Hall.
Lo sviluppo della combinatoria ha ricevuto quindi impulso dall'opera di Gian Carlo Rota che, a partire dagli anni '60, ha contribuito alla fondazione di teorie unificatrici di ampia portata e di grande chiarezza formale.

"Quasi tutta la matematica classica, dall'algebra elementare alla teoria delle equazioni differenziali, è applicabile al mondo reale solo nell'ipotesi che questo sia costituito di oggetti e di eventi a carattere continuo. Però, in molte situazioni comuni in fisica e in chimica ed in altre scienze, si può parlare realisticamente solo di collezione di oggetti a carattere discreto, i quali agiscono in combinazione, un passo per volta; la matematica applicata a tali situazioni si chiama analisi combinatoria. Molti problemi di analisi combinatoria, tra i più interessanti, si sono presentati nella forma di ingegnosi indovinelli, a sfida di matematici e non matematici assieme: a prima vista, alcuni di essi possono sembrare addirittura frivolezze, eppure quasi tutti hanno delle applicazioni immediate ed importanti a problemi scientifici concreti"

Così scrive Gian Carlo Rota nel suo "Analisi combinatoria" (Le Scienze Matematiche - UMI - Zanichelli, 1973), matematico e filosofo italiano naturalizzato statunitense. 
Dieci articoli, pubblicati da Gian Carlo Rota (Vigevano, 27 aprile 1932 – Cambridge, 18 aprile 1999) tra il 1964 ed il 1992 con titolo “On the foundations of combinational theory” sono considerati il suo contributo fondamentale alla teoria combinatoria ed al pensiero matematico.
Tra le altre figure influenti si può ricordare Marcel Paul Schützenberger e, con un'azione diversa ma molto efficace, Paul Erdős e i suoi contributi riguardo soprattutto alla soluzione di problemi estremali. 
In tempi recenti l'introduzione della gestione elettronica dei dati ha rinfocolato l'interesse per la combinatoria, che ha comunque conosciuto applicazioni anche al di fuori del suo tradizionale ambito ispirando interessanti soluzioni in campo artistico.
In letteratura, come faceva notare Umberto Eco, "questo kit preconfezionato che è l’alfabeto, composto di un numero variabile di elementi a seconda delle lingue, oscillante tra venti e trenta, può dar vita a combinazioni le più diverse e lontane fra loro" 
E nel suo saggio "Combinatoria della Creatività" ricorda che:

"Nel 1622 Pierre Guldin aveva scritto un "Problema arithmeticum de rerum combinationibus", in cui aveva calcolato tutte le dizioni generabili con 23 lettere, indipendentemente dal fatto se fossero dotate di senso e pronunciabili, ma senza considerare le ripetizioni, e aveva calcolato che il numero di parole era più di settantamila miliardi di miliardi (per scrivere le quali sarebbero occorsi più di un milione di miliardi di miliardi di lettere)."

Altri esempi famosi di combinatoria letteraria li troviamo in Raymond Queneau (1903-1976), che è tra gli autori più rappresentativi della narrativa combinatoria in voga durante gli anni sessata e settanta (ce ne parla un articolo di Popinga, alias Marco Fulvio Barozzi, "Queneau e la matematica"),  o in Perec (ce ne parla Paolo Alessandrini ne "Il grande quadrato di Perec") e Calvino (ce ne parlano "I tarocchi di Calvino" di Marco Fulvio Barozzi).
In musica troviamo la combinatoria di Iannis Xénakis (1922 - 2001), compositore, architetto e ingegnere greco naturalizzato francese che, per la rilevanza del suo lavoro teorico e compositivo, viene annoverato tra le figure più rappresentative dei compositori della seconda parte del Novecento.
Iannis Xénakis compone partiture che traggono elementi di ispirazione e di realizzazione tecnica da strumenti come il calcolo della probabilità, la teoria degli insiemi e dei gruppi, introducendo nuovi elementi teorici come il concetto di musica stocastica, musica simbolica, masse musicali.
(Iannis Xénakis - Metastasis (Spectral View) - video musicale) 

Gli artisti Simona Lombardo e Alberto Pigato © 
Albero d'ossigeno felice - 2018
Acrilico su tela tessuta con telaio a mano
Mostra "Arte e Salute alle radici della prevenzione" dal 15 al 29 maggio 2019 
Spazio Eventi Grattacielo Pirelli - via Fabio Filzi 22 - Milano

Concludo questo excursus, piuttosto succinto e non certo esaustivo,  tornando alla pittura e alla mostra che mi ha dato il la per introdurre alcune curiosità sulla Combinatoria.
Gli autori dell'opera, Alberto Pigato e Simona Lombardo, avevano infatti partecipato, con il quadro "Albero d'ossigeno felice - 2018", alla mostra "Arte e Salute alle radici della prevenzione", una mostra collettiva d'arte contemporanea sul tema dell'albero, molto interessante e irtrigante (alla Sala Eventi del grattacielo Pirelli a Milano, a cura di Francesca Bianucci e Chiara Cinelli).
Mostra che mi ha dato lo spunto per prendere in considerazione alcune opere esposte che mi hanno particolarmente colpito per le chiare implicazioni matematiche.
Come si sa in pittura il gioco delle combinazioni dei colori è intimamente legato alla creatività dell'artista e quindi alle "infinite creazioni" che partendo dai colori primari generano tutte le innumerevoli altre varianti.
Nel quadro "Uno, nessuno e 95 miliardi" la curiosità combinatoria, oltre che nell'intrinseca combinazione dei colori, la possiamo cogliere attroverso le varie possibili disposizioni dei "tasselli" creati ad hoc, con genialità e perizia, dagli artisti.



Note

¹ Alberto Pigato artista eclettico...attore, mimo, caratterista, pittore, tessitore...
pagina Facebook https://www.facebook.com/alberto.pigato.7
sito Web http://tessituremanuali.it/it/i-servizi/arazzi-tessuti-e-dipinti/
contatto cellulare +393358200853 
² Simona Lombardo creativa e tessitrice 
sito Web https://www.tessituremanuali.it
³ Secondo un'antica leggenda cinese, risalente al 650 a.C., si dice che il primo quadrato magico sia stato trovato sul dorso di una tartaruga e questa storia è la prima documentazione scritta di un quadrato magico. 
La leggenda narra che ai tempi delle grandi inondazioni in Cina la disastrosa piena del fiume Lo, causata dall’ira dal dio del fiume contro la popolazione, ebbe fine solo con la comparsa di una tartaruga.
⁴ Melancolia è un'opera di Albrecht Dürer, densa di riferimenti esoterici, tra cui il quadrato magico, che è una delle incisioni più famose in assoluto, oggetto anche di omaggi come quello di Thomas Mann  nella sua opera letteraria "Dottor Faustus" o di Dan Brown nel romanzo "Il simbolo perduto".
Questo quadrato magico è molto complesso e matematicamente interessante. 
Infatti non è solo la somma dei numeri delle linee orizzontali, verticali e oblique a dare 34 ma anche la somma dei numeri dei quattro settori quadrati in cui si può dividere il quadrato e anche i quattro numeri al centro, se sommati danno 34, così come i quattro numeri agli angoli.
Inoltre se si prende un numero agli angoli e lo si somma con il numero a lui opposto si ottiene 17 e se si prendono i numeri centrali dell'ultima riga si trova il numero 1514, anno in cui è stata creata l'opera.

La Tour Eiffel e il suo segreto matematico

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"Mentre gli eventi della Rivoluzione francese sono catturati da Charles Dickens nel suo commovente romanzo 'Un racconto di due città', il centenario della Rivoluzione Francese viene commemorato dall'imponente Tour Eiffel, il cui profilo all'orizzonte appare come una coda di due esponenziali" 
(Weidman e Pinelis nell'introduzione al loro articolo del 2004)

Nel 2004 i ricercatori statunitensi Patrick Weidman e Iosif Pinelis, hanno svelato il segreto dell'incredibile opera architettonica dell'ingegnere francese Gustave Eiffel (1832-1923), trovando un'equazione dalla quale si evidenzia la sagoma della Tour Eiffel.


Fino al 1930 la Tour Eiffel fu il monumento più alto del mondo, 
superato poi dal Chrysler Building di New York. 
Nel 1957 i francesi operano però una beffa e, grazie all'aggiunta delle antenne di
 trasmissione sulla sua sommità, la torre tornò a svettare di poco più di cinque
 metri sopra l'iconico grattacielo newyorkese.  foto © Annalisa Santi 1989

Partendo dagli studi dell'ingegnere Gustave Eiffel sul profilo della torre, soprattutto legati al fattore vento, cioè al caricamento del vento sulla torre, i due ricercatori hanno determinato una nuova equazione che corrisponde strettamente alla forma della metà superiore della torre.
Consultando il documento di 26 pagine stilato da Eiffel, i cui dati ne garantivano la stabilità evitandone il crollo nonostante la sua altezza rilevante, e che analizzava soprattutto l'effetto del caricamento del vento sulla torre, l'ingegner Patrick Weidman  ha trovato un'equazione (di cui parlerò), sotto forma di una funzione esponenziale, rielaborata poi insieme a Iosif Pinelis, un esperto in analisi matematica, che ha offerto il suo aiuto per comprendere le caratteristiche sottostanti, arrivando così a determinare la definitiva equazione integrale.
Lo studio dei due ricercatori statunitensi, dal titolo "Model Equations for the Eiffel Tower: Historical Perspective and a New Equation", pubblicato nel numero di luglio 2004 della rivista dell' Accademia francese delle Scienze, "Comptes Rendus Mecanique", ha spiegato quindi dettagliatamente la relazione tra il fattore del vento (che la fa oscillare fino a 12 cm.) e la larghezza della sezione di base.
Una relazione molto estesa dovuta soprattutto al fatto di dover mettere a confronto il loro studio con quello di Eiffel che, non essendo completamente sicuro dei suoi calcoli, a quei tempi esclusivamente cartacei, preferì costruire la torre esagerando le misure della base in modo da avere la certezza che il vento non avrebbe destato problemi di oscillazioni preoccupanti o di crolli della struttura.
La forma della Torre Eiffel è infatti aerodinamica, pensata espressamente per resistere al vento, come ribadì lo stesso Gustave Eiffel rispondendo alle critiche mosse contro il suo progetto costituito si da 7.300 tonnellate di ferro, ma assemblate in una costruzione reticolare, ossia circa diciottomila pezzi metallici costituiti non da travi massicce ma da barre scanalate, quindi più leggere e aerodinamiche.

La Tour Eiffel poggia su quattro piloni, bloccati nelle fondazioni di calcestruzzo, 
che si collegano in alto formando un’unica struttura 
Espisizione Universale di Parigi 1889  foto  © Fondazione Grossman

Siamo a Parigi nel 1889 dove si svolse la più importante esposizione universale ottocentesca in occasione del centenario della Rivoluzione francesce.
La zona indicata ad ospitare la manifestazione fu scelta presso il Campo di Marte, una vasta area militare vicino alla Senna.
Qui, tra le tante costruzioni destinate a contenere i prodotti più moderni dell'industria, una in particolare stupì profondamente gli spettatori: la Torre Eiffel, all'epoca il più alto edificio del mondo.
Fu edificata dall'ingegnere francese Gustave Eiffel (1832-1923) per dimostrare a tutti quali straordinarie possibilità costruttive offrisse la tecnologia moderna.
Alta 300 metri e costruita unicamente con elementi metallici prefabbricati (perché in ferro e non in acciaio?) fu pensata per resistere alla forte pressione del vento.
Alla sua base quattro enormi pilastri raccolgono e distribuiscono il suo peso colossale per poi assottigliarsi progressivamente fino a formare un altissimo traliccio di ferro.

Venne inaugurata il 31 marzo 1889 con 21 colpi di cannone (l'ingegnere Eiffel salì a piedi tutti i 1.710 gradini per issare sulla punta della torre il tricolore francese) e, nonostante un numero ben maggiore di petizioni per demolirla a fine esposizione, non venne smontata, come previsto dopo 20 anni nel 1909 (fu salvata perché venne considerata  un'ottima antenna per la radio), ed è così che la "dama di ferro"è rimasta come simbolo stesso di Parigi. 

Ma fu tutta farina del suo sacco?
O forse la "Tour en fer de trois cent mètres" invece di chiamarsi "Tour Eiffel" avrebbe potuto prendere il nome di "Tour Koechlin Nouguier"?


Il progetto iniziale di Koechlin e Nouguier, con le dimensioni 
della colossale torre rapportate ad altri monumenti celebri, 
come la cattedrale di Notre Dame, la statua della 
Libertà e la colonna Vendôme  foto  © Wikipedia

Quando, sul finire del 1884, il governo francese annunciò di voler inaugurare l'Esposizione Universale del 1889 di Parigi con un'opera di dimensioni colossali, Maurice Koechlin e Émile Nouguier, due ingegneri alle dipendenze della "Compagnie des Établissements Eiffel", una fiorente ditta gestita da uno dei più accreditati "architetti del ferro" del periodo, Gustave Eiffel , aderirono entusiasticamente all'impresa. 

Progettarono così un "imponente pilastro metallico, formato da quattro travi reticolari svasate in basso che si congiungono in cima, legate tra loro mediante traverse disposte a intervalli regolari" (David I. Harvie, Eiffel: The Genius Who Reinvented Himself, Stroud, Gloucestershire, Sutton, 2006) 
Eiffel inizialmente riservò al progetto solo un'attenzione distratta ma, in un secondo momento, ne intuì la genialità e, avvalendosi della collaborazione di Stephen Sauvestre, ingegnere capo del dipartimento di architettura della sua società, contribuì al progetto con vari ritocchi e perfezionamenti.  
Va rilevato che l'apporto tecnico di Sauvestre fu fondamentale non solo sotto il profilo tecnico, con la correzione di vari errori di fondo del progetto di Koechlin e Nouguier, ma anche sotto quello estetico, in quanto modificò la forma della torre per renderla più accattivante agli occhi dell'opinione pubblica, con l'aggiunta di linee meno spigolose e più aggraziate, ingentilite anche con svariati ornamenti.


15 marzo 1889 costruzione della cupola su progetto finale di 
Stephen Sauvestre del 1887  foto  © Wikipedia

Ma l'opera fu molto osteggiata all'epoca, definita "mostruosa opera" dai detrattori e "un originale capolavoro di metallo" dai sostenitori e, anche allora come oggi, circolarono molte "bufale" per impedirne la costruzione, tra cui l'accusa, tracimante di disprezzo e razzismo, a Eiffel di essere "null'altro se non un ebreo tedesco" e per questo bisognava assolutamente impedire che venisse vergognosamente costruita "une tour juive" o, che mettevano in dubbio le sue competenze, "di non essere in grado di progettare una torre capace di contrastare adeguatamente l'azione del vento", alcuni asserivano che avrebbe potuto crollare sulle case vicine, o che avrebbe attirato fulmini o persino l'assurda ipotesi che la torre Eiffel potesse magnetizzarsi e attrarre tutti gli oggetti ferrosi della capitale.
Arrivarono a definirla addirittura un'"odiosa colonna di metallo e bulloni" o "l'asparago di ferro", nomignolo tuttora in voga tra molti parigini.
Come oggi sui Social nascono petizioni di protesta, anche allora un appello di quarantasette artisti e intellettuali più influenti dell'epoca, tra cui Guy de Maupassant, Alexandre Dumas figlio ed Emile Zola, tentò di bloccarne la costruzione con queste parole:

"E per i prossimi vent'anni vedremo stagliarsi sulla città, ancora vibrante dell'ingegno dei secoli passati, vedremo stagliarsi come una macchia d'inchiostro l'odiosa ombra dell'odiosa colonna di metallo e bulloni." 

Tutto ciò non fece però vacillare il parere diÉdouard Lockroy, ministro per il Commercio e presidente della commissione della fiera che scelse proprio il progetto "Tour en fer de trois cent mètres" della "Compagnie des Établissements Eiffel", considerandolo "un monumento destinato a diventare unico al mondo e una delle curiosità più interessanti della capitale". 


Due turbine eoliche sono state montate dall’americana UGE al secondo
 piano della torre (il punto con le migliori caratteristiche di vento) 
per produrre 10.000 kWh di elettricità l’anno, ovvero quanto basta 
ad alimentare i negozi e le caffetterie del primo piano.

Dopo queste brevi note storiche (i più curiosi possono trovarne di più dettagliate qui) torno a parlare di matematica e dell'equazione di Patrick Weidman e Iosif Pinelis.
La forma caratteristica della torre, come rivelano i due ricercatori statunitensi, fu dettata quindi principalmente da ragioni fisiche e matematiche.
Le 26 pagine consultate da Weidman con l'aiuto della traduttrice professionista Claudette Roland, cioè i modelli di calcolo dell'ingegnere Gustave Eiffel, si sono rivelati esatti e hanno dimostrato in che modo la struttura, nonostante sia alta 300 metri, sia in grado di sopportare un vento che soffi oltre 200 Km/h (238 Km/h una velocità mai raggiunta nella città di Parigi).
Struttura che, da una base quadrata di 125 metri di lato da cui, vede innalzarsi quattro pilastri che confluiscono in un'unica colonna, via via più sottile e concava al crescere dell'altezza.
L'ingegnere ne studiò la sagoma, sezione dopo sezione, calcolando per ciascuna il peso che la struttura doveva reggere.

Se si schematizza l’edificio come un corpo rigido omogeneo di densità ρ avente sezioni orizzontali quadrate e trascurando la presenza dell’aria, si verifica che la forza esercitata su una porzione dell’edificio dalla parte sovrastante coincide con il peso di tale parte.


Immagine (1)


Data la densità del materiale ρ considerando A(h) l’area della sezione quadrata alla quota generica h, si può affermare che il volume infinitesimo di uno strato di altezza dhè A(h)dhtrattandosi infatti di un prodotto tra una sezione e un'altezza.
Sia A(x) l’area della sezione dell’edificio alla quota x, misurata dal terreno verso l’alto ed essendo g l’accelerazione di gravità, il peso della parte compresa tra x e l’altezza H della torre è:
e, considerato il peso massimo P che la struttura sottostante può reggere, vale la seguente equazione integrale:
dove : 

P = pressione massima che può essere sopportata
ρ = densità del materiale (7800 Kg/m³)
g = accelerazione di gravità (9,81 m/s²)
A(x) = area della sezione quadrata alla quota generica x
H = altezza massima della torre
x = generica altezza considerata 

Per determinare la funzione incognita A(x) conviene trasformarla in un’equazione differenziale.
Derivando entrambi i membri dell’equazione precedente rispetto ad x si ottiene:
che può essere scritta nella seguente forma:
Si tratta di un’equazione differenziale a variabili separabili e si può quindi scrivere come:
Integrando entrambi i membri si ottiene:
dove C è una costante arbitraria, determinabile perché è nota l’area A(0) all’ altezza H.
Ricordando la definizione di logaritmo si ottiene:
Ottenuto il valore di A(x), si noti che l'equazione è un'equazione esponenziale.
A(x) indica come varia la sezione orizzontale al variare dell'altezza e permette di ricavare il profilo della struttura, che può essere descritto dalla funzione del semilato y della sezione al variare della quota, ovvero la funzione:
Come si vede anche dall'immagine (1) la pressione esercitata dal vento sulla struttura è un fattore fondamentale per l'equilibrio del sistema.
Lo studio dei due ricercatori statunitensi ha spiegato anche la relazione tra il fattore del vento e la larghezza della sezione di base che, come già ricordato, Eiffel surdimensionò per avere la certezza che il vento non avrebbe destato problemi di oscillazioni preoccupanti o di crolli della struttura.
Eppure la sagoma della torre Eiffel non è esattamente esponenziale anche se il suo profilo assomiglia a una curva esponenziale decrescente.
Questo proprio perché Eiffel non trascurò la presenza del vento.
La pressione che il vento esercita sulla torre è un fattore molto importante per
l’equilibrio del sistema. Infatti affinché la struttura sia in equilibrio è necessario che la pressione del vento sia controbilanciata dalla tensione tra gli elementi della costruzione.
Questo si traduce in una equazione integrale non lineare le cui soluzioni forniscono precisamente la sagoma della struttura.
Che rappresentata su un diagramma cartesiano appare così:


dove y(0)è il lato di base, pari alla radice quadrata di A(0). Come si vede, somiglia moltissimo al profilo della Torre Eiffel vista di lato! 

Concludo questo "segreto" matematico con una curiosità legata a un altro segreto, questa volta letterario, un racconto tra il fantastico e il reale di Dino Buzzati, "La Tour Eiffel",  contenuto nella raccolta "La boutique del mistero".
Nella trama lo scrittore immagina che la costruzione della Torre Eiffel nasconda un segreto: gli operai non si erano fermati ai 300 metri di altezza circa che si possono ammirare ancora oggi ma erano andati ben più avanti.
Ben più avanti verso il cielo, ma erano stati fermati e obbligati a distruggere gran parte del loro lavoro, da una sorta di opportunità pubblica. 
Il racconto termina con l'esclamazione 'Ah giovinezza' che fa capire che questo racconto non è una semplice rivisitazione moderna del racconto biblico della Torre di Babele, ma è una riflessione sul tempo inutilmente speso nelle vane costruzioni. 
Spesso l'uomo, da giovane, incomincia a costruire la sua vita su pretese inutili senza rendersi conto che spreca solamente tempo.

Doodle del gigante di Mountain View in onore del monumento più famoso di Parigi, in occasione
 del 126° anniversario, il 31 marzo 2015, dalla sua inaugurazione del 31 marzo 1889.
Come nel racconto di Buzzati, il disegno ritrae un gruppo di operai dell’epoca impegnati 
sulla Torre mentre uno dei cavi che assicura i lavoratori forma la scritta Google. 

"Quando lavoravo nella costruzione della Torre Eiffel, quelli sì erano tempi. E non sapevo di essere felice. La costruzione della Torre Eiffel fu una cosa bellissima e molto importante. Oggi voi non potete rendervene conto. Ciò che è oggi la Torre Eiffel ha ben poco a che fare con la realtà di allora. Intanto, le dimensioni. Si è come rattrappita. Io le passo sotto, alzo gli occhi e guardo. Ma stento a riconoscere il mondo dove vissi i più bei giorni della mia vita. 
I turisti entrano nell'ascensore, salgono alla prima terrazza, salgono alla seconda terrazza, esclamano, ridono, prendono fotografie, girano pellicole a colori. Poveracci, non sanno, non potranno mai sapere. Si legge nelle guide che la Torre Eiffel è alta trecento metri, più venti metri dell'antenna radio. Anche i giornali dell'epoca, prima ancora che cominciassero i lavori, dicevano così. E trecento metri al pubblico sembravano già una pazzia. Altro che trecento. Io lavoravo alle officine Runtiron, presso Neuilly. Ero un bravo operaio meccanico. Una sera che mi avviavo per rincasare, mi ferma per strada un signore sui quarant'anni con cilindro. 
«Parlo col signor André Lejeune» mi chiede. «Precisamente» rispondo. «E lei chi è?» «Io sono l'ingegnere Gustavo Eiffel e vorrei farle una proposta. Ma prima dovrei farle vedere una cosa. Questa è la mia carrozza.» Salgo sulla carrozza dell'ingegnere, mi porta a un capannone costruito in un prato della periferia....."
qui continua la storia! 


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