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I coriandoli sono milanesi o triestini?

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Nella mia recente visita alla mostra "Milano città d'acqua", tra le tante interessanti immagini dei navigli, delle fontane, delle piscine che arricchivano e caratterizzavano Milano, ho scoperto anche alcune curiosità.
Tra queste quella dei coriandoli.
Come si sa i coriandoli sono piccoli ritagli di carta colorata usati nelle festività per essere lanciati in aria o su persone e tipici del Carnevale. 





Ma qual'è la loro origine?

Nella maggior parte delle lingue (fra cui inglese, tedesco, francese, olandese, svedese e spagnolo), e anche nelle lingue non indo-europee, i coriandoli sono stranamente noti come "confetti", o un adattamento ortografico. 
Il termine ha origine nel Rinascimento quando in Italia ai matrimoni o durante il carnevale si usava lanciare veri e propri dolcetti, i confetti appunto. 
Già prima del 1597 i confetti stessi erano anche chiamati coriandoli «cuopronsi i coriandoli di zucchero per confetti», perché si utilizzassero talora i semi della pianta del coriandolo, molto comune in quei tempi attorno a Milano, al posto delle mandorle.
In seguito, come coriandoli, si utilizzarono nei lanci anche palline di carta colorata o di gesso. 
Nel periodo del carnevale, durante le sfilate di carrozze, tipiche di molte città, venivano gettati sulla folla mascherata granoturco ed arance (come ancora è tradizione al Carnevale di Ivrea), fiori, gusci d'uovo ripieni di essenze profumate, monete..
A partire dal XVI secolo, con i frutti del coriandolo, rivestiti di zucchero, si iniziarono a produrre dei confettini profumati, fatti apposta per essere lanciati dall' alto dei carri mascherati o da balconi e finestre.
Questa usanza era piuttosto costosa, cadde in disuso, e i confetti bianchi vennero gradualmente sostituiti da piccole pallottole, di identico aspetto, ma fatte di gesso.
Ma è del 1875 l'origine dei coriandoli così come siamo abituati a vederli oggi, origine legata anche alla storia dei Navigli milanesi.
Pare che a Milano, nel XIX secolo, si cominciasse a tirare qualcosa di diverso: minuscoli dischetti di carta bianca che al minimo refolo di vento si sollevavano in aria, come se una nevicata ricoprisse i carri che sfilavano.
Infatti nel 1875 furono adottati i cerchi di carta, grazie all'inventiva dell'ingegnere Enrico Mangili di Crescenzago (Milano), che iniziò a commercializzare come coriandoli i cerchi di carta di scarto dalle carte traforate utilizzate in sericoltura per l'allevamento dei bachi da seta, prima bianchi e poi di carta colorata.


Complesso dell'ex azienda tessile sul Naviglio Martesana

Ma perché l'origine dei coriandoli è legata ai Navigli?

ll Cavalier Enrico Mangili, ingegnere e industriale, passato poi alla storia come “l’inventore dei coriandoli”, era proprietario di una stamperia di tessuti a Crescenzago, situata proprio sul Naviglio Martesana.
Nella seconda metà del ‘800 detta stamperia infatti si trovava nel complesso di villa Lecchi tra piazza Costantino, il Naviglio della Martesana, via Meucci ed i giardini della attuale Associazione “Villa Pallavicini”.
L’azienda tessile, in cui lavoravano molte donne del paese, per far funzionare i macchinari sfruttava la forza idraulica della corrente del Naviglio mediante un mulino e, ancor oggi, nel muro di villa Lecchi proprio lungo il Naviglio della Martesana è possibile individuare i segni di dove era posizionata tale ruota.
Nel 1875 quindi l'ingegner Mangili ebbe la geniale trovata di utilizzare i piccoli dischetti di scarto dei fogli che venivano bucati per essere utilizzati come lettiere per i bachi da seta, per lanciarli sui carri di Carnevale.
I minuscoli coriandoli a Milano ebbero subito un grande successo e cambiarono il volto e la storia del Carnevale, entrando prima a far parte della tradizione meneghina e poi di tutto il mondo.
Bisogna però ricordare che Enrico Mangili fu anche un uomo molto caritatevole, un filantropo che contribuì economicamente alla fondazione dell’asilo che ospitava i figli delle filatrici di Crescenzago. 
Nel giardino di questo asilo, in via Padova 269, ancora oggi si può vedere un busto che lo ricorda.


Busto di Enrico Mangili - Nel giardino dell' asilo, in via Padova 269


Ma un'altra curiosità riguarda la paternità dell'invenzione!

L'invenzione dei coriandoli di carta è stata tuttavia rivendicata anche da un altro ingegnere, Ettore Fenderl, scienziato di fama internazionale.
Secondo un racconto da lui stesso riferito (e riportato anche in un'intervista alla radio Rai del 1957), per festeggiare il Carnevale del 1876 avrebbe ritagliato dei triangolini di carta in quanto non aveva il denaro per comprare i confetti di gesso allora in uso.
Quand'era ancora un bambino, impossibilitato a gettare dalla finestra di casa alla sottostante sfilata di carnevale i tradizionali confetti e i petali di rose, decise di tagliare in piccoli triangolini dei fogli di carta colorata che quindi lanciò dalla propria finestra di un palazzo in Piazza della Borsa a Trieste. 
L'effetto fu subito notato dalle maschere nonché dalla polizia che si recò in casa del bimbo per ottenere delucidazioni. 
La voce corse subito a Vienna (era il 1876 e Trieste era un'importante città dell'Impero Absburgico) e a Venezia e l'idea, per altro mai brevettata, fece con successo il giro del mondo. 



Maschere - Stampa antica

Ettore Fenderl nato a Trieste il 12 febbraio 1862 e morto 104enne a Vittorio Veneto il 23 novembre 1966 è comunque ricordato soprattutto come scienziato, inventore eclettico e filantropo italiano, anche se i più associano il suo nome appunto all'invenzione dei coriandoli o alla tomba presente al cimitero di S.Andrea a Vittorio Veneto, considerata un monumento alla sua megalomania.

Ettore Fenderl è noto principalmente per essersi interessato, dal 1912, alla radioattività, applicandola alle strumentazioni ottiche e per aver fondato a Roma nel 1926 il primo laboratorio per le ricerche radioattive, Istituto Statale di Radioattività Italiano, dove operò anche il giovane Enrico Fermi. 
Qui fondò anche la Fenderlux una sua società che realizzava apparecchiature ottiche per scopi militari.
I suoi contributi nel settore della radiottività sono stati ricordati nel 2006, a 50 anni dalla morte, in un libro "Ettore Fenderl, un pioniere della radioattività", una biografia affidata alla storica Loredana  Imperio, basata sui documenti conservati dalla Fondazione, così da far conoscere Ettore Fenderl a quanti hanno beneficiato e beneficiano del lascito ed alla comunità scientifica. 
"Un ecclettico - si legge nella premessa del libro - che amò tanto Vittorio Veneto, sua città di adozione, da donarle ogni suo bene e la sua fondazione benefica."



Mausoleo, con il busto di Ettore Fenderl,  sulla cui sommità si vede anche il simbolo dell'infinito


Laureatosi ingegnere all'università di Vienna ed ingegnere civile al Politecnico di Milano, nel 1898 brevettò un tipo di centrale per la produzione dell'acetilene e nel 1906 progettò il palazzo del Ministero della Marina Austriaca. 
Importanti furono i suoi interventi nella progettazione della metropolitana di Vienna, una 
delle prime al mondo.
I suoi brevetti furono copiati non solo in Austria, ma anche in Germania e negli Stati Uniti. 
Nel 1936 si ritirò a vita privata acquistando una proprietà a Vittorio Veneto e nel 1950 istituì la Fondazione Flavio ed Ettore Fenderl con scopi benefici.
Come volle lui stesso, alla sua morte i suoi terreni furono adibiti alla realizzazione del Parco Fenderl, un'area verde di 12 ettari con una struttura sede di varie realtà che operano nel sociale, ai piedi del Monte Altare.







Sei bufale su Charles Darwin

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Si parla tanto delle "Bufale" che costantemente girano su Facebook, dimenticando forse che di false informazioni, miti e leggende è piena la storia, sia scritta che orale.
In occasione di questo Darwin Day, oggi 12 febbraio, in cui ricorre il duecentosettesimo anniversario della nascita di Charles Darwin vorrei pubblicare le interessanti "5 bufale su Charles Darwin" prese dall' articolo scritto da Stefano Dalla Casa, per Wired, a cui ne ho aggiunta una sesta, che ritenevo altrettanto interessante da sfatare (con l'aggiunta di alcune immagini e curiosità non comprese nel testo originale).
Questa sesta bufala è nata anche dai ricordi (poi riconsultati) della lettura di un libro edito da Einaudi, "Lettere sulla religione di Charles Darwin".
Il libro "L’origine della specie", il lavoro più noto di Charles Darwin (1859 la prima edizione) è, ancora oggi, considerato un saggio da combattere e controbattere. 
Da rifiutare per i creazionisti (tanti, soprattutto negli Stati Uniti) e da accettare con cautela dai fautori del cosiddetto Disegno Intelligente (non meno numerosi).


La HMS Beagle, brigantino a dieci cannoni della Royal Navy.
Varato l’11 maggio 1820, nel suo secondo viaggio, verso le Galàpagos, ospitò a bordo l’allora giovane naturalista Charles Darwin, 
il cui lavoro rese la Beagle una delle più famose navi della storia.


1. Tutto merito delle Galápagos

Di tutti i luoghi che Darwin ha visitato tra il 1831 e il 1836 durante la spedizione del brigantino H.M.S. Beagle, l’arcipelago delle Galápagos è indubbiamente quello che è rimasto più legato al suo nome. Moltissimi libri, di testo e divulgativi, indugiano sui famosi fringuelli di Darwin (che in realtà non sono fringuelli ma Traupidi), sulle tartarughe giganti che oggi sono un simbolo della conservazione (anche se Darwin se le mangiava) e sulle stupefacenti iguane marine, che però il giovane naturalista trovava piuttosto ripugnanti.

Queste isole sono tuttora un luogo straordinario, e leggendo Darwin è chiaro che avevano attirato la sua attenzione, ma è sbagliato implicare che all’arcipelago Darwin sia stato per così dire folgorato sulla via Damasco, comprendendo improvvisamente che le specie cambiavano e come succedeva.
Non è un caso che la genesi ventennale della teoria di Darwin sia stata definita “un lungo ragionamento“, e infatti fu solo dopo essere tornato che lo scienziato cominciò, per così dire, a unire i puntini. A dirla tutta, Darwin alle Galápagos inizialmente era stato più colpito dalle differenze tra i tordi beffeggiatori (o mimi) che dagli uccelli che ora sono ricordati come i suoi fringuelli, e di questi ultimi sbagliò anche la classificazione. Fu solo dopo che il celebre ornitologo John Gould stabilì che Darwin aveva campionato 13 specie di un’unica famiglia che lo scienziato cominciò a vedere una possibile conferma delle idee evolutive che stava cuocendo a fuoco lento…


Emma Wedgwood moglie e cugina di Darwin


2. Emma Darwin, la moglie bigotta del genio

Se non ci fossero state le Galápagos, Darwin avrebbe comunque sconvolto il mondo con la sua teoria, ma avrebbe potuto farlo senza la sua famiglia e gli amici eccezionali di cui si era circondato? Per il fondamentale viaggio sul Beagle, per esempio, dobbiamo ringraziare suo zio Josiah Wedgwood II, mentre la persona più importante della vita di Darwin è stata senza dubbio la moglie, Emma Wedgwood Darwin. Di lei si ricorda sempre quanto fosse fortemente credente e che, per questo, era piuttosto preoccupata per le idee del marito.

Sembrerebbe quindi che, dal punto di vista scientifico, il genio di Darwin fosse limitato dalle paure di una moglie bigotta. La realtà non potrebbe essere più diversa e si trova raccontata nel libro "Emma Wedgwood Darwin" di Chiara Ceci (Sironi, 2013). Per cominciare Emma, come tutte le Wedgwood, aveva potuto contare su un’educazione di altissimo livello, normalmente inaccessibile alle donne in quei tempi. Si trattava quindi di una persona di enorme cultura, che per Darwin fu una compagna di vita, anche dal punto di vista intellettuale. Emma non seppe solo creare intorno al marito la tranquillità che gli era necessaria per completare i suoi studi, ma era anche una delle prime persone a cui Darwin faceva leggere i suoi manoscritti, dei quali curava anche le traduzioni grazie alla sua grande conoscenza delle lingue.

Sì, Emma era credente e, con la morte della sorella Fanny e della figlioletta Annie, aveva trovato un grande conforto nella convinzione che esistesse una vita dopo la morte. Bisogna però specificare che tutti i Wedgwood erano Unitariani, quindi non solo consideravano la razionalità e le scienze complementari alla fede, ma erano essenzialmente laici. Emma, come si evince chiaramente da una lettera del 1839, non temeva tanto l’effetto che avrebbero avuto i libri del marito sulla società, ma piuttosto le ripercussioni sulla loro famiglia:  

Sento che finché tu agisci con coscienza e cerchi con desiderio sincero di trovare la verità, non puoi essere nell’errore. […] Ma quello che riguarda te riguarda anche me, e sarei disperata se pensassi che tu e io non possiamo appartenerci per l’eternità
Charles Darwin aggiunse una nota alla lettera, e la conservò sempre con sé fino a consumarne i bordi:

Quando sarò morto, sappi che molte volte ho baciato e pianto su questa tua lettera



"Il Capitale" di Karl Marx pubblicato dall'editore Meissner di Amburgo nel 1867


3. Marx voleva dedicare "Il Capitale" a Darwin

I creazionisti adorano la bufala secondo cui Karl Marx avrebbe voluto dedicare il suo libro più famoso al naturalista inglese. Per loro, sarebbe uno dei tanti fil rouge che collegano la teoria dell’evoluzione a un’ideologia politica. Per altri, la dedica proposta da Marx a Darwin è invece qualcosa da ricordare con onore, poiché dimostra quanto il filosofo avesse compreso la grandezza delle idee dello scienziato. Ma la proposta di dedica non è mai esistita.

Il mito nasce, nel 1931, con la pubblicazione di una biografia di Marx in Unione Sovietica, nella quale era riportata una lettera di Darwin in cui declinava la proposta di dedica. La lettera non nomina "Il Capitale", ma era stata trovata tra le carte di Marx, quindi venne dato per scontato che il libro fosse quello. Nel 1978 Margharet Fay (University of California) scoprì che non era così. Darwin nella lettera si riferiva a "The Students’ Darwin", un libro sull’ateismo scritto da Edward Aveling, al quale era stata indirizzata la lettera. Aveling è stato per molti anni il compagno di Eleanor Marx, la più giovane delle figlie del filosofo, ed è in questo modo che la lettera è stata erroneamente archiviata tra le carte dell’autore de "Il Capitale".

Marx inviò comunque una copia del suo libro a Darwin, per il quale aveva davvero una profonda ammirazione. Darwin ringraziò per il dono con molta cortesia, ma sappiamo che non lo lesse mai: alla sua morte le pagine del vecchio libro sono ancora da separare.


La lettura pubblica dell'articolo congiunto di Darwin e Wallace, del 1º luglio 1858 alla Linnean Society, rappresentò l'annuncio ufficiale della teoria della selezione naturale al consesso del mondo scientifico. L'anno successivo, spronato dall'articolo di Wallace 
("On the tendency of varieties to depart indefinitely from the original type"),
 Darwin si decise a pubblicare un ampio riassunto del proprio lavoro ventennale, inviando all'Editore Murray di Londra "L'Origine delle specie" (1859)


4. Darwin ha rubato l’idea a Wallace

Nel 2013, è stato celebrato il centenario dalla morte di Alfred Russel Wallace, un altro genio che scoprì indipendentemente da Darwin il principio della selezione naturale. Per l’occasione è stata prodotto Bill Bailey’s Jungle Hero, una mini-serie dove il comico Bill Bailey celebra Wallace come un eroe ingiustamente dimenticato. Il problema è che il documentario, per altri versi molto godibile, non può fare a meno di presentare Darwin come il cattivo della situazione, arrivando a suggerire che abbia rubato l’idea della selezione naturale da Wallace.

Dalle carte e dalla corrispondenza gli storici sanno molto bene come sono andate le cose, e Wallace è stato sempre trattato con il rispetto che meritava. Quando mandò a Darwin il suo saggio dove descriveva la selezione naturale, lo scienziato ci stava già lavorando da diversi anni. Nel 1858 i manoscritti di Darwin e Wallace furono presentati alla Linnean Society, assicurando a entrambi la paternità della geniale intuizione. In seguito Darwin pubblicò "L’origine delle specie", e Wallace divenne uno dei più grandi difensori del pensiero darwiniano.


Frase di Charles Darwin, contro lo schiavismo, tratta dal diario 
scritto durante la lunga sosta in Brasile

5. Darwin il razzista

Da oltre 150 anni i biologi procedono lungo la strada tracciata da Darwin e Wallace, eppure a qualcuno ancora non va giù: visto che è impraticabile contestare l’evoluzione a colpi di pubblicazioni scientifiche, si può sempre cercare di attaccare Darwin stesso. Una delle accuse più frequenti è che Darwin fosse razzista, la prova è nelle frasi usate nei suoi manoscritti: tra selvaggi, e razze favorite è facile per certi siti presentare lo scienziato come un mostro, addirittura un degno ispiratore di Adolf Hitler.

A parte l’assurdità di giudicare (e da quali pulpiti…) una persona nata nel 1809 con gli standard attuali, Darwin era un convinto antischiavista, tanto che il sanguigno capitano del Beagle, Fitzroy, lo bandì dalla sua tavola dopo una discussione su questo argomento. Inoltre, Darwin riconobbe che tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro colore e dalla loro cultura, facevano parte di un’unica specie che si era differenziata solo in superficie, e identificò correttamente la culla dell’umanità nel continente africano. Come spiega inoltre Stephen Jay Gould in "Intelligenza e pregiudizio", sulla civilizzazione Darwin era “migliorista nella tradizione paternalista“, cioè non vedeva i cosiddetti selvaggi inferiori in quanto biologicamente tarati, ma pensava che potessero progredire (ovvero, per Darwin, diventare più simili agli occidentali) se si fossero trovati in un altro contesto ambientale e sociale.
Rispetto a noi (ok, diciamo molti di noi…) l’etica di Darwin era certamente arretrata, ma chi adesso è antirazzista, forse, deve ringraziare anche il contributo di persone come lui.


Lettera scritta da Darwin il 24 novembre del 1880
 a Francis Mc Dermott


6. Darwin l'ateo

Darwin, credeva in Dio, o era un ateo non dichiarato? 
Aveva la fede o l’aveva smarrita man mano che metteva a punto le sue esplosive teorie?
Charles Darwin, non si dichiarò mai ateo, ma concesse l'idea di Dio come creatore, cui però desegnava il compito di aver generato solo alcune forme di vita lasciandole poi liberamente evolvere secondo precise leggi (descritte appunto nella Teoria dell'Evoluzione)
Darwin credeva e dubitava al tempo stesso, accoglieva, nelle pagine del suo saggio, l’idea di Dio per poi frantumarla nella frase successiva, o nelle lettere che scriveva agli amici.
Come questa indirizzata il 24 novembre del 1880 a Francis Mc Dermott, in risposta al giovane avvocato che aveva scritto al famoso scienziato per chiedergli se credesse o meno nel Vangelo:

"Mi duole dovervi informare che non credo nella Bibbia come rivelazione divina, e pertanto nemmeno in Gesù Cristo come figlio di Dio".

La teoria evoluzionistica avrebbe davvero distrutto la fede religiosa con la "fine dell’illusione della centralità dell’uomo"? 
Lo psicologo David P. Barash (professore di psicologia presso l’Università di Washington e con laurea in biologia) ne è convinto e afferma:

"....fine dell’illusione della centralità dell’uomo. Dopo Darwin il messaggio è che vi è un legame di fondo tra specie umana e animale, siamo perfettamente buoni animali naturali indistinguibili dal resto del mondo vivente. Ma il mondo naturale è anche pieno di orrori etici: predazione, parassitismo, fratricidio, infanticidio, malattia, dolore, vecchiaia e morte. Più conosciamo l’evoluzione tanto più inevitabile è la conclusione che gli esseri viventi, compresi gli esseri umani, sono prodotti da un processo naturale, totalmente amorale»

Darwin avrebbe cioè lanciato il messaggio che vi sia un legame di fondo tra specie umana e animale, e che noi siamo perfettamente buoni animali naturali indistinguibili dal resto del mondo vivente.
Ma lo contraddicono le parole dello stesso Darwin:

"Un essere morale è un essere in grado di paragonare le sue azioni e le sue motivazioni passate e future e di approvarle o disapprovarle. Non abbiamo ragioni di supporre che qualcuno degli animali inferiori abbia queste capacità"
(C. Darwin, “L’origine dell’uomo e la selezione naturale”, Newton Compton 2007, p.88).

Forse per Darwin Dio non esiste, oppure esiste e non si cura di noi. 
Più dubbi che certezze, più domande che risposte. Ma questa è la scienza, scienza che identifica lo stesso Darwin come (im)perfetto scienziato e quindi modernissimo.
Il messaggio che se ne trae è che si può essere credenti o no indipendentemente dalla teoria evoluzionistica. 
Come dice il prof. Francisco J. Ayala, docente di scienze biologiche e filosofia all’Università della California:

"La conoscenza biologica non elimina considerazioni filosofiche o credenze religiose. Anzi, la conoscenza scientifica può fornire ottime basi per ulteriori affondi sia filosofici sia religiosi"
(F. Ayala, “L’evoluzione”, Jaca Book 2009, 127)




Fonti
From the Books
L’origine dell’uomo e la selezione naturale - C. Darwin - Newton Compton 2007
Lettere sulla religione C. Darwin - Einaudi
L’evoluzione - F. Ayala - Jaca Book 2009
From Website
http://www.wired.it/play/cultura/2016/02/05/5-bufale-charles-darwin/
http://www.lastampa.it/2015/09/17/scienza/allasta-la-lettera-in-cui-charles-darwin-rivel-di-essere-ateo-vtEm9z8xQ2KN8u0NojAAlO/pagina.html
https://it.wikipedia.org
From the Picture
https://it.wikipedia.org
elaborazioni personali di immagini dal web




L'amore nel tango

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Due storie d'amore nel tango!!!! 
La prima è la versione tanguera dell’eterna storia d'amore del dramma shakespeariano, Romeo y Julieta, che il vicentino Luciano Padovani ha creato per la compagnia Naturalis Labor, e che la porta in scena e la racconta attraverso il linguaggio della danza e del tango, con la musica dal vivo del Cuarteto Tipico Tango Spleen e con l'interpretazione di dodici straordinari ballerini.


Romeo y Julieta - Compagnia Naturalis Labor

L'altra è la vera storia d'amore, passione, tradimenti, separazioni e riconciliazioni tra due protagonisti della storia del tango, Maria Nieves Rego e Juan Carlos Copes (intervista). La coppia più famosa nel mondo del Tango e che ha avuto il merito di trasformare questa danza in un fenomeno internazionale, raccontata dal regista German Kral nel film “Our Last Tango” (Un tango más) attraverso anche conversazioni d’archivio e contemporanee, dalle quali emergono le personalità molto diverse di Nieves e Juan (oggi ottantenni) e delle loro aspettative. La storia di due ballerini che hanno ballato insieme per più di mezzo secolo descritta con scene e rappresentazioni di danza eseguite dai migliori coreografi e ballerini di tango di Buenos Aires; tra gli interpreti anche grandi nomi come Pablo Verón (Juan Carlos Copes–adult), Alejandra Gutty (María Nieves–adult), Juan Malizia (Juan Carlos Copes–young), Ayelén Álvarez Miño (María Nieves–young), Pancho Martínez Pey (Turco José), Johana Copes (Guest Dancer).


Film “Our Last Tango” (Un tango más)

Due storie d'amore che danno l'occasione a Vittoria Maggio di parlarci della magia dell'amore nel tango.

L'amore nel tango

"Finché c'è tango c'è vita" avrebbe prima o poi parlato di amore nel tango! 
Non basta certo un articolo e non basta forse nemmeno un libro o una vita per parlare di amore nel tango, ma l'occasione di vedere in scena la storia d'amore più bella e famosa della letteratura di tutti i tempi riletta col linguaggio di questo ballo ci apre proprio oggi il tema e la domanda più diffusa: ci si innamora nel tango? 
La storia d'amore in questione è quella della coppia di innamorati per antonomasia Romeo y Julieta portata in scena in questo periodo nei teatri di tutta Italia dalla compagnia Naturalis Labor di Luciano Padovani che ne ha creato una coreografia con forte base di tango argentino. 
Un grande amore, una forte passione oltre il proprio desiderio di vita come ben sappiamo, osteggiata da un grande scontro determinato da una irrisolvibile rivalità. Forti emozioni e profonde passioni per le quali il tango è il miglior è più naturale  linguaggio nonché “mezzo di trasporto”. 
Il tango affonda le sue radici nell’intimo vissuto di noi tutti: al tango infatti non si arriva da giovani ventenni o trentenni, é più un ballo del “mezzo di cammin di nostra vita”, di una vita di cui abbiamo profonda coscienza di emozioni, bisogni, istinti, passioni, tormenti, desideri che, per una sorta di super-io collettivo, abbiamo spesso però sopito e trasformato in razionalità. 
Il tango arriva a scardinare quello che in molti abbiamo costruito con la protettrice fatica della ragione e, con la sua musica, i suoi testi, il suo abbraccio ci denuda dei nostri  abiti “mentali” lasciandoci scoperti e pronti, disponibili all'incontro con l'altro.  
Quando abbracci nel tango non hai filtri, l'abbraccio é un gesto di pace oltre che di amore, sei pronto all'accoglienza e in quel momento a volte  tutto può succedere.  Si, ci si innamora nel tango, eccome, più volte: ci si innamora dello sconosciuto di cui hai colto lo sguardo, o meglio la mirada, e ci si innamora nuovamente anche della stessa persona quando riballi con lui! Come nella vita starete pensando...certo, ma il tango ti fa avvicinare all'altro senza la protezione della ragione, senza la maschera che abitualmente chiunque di noi indossa nella sua quotidianità. 
Il tango ci riporta a ciò che  di più primario esiste  in un uomo e una donna, tra un uomo e una donna. Esalta il maschile e il femminile allo stato puro, che si uniscono con il gesto di unione più primordiale e universale: l'abbraccio. 
Esattamente come nasca questa magia, rimane un mistero, un mistero che tutti ci affanniamo a spiegare e a elaborare anche scientificamente, ma che, permettetemi, lasciamo invece che sia così. Se gli amori del tango siano amori fortunati nel tempo, questo lo sa ognuno di noi, certo sono amori appassionati e dirompenti, anche se alcuni dureranno solo il tempo di una tanda, ma in quella tanda, in piedi con quell'”espressione del desiderio orizzontale” é già successo tutto e le due persone lo sanno perfettamente, senza bisogno di dirselo con le parole. Non mi interessa parlare del desiderio fisico e della sessualità del tango, fa parte dei segreti dei tangueri e va gelosamente custodito. 
Accennerò invece a un’altra vera storia d'amore del tango che dovremmo vedere al cinema in Italia a partire dal 18 aprile: l’infinita passione tra  i due più grandi ballerini del secolo scorso Maria Nieves e Juan Carlos Copes, oggi entrambi meravigliosi 80 enni in grado ancora di ballare e incantare. 
In “Our last tango” (Un tango mas) raccontano per la prima volta la loro storia d’amore, sofferta ma mai terminata. Sono stati una coppia in scena e nella vita per più di cinquant'anni, hanno cambiato insieme la storia del tango dando a questo ballo la dignità del palcoscenico, si sono amati visceralmente e visceralmente odiati, il loro colpo di fulmine, la gelosia, il matrimonio, il tradimento, l'abbandono e il ritrovarsi.  
Questo è l'amore nel tango! Totale e infinito! 
E quindi godiamoci ora il trailer emozionante del film che si spera arrivi davvero anche nelle nostre sale cinematografiche italiane! 


Our last tango ( Un tango mas)



Articolo di Vittoria Maggio dal sito DanceHallNews


Un Tango per il Pi Day

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"Che n’ebbe d’utile Archimede da ustori vetri sua somma scoperta?"

Questa frase ci aiutava, fin dalle medie, a ricordare il celebre numero irrazionale con ben 12 cifre, corrispondenti alle lettere di ogni parola:
π = 3,14159265358.....



Archimede, usando il "metodo di esaustione", inscrisse e circoscrisse poligoni regolari di 6, 12, 24, 48, 96 lati ed ottenne come 
rapporto tra circonferenza e diametro 
un numero compreso  tra 3 + 10/71 e 3 + 10/70  in decimali tra 3.140845... e 3,142857... 
(ovviamente egli utilizzò nei calcoli le frazioni e non i numeri decimali) 
Fu quindi il primo ad ottenere due cifre decimali esatte, che è tuttora l'approssimazione più conosciuta di pi greco π≈3.14
Il simbolo π di pi greco è di due millenni posteriore ad Archimede; fu introdotto intorno al 1700 e legittimato da Eulero.

Si perché a ben vedere Archimede è sicuramente molto più famoso per gli specchi ustori che per la sua determinazione di π, attraverso il "metodo di esaustione".

Ma c'è chi ha fatto di più e per ricordare le prime 402 cifre del π ha scritto un racconto mnemonico.
Si tratta dello straordinario racconto di Michael Keith. 
Un racconto autoreferenziale sulle cifre del cerchio in cui ogni parola, a partire dalla prima, contiene un numero di lettere corrispondente alle cifre in successione del π (da notare che allo zero corrisponde una parola di dieci o più lettere).


Il racconto di Michael Keith legato al cerchio

Molti altri personaggi si sono cimentati a costruire racconti e poesie basati sullo straordinario numero, così come ci ricorda Marco Fulvio Barozzi (in arte Popinga) in questo articolo sulle "Stramberie poetiche attorno al pi greco"
A tal proposito Popinga ci ricorda anche il "cadae", equivalente alfabetico delle prime cinque cifre di π
3,1415
c  adae
come una forma di poesia sperimentale con struttura matematica affine al "fib". 
Mentre il "fib"è una tecnica di scrittura che si basa sulla serie di Fibonacci, il cadae ha come riferimento le cifre del π, che definiscono il numero di sillabe di ciascuna riga. 
Quindi chiunque, con un po' di fantasia e tecnica poetica, potrebbe inventare racconti o poesie in grado di celebrare il π e di farne ricordare la successione delle cifre.
Come "Le sue scelleratezze", di cui qui lascio le prime simpatiche composizioni, cadae, che lo stesso Popinga ci propone e che così introduce:

"Essendo il pi greco una delle pochissime forme di trascendenza che mi concedo (le altre si chiamano e, phi, ecc.), anch’io mi sono cimentato nella composizione di versi basati su questo numero. Si tratta di cadae, basati sul doppio senso e forniti delle due chiavi di lettura nel titolo, tutti di argomento fisico-matematico."

Ora d’aria (Pi greco)
Dal raggio (3 sillabe)
tu (1)
percorrevi (4)
il (1)
giro esterno: (5)
ti fece un doppio rapporto (9)
il boss (2)

Il pranoterapeuta francese (La pressione)
Metodo? (3)
È (1)
il solito: (4)
lui, (1)
Pascal, comprime (5)
la superficie, normale, no? (9)

..............

Ma arriviamo al titolo e al suo perché!
Anche se tante sono le curiosità che riguardano π, qui ho voluto vederne solo due, legate soprattutto alla memorizzazione, facile o divertente, delle sue cifre.
Oltre la poesia troviamo quindi anche il suono del π e ci accorgiamo di come questo numero irrazionale diventi un'incredibile melodia.
Il musicista aSongScout ha pubblicato nell'omonimo canale youtube una melodia per pianoforte, realizzata seguendo, circa, un centinaio delle prime cifre decimali del π.

π = 3,14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971 69399 37510 58209 74944 
59230 78164 06286 20899 86280 34825 34211 7067





Come afferma l'autore stesso, ha creato questa melodia per cercare di memorizzare più cifre possibili della famosa costante matematica. Così, ha composto "La canzone del Pi " assegnando alle cifre, le corrispondenti note musicali su una scala minore armonica di La.

"I wrote "Pi Song" to help me memorize pi. I figured it would be easier to remember a melody than a string of numbers."

Una melodia che risulta anche ballabile e che non solo ho già inserito nelle mie compilations di tango, ma che abbiamo interpretato in Milonga (Sala tipica dove si balla il Tango) usando figure e adorni (rigorosamente improvvisati, come vuole la tradizione, e non coreografati), come si vede nel video, che ricordano giochi di cerchi (volcade, colgade e molinete) e simboli di infinito (ocho) perfettamente in linea con le caratteristiche geometriche di π.
Ringrazio quindi tutti gli amici tangueri, gli organizzatori della Milonga Play Tango di Pavia e il dj che, passandomi microfono e consolle, mi ha dato la possibilità di annunciare il Tango per il Pi Day e quindi di ballarlo sulle note appunto di "Song from π
Questa melodia si presta infatti per essere interpretata attraverso i passi del Tango/Vals (in alcune sequenze) e di Tango e Tango/Milonga in altre.
Quindi una melodia che copre tutte e tre le specificità del Tango Argentino.
Il Tango Argentino è caratterizzato infatti da tre ritmi musicali diversi, ai quali corrispondono altrettante distinte tipologie di ballo: Il Tango, la Milonga e il Tango vals (Vals criollo). 
Musicalmente il Tango ha un tempo di 4/4 o 2/4, come la Milonga, mentre il Tango Vals, che deriva dal Valzer ha tempo 3/4.
E quale altra danza potrebbe adattarsi di più alla melodia del π?
Il tango, oltre a essere un genere musicale, non solo è un ballo, ma è anche una poetica, un'interpretazione musicale, un modo di esprimersi e un linguaggio corporale. 
Per me, insieme alla Matematica, il Tango è una passione che ho cercato di descrivere in questo Dialogo sul Tango, perché quindi non unire simbolicamente queste due passioni con π?

Credo che questo tango dedicato a π sia in prima mondiale, perché non mi risulta che tra le curiosità e gli eventi dedicati al π ci sia mai stato un tango ballato su una musica costruita con i suoi decimali. 


Un Tango per il Pi Day- Video di Giorgio Camporotondo

Comunque, tornando alla musica di  π, di brani musicali dedicati a questo numero affascinante ce ne sono tanti e molte playlist si trovano in vari siti. 
In questo articolo, dedicato al "Pi Day" ne sono elencati, in una sorta di "minestrone", parecchi; dai brani commerciali di interpreti di grido a brani molto particolari derivati direttamente da  π e prodotti dalla comunità scientifica, e altri ancora che risultano in qualche modo collegati a  π

Vorrei concludere queste brevi curiosità, legate alla festa del "Pi Day" che si celebrerà tra pochi giorni, con un'ultima curiosità sull'origine di questa festa.
A lanciare l'idea del Pi Day è stato l'Exploratorium di San Francisco, il grande Museo della Scienza, che iniziò, il 14 marzo, a celebrare il numero più famoso e misterioso del mondo matematico, con una serie di giochi, musiche, filmati ed altre iniziative tutte ispirate al π.
Ma fu il 12 marzo 2009, con la Risoluzione H.RES.224 della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, la data in cui si riconobbe ufficialmente il 14 marzo come giornata per celebrare il  π e fu lo stesso Obama ad invitare i docenti a vivere il Pi Day come occasione per “incoraggiare i giovani verso lo studio della matematica”.


Spazio espositivo dell'Exploratorium Museum di San Francisco

E questo che segue è il testo, che lascia spazio anche a frasi simpatiche e divertenti, della Risoluzione H.RES.224.


"Poiché la lettera greca π è il simbolo del rapporto tra la circonferenza di un cerchio e il suo diametro;
Poiché il rapporto Pi è un numero irrazionale che va avanti all’infinito senza ripetizioni ed è stato calcolato a più di mille miliardi di cifre;
Poiché Pi è una costante che ricorre sovente, studiata nel corso della storia ed è centrale sia in matematica che in scienza e ingegneria;
Poiché matematica e scienza sono parte cruciale nell’istruzione dei nostri figli e i i bambini che vanno meglio in matematica e in scienze avranno un profitto migliore;
Poiché una predisposizione per la matematica, la scienza e l’ingegneria è essenziale in una società fondata sulla conoscenza;
Poiché, secondo l’indagine svolta nel 2007 dalla TIMMS, Trends in International Mathematics and Science Study, analizzata dal National Center for Education Statistics, i ragazzi americani del 4th and 8th grade sono risultati al di sotto di molti paesi come Taiwan, Singapore, Russia, Gran Bretagna, Corea del Sud, Lettonia e Giappone;
Poiché dal 1995 negli Stati Uniti si sono registrati progressi minimi nei test di matematica e di scienze;
Poiché al 8th grade, i maschi americani vengono battuti dalle ragazze, in particolare in Biologia, Fisica e Geologia e i risultati peggiori in matematica e scienze vengono registrati nei distretti delle minoranze e delle scuole più disagiate;
Poiché gli Stati Uniti hanno necessità di rinforzare l’istruzione matematica e scientifica di tutti gli studenti per una preparazione migliore i nostri ragazzi per il futuro e per metterli in grado di competere in una economia del XXI secolo;
Poiché la National Science Foundation sta rinnovando l’insegnamento della matematica e delle scienze a tutti i livelli, dalle elementari alla laurea da quando venne fondata 59 anni fa;
Poiché matematica e scienze possono essere una parte interessante e divertente nell’istruzione dei ragazzi, e studiare il Pi greco può essere un modo affascinante per insegnare la geometria ai ragazzi e attirarli così verso lo studio delle scienze e della matematica, e
Poiché Pi greco è approssimativamente 3.14, e quindi il 14 marzo 2009, è il giorno adatto come “National Pi Day”;
Ora, quindi, si decide che la Camera dei Rappresentanti:
1. sostiene la designazione di un Pi Day e la sua celebrazione in tutto il mondo;
2. riconosce l’importanza dei programmi scolastici della National Science Foundation e
3. incoraggia scuole e insegnanti a osservare tale giorno con attività appropriate che istruiscano gli studenti sul Pi greco e li attirino verso lo studio della matematica."

E buon Pi Day a tutti!!!!!


Note
Un ringraziamento a tutti i tangueri del Play Tango e in particolare a tutti coloro che mi hanno permesso di realizzare il video per questo Pi Day:
organizzatori: Mario Carò e Paola Ionà
dj: Roberto Rampini
video maker: Giorgio Camporotondo
ballerini: Vittorio Giardelli, Vito Fasano, MarioyPaola, Cinzia Faccin, Marco Savio, Anna Annina, Enzo Soldano

Un grazie anche a Gianluigi Filippelli che ha pubblicato questo articolo sul Carnevale della Matematica #95 ospitato nel suo Blog DropSea




Diabulus in musica, un vals per il pi greco

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Questo post è dedicato al suono del π, o meglio a un vals dedicato a π, "Vals du Pi", in cui ci accorgiamo di come questo numero irrazionale possa trasformarsi in una bellissima melodia.
Una bellissima e originalissima composizione del pianista Jean Filoramo che, in una serata dedicata al Tango, così l'aveva annunciata:


"Vals du Pi" Jean Filoramo
Ripresa/video di Giorgio Camporotondo

"Ce soir, pour la première fois au PlayTango de Pavia chez Mariotango, j'executerai le "Vals du Pi" pour pianoforte en La minore que j'ai composé en suivant les 69 (Département 69 à Lyon ou je suis né) premières décimales du nombre Pi (π).
Dédié à mon amie Annalisa Santi"

Come ricordavo in un precedente articolo dedicato al π, nella giornata del 14 marzo 2016 del Pi day, di brani musicali dedicati a questo numero affascinante ce ne sono tanti e molte playlist si trovano in vari siti, ma questa versione su ritmo di 3/4, tipico del vals e in tonalità di La minore, è davvero molto bella e si presta molto bene a essere ballata e interpretata con i passi del Tango/Vals.





Dallo spartito che lo stesso Jean Filoramo mi ha mandato si evidenzia come sia stata costruita questa melodia utilizzando le 69 prime cifre di π:
π = 3,14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971 69399 37510 58209 74944 59230 781......
Questo perché Jean ha deciso di fermarsi a 69 in ricordo del Dipartimento 69 di Lione dove lui è nato.

Ma vediamo di capire quello che ci scrive Jean a commento dello spartito.¹
Il brano (su ritmo di 3/4, in tonalità di La minore) si sviluppa secondo una corrispondenza fra le primi 69 cifre del Pi Greco e i gradi della scala, considerati sia all'interno dell'ottava (con le note 1 = LA, 2 = SI, 3 = DO, 4 = RE, 5 = MI, 6 = FA, 7 = SOL, 8 = LA' dell'ottava successiva) che all'esterno di essa (con lo 0, corrispondente al SOL diesis dell'ottava precedente, e il 9, corrispondente al SI' dell'ottava successiva).
Interessante notare che nella 25a battuta è presente inoltre un Tritono, cioè l'intervallo di quarta aumentata o quinta diminuita (a seconda che lo si veda come quarta o come quinta), in cui tra una nota e l'altra esiste una distanza di tre toni.
Essendo esso la metà esatta di una ottava, ripetendo ciclicamente dei tritoni l'orecchio umano non risulta più in grado di capire se l'intervallo è ascendente o discendente, generando così l'omonimo paradosso. 
Questo intervallo è infatti una delle maggiori dissonanze della scala diatonica, e durante il Medioevo era chiamato "Diabolus in Musica", proprio per la sua natura acusticamente dissonante, considerata a quel tempo diabolica.



La visione di Tundale, con l’immagine mostruosa del diavolo, che divora le anime e le espelle sul ghiaccio

Perché mai è stato affibiato ad un bicordo un nome così sinistro?²
Tutto appunto iniziò nel Medioevo, quando, fino al XIII secolo, lo studio musicale era appannaggio quasi esclusivo della Chiesa e all’epoca gli ecclesiastici avevano idee differenti dalle nostre su consonanza e dissonanza  degli accordi. 
L’intervallo di terza, per esempio, era considerato dissonante quindi provate ad immaginare come dovesse suonare alle loro orecchie il tritono, che già per noi è estremamente aspro. Sicuramente doveva essere considerato come l’intervallo più dissonante di tutti. 
La cosa curiosa è che il tritono è costituito da tre toni (da cui il nome): difatti questo bicordo altro non è che una quarta aumentata (si-fa per esempio). 
Ebbene, se vi mettete a contare i toni vedrete che sono tre. Senza dubbio, il numero tre avrà immediatamente ricordato ad un monaco la Trinità, ma il fatto che il risultato fosse tanto dissonate faceva pensare che il diavolo ci avesse messo lo zampino, da cui il minaccioso nome di Diabolus in Musica. 
E non era una definizione detta tanto per fare colore, perché era vietato utilizzare questo particolare accordo nella musica sacra, pena (in casi estremi) addirittura la scomunica!
Tutto ciò parrebbe eccessivo, ma bisogna ricordare che la musica, o meglio "ars musica", faceva parte del cosiddetto Quadrivium e cioè quell’insieme di arti (Astronomia, Aritmetica, Geometria, Musica) che col Trivium (Retorica, Logica, Grammatica) costituiva le arti liberali, volte alla conoscenza scientifica e filosofica del mondo. Inoltre la Chiesa riconosceva la musica come il punto d’incontro di filosofia e teologia, come testimonia un passo di Isidoro di Siviglia:

“Senza la musica, nessuna disciplina può considerarsi perfetta.
Non vi è infatti nulla che sia senza di essa”
(Etymologiae, III)


Inoltre esiste un altro motivo, molto più pratico, per cui questo intervallo era malvisto in ambito musicale. Essendo così aspro, così dissonante, risulta tutt’oggi uno degli intervalli più difficili da intonare e quando un coro deve intonare un tritono c’è buona possibilità che stoni o che comunque debba faticare parecchio prima di riuscire ad intonarlo senza problemi. 

Già Guido d’Arezzo, ovvero colui che ha dato il nome alle sei note (il nome della nota si è venuto dopo), aveva bollato il tritono come intervallo dannoso. 

Quindi per evitare questi inconvenienti, i maestri di un tempo facevano molta attenzione a non usare il tritono o ad utilizzarlo con molta cautela, anche perché poi, col passare del tempo, la musica è uscita dall’ambito ecclesiastico ed ha cominciato a diffondersi tra la gente comune attraverso la musica profana. 
Questo fece sì che il “divieto” del tritono venisse gradatamente meno, tanto che molti dei grandi contrappuntisti antichi, come Carlo Gesualdo da Venosa, facessero della dissonanza il proprio cavallo di battaglia.

"Tartini's Dream" by Louis-Léopold Boilly (1761-1845). 
Illustration of the legend behind Giuseppe Tartini's "Devil's Trill Sonata"

Ma il tritono non aveva ancora finito di esercitare un certo fascino, specialmente se si considera la fama “satanica” cui era legato. 
Nel Settecento un compositore italiano, Giuseppe Tartini, disse di aver sognato il diavolo che suonava il violino e che, dopo essersi svegliato, corse subito a scrivere la musica che aveva udito in sogno. Ne venne fuori il celeberrimo "Trillo del Diavolo" che, manco a dirlo, è zeppo di tritoni (specialmente nell’ultimo movimento). 
E ancora, nell’Ottocento tanti vennero colpiti dall’antico nome medievale e utilizzarono l’accordo per conferire un particolare e mefistofelico colore a certe composizioni, come Franz Liszt che ne fece largo uso nel movimento riguardante l’Inferno nella famosa Dante Sonata, o Hector Berlioz che vi ricorse nell’ultimo movimento della Symphonie Fantastique (che ritrae, guarda caso, un Sabba).

Ho divagato e dal bellissimo "Vals du Pi" caratterizzato da un Diabulus in musica, sono passata alle curiosità legate a questo tritono.
Ma di curiosità se ne potrebbero trovare altre legate al vals, al tango, al numero 69, al diavolo che parrebbero legarsi tra loro in un sottile simbolismo erotico sicuramente non casuale!


Note
¹Commento e considerazioni sullo spartito di Pierluigi Gallo Ziffer
²Fonte articolo Luca Fialdini http://www.uninfonews.it/diabolus-in-musica/


Caramuel, chi era costui?

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Il 1° aprile 2016 è iniziato il mese della Matematica!!!!!
Il tema di Matematics Awareness Month 2016 (MAM 2016), "The Future of Prediction" fa venire in mente indagini nel passato, nel presente e nel futuro delle previsioni matematiche, dagli antichi oracoli alla probabilità, ai modelli statistici o quantistici........
E parlando di precursori, di predizioni, di probabilità, di sistema binario.......come non ricordare l'enciclopedico Caramuel?
Ben si potrebbe inserire nel tema proposto "The Future of Prediction" considerando il suo ruolo di precursore e ideatore di concetti che sarebbero poi stati utilizzati in vari campi di indagine e di "predizioni future".
Ma, parafrasando Manzoni e il suo Don Abbondio: "Caramuel, chi era costui?"


Effige del Vescovo J. Caramuel de Lobkowitz 
Incisione del 1672

Ricordato anche come Monsignor Giovanni Caramuele, Juan Caramuel y Lobkowitz, questo era il suo nome, fu un monaco cistercense del Seicento, gentiluomo, dotto e avventuriero, matematico e probabilista, tra gli inventori del sistema binario, grafico, tipografo, editore e tra gli ideatori dei caratteri mobili nel mondo della stampa, filosofo e abile politico, grande scrittore ed erudito, gran campione del lassismo (eccessivamente tollerante e indulgente in fatto di morale tanto che Sant'Alfonso de' Liquori lo bollò come "laxistarum facile princeps"), nonché poliedrico architetto.
Scorrendo i suoi scritti ne balza una personalità di primo piano, di una forza dialettica travolgente, di una capacità formidabile, di genio e mente enciclopedica ed umanista fuori dal comune.
Nel suo stemma vescovile campeggiano le aquile e il leone e tale fu Caramuel per l'altezza dell'ingegno e dell'erudizione, per la forza di volontà ed il coraggio. 
Si può affermare che l'importanza della sua opera va ben oltre i limiti della gratuita "genialità" che solitamente gli viene attribuita negli scritti di scarso impegno culturale spesso pubblicati. 
   
Juan Caramuel, nato il 23 maggio 1606 a Madrid dal Conte Lorenzo, cultore di scienze astronomiche, di origine fiamminga e dalla madre di origine tedesca, studiò in Spagna e sin da fanciullo mostrò la straordinaria potenza del suo intelletto. 
A 11 anni pubblicò la prima opera, a 15 anni si laureò in filosofia, a 17 entrò nell’ordine dei Cistercensi  nel monastero della Spina, nella diocesi di Palencia, nella Vecchia Castiglia. 
Passò, quindi, all’Università di Valladolid e poi a quelle di Salamanca e di Lovanio ove conseguì la laurea in Teologia.

Quindi Caramuel peregrinò lungo tutta l'Europa culturale del '600.
Mostratosi abile architetto nell'arte militare, fu chiamato dall'Imperatore Ferdinando III a ispezionare le fortezze d'Ungheria, per ricostruirle. 
Frequentò quindi la corte di Cristina di Svezia e, prima della sua nomina a Vescovo di Campagna e Satriano, nel Regno di Napoli, viaggiò instancabilmente tra Spagna e Portogallo, a Salamanca, Coimbra e Lisbona, passando poi nei Paesi Bassi e in Germania a Lovanio, Bruxelles, Anversa, Colonia, Spira, Magonza, quindi a Praga prima di stabilirsi appunto in Italia.
In queste città aveva conosciuto e corrisposto con il fior fiore della cultura europea di allora; con Descartes, Gassendi, Butkens, Rubens, Marcus Marci, Athanasius Kircher e tanti altri.

L'amore per la ricerca, l'invenzione, le sottigliezze, la probabilità e il paradosso lo portarono talvolta ad affermazioni temerarie facendogli rasentare l'eresia.
Tanto che il 1° settembre 1655, coll'andata a Roma, nonostante la protezione di Alessandro VII, al quale dedicherà la "Theologia" riformata, si vedrà relegato tra le aspre terre della Lucania "a purgazione dei falli che avea commessi" (sono sue parole).
Al suo arrivo a Campagna, nel luglio 1657, Caramuel ereditò una diocesi rovinata dalla peste del 1656, che vedeva ridotti i sacerdoti da 159 a soli 25, e gli abitanti da 5000 a 2000. 
Preferendo la solitudine, spesso si ritirava nell'eremo di San Michele, incavato in una rupe del Montenero di Campagna e scriveva "Quando ho la penna in mano, non sento il bisogno d'altro". 
Ma a Campagna sembrò che anche la penna gli fosse caduta di mano e per quattro anni non pubblicò alcuna opera.  
Aveva infatti pubblicato gran parte delle sue opere nei maggiori centri dell'editoria europea, ma a Campagna trovò difficoltà anche a reperire tipografi esperti e caratteri rari indispensabili alle sue edizioni.
Decise così di costruire egli stesso una stamperia, forse con maestranze fatte giungere dalla Germania, prima a Sant'Angelo Le Fratte e poi a Campagna e chiamò la sua tipografia "Arca Santa”.


Una delle numerose illustrazioni che impreziosiscono 
la "Metametrica" ¹ (Caramuel de Lobkowitz 1663)

Si ricorda anche come innovatore nell'insegnamento.
Insegnava egli stesso, infatti, la grammatica e la matematica ai fanciulli di Campagna, come un maestro elementare, ingegnandosi anche di aggiornare il metodo di insegnamento e per facilitare lo studio compose per i piccoli studenti una grammatica con figure. 
Spesso il Caramuel ricorreva alle illustrazioni didattiche, e a Venezia aveva fatto stampare delle curiose carte da gioco con le quali gli studenti potevano imparare a comporre versi giocando. 
L'attenzione del Caramuel ai metodi di insegnamento fu costante tanto che nel "Physik-Ethikon" si chiede se sia meglio far imparare prima a scrivere o prima a leggere, preferendo prima fare scrivere.
Potremmo definirlo un antesignano di Fröbel, nato più di un secolo dopo. 
Un Caramuel precursore del pensiero pedagogico di Friedrich Wilhelm August Fröbel e della sua realizzazione attraverso il gioco che segnerà, appunto un secolo dopo, una svolta innovativa nel panorama culturale dell'epoca, costituendo uno dei pilastri della pedagogia moderna.



Caramuel de Lobkowitz "Mathesis biceps vetus et nova" 
Campagna di Salerno 1670. Frontespizio

Del periodo a Campagna sono le pubblicazioni "Mathesis biceps, vetus et nova" del 1670, dove espose i principi generali della rappresentazione dei numeri usando una base diversa da 10, che si inserisce nel quadro della ricerca che infine porterà al calcolo binario.
Egli aveva utilizzato un’aritmetica a due soli simboli ed era solito rappresentare i numeri attraverso le lettere dell’alfabeto “a” e “b”. 
Sarà poi Leibniz sia ad usare le cifre “0” e “1” per la codifica dei numeri, che a descrivere le principali regole aritmetiche che soggiacciono alla matematica binaria. 
Nel 1703, per sostenere tale sistema di numerazione egli scrisse:

"Invece della progressione di dieci in dieci, impiego da molti anni la progressione più semplice di tutte, che va di due in due, ritenendo che sia perfettamente adeguata alla scienza dei numeri. Utilizzo solo due caratteri, “0” e “1” e poi, quando sono arrivato a due, ricomincio" (Leibeniz)

L'aritmetica binaria venne però ben presto dimenticata e riscoperta solo nel 1847 grazie al matematico inglese George Boole che aprirà l'orizzonte alle grandi scuole di logica matematica del Novecento e soprattutto alla nascita del calcolatore elettronico.


J. Caramuel de Lobkowitz "Architectura Civil Recta y Obliqua"
Vigevano 1678. Parte IV, Lamina XXIII 
Pianta di un porticato ellittico

Altri contributi in Matematica di Caramuel riguardano un metodo per la trisezione degli angoli e un proprio sistema di logaritmi. 
Studiò un sistema per determinare la longitudine sulla base della posizione della luna e fu uno dei campioni del probabilismo, sistema di teologia morale che poi fu adottato dalla Compagnia di Gesù (cfr. Carlo Antonio Casnedi ).
Fu infatti un esponente di spicco del probabilismo e le sue opinioni morali permissive furono criticate da Pascal in "Lettere provinciali" e si guadagnò, da Sant'Alfonso de' Liquori , il titolo di "Principe dei lassisti".
Contemporaneamente il suo lavoro matematico incentrato sulla combinatoria ne fa  uno dei primi scrittori di probabilità, anche con la ripubblicazione di un lavoro di Huygens "Sui dadi e le spiegazioni utili".
Un probabilismo siffatto Caramuel lo applica pertanto all’agire umano così come all’organizzazione del pensiero, alle relazioni politiche, così come ai sistemi culturali, all’astronomia del tempo, stretta tra osservazioni galileiane e condanne cardinalizie, così come alla musica, arte quadriviale e insieme attenta alle esigenze dei pratici come alla prassi musicale.
Caramuel, grande esponente del probabilismo essenzialmente teologico, visse comunque in un periodo in cui si incominciava a voler parlare di probabilità in termini rigorosi.
Daniele Sabaino offre un'interessante sintesi delle definizioni formali della Probabilità, codificate da Caramuel nella sezione dedicata ai fondamenti speculativi della probabilità in "Fundamentum XI. De Opinionum Probabilitate", che qui non annovero, nel suo libro "Un’altra modernità Juan Caramuel Lobkowitz (1606-1682):enciclopedia e probabilismo" al paragrafo "Un tardo manoscritto di Caramuel sulla teoria dell'opinione probabile" lasciando alla curiosità del lettore la ricerca e la lettura a questo link (da pag. 229) 
E sono proprio del periodo in cui Caramuel visse e intrecciò rapporti e frequentazioni a livello europeo, i primi approcci alla teoria della probabilità che si potrebbero definire le pietre miliari nella storia della Teoria della Probabilità.

Dopo le prime idee espresse e pubblicate in epoca precedente da Luca Pacioli (1494 - Pacioli - Summa - Stampata la prima questione sulla probabilità) e da Cardano (1550 - Cardano - Liber de ludo aleae) sono infatti del 1654 gli scambi epistolari tra Pascal e Fermat, nei quali vennero fondati e dimostrati i principi basilari della Teoria della Probabilità e del 1657 il primo libro a stampa sulla probabilità ("De ratiociniis in ludo aleaebasato" sul lavoro di Pascal e Fermat) di Huygens.
Seguirà quindi nel 1662 "Osservazioni sui conti della mortalità" un testo di Graunt, sulla probabilità per gli affari delle assicurazioni che rappresenterà anche l'inizio della statistica matematica.


Vigevano, pianta della Cattedrale con la facciata curvilinea
progettata da J. Caramuel de Lobkowitz

Il 1°settembre 1673 Caramuel fu trasferito, con decreto del re di Spagna, cui per successione spettava la nomina dei vescovi di Vigevano, col titolo di arcivescovo, e arrivò nella sede vigevanese il 4 novembre, ricco di esperienza e preceduto da fama di dotto. 
Qui ebbe modo di dedicarsi, in ambiente più favorevole alle sue spiccate attitudini, ai vari studi e progetti nati dalla sua sempre fertilissima capacità inventiva anche se, sicuramente, viene ricordato a Vigevano soprattutto per l'ideazione della facciata della Cattedrale antistante la famosa piazza Ducale.
La competenza in architettura già l'aveva dimostrata nelle modifiche apportate ai monasteri cistercensi, nell'edificare le fortezze militari di Germania e d'Ungheria e la sua opera era stata richiesta dallo stesso Alessandro VII per la fontana di piazza San Pietro, che doveva essere simmetrica a quella già costruita sotto il pontificato di Paolo V.
Va ricordata una curiosità legata a quest'opera di Piazza San Pietro, cioè il fatto che Caramuel criticasse aspramente proprio il progetto del Bernini del Colonnato della Piazza.
Comunque il suo studio per la soluzione del problema della facciata della Cattedrale, connesso a quello più generale dell'inquadramento seicentesco della piazza Ducale, non fu certo casuale od imprvvisato, e, anche se l'intuizione può ben dirsi geniale, va rilevato quanto il valore culturale ed architettonico della soluzione precorra tutte le scoperte e la trattazione settecentesca dell' urbanistica barocca.



Copertina del libro dedicato a J. Caramuel de Lobkowitz
 con la Facciata della chiesa di Sant’Ambrogio a Vigevano.

Ma non è questa la sede per trattare dettagliatamente di questa e altre opere architettoniche che la mente portentosa di Caramuel progettò, come ricordano le parole di Moreri, nel suo "Dizionario", che, scrivendo di Caramuel dice: 

"Ideò un'opera sull'architettura del gran tempio di Salomone, di tanta profondità, che se Dio lasciasse perire tutte quante le scienze nell'universo, il solo libro di Caramuel sarebbe sufficiente a farle tutte rinascere".

Chiamato "Magnus" dai contemporanei, Caramuel fu veramente un uomo straordinario, il cui ingegno portentoso e versatile gli permise di riuscire in tutti i settori dello scibile.
Conoscitore di ben ventiquattro lingue, poliglotta-poligrafo, lasciò una produzione bibliografica talmente copiosa e svariata da sbalordire. 
Diede alle stampe oltre ottanta opere, alcune di diversi tomi e in successive edizioni, altre quaranta rimasero inedite e altre ancora le stampò col nome di amici e con pseudonimi. 
Non vanno tralasciati altri contributi, proprio di questo periodo vigevanese: inventò una lingua universale a segni (alcuni suoi manoscritti sono tutt'oggi non decifrabili ed intelligibili a motivo dei segni grafici usati), escogitò una nuova terminologia per la fìlosofia e la teologia, costruì degli automi (robot), indagò sulla ricerca del moto perpetuo, affrontò e risolse le più ardite questioni teologico/dogmatico/probabilistiche con la squadra ed il compasso.
Fu attivo e lucido fino alla fine dei suoi giorni e, quando la vista non gli permise più nemmeno di leggere e scrivere, ricorse, e solo allora, all'opera di amanuensi, dettando contemporaneamente a più di uno e su diversi argomenti, fino al vespro del 7 settembre 1682 quando spirò, colpito da apoplessia. 
Aveva settantasei anni e il 10 successivo fu sepolto proprio in quel Duomo che mirabilmente
aveva progettato.



Note

¹ La "Metametrica" di Juan Caramuel Lobkowitz del 1663 costituisce non solo il più clamoroso documento di poesia figurata in Italia, ma anche la fonte più ricca di notizie sui poeti iconici italiani. Il termine di metametrica è stato introdotto da Caramuel, per indicare che la sua metrica supera quella tradizionale: la metametrica è infatti un’ “arte che, fondata sulla matematica, deve identificare schemi prosodici e ritmi astratti, i quali, una volta rivestiti di parole, possono moltiplicarsi in una quantità enorme di versi concreti

Fonti

From the book
Juan Caramuel: Probabilismo ed Enciclopedia di Dino Pastine - Feltrinelli
Juan Caramuel Lobkowitz (1606-1682): enciclopedia e probabilismo a cura di Daniele Sabaino e Paolo C. Pissavino - Edizioni ETS
From website
http://www-groups.dcs.st-and.ac.uk/~history/Biographies/Caramuel.html
https://www.academia.edu/2353870/Kabbalah_and_Conversion_Caramuel_and_Ciantes_on_Kabbalah_as_a_Means_for_the_Conversion_of_the_Jews
https://www.academia.edu/6492360/Ramificazioni_dell_encyclopaedia_Caramuel_Kircher_e_l_ars_combinatoria_nella_composizione_musicale
From the pictures
https://www.academia.edu/12399345/A._De_Rosa_GLI_OBLIQUI_SENTIERI_DELL_ILLUSIONE_ARCHITETTONICA_in_G._DAcunto_A._De_Rosa_2002_._La_vertigine_dello_sguardo._Tre_saggi_sulla_Rappresentazione_Anamorfica._pp._227-259_284-291_VENEZIA_Ed._Cafoscarina_ISBN_9788888613314





Tango alla Stecca tra passato e presente

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Sono passati 9 anni e pochi ricordano lo sgombero della "Stecca degli Artigiani" tra via De Castillia e via Confalonieri. 
Le operazioni erano iniziate il 17 aprile 2007 intorno alle 6.15 quando la polizia e i carabinieri erano entrati in forze nella struttura occupata.
Lo sgombero degli occupanti della Stecca era quindi terminata a metà mattinata e, nel frattempo, l'ufficiale giudiziario aveva comunicato gli sfratti esecutivi nei confronti degli artigiani e degli affittuari della struttura. 
Tra essi anche una sezione di Rifondazione Comunista e il Laboratorio Artistico.


Sgombero da parte della Polizia della "Stecca degli Artigiani" tra via De Castillia e via Confalonieri
17 aprile 2007

Ingresso via De Castillia

Dopo aver lavorato per venticinque anni all'interno della Stecca,  alcuni artigiani assistono 
allo sgombero dell'edificio. Al centro, il fabbro Piero e il tapparellista Don Diego.
© Maria Vittoria Trovato, Milano, 2007/2008, Isola

La Stecca degli Artigiani, ex Brown Boveri.
© Maria Vittoria Trovato, Milano, 2007/2008, Isola

I ragazzi dell'associazione +BC all'interno della Stecca degli Artigiani.
© Maria Vittoria Trovato, Milano, 2007/2008, Isola.

Lo studio del pittore Francesco Magli, da vent'anni alla Stecca degli Artigiani.
© Maria Vittoria Trovato, Milano, 2007/2008, Isola.

Interni dell'Isola Art Center al secondo piano della Stecca degli Artigiani.
© Maria Vittoria Trovato, Milano, 2007/2008, Isola

Era un'officina creativa e di piacere che aveva accompagnato per tanti anni i milanesi e che, negli anni, aveva promosso sul territorio iniziative di qualità volte anche allo sviluppo culturale e alla socializzazione per il quartiere e per i milanesi.
Ma la Stecca all'Isola era divenuta anche una struttura complessa e degradata, in cui convivevano imprese artigiane, associazioni, occupanti abusivi e spacciatori di droga che per anni era stata colpevolmente abbandonata a se stessa dal Comune che aveva quindi ordinato lo sgombero per realizzare il progetto Garibaldi-Repubblica.


Bert Theis, artista e coordinatore delle attività dell'Isola Art Center e 
fondatore di OUT (Office for Urban Trasformation).
© Maria Vittoria Trovato, Milano, 2007/2008, Isola

Lavori di demolizione della Stecca degli Artigiani.
© Maria Vittoria Trovato, Milano, 2007/2008, Isola

Resti della facciata della Stecca degli Artigiani in demolizione

Iniziano quindi i lavori di demolizione e con questi, tra la fine del 2007 e il 2008, dopo anni di opposizione da parte di artisti, comitati e abitanti del quartiere, viene avviato un progetto di riqualificazione. 
La Stecca degli Artigiani (ex Brown Boveri), centro delle idee e delle esperienze creative di un'Isola che da sempre accoglieva le realtà più diverse, sgomberata e subito demolita, sarà quindi ricostruita e ridonata, dopo 4 anni, agli Artigiani con il progetto "Stecca 3.0"
All'Isola è stato quindi inaugurato, nell'ottobre 2012, l'"Incubatore per l'Arte", l'edificio che ha così sostituito la vecchia "Stecca degli Artigiani", di cui l'allora Assessore alla Cultura, Stefano Boeri, era il progettista.
A gestire la struttura è stata incaricata l'associazione Ada Stecca e così è stata salvata la progettualità locale delle associazioni, di alcuni artigiani e artisti della "Stecca degli Artigiani"(le associazioni: Apolidia, Architetti Senza Frontiere, Cantieri Isola, Ciclofficina +bc, Isola Critica, La Compagnia del Parco-Circolo Legambiente, AIAB-Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, i giovani artigiani dell’Associazione Controprogetto e lo storico pittore dell’Isola Francesco Magli) che avevano fondato il 27 Marzo ‘07 l’Associazione di Associazioni Stecca degli Artigiani (Ada Stecca).





Immagini della "Stecca 3.0" o l'"Incubatore per l'Arte", l'edificio in via De Castillia 26 che, dal 2012,
 ha sostituito la vecchia "Stecca degli Artigiani", su progetto di Stefano Boeri

Questi 760 metri quadri di spazi interni e 500 esterni sono stati destinati per attività culturali e artigianali ma anche per azioni in difesa dell'ambiente e di promozione del volontariato. 
Insomma un grande luogo pubblico gestito in autonomia e attorno al quale un'area di 2mila metri quadri, da via De Castillia a via Confalonieri, è stata adibita a verde pubblico.
Un "Incubatore per l’Arte", chiamato appunto “Stecca 3.0”, con sale destinate ad accogliere tutte le vecchie attività, come la Ciclofficina, i corsi di italiano per stranieri di Apolidia, le iniziative pubbliche del Circolo di Legambiente e di Cantieri Isola, le manifestazioni dell’Associazione italiana per l’agricoltura biologica e i mercatini del consumo critico, come i progetti del pittore Francesco Magli e ultimi, ma non ultimi, i corsi di Tango e la Milonga con la più bella vista di Milano, di Tamara Blanco e Jean Filoramo.


I ragazzi dell'associazione +BC all'interno della "Stecca 3.0"

Attività artigiane e culturali all'interno della "Stecca 3.0"

Il passato non può essere ri-vissuto, se non attraverso quelle persone che ricordano, con o senza rimpianto, quello che è stato il quartiere di Isola allora, ma che non è più, e io ricordo un piccolo, anzi piccolissimo, locale buio in cui nel 2004 si ballava tango, proprio a pochi metri da via De Castillia 26. 
Un locale decisamente poco adatto e immerso nel degrado, un posto per pochi appassionati (allora eravamo in pochi ma molto appassionati) che non rimpiango certo ma che mi piacerebbe rivivesse con la stessa passione di allora in questo nuovo e bellissimo "Incubatore per l'Arte" con le iniziative cultural/taguere di Tamara e Jean.







Immagini della versatilità dello spazio al primo piano della "Stecca 3.0" di via De Castillia 26
che accoglie i corsi di tango e che in tarda serata si trasforma in una Milonga 
con la splendida vista sulla skyline milanese

Certo non rimpiango quel brutto e fatiscente locale ma rimpiango la passione per la danza, per la musica del tango e la brama di cultura che allora si respirava e che ora sembra sempre più solo legata al business.
Tante sono state le iniziative legate al Tango che purtroppo ho visto aprirsi e chiudersi nel giro di pochi anni, se non di pochi mesi o giorni, e vorrei tanto che chi invece ci mette passione, coraggio e professionalità venisse premiato e riuscisse a portare avanti queste belle iniziative.
Ecco ritorno a parlare di Tango su questo mio blog, forse proprio per cercare di trasmettere anche ai novelli tangueri quelle atmosfere e quelle suggestioni provate da me in serate ormai lontane.
Ma questi lunedì tangueri di Tamara e Jean potrebbero finalmente ricreare quelle atmosfere e rappresentare un progetto e una novità in questo universo sempre più piatto o appiattito da organizzatori a volte incompetenti o mossi solo da ritorni economici e da frequentatori e ballerini sempre meno interessati alla qualità della serata.

"......a si andiamo lì c'è tanta gente.....ma chi musicalizza? com'è il posto?....non importa c'è tanta gente....."

Quante volte ascolto queste frasi e quante volte mi si stringe il cuore nel vedere "tanta gente" magari in posti discutibili, e "pochi ballerini" in posti accoglienti e di qualità.
Come ricordavo anche in un articolo dell'anno scorso:

"assistiamo alla nascita di sempre nuove Milongue, molte volte un po' improvvisate, che invogliano i ballerini solo perché appagano il loro desiderio di provare posti nuovi. 
Io ritengo invece che sia fondamentale che ci si debba riconoscere in una Milonga, nel suo stile, nella sua musica, nel tango che lì si pratica e che si debbano far crescere proprio quelle Milongue che portano avanti un progetto e non quelle che nascono nello spazio di una serata (one night), senza un impegno o un vero progetto musicale."

Mi auguro che "la Stecca" riesca a far parte di quella realtà del tango milanese fatta sia da coloro che appartengono al nucleo storico e che mantengono vive le Milongue tradizionali, sia da coloro che hanno deciso di mettersi in gioco con serio impegno e competenza, seguendo l’esigenza di integrare il tango tradizionale con brani di musica di gusto più contemporaneo.
Spero vada in porto il progetto di Jean di dedicare questi lunedì al "tango dal vecchio al nuovo - due realtà musicali che convivono" in un continuum così come è continuata l'attività culturale dalla vecchia "Stecca degli Artigiani" alla nuova "Stecca 3.0" e che coloro che si dichiarano appassionati di Tango (con la T maiuscola) arrivino numerosi ad apprezzare, insieme a queste proposte musicali, la professionalità indiscussa di Jean, soprattutto nel suo ruolo di pianista esecutore, arrangiatore e compositore di stupende sonorità tanguere.


Referendum Trivelle....e tutto per un comma!

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Forse sono fuori tempo massimo e non interessa più a nessuno ma, aldilà dei numeri che possono essere letti e interpretati secondo il proprio convincimento, vorrei fare alcune brevi considerazioni sull'iter personale che mi ha portato a decidere su quest'ultimo referendum, detto delle Trivelle, e sul perché.
Queste riflessioni nascono anche dal desiderio di far chiarezza sul perché delle mie posizioni dopo gli scontri, più che i confronti, verbali con amici che stimo e con i quali non vorrei si creassero fraintendimenti e si incrinassero i rapporti.

Nell'agosto 2015 firmai online nel sito di Greenpiece la richiesta di un referendum contro ulteriori trivellazioni nei nostri mari.
Sinceramente devo ammettere che poi me ne dimenticai, né ebbi più notizie della fine che avesse fatto il referendum fino al 27 gennaio 2016, giorno in cui scoprii che ci sarebbe stato un referendum riguardante le Trivellazioni in Italia, anche se men che meno riuscii a capire cosa avrebbe riguardato!
Quel giorno aprendo la posta trovai infatti questa mail di Greenpeace (di cui sono socia) che così mi informava:


Immagine correlata alla mail di Greenpiece del 27 gennaio 2016

Ciao Annalisa, 
stavolta ti scriviamo non solo per difendere l'ambiente, ma anche la democrazia… e le tue tasche!
Pochi giorni fa la Corte Costituzionale ha stabilito che i cittadini potranno dire la loro sulle trivellazioni, ammettendo un referendum sulla ricerca di petrolio nei nostri mari proposto da ben 9 Regioni.
Per facilitare la partecipazione e risparmiare centinaia di milioni di euro, si potrebbe fare qualcosa di molto semplice: accorpare la data del referendum e quella del primo turno delle prossime amministrative. Renzi, però, sta già pensando a qualcosa di diverso: per affossare la democrazia e compiacere le compagnie petrolifere è disposto a evitare l'ELECTION DAY, sprecando centinaia di milioni di euro dei cittadini! 
Se referendum e amministrative fossero accorpati, potremmo risparmiare un'enorme quantità di denaro pubblico, stimabile tra i 350 e i 400 milioni: CHIEDI ANCHE TU L'ELECTION DAY!
Il Governo dovrebbe agevolare l'intervento di tutti, invece di difendere i petrolieri a spese dei cittadini! Non smetteremo di opporci alle miopi politiche energetiche di Renzi che vorrebbero trasformare i nostri mari in un Texas di serie B, sacrificando l'Italia per il profitto di pochi e a scapito di molti. 
Soprattutto non accettiamo che ciò avvenga sottraendosi ad un leale confronto con gli elettori!
A Renzi forse fa paura la democrazia. A noi no.
Quasi 20mila persone si sono già mosse in pochissime ore per chiedere l'Election Day, ora contiamo su di te: FIRMA per chiedere che il referendum e le amministrative vengano accorpati!
Grazie per il tuo impegno 

Firmai!
Presa da entusiasmo e indignazione firmai e incomincia a postare appelli per convincere amici e conoscenti a informarsi e a pretendere di capire.
Si pretendere di capire!
Sembrerebbe cosa ovvia cercare di voler capire cosa un referendum chieda ai cittadini con la loro partecipazione e con il loro voto, ma passando i giorni mi accorgevo sempre più della difficoltà di fare davvero chiarezza.
Rimanevo comunque sempre convinta della necessità del voto e del SI.
I primi dubbi mi vennero dal commento a un mio post di due amici che stimo soprattutto per la loro onestà intellettuale e che mi chiedevano di riflettere quale fosse il vero quesito referendario e quale la vera natura.
Una risposta di un amico matematico mi colpì "Anche se molto comune da noi. Ostacolare qualcosa per promuovere qualcos'altro. Ma non è un gioco a somma zero."
Quindi oltre a pormi alcune domande sull'opportunità referendaria incominciai a notare che molti post promuovevano tutto quel che sembrasse supportare la loro idea, a prescindere da verifiche, compresi argomenti idioti e incominciai a non sopportare più slogan, proclami e distorsioni ad uso e consumo referendario.
Il 17 marzo 2016, dopo altre mail di appello, ricevetti sempre da Greenpiece quest'altra mail



 Immagine correlata alla mail di Greenpiece del 17 marzo 2016

Ciao Annalisa, 
il 17 Aprile si terrà un referendum popolare. Potrai esprimere il tuo voto su una questione che ci riguarda tutti: la trivellazione dei nostri mari per l'estrazione di gas e petrolio.
Non è solo un referendum contro le trivelle, ma anche un modo per dire da che parte stai: con le lobby dei petrolieri o con il mare, le energie pulite, la bellezza e l'integrità delle nostre coste e delle nostre acque? Dire STOP alle trivelle è un primo passo che l'Italia può fare per cominciare una rivoluzione energetica in direzione delle rinnovabili.
È tempo di scegliere! FIRMA ORA il tuo impegno a VOTARE SI!
PERCHÈ VOTARE SÌ?
1) Perché stiamo mettendo in pericolo il mare per un pugno di barili
2) Perché le trivelle non risolvono i nostri problemi energetici
3) Perché in caso di incidenti, una perdita di petrolio sarebbe un disastro
4) Perché ci guadagnerebbero solo i petrolieri
5) Perché la ricchezza del nostro Paese non è il petrolio, ma il paesaggio, il mare e dunque il turismo!
6) Per difendere il tuo diritto di scegliere
Non mettiamo in pericolo il mare, la ricchezza dell'Italia non è il petrolio!
FIRMA ORA il nostro manifesto e il tuo impegno a VOTARE SI al referendum del 17 Aprile
Grazie per il tuo impegno

Questa volta non firmai!
Avevo accumulato molti dubbi e soprattutto, cercando documenti direttamente dalle fonti citate in tanti articoli di parte (sia per il SI che per il NO), avevo trovato poche correlazioni con i dati comunicati.
Inoltre finalmente riuscii a trovare il vero quesito referendario:

«Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?»

Infine il 14 aprile 2016 ricevetti l'ultima mail da Greepiece 


Immagine correlata alla mail di Greenpiece del 14 aprile 2016

Ciao Annalisa,
Domenica c'è il Referendum ed è arrivato finalmente il momento di scegliere!
Gli ultimi avvenimenti politici confermano che le scelte di questo Governo non tengono conto del reale interesse del nostro Paese, ma solo di quello dei petrolieri!
Nonostante i tentativi di Renzi di scongiurare la partecipazione al voto, sempre più persone si stanno schierando a favore del SI e il quorum può essere raggiunto! 
Le trivelle nei nostri mari sono un rischio inaccettabile. 
VOTA SI e FALLO SAPERE A TUTTI I TUOI AMICI!
Ti ricordiamo che si vota in TUTTA ITALIA dalle 7.00 alle 23.00 e ti consigliamo di andare a votare presto perché le prime proiezioni sul quorum vengono rese pubbliche alle 12.00 e, storicamente, questo dato condiziona l'affluenza complessiva: una percentuale elevata fa da traino al resto dei votanti!
Non lasciamo il mare in mano ai petrolieri, difendiamo le nostre coste e i nostri fondali! 
Scegli da che parte stare e fallo sapere a tutti condividendo questo messaggio!
Grazie per il tuo impegno 

Non sono andata a votare!
Non certo perché volessi che vincesse il NO, ma non sono andata a votare perché, per me, questo referendum assolutamente inadeguato sia nella forma che nella sostanza, era stato solo strumentalizzato dalla politica così come dai media.
Non sono andata a votare perché non mi sono sentita di prendere posizioni su una questione tecnico/politica di infima entità, non certo riguardante un piano energetico nazionale che preveda un giusto equilibrio tra il consumo inevitabile di combustibili fossili e un futuro sempre più impostato sulle energie rinnovabili e sempre più libero dalle emissioni di CO2. 
Non sono andata a votare perché questo è stato il referendum degli slogan, dei venditori di fume, dei politici o delle associazioni in perenne campagna elettorale.

Come avevo iniziato concludo con quei numeri che possono essere letti e interpretati secondo il proprio convincimento. 
Non importa che l' 85,7% di SI sia visto come una vittoria di libertà o che il non raggiungimento del quorum (32% di votanti) sia interpretato come una sconfitta della demagogia o una vittoria dei NO, quello che secondo me importerebbe davvero sarebbe quell'intervento del Governo che forse avrebbe potuto evitare tutto ciò.
Mi auguro infatti che il Governo abbia il coraggio di modificare per decreto quel comma 17, perché sono comunque convinta che sarebbe meglio che le concessioni non fossero a tempo indeterminato, ma tornassero al sistema di rinnovo non automatico, così com'era previsto prima di quel comma.
Ecco quello che mi aspetto da un Governo che si rispetti! 



7 case, 7 gatti, 7 topi.......una filastrocca matematica

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I giochi e la Matematica ricreativa hanno origini antichissime.
Il numero #97 del Carnevale della Matematica di maggio,  a tema "i giochi", mi  ha ricordato uno dei più antichi indovinelli matematici, il famoso problema #79 (esattamente le cifre invertite di #97), che si trova sul papiro di Rhind datato 1650 a.C.

Angolo del papiro di Rhind in cui Ahmes scrive una flastrocca,
conosciuta come il problema #79 del papiro di Rhind

Si tratta forse del più antico indovinello matematico che sia mai stato ritrovato e, anche se parrebbe davvero inutile, sembrerebbe invece strutturato apposta per far ragionare astrattamente su cosa si stia calcolando e su come lo si stia facendo, quasi si trattasse di una vera e propria lezione di matematica.
Come molti dei problemi descritti nel papiro di Ahmes, quello che fa pensare che questo gioco fosse destinato a giovani studenti, è proprio la forma di indovinello. 
Carl Benjamin Boyer a proposito del contenuto del papiro dice infatti: 
“Molti dei calcoli contenuti nel Papiro di Rhind erano evidentemente esercizi pratici per giovani studenti. Sebbene gran parte di essi sia di natura pratica, in alcuni casi sembra che lo scriba avesse in mente indovinelli o giochetti matematici” 
Tra i problemi descritti nel papiro il più importante è proprio il problema #79 anche se questo esercizio, come dicevo, sia l’unico “inutile” della raccolta, cioè senza una soluzione pratica, in cui sembrerebbe non interessare tanto la risposta particolare, quanto il procedimento con cui si arriva a determinarne la risposta.


La filastrocca "I 7 gatti di Ahmes" 
recita così:

In una proprietà ci sono 7 case
In ogni casa ci sono 7 gatti
Ogni gatto acchiappa 7 topi
Ogni topo mangia 7 spighe
Ogni spiga dà 7 heqat¹ di grano
Quante cose² ci sono in tutto in questa filastrocca³?

(Papiro di Ahmes o di Rhind, 1650 a.C.)

Note
¹ L'heqat era la misura di capacità pari a circa 4,785 litri.
² Col termine "cose" si intendono sia gli oggetti che gli animali e le misure.
³ Tra tutti quelli che hanno citato questo gioco, il più illustre é certamente Fibonacci nel suo Liber Abbaci del 1202, nella versione delle "Sette vecchie in viaggio per Roma"


In un angolo del papiro, in mezzo a tanti calcoli seri, 
Ahmes trova lo spazio per scrivere un gioco, 
conosciuto come il problema #79 del papiro di Rhind

Questa filastrocca pare proprio sia il più antico di questi problemi, nonché primo esempio di gioco matematico giuntoci dall’antichità in uno dei più antichi documenti matematici conosciuti, un rotolo egizio lungo circa 5 m e alto circa 30 cm.
Il papiro di Rhind è infatti il più esteso papiro egizio di argomento matematico giunto fino ai giorni nostri e prende il nome da un antiquario/egittologo scozzese, tale Henry Rhind, che lo acquistò nel 1858 a Luxor in Egitto. 
Esso risale all’incirca al 1650 a.c., periodo in cui lo scriba Ahmes lo trascrisse da un papiro precedente probabilmente composto tra il 1850 a.c. ed il 1800 a.c. 
E’ lo stesso Ahmes, nell’introduzione del papiro a scrivere di averlo copiato da un papiro risalente al tempo del faraone “Ne-ma’et-Re”, che regnò tra il 1849 e il 1801 a.C. 
Attualmente è conservato presso il British Museum di Londra, con alcuni piccoli frammenti dislocati al Brooklyn Museum di New York.
Ahmes, il figlio della luna, è il primo matematico che scrisse il proprio nome su un documento giunto fino a noi, e si ricorda una citazione tradotta da Arnold Buffum Chace (Ohio 1927), un appassionato di Egittologia  americano, che del papiro ha fatto la traduzione più completa:


"Accurate reckoning: the entrance into knowledge of all existing things and all 
obscure secrets."
"Calcolo esatto: l'accesso alla conoscenza di tutte le cose esistenti e di tutti 
gli oscuri misteri."

Tratto da A. B. Chase, Rhind Mathematical Papyrus (Reston Va. 1967)


Thot, il dio che insegnò agli uomini la scrittura, la magia e la scienza, 
ma che non credo debba essere
ricordato come "Tot" abbreviazione della parola matematica "Totale"

In realtà, il problema #79 del Papiro di Rhind è più misterioso e più complesso della nota filastrocca. 
Che cosa poteva significare questa scrittura misteriosa?


Tradotta in termini matematici
La filastrocca "I 7 gatti di Ahmes" 
diventa così:

Case 71 = 7
Gatti 72 = 49
Topi 73 = 343
Spighe 74 = 2.401
Heqat 75 = 16.807

Totale 19.607

Qualcuno potrebbe obiettare che all'inizio si parla anche di una proprietà, perciò le cose di cui si parla in questa storia sarebbero: 19.607+1 = 19.608.
Ma ora esaminiamo meglio questa tabella.
Nella quarta riga, seconda colonna, il numero esatto, come si legge, è 2401. Si noti però che Ahmes aveva elencato un valore errato per la quarta potenza di 7, cioè 2301 al posto di 2401. Tuttavia, la somma delle potenze (19.607) risultava corretta.

case
 7


gatti
 49


topi
 343
1
 2801
spighe di grano
 2401
2
5602
heqat di grano
 16807
4
 11204
totali
19607

19607

Nella seconda colonna c'è la sequenza delle prime 5 potenze di 7.
Si tratta di una progressione geometrica di ragione 7 e in fondo è scritto il totale.
Qual è la formula che usiamo oggi per calcolare la somma dei primi n termini di una progressione geometrica di ragione r?

S = r + r2 + ... + rn = r(rn-1)/(r-1)
Nel nostro caso r=7, n=5 quindi:
S = 7(75-1)/(7-1) = 19607

Possiamo scrivere la somma anche così:
S = 7 + 72 + 73 + 74 + 75
S = 7(1 + 7 + 72 + 7³ + 74) = 7(1 + 7 + 49 + 343 + 2401) = 7 x  2801

Ma che cosa significano i numeri scritti nella terza e nella quarta colonna?
Ora, se osserviamo attentamente la seconda parte del testo di Ahmes ci rendiamo conto che è proprio la moltiplicazione di 2801 per 7, eseguita col metodo egizio.


1
 2801
2
5602
4
 11204
totale
19607

Come si può notare la procedura inizia dal numero 2801: questo viene poi raddoppiato una volta (5602) e poi un’altra (11204). La somma di queste tre cifre è proprio 19607.

Come si arriva a questa procedura?
Essa deriva dalla proprietà matematica che gli antichi Egizi evidentemente conoscevano:
"Ogni numero intero può essere espresso come somma di termini appartenenti alla successione geometrica 1, 2, 4, 8, ecc."
Infatti, siccome 7 = 1 + 2 + 4, per moltiplicare un qualsiasi numero per 7 si possono addizionare il numero stesso, il suo doppio e il suo quadruplo (ovvero il doppio del doppio). 
Quindi la terza e la quarta colonna potrebbero rappresentare una verifica del calcolo eseguito nella prima colonna o addirittura una formula per il calcolo della somma di una serie geometrica.

Dettaglio del soffitto della sala del sarcofago della tomba di Sethi I, 
con raffigurazione simbolica del cielo

A conclusione di queste note gioco/matematiche vorrei soffermarmi su una curiosità sempre legata a questa filastrocca.
Perché mai l'egiziano Ahmes, tra tanti numeri a disposizione, scelse proprio il 7?
Una risposta potrebbe essere che il numero 7 sicuramente era considerato sacro dagli Egizi che vi fondarono gli elementi di tutte le scienze e molte delle sue proprietà risalgono addirittura all’astrologia babilonese che riconosceva 7 pianeti e divideva il mese lunare in cicli di 7 giorni (da cui deriva l’origine della nostra settimana). 
Gli antichi astronomi conoscevano solo sette pianeti, il cui movimento poteva influenzare il destino umano e a ciò è riconducibile molta della sacralità del 7 che rappresentava quindi, in quel tempo, il cosmo e la sua perfezione e che nella cosmologia degli antichi Egizi corrispondeva esotericamente alla vita eterna.

I 7 simboli della numerazione decimale egiziana

Inoltre il sistema di numerazione egizio era caratterizzato da 7 simboli. 
Il simbolo che rappresentava le unità era un tratto di corda verticale. Per le decine invece si utilizzava un disegno di tratto di corda a forma di ferro di cavallo. Per le centinaia si usava disegnare un tratto di corda avvolta a mo' di punto interrogativo rovesciato, e così via, come si vede nell'immagine. 
L'uso della corda nella matematica egizia non era casuale: infatti gli agrimensori del faraone erano anche noti come "tenditori di corde" per la peculiarità di utilizzare corde per delimitare e poi misurare perimetro ed area dei terreni agricoli, in funzione del regolare pagamento delle tasse. 
L'omino inginocchiato con le braccia al cielo, rappresenta il milione, come ad indicare un numero davvero enorme, inimmaginabile, quasi divino. 
Esistono tuttavia autori che riportano come ultimo e quindi ottavo simbolo la potenza 10^7, disegnata come un sole, in onore del dio Ra. 
Quello egizio è stato il primo sistema di numerazione decimale della storia, non posizionale, a differenza di quello che invece utilizziamo noi, ma addizionale. Ciò significa che la posizione che una determinata cifra occupa all'interno di un numero egizio non conferisce alla cifra un valore di volta in volta diverso; è la cifra stessa a possedere un intrinseco valore quantitativo, che prescinde dalla posizione del simbolo all'interno del numero stesso. Ogni simbolo aveva pertanto un suo specifico valore, nella fattispecie associato ad una potenza di 10 (e per questo motivo è un sistema decimale). La somma di tutte le cifre che comparivano all'interno del numero davano il valore numerico complessivo, per cui un sistema numerico del genere viene appunto chiamato additivo.

Forse anche per questa simbologia il buon vecchio Ahmes ricorse al numero 7!?



Fonti

From the book
Carl B. Boyer, “Storia della matematica”, Mondadori, 1990
Giochi matematici del Medioevo: i conigli di Fibonacci e altri rompicapi liberamente tratti dal Liber Abaci. A cura di Nando Geronimi. Pearson Italia S.p.a., 2006.
From website
http://php.math.unifi.it/convegnostoria/liberabaci.pdf
https://edizionidodici.wordpress.com/2011/03/16/matematica-e-antico-egitto-parte-3-ancora-sulle-spighe-di-ahmes/
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/7b/The_Rhind_Mathematical_Papyrus,_Volume_I.pdf
From the pictures
https://it.wikipedia.org/wiki/Papiro_di_Rhind
https://it.wikipedia.org/wiki/Matematica_egizia




Il pomodoro c'entra con la matematica?

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La matematica è davvero ricca di curiosità e visto che il tema del prossimo Carnevale della Matematica #98, ospitato da il Post di Maurizio Codognoè proprio "curiosità" aprirei questo articolo su genoma e matematica con questa "curiosità" numerica trovata da Alexandre Angers: 
"Aspettiamo il Carnevale della Matematica il 14.6.2016!  
1 + 4 + 6 + 2 + 0 + 1 + 6 = 20, il numero totale di amminoacidi diversi codificati nel DNA!"


Il ricercatore Alexandre Angers durante una spiegazione davanti ai cartelloni dell'Open Day, 
preparati insieme al collega Mauro Petrillo 

Lo scorso 28 Maggio, la sede di Ispra (VA) del Centro Comune di Ricerca (JRCdella Commissione europea aveva aperto le sue porte al pubblico in occasione dell'Open Day 2016, che per quest'anno aveva come tema "Dare un senso alla scienza".
Dal primo Open Day, nel 1992, la manifestazione è diventata sempre più importante e popolare, dando la possibilità di entrare nel fantastico mondo della scienza e di scoprire il ruolo fondamentale del Centro Comune di Ricerca (JRC) all'interno dell'Unione europea.
Il JRC, Joint Research Center comunitario, è uno dei sei punti di eccellenza della ricerca europea sparsi per tutta l’Unione: due in Belgio, uno in Germania, uno in Spagna, un altro nei Paesi Bassi e, appunto, quello italiano che si trova proprio in provincia di Varese nel Comune di Ispra.
Ricerche su ambiente, trasporti, economia, energia sostenibile, salute e sicurezza, connessioni digitali, smart city......che ogni giorno vedono occupati scienziati e ricercatori da ogni dove, costituiscono la punta d’eccellenza della ricerca comunitaria e, in questa giornata, hanno appagato la curiosità degli innumerevoli visitatori. 

Passando da una curiosità all'altra, da una ricerca all'altra, mi sono imbattuta in un ricercatore, Alexandre Angers, che spiegava, con vero entusiamo e passione, la ricerca a cui si stava dedicando.
Inizialmente mi avevano affascinato i cartelloni e le immagini dedicate al genoma, poi sono stata davvero catturata dalle spiegazioni del ricercatore e da un librone dal titolo "Genoma del pomodoro" vol.1.
Alexandre aveva infatti in mano questo libro piuttosto voluminoso che riportava stampate le prime serie del genoma del pomodoro, facendo rilevare che quello era solo un primo volume di altri volumi che, nello loro totalità, avrebbero reso leggibili tutte le serie del genoma.


 "Genoma del pomodoro" vol.1
La "Human Genome Library"è pari a 118 volumi con oltre 3 miliardi di caratteri (basi)
L'intero genoma umano è disponibile dal 2007 per la visualizzazione in formato cartaceo 
presso la Wellcome Collection di Londra (UK) 

E'indubbio che nel panorama della scienza contemporanea, la biologia molecolare ha assunto un ruolo di fondamentale importanza e il bisogno crescente di conoscere intere sequenze genomiche, per analizzarle e confrontarle, ha reso necessaria l’integrazione delle tecniche sperimentali, proprie della ricerca biologica, con le metodologie formali della matematica e dell’informatica. 
Queste motivazioni, come sottolineava Alexandre, hanno stimolato la nascita e lo sviluppo di un particolare settore di ricerca matematica, la biologia computazionale, con l’obbiettivo di sviluppare opportuni metodi e strumenti per problemi computazionali derivanti da questioni poste dalla ricerca genomica. 
Grazie anche delle spiegazioni del ricercatore, ma senza pretesa di essere esaustiva, vorrei evidenziare alcuni contributi della ricerca matematica ed informatica al sequenziamento genomico, cioè al processo per ottenere la stringa corrispondente ad un genoma complesso, a partire dalla sua versione biochimica.


Cartellone n° 1 - Genomi a confronto

Ma vediamo prima di cosa si tratta e cosa si intenda per genoma.
Il termine genoma è stato coniato dal botanico tedesco Hans Winkler (professore di botanica ad Amburgo) e viene fatto risalire o al verbo greco γίγνομαι ("divenire"), o alla fusione delle parole gene e cromosoma, come suggerito dall'"Oxford English Dictionary". 
Anche se il termine definisce l’insieme dei cromosomi di una cellula aploide di organismo eucariota, un genoma è molto più che la somma delle sue parti, poiché ci sono interazioni di tipo evolutivo, funzionale e strutturale tra diverse regioni del genoma stesso, la cui conoscenza è parte essenziale della sua caratterizzazione.
È noto ormai che l’informazione genetica è immagazzinata in una cellula per mezzo di molecole nucleiche, le quali possono essere pensate come stringhe di elementi più piccoli chiamati nucleotidi.
Molti dei più importanti problemi della moderna biologia molecolare (compresa la caratterizzazione sia statica che dinamica di un genoma) corrispondono a questioni di tipo combinatorio, statistico ed algoritmico ed è quindi sempre più essenziale una interazione fra la biologia molecolare e la matematica.
Risalgono a Stanislaw Ulam una serie di formalizzazioni matematiche rivelatesi fondamentali, sia come contributo tecnico ma ancor più come indicazione della strada da seguire per lo sviluppo di un nuovo tipo di ricerca matematica che avesse importanti riscontri nel campo di una scienza tradizionalmente considerata di natura sperimentale. 
All’inizio degli anni Settanta, la disponibilità di (allora poche) sequenze biologiche aveva già reso evidente che il comportamento di una cellula era codificato nel DNA e che, per comprenderlo, occorreva stabilire relazioni tra sequenze lunghe centinaia o addirittura migliaia di basi. 
Ulam formalizzò questo problema definendo una nozione di distanza tra sequenze biologiche.

Tale nozione si basa su tre tipi di operazioni che si possono definire sulle sequenze: 
1) sostituzione di un carattere con un altro; 
2) inserzione di un carattere; 
3) cancellazione di un carattere.
Date due sequenze, la loro distanza è definita come il numero minimo di operazioni dei tre tipi indicati che occorre applicare sulla prima sequenza per ottenere la seconda. 

L’intuizione, oggi comunemente accettata come principio guida nell’analisi di sequenze biologiche, è che due sequenze molto vicine hanno (con grande probabilità) storie evolutive comuni e funzioni analoghe. 
Tale nozione di distanza, riformulata in seguito da altri ricercatori, può essere considerata per molti versi come il primo strumento fondamentale fornito dalla matematica e dall’informatica agli studi sulle relazioni tra parti diverse dello stesso genoma o di genomi diversi.
Man mano che la disponibilità di sequenze sempre più lunghe rendeva sempre più articolati i problemi sulle relazioni fra diverse sequenze di DNA, i matematici e gli informatici sono stati sollecitati a produrre risultati scientifici sempre più specifici e algoritmi sempre più efficienti, mirati a coadiuvare i biologi nelle ricerche sulla struttura del genoma. 
Come sottolineava l'amico ricercatore va considerato soprattutto il fatto che i matematici e gli informatici, che si sono impegnati in questo tipo di ricerche, non si sono limitati ad una mera applicazione di risultati già noti, ma hanno sviluppato nuove metodologie e prodotto risultati originali che sono ormai talmente numerosi e profondi dal punto di vista teorico ed applicativo, da generare delle discipline scientifiche autonome: la Biologia Computazionalela Bioinformatica.
E va ricordato anche che, in questo contesto, il Progetto Genoma Umano - Human Genome Project (le tappe del HGP), iniziato formalmente nel 1990 e completato nel 2003, 2 anni prima del suo programma originale, ha avuto una grandissima forza propulsiva nel creare un’interazione più stretta tra biologia molecolare, matematica ed informatica, con ricerche e  soluzioni di algoritmi efficienti, in grado di gestire gigantesche quantità di dati, e che producano risultati soddisfacenti per i biologi, con un delicato processo di formalizzazione matematica del problema biologico.


Human Genome Project (le tappe del HGP - iniziato formalmente nel 1990, 
fu completato nel 2003, 2 anni prima del suo programma originale)

Come ho ricordato prima, Alexandre aveva in mano un libro (Genoma del pomodoro vol.1) piuttosto voluminoso che riportava stampate le prime serie del genoma del pomodoro: solo un primo volume di altri volumi che, nello loro totalità, avrebbero reso leggibili tutte le serie del genoma.
Questo per evidenziare la complessità del problema di poter fare un’analisi approfondita delle funzioni del genoma che deve basarsi su una visione globale della sua struttura. 
L’analisi di un genoma è essenziale per acquisire informazioni sulla storia evolutiva che ha portato nel tempo a certi mutamenti genetici e riguardo ai meccanismi che accomunano i diversi organismi viventi. 
La disponibilità delle sequenze corrispondenti a genomi di diverse specie (fra cui quelle dell’uomo) e un’analisi comparativa di queste sequenze, hanno reso possibile indagini più approfondite a questo riguardo. 
Ad esempio, un’importante osservazione è che la lunghezza di un genoma in termini di basi non è indicativo della complessità biologica di un organismo.
A prova di ciò si può osservare nel cartellone n°1 che il genoma del pino taeda (Loblolly pine), una varietà di albero tipico degli Stati Uniti molto usato nella produzione della carta, è 7 volte più grande di quello dell’uomo.
La complessità di un organismo sembra piuttosto dipendere dalla quantità di geni contenuti nel suo DNA o addirittura il numero di proteine che tali geni riescono a sintetizzare.
Viene naturale chiedersi quanto il genoma umano sia più complesso rispetto a quello di altri organismi. 
Il cartellone comparativo n°1 fa vedere appunto alcune significative differenze tra i genomi.


 
Cartellone n°2 - Importanza del DNA per la salute e la sicurezza

Può essere curioso un dato comparativo fra il genoma umano e quello della drosophila melanogaster (il moscerino della frutta). 
Il genoma umano è lungo circa tre miliardi di basi (come si legge nel cartello n°1 stesso numero di basi del salmone) mentre quello della drosophila è di circa 120 milioni di basi. 
Noi abbiamo un numero di geni stimato tra i 30 ed i 40 mila mentre la drosophila ne ha circa la metà. 
Circa 3 mila di tali geni sono ortologhi, ovvero possono essere visti come discendenti da un antenato comune: in un certo senso, tali geni rappresentano il corredo genetico "minimo" che un organismo deve avere per poter sopravvivere. 
Le differenze più spiccate tra il nostro patrimonio genetico e quello della drosophila si osservano invece riguardo ai geni che svolgono le loro funzioni sul sistema nervoso, su quello immunitario e su quello legato allo sviluppo.

Come ho precedentemente accennato, il genoma di un organismo è un’entità dinamica, nel senso che svolge il suo compito di sintetizzare proteine grazie a certe interazioni fra le sue parti. Tali interazioni non avvengono necessariamente localmente, ma possono coinvolgere parti del genoma fisicamente molto distanti.


Un primo approccio al sequenziamento del DNA con le 4 basi: Adenina, Citosina, Guanina e Timina 
(denotate, nella notazione standard, proprio con le lettere A, C, G, T)

Ma forse è opportuno vedere bene cosa sia il DNA e come si formino le serie del genoma.
Una molecola di DNA è costituita da due filamenti legati in una doppia elica. 
Ciascuno dei due filamenti è una catena di molecole più piccole, dette nucleotidi e ogni nucleotide è composto da uno zucchero, un fosfato e una base. 
E' interessante osservare che solo quattro tipi diversi di basi compongono il DNA: Adenina, Citosina, Guanina e Timina (denotate, nella notazione standard, proprio con le lettere A, C, G, T). 
Adenina e Timina sono complementari, nel senso che tendono a legarsi chimicamente una all’altra, lo stesso dicasi per Guanina e Citosina, e i due filamenti che costituiscono il DNA sono legati uno all’altro proprio secondo questo principio di complementarietà. 
Conoscere la molecola del DNA significa quindi conoscere come si succedono, una dopo l’altra, le basi in uno dei due filamenti (l’altro filamento si ottiene come complemento del primo).
Il processo di decodifica della sequenza biochimica delle basi del DNA nella corrispondente parola nell’alfabeto (A, C, G, T) è chiamato sequenziamento. 
Si noti che, in base alla posizione relativa di alcuni atomi di carbonio, è possibile anche stabilire l’orientamento del filamento di DNA che stiamo esaminando.


Il sequenziamento è un processo di decodifica estremamente sofisticato.
Già negli anni Settanta erano state messe a punto alcune tecniche di laboratorio (Metodo Sanger - Video DNA Sanger Sequencing) che permettevano di individuare la sequenza iniziale (le prime 300-900 basi) di un dato frammento di DNA.
L’invenzione di questo metodo di sequenziamento ha segnato una svolta epocale nel campo della biologia molecolare e lo dimostra anche il fatto che Fred Sanger ricevette per questo motivo il suo secondo Nobel per la Chimica nel 1980 (il primo lo ricevette nel 1958 per aver determinato la sequenza degli amminoacidi dell'insulina). 
Tuttavia, occorreva molto tempo per sequenziare in questo modo lunghi tratti di DNA: per leggere un intero genoma umano sarebbero necessari più di tre anni di lavoro. Inoltre, era una tecnica molto costosa 
Fino a pochi anni fa comunque i metodi utilizzati per il sequenziamento si basavano proprio sul metodo di Sanger, mentre oggi le tre piattaforme di sequenziamento di nuova generazione che stanno avendo maggiore impatto sul mondo scientifico sono il "454 della Roche"(Video Roche/454 DNA Sequencing), il "Solexa dell’Illumina"(Video Illumina Solexa Sequencinged il "Solid dell’Applied Biosystem" (Video Solid DNA Sequencing).
L’esigenza di conoscere lunghe e complesse sequenze di DNA, se non addirittura l’intero genoma di un organismo, ha posto la necessità di introdurre sempre nuove strategie di laboratorio che, insieme ad opportuni metodi computazionali, abbiano la capacità di amplificare il potere di decodifica del sequenziamento base. 
Se, ad esempio, negli anni ottanta i mezzi tecnici a disposizione permettevano di ottenere, mediante shotgun sequencing, la traduzione di sequenze composte da migliaia di basi, il ricorso a nuove metodologie ha permesso di ottenere sequenze genomiche composte da centinaia di milioni (genoma della Drosophila) e miliardi di basi (genoma Umano).


Serie di sequenziatori che utilizzano il metodo Sanger

Ovviamente i problemi computazionali uniti a una sequenza lunga miliardi di basi sono ben diversi da quelli incontrati per sequenze lunghe solo migliaia di basi. 
I sistemi di sequenziamento di nuova generazione hanno quindi le potenzialità di accelerare notevolmente la ricerca biologica e biomedica, rendendo possibile una più approfondita analisi di genomi, nonché trascrittomie delle sequenze di interazione tra DNA e proteine.
Queste nuove tecniche hanno il vantaggio di ridurre costi e tempi, ma soprattutto di ottenere grandi quantità di informazioni con un unico ciclo di sequenziamento.
A questo inevitabilmente segue la necessità di sviluppare algoritmi di bioinformatica sempre più avanzati per poter gestire la grande mole di dati e per permetterne una più immediata analisi ed una sempre più corretta interpretazione biologica.
Il bello, però, deve ancora arrivare. E arriverà con i sequenziatori di terza generazione, che pur essendo poco più che prototipi, promettono già grandissime cose.

I prossimi anni vedranno sicuramente una nuova rivoluzione nel campo del sequenziamento, ma ancora non è chiaro se a portarla saranno macchine sempre più costose e potenti (Pacific Biosciences) o piccoli strumenti low-cost grandi come una stampante (Oxford Nanopore ), capaci di entrare con più facilità nella pratica medica di routine.
Dal punto di vista matematico, l’aspetto comune a tutti i problemi menzionati è che la loro modellizzazione ed il loro studio si riduce spesso alla ricerca di soluzioni per problemi combinatori ed algoritmici su grafi e che spesso queste formalizzazioni danno luogo a problemi algoritmici NP-Hard
Ancora una volta, questo autorizza ad utilizzare metodi e risultati noti nel campo della teoria della Complessità Computazionale.

Come faceva ben notare l'amico ricercatore, i più che soddisfacenti risultati ottenuti nella determinazione della sequenza del genoma (dal più semplice al più complesso) hanno messo in evidenza l’importanza del ruolo svolto dai matematici e dagli informatici nella soluzione di un antico problema della biologia molecolare, cui difficilmente si sarebbe pervenuti con il semplice uso della sperimentazione di laboratorio e senza il ricorso a metodi formali e computazionali. 
Tuttavia i rapporti di "Nature e Science", non si sono limitati ad evidenziare i contributi delle cosiddette scienze esatte per il sequenziamento, ma hanno anche indicato quanti e quali strumenti matematici e computazionali possano essere utilizzati.
Ci si può quindi aspettare che la realizzazione di algoritmi più efficienti e l’applicazione di metodi matematici più adeguati, permetta anche di migliorare la capacità di identificare i geni.
Algoritmi e metodi matematici che vengono supportati dal costante e inarrestabile progresso tecnologico legato alla genomica che non finisce mai di stupire. 


Cartellone n° 3 - Lettura e sequenziamento del DNA

Tutti si aspettavano grandi novità dal meeting AGBT di Marco Island, in Florida, ma forse nessuno si sarebbe aspettato di assistere alla presentazione di un sequenziatore di DNA USB. 
Anche se Alexander ha sottolineato che più che l'immediato presente riguarderebbe un prossimo futuro, l’azienda inglese Oxford Nanopore ha messo sul mercato un sequenziatore poco più grande di una chiavetta USB, che collegato a un pc portatile potrà sequenziare del materiale genetico e, in tempo reale, trasmettere i dati a un software installato sul computer. 
Non si può fare a meno di riflettere sul fatto che l’analisi dell’informazione contenuta nel genoma è la sfida che ha tenuto impegnati e che terrà impegnati nei prossimi anni i biologi molecolari e anche, come ormai dato per scontato dalla comunità scientifica internazionale, i matematici e gli informatici.

Traducendo il titolo di un libro edito da Lander e Waterman, si può dire che le discipline matematiche che affrontano le questioni biologiche contribuiscono alla costruzione della teoria del "Calcolo del Segreto della Vita"!
"Calculating the secrets of life" che ha fatto si che il costo per sequenziare un genoma umano sia diminuito di un milione di volte in dieci anni e che si possa ipotizzare che arriverà il giorno in cui ci presenteremo dal nostro medico di fiducia con una chiavetta USB contenente i nostri dati genetici.
Grazie a queste informazioni conosceremo i farmaci più efficaci per noi e lo stile di vita che ci aiuterà a restare sani più a lungo.
Già oggi, con un Sequenziatore di Nuova Generazione (NGS) è possibile sapere in pochi giorni, al costo di 3.000 euro, il proprio DNA, ma si stima che entro il 2018 si potrà averlo con circa 100 euro. 
Non si sa ancora quando entreremo veramente nell’era della medicina genomica, ma quando quel momento arriverà, il merito sarà degli incredibili progressi fatti negli ultimi anni dalla chimica del sequenziamento, resi possibili solo dai contributi matematici e informatici.


Note

Sito del prossimo Carnevale della Matematica #98
Sito dell'elenco dei precedenti e futuri Carnevali della Matematica

Fonti

From the book
E. LANDER - M. WATERMAN, editors, Calculating the secrets of life: Contributions of the Mathematical Sciences to Molecular Biology, National Academy
Press, 1995.
RIDLEY MATT, editor, Genoma: L'autobiografia di una specie in ventitré capitoli
Press, 2002
From website
https://mygenomix.wordpress.com/
http://www.bdim.eu/
https://it.wikipedia.org
https://en.wikipedia.org
From the pictures
Foto e immagini dei cartelloni concesse da Alexandre Angers e Mauro Petrillo ricercatori presso il JRC, Joint Research Center comunitario di Ispra (VA)


I Peanuts e i quaternioni

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Al "Caffè del Cappellaio Matto" si terrà l’edizione numero 99 del Carnevale della Matematica e avrà come tema "Matematica e/a/con i/per i/dei fumetti".
Un tema sempre intrigante che permette di parlare anche di argomenti matematici un po' ostici e astrusi insieme alla spensieratezza dei fumetti.
Concludendo un articolo a "fumetti" sui numeri immaginari (i binioni) mi ero ripromessa di parlare in seguito dei quaternioni....allora "Calvin & Hobbes" erano troppo stanchi per proseguire nel viaggio!
In questo articolo vorrei fare quindi una carrellata sui quaternioni con altri amici, i famosi Peanuts.




Incomincio a presentarveli!
Peanutsè il titolo di un celebre fumetto creato nel 1950 da Charles Schulzanche se il nome Peanuts, “noccioline”, non piacque mai particolarmente all’autore, ma fu voluto dalla United Feature Syndicate, che ne pubblicò le strisce.
La serie ebbe origine da alcune tavole domenicali, Li’l Folks ("personcine") pubblicate fra il 1947 e il 1949, che presentavano tanti piccoli personaggi senza nome. 
All'inizio apparivano le avventure di un gruppo ristretto di bambini per poi arrivare a una striscia con un personaggio principale, Charlie Brown, che si ispirava all’infanzia dell’autore stesso che Schulz avrebbe voluto chiamare Ol’Charlie Brown. 
I personaggi di Peanuts non invecchiano, o almeno lo fanno molto lentamente e fino a un certo punto, per esempio Charlie Brown debutta come bambino di 4 anni e ce ne metterà 20 per arrivare a festeggiare l’ottavo compleanno. 
Ma il tempo non scorre allo stesso modo per tutti, il discorso è un po’ diverso per i neonati, 
Linus, per esempio, è un neonato quando Charlie Brown è già un bambinetto, crescerà alquanto rapidamente (dati gli standard di Schulz) fino a quando non avrà un anno in meno rispetto a Charlie Brown.
Schulz inserisce nelle sue strisce un’acuta critica sociale, emblematico è il personaggio di Piperita Patty rappresentata come un “maschiaccio”, scelta alquanto insolita se si considera l’immagine che i media davano delle ragazze in quegli anni. 




I temi su cui Schulz si sofferma sono vari, spaziano dalla questione razziale con l’inserimento di Franklin, il personaggio secondario afroamericano, alla guerra in Vietnam, passando per la critica alla spersonalizzazione delle persone (nel 1963 inserisce nel cast un bambino chiamato “5”, con le sorelline “3” e “4”, il cui padre ha cambiato il proprio cognome sostituendolo col proprio codice postale come forma di protesta per il progressivo sostituirsi dei numeri all’identità delle persone), ecc. 
Il tutto affrontato solo da un gruppo di bambini (nella serie infatti non compaiono mai gli adulti) con personalità e caratteristiche caratteriali molto simili a quelle dei “grandi”: Charlie Brown è depresso e sfiduciato, Lucy è isterica, Linus è maturo, Schroeder è chiuso nel suo mondo fatto di note.

E come non coinvolgere questi simpaticissimi personaggi  con la matematica?
Detto e fatto  Charlie Brown, Lucy, Schroeder, Linus.....mi accompagneranno in questo viaggio immaginario nel mondo oscuro dei quaternioni!

Parlando dei quaternioni non si può certo dimenticare il loro ideatore e un ponte su un canale di Dublino.
Il Royal Canal di Dublino è un corso d’acqua alla periferia della città, bucolico e ameno, che nessuno potrebbe sospettare essere stato sede di un evento epocale. 
Eppure uno dei suoi ponti più noti, il Broome Bridge, è meta, da alcuni decenni,  di turisti alla ricerca di una lapide commemorativa, posta nel 1958 e che riporta una curiosa iscrizione.
Questa lapide infatti testimonia una celebre passeggiata, destinata a lasciare una forte impronta nella storia della Matematica e nelle Scienze Applicate.




Ricorda infatti che il 16 ottoobre del 1843 un trentottenne, celebre e affermato fisico-matematico irlandese, William Rowan Hamilton, insieme alla moglie Helen si sta recando ad un congresso della Royal Irish Academy e, malgrado le chiacchiere  della moglie, il giovane scienziato è completamente assorto nei suoi pensieri.
Sono anni che Hamilton si arrovella sul problema apparentemente insolubile di estendere in R³ il concetto di numero complesso e dopo aver quindi ricercato invano un'estensione tridimensionale, ne formulò una con dimensione 4
Ed ecco che, improvvisa e folgorante, arriva l’intuizione geniale ed Hamilton, eccitato dalla scoperta, si precipita a incidere sulle pietre del ponte Brougham (oggi noto come Broom Bridge) la celebre formula:

i2 = j2 = k2 = ijk = - 1

Dopo questa introduzione decisamente romanzesca e romantica, sulla nascita del concetto di quaternione, vediamo di addentrarci ora con l'aiuto degli amici Peanuts nell'ostico argomento.

Hamilton descrisse un quaternione come una quadrupla ordinata (4-upla) di numeri reali, dove la prima coordinata è la parte scalare e le rimanenti tre sono la parte vettoriale. 
La Matematica contemporanea riconosce i quaternioni come una estensione del campo dei complessi, dei cosiddetti binioni:
a+bi
In generale, un quaternione è una combinazione lineare delle unità dei quaternioni 1, i, j, k, esprimibile in modo unico come:
a+bi+cj+dk 
con a, b, c, d coefficienti reali; a è definito scalare, mentre gli altri coefficienti costituiscono il vettore.
Quindi l'insieme H dei quaternioni (H in onore di Hamilton) contiene, come sottoinsiemi, sia i numeri complessi che quelli reali, i primi sono i quaternioni della forma (a, b, 0, 0), mentre i reali sono i quaternioni della forma (a, 0, 0, 0).
Nell’insieme H vengono definite due operazioni: la somma e il prodotto. 
La somma, come avviene per i complessi, si realizza attraverso la somma dei coefficienti:

q+q’ = (a, b, c, d,) + (a’, b’, c’, d’) = (a+a’, b+b’, c+c’, d+d’)

Il prodotto è, invece, definito dalla seguente tabella moltiplicativa (per le unità dei quaternioni):



quindi:

qxq’ = (a, b, c, d,) x (a’, b’, c’, d’) (aa’-bb’-cc’-dd’, ab’+ba’+cd’-dc’, ac’+ca’-ba’+db’, da’+ad’+bc’-cb’)

Esempio
Dati i due quaternioni:
x = 3+i 
y = 5i+j-2k 
Somma e prodotto sono dati da:
x+y = 3+6i+j-2k 
xy = (3+i)(5i+j-2k) = 15i+3j-6k+5i²+ij-2ik = 15i+3j-6k-5+k+2j = -5+15i+5j-5k

Questa formalizzazione necessitava l'abbandono della commutatività della moltiplicazione, una scelta radicale per quel tempo, in cui non erano ancora disponibili l'algebra lineare ed il prodotto fra matrici. 
Più in generale, Hamilton ha in un certo senso inventato il prodotto vettoriale ed il prodotto scalare negli spazi vettoriali.
La mancanza di questa proprietà fu quindi un argomento assai duro da digerire per i contemporanei di Hamilton, poiché rappresentava una novità assoluta e, per molti, sconcertante nella storia della Matematica.
Il prodotto tra quaternioni, così definito, porta ad una seconda sorprendente proprietà: i polinomi definiti in H possono avere un numero di zeri superiore al loro grado!
E' facile constatare infatti che ±i, ±j, ±k sono le sei differenti soluzioni dell’equazione: 
x²=-1
I quaternioni possono essere scritti anche facendo ricorso alle matrici complesse 2 x 2:



Ed è quindi facile anche verificare che il prodotto di due quaternioni non è in generale commutativo. Ad esempio, ij = k  è diverso da ji = -k .

Analogamente a quanto accade per i numeri complessi, anche tra i quaternioni è definito il concetto di coniugato, di inversodi norma (con le loro proprietà).




Coniugato
Il coniugato di un quaternione 
 q = a+bi+cj+dk      
è il quaternione
\bar q = q' = a-bi-cj-dk.
Il coniugato soddisfa le seguenti proprietà



Il coniugato può anche essere espresso da una combinazione lineare di q, con coefficienti contenenti i, j, k, nel seguente modo: 
\bar q = -\frac{q +iqi+jqj+kqk}{2}




Inverso
Un quaternione q  diverso da zero ha un inverso per la moltiplicazione, dato da:
 q^{-1} = \frac{\overline q}{|q|^2}.
infatti
 qq^{-1} = q\frac{\overline q}{|q|^2} = \frac {q\overline q}{|q|^2} = \frac{|q|^2}{|q|^2} = 1
e similmente 
q^{-1}q = 1  
Valgono le seguenti proprietà:

 \overline {q^{-1}} = {\overline q}^{-1},
 |q^{-1}| = \frac 1{|q|},
 (qq')^{-1} = {q'}^{-1}q^{-1}.\,\!



Norma
La norma di q  è il numero reale non negativo dato da:
{\textstyle |q|={\sqrt {q{\bar {q}}}}={\sqrt {a^{2}+b^{2}+c^{2}+d^{2}}}.}
La norma di q è sempre positiva, e nulla soltanto se q = 0 e valgono le relazioni seguenti:
|q|^2 = q\bar q,
|qq'| = |q||q'|.\,\!

I quaternioni formano quindi un corpo non commutativo e soddisfano tutte le proprietà dei campi, quali i numeri reali o complessi, tranne la proprietà commutativa del prodotto. 
Va ricordato che le estensioni dei quaternioni, quali gli ottetti e i sedenioni, non hanno neppure la proprietà associativa.
Abbiamo visto che i quaternioni contengono i numeri reali e i numeri complessi  e formano anche uno spazio vettoriale reale di dimensione 4 (analogamente ai complessi, che sono uno spazio a 2 dimensioni, cioè un piano). 
Le due proprietà di corpo e di spazio vettoriale conferiscono ai quaternioni una struttura di algebra di divisione non commutativa.





L'uso dei quaternioni suscitò allora molte controversie. 
Alcuni dei sostenitori di Hamilton si opposero veementemente allo studio dei settori emergenti dell'algebra lineare e del calcolo vettoriale (sviluppato fra gli altri da Oliver Heaviside Willard Gibbs), affermando che i quaternioni offrivano una notazione migliore. 
Oggi però sappiamo che i quaternioni sono una struttura molto particolare, che non offre molte altre generalizzazioni in altre dimensioni.
Una curiosità è che una prima versione delle equazioni di Maxwell utilizzava una notazione basata sui quaternioni.




All’epoca della passeggiata sul fatidico ponte, Hamilton era un famoso e affermato matematico e a lui è dovuta la generalizzazione dei risultati della meccanica newtoniana, attraverso le celebri equazioni di Hamilton e la funzione hamiltoniana, ma a partire da quel giorno Hamilton si dedicò esclusivamente ai quaternioni, abbandonando ogni altro studio. 
Hamilton continuò così a rendere popolari i quaternioni con molti libri, l'ultimo dei quali, "Elementi sui quaternioni" aveva 800 pagine e fu pubblicato poco dopo la sua morte,  avvenuta il 2 settembre 1865 all’età di sessant’anni.




Ma mai forse si sarebbe immaginato di vedere le proprie creature applicate nella computer graphic (si pensi alla rappresentazione frattale dell’insieme di Mandelbrot e dell’insieme di Jiulia, da cui deriva), nella definizione di frattali (in particolare nella rappresentazione di rotazioni tridimensionali), nella teoria del controllo, piuttosto che nella meccanica orbitale.
Chi ha qualche nozione di meccanica quantistica, avrà notato la notevole somiglianza delle matrici precedenti con le matrici di Pauli per la descrizione dello spin, generalmente indicate con σx, σy, σz e così definite:



Ma i quaternioni sono alla base anche di applicazioni che incontriamo tutti i giorni, tipo i videogiochi in 3D, o i softwares per visualizzare modelli tridimensionali, e che usano proprio i quaternioni per le routine di trasformazione delle immagini.
Ma non solo!


 


E' proprio di questi giorni (il 5 luglio 2016) l'evento epocale che ha visto la sonda Juno della Nasa entrare nell'orbita di Giove. 
Mai finora un veicolo era stato così vicino al pianeta più grande del Sistema Solare dando così la possibilità ai nove strumenti a bordo, due dei quali italiani, di poter dare le risposte alle tante domande aperte sul pianeta gigante. E a questo ha contribuito senz'altro anche la scoperta di Hamilton! 
Gli strumenti di controllo dell'assetto di un veicolo spaziale usano infatti un sistema comandato proprio mediante quaternioni.



Snoopy non sbaglia, infatti nel 1840, tre anni prima, Benjamin Olinde Rodrigues (6 ottobre 1795 - 17 dicembre 1851), più comunemente noto come Olinde Rodrigues ,  un banchiere francese, nonché matematico e riformatore sociale, aveva pubblicato un risultato sui gruppi di trasformazione usando una formula risolutiva al problema di rappresentare rotazioni nello spazio, anticipando quindi quella di William Rowan Hamilton. Tuttavia il suo lavoro era stato ignorato, e riscoperto solo nel tardo XX secolo.
E pare anzi che già nel 1819 il grande matematico, astronomo e fisico tedesco Carl Friedrich Gauss avesse scoperto i quaternioni anche se questo lavoro non venne allora pubblicato ma riscoperto e pubblicato solo nel 1900.

Vorrei fare un'ultima considerazione a proposito dell'invenzioni dei quaternioni.
Intanto la definisco invenzione e non scoperta perché ha tutte le caratteristiche proprie dell'invenzione.
Il processo inventivo infatti richiede la consapevolezza di concetti esistenti o metodi che possono essere modificati o trasformati in un'invenzione attraverso creatività e intuizione, come fece Hamilton sul ponte Brougham di Dublino. 
E così come un'invenzione è sempre un progresso dal punto di vista conoscitivo ma non è detto che sia utile immediatamente o per tutti, così sono stati i quaternioni, un'invenzione infatti che si è rivelata molto utile, ma in un periodo successivo. 




A spasso per Milano con 4 donne illustri

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Spesso pur vivendo da anni in una città facciamo poco caso al nome delle vie o meglio a chi sono dedicate.
Quello che salta agli occhi, passeggiando per le via della propria città è che le strade intitolate alle donne sono quasi inesistenti.
Sia al Nord che al Sud il risultato non cambia.
Secondo i dati di "Toponomastica femminile", il progetto nazionale che vuole rendere "più rosa" le città italiane, le strade dedicate all'universo femminile in Italia sono il 5 per cento, e a Milano il dato non arriva nemmeno al 3, dato che su 4.241 vie quelle intitolate agli uomini sono 2535 mentre alle donne sono solo 133.
Ricordando anche che ben 20 sono destinate alla Madonna nelle sue varie accezioni (Santa Maria Nascente, Santa Maria del Suffragio, Santa Maria delle Grazie.....) e altre 22 alle sante....ne restano davvero pochine!

Vie e piazze dedicate a 4 donne illustri:
Maria Gaetana Agnesi, Clelia Del Grillo Borromeo, Gae Aulenti, Marie Curie

La donna nella storia e nella sua espressione geografico-cittadina è un aspetto che sta analizzando Giuliana Nuvoli, ricercatrice e docente di Letteratura italiana alla Statale di Milano, che sta preparando, dopo il successo della versione romana scritta da Maria Pia Ercolini edita da Iacobelli, la guida turistico-culturale cittadina "Percorsi di genere femminili".
Ma facendo sempre caso ai nomi delle vie, davvero pochi sono dedicati a Scienziati e pochissimi a Matematici, figuriamoci se femminili.
Un esempio: alla scienziata e Premio Nobel Rita Levi Montalcini, scomparsa il 30 dicembre 2012, sono stati dedicati alcuni giardini e parchi, ma nessuna via. E così anche all'astrofisica Margherita Hack morta a Trieste il 29 giugno 2013.
Nell'interessante libro "Le vie di Milano: dizionario della toponomastica milanese" di Vittore e Claudio Buzzi, si trovano scrittori, pittori, artisti, martiri, patrioti, filosofi, politici, giuristi, giornalisti......ma davvero pochi scienziati e ancor meno matematici.

Vorrei quindi, attraverso questo post, fare un viaggio virtuale per le vie della mia città, Milano, insieme alle 4 donne legate al mondo della Matematica o della Scienza a cui è stata dedicata una via o una piazza.

Pagine di  “Istituzioni Analitiche ad uso della Gioventù” di Gaetana Agnesi

Il mio viaggio inizia da via Gaetana Agnesi, una stretta via che parte da via Sabotino 16 e arriva in via G. Romano (cap.20135).
Ma chi era Maria Gaetana Agnesi, ricordata soprattutto per “la strega di Agnesi”?
Maria Gaetana Agnesi fu una matematica e filantropa milanese del 18°secolo (1718-1799), prima donna ad essere chiamata a ricoprire una cattedra universitaria, all'Università di Bologna.
Maria Gaetana Agnesi fu una matematica apprezzata e conosciuta in buona parte dell’Europa per avere messo ordine tra i trattati sul calcolo infinitesimale, base dell’analisi matematica, unendo interessanti studi applicativi nella fisica e in numerosi altri ambiti scientifici.
Grande studiosa fin da giovanissima, la sua cultura e preparazione divennero note già quando aveva vent’anni e pubblicò il suo testo di analisi più importante quando ne aveva trenta, nel 1748.
Purtroppo pochi anni dopo Maria Gaetana Agnesi abbandonò quasi completamente gli studi, dedicando il resto della propria vita alle opere di beneficenza, prestando la sua opera anche in alcune sezioni dell’appena costituito Pio Albergo Trivulzio, sempre a Milano (attivo tutt’oggi), per il quale continuò a lavorare fino al 9 gennaio 1799, quando morì a 80 anni.
Fu quindi nel 1748 che pubblicò “Istituzioni Analitiche ad uso della Gioventù”, un trattato pubblicato prima in italiano e successivamente in francese e inglese ed ottenne un notevole successo in Europa.
Agnesi lo aveva scritto con l’obiettivo di mettere insieme in un unico testo le scoperte e le osservazioni fatte fino ad allora sul calcolo infinitesimale e sparse in trattati di più autori.
I due tomi delle “Istituzioni Analitiche” partivano da una chiara esposizione delle basi dell’algebra, passando poi alle equazioni algebriche, alla geometria analitica e al calcolo differenziale e integrale.
Sempre in questo trattato Maria Gaetana Agnesi descrisse un tipo di curva che chiamò “versiera”, nome che viene utilizzato ancora oggi per definirla.
Si tratta di una curva a forma di campana, che può essere ottenuta seguendo alcuni semplici procedimenti geometrici, mentre in analisi matematica può essere indicata ed espressa con una funzione cubica.



Anche se Agnesi non fu la prima a occuparsi della versiera, che in modi diversi era già stata studiata da Pierre de Fermat nella seconda metà del Seicento e da Guido Grandi nei primi del Settecento, che l’aveva chiamata versoria (facendone derivare il nome dal termine latino usato per indicare la cima che tiene un’estremità della vela sulle navi), i suoi studi divennero famosi forse anche grazie e un errore di traduzione.
Quando le “Istituzioni Analitiche” furono pubblicate in inglese la curva assunse il nome “witch of Agnesi”, cioè “la strega di Agnesi”. Il traduttore aveva infatti confuso il termine versiera con la parola avversiera, che indica un’”avversaria di Dio” e quindi per estensione una strega.
Nel mondo anglosassone e in diversi altri paesi come Messico e Spagna, la curva è nota ancora oggi come “la strega di Agnesi”.

Donna che legge - Ricreazione del ritratto di Clelia del Grillo Borromeo (1684-1777), 
opera del pittore tedesco Otto Scholderer (30 June 1883)

Mi trovo ora, ovviamente solo virtualmente, nel salotto di via Rugabella di Clelia Grillo Borromeo, poi trasformato nell’Academia Cloelia Vigilantium, sciolta nel 1726 per l’opposizione degli Asburgo.
Ecco un'altra donna legata alla Matematica a cui è stata dedicata via C.Grillo Borromeo, tra via Melchiorre Gioia e via Emilio Cornalia (cap.20124).
Guardando la targa salta agli occhi il fatto che non sia evidenziato il nome Clelia ma appaia solo l'iniziale C. che non aiuta certo a capire si tratti di una donna, definita poi "letterata"!
Nobildonna affascinante e dai molteplici interessi culturali e politici, venne descritta da Montesquieu come la “Femme la plus adorable de l’universe”.
Clelia Del Grillo Borromeo (Genova 1684 – Milano 23 agosto 1777), che parlava almeno otto lingue, si dilettava di geometria, conoscenza insolita per una donna della sua epoca e si fece notare, e non sempre benvolere, per la preferenza a ospitare nella sua casa personaggi non nobili ma intellettuali e studiosi.
Nata a Genova in una nota famiglia patrizia imparentata con illustri casate europee, Clelia era figlia di Marcantonio Grillo duca di Mondragone e marchese di Clarafuente e della marchesa Maria Antonia Imperiali.
Andata in sposa all'aristocratico Giovanni Benedetto Borromeo, fu cardine della nobiltà milanese per lungo tempo e animò per vari decenni nella città meneghina, nel proprio palazzo di via Rugabella, uno dei salotti più importanti di Milano.
Al suo interno si dava, come di consueto, grande rilievo alle arti liberali, con la differenza che presso la contessa Borromeo c'era un vero e proprio culto per la scienza e la matematica, tanto che vi si eseguivano anche esperimenti, cui era solito partecipare il più illustre frequentatore della casa, il naturalista Antonio Vallisneri.



La stessa contessa era una grande conoscitrice delle scienze naturali e della matematica, cui univa un'ottima padronanza del latino, del greco e dell'arabo.
Poliglotta e dai mille interessi (la matematica, la fisica, l’algebra), Clelia ricevette un grande omaggio dal matematico Guido Grandi, che battezzò “Clelie” alcuni tipi di curve la cui forma ricorda quella di un fiore a più petali uguali e di cui parlò nel suo "Flores Geometrici ex Rhodonearum, e Cloeliarum curvarum", edito a Firenze nel 1728, dove il professore cremonese diede appunto il nome "Clelie" alle celebri curve matematiche da ella stessa studiate e rielaborate.
Col passare del tempo il salotto ebbe però anche un ruolo politico così agguerrito da preoccupare Maria Teresa d'Austria.
Nel palazzo convenivano aristocratici attivisti, desiderosi di rovesciare il governo austriaco per tornare sotto la Spagna. Il principale attore in questo senso fu il conte Giulio Antonio Biancani, che Clelia tentò di nascondere nella propria casa e aiutò poi a fuggire quando esplose la repressione teresiana.
Il conte fu però scoperto, arrestato e decapitato.
Clelia pagò a caro prezzo il proprio impegno filospagnolo e Maria Teresa la esiliò e spogliò dei propri beni.
Rifugiatasi a Gorizia, ritornò poi a Milano, dove visse fino a novantatre anni, riaprendo il suo salotto, ora però più legato alla storia, alla poesia e al teatro.

Piazza Gae Aulenti

Proseguendo questo viaggio virtuale mi ritovo nello scenario avveniristico di Piazza Gae Aulenti da dove si può godere ottimamente dello skyline di Milano.
Simbolo della Milano contemporanea, la piazza è stata dedicata  all'architetto e designer Gae Aulenti e si trova alla fine di corso Como, davanti alla Stazione Garibaldi (cap. 20154).
Il 7 dicembre 2012 infatti viene inaugurata ed intitolata a suo nome la nuova grande piazza circolare situata al centro del complesso della Unicredit Tower di Milano.
Anche se non si può proprio annoverare come scienziata o matematica, Gae Aulenti (Palazzolo dello Stella, 4 dicembre 1927 – Milano, 31 ottobre 2012) è il primo architetto ad aver dimostrato che l'architettura è un sostantivo di genere femminile.
L'architetto Aulenti (Gae è il diminutivo di Gaetana, un nome che fu imposto da una nonna terribile) è stata una delle prime donne "vincenti" in un mondo molto maschile, dato che della sua generazione erano solo in due: Gae e Cini Boeri.
Da Tokyo a Buenos Aires, da San Francisco a Parigi e Barcellona, non c'è grande città che non porti un suo segno. È un personaggio-simbolo della Milano razionale e colta.
Laureatasi al Politecnico di Milano Gae Aulenti, pioniera degli archi-star, è uno degli architetti che hanno fatto la storia dell'architettura moderna.

Architetto e designer Gae Aulenti 

Il progetto più significativo è stato sicuramente quello del Musee d'Orsay di Parigi (riaperto al pubblico nel 1986), la facciata dell'Istituto italiano di cultura di Tokio (2006), ma anche la ristrutturazione di Palazzo Grassi a Venezia e del Palavela per le Olimpiadi invernali Torino 2006, senza dimenticare la famosa lampada "Pipistrello" per Martinelli Luce (1963).
Gae Aulenti formatasi come architetto nella Milano degli anni cinquanta ha sempre sostenuto fermamente un'architettura per il recupero dei beni culturali e urbani preesistenti per un'integrazione armonica tra nuovo e antico, trasmettendo sempre la complessa molteplicità della geometria urbana e della metropoli, sostenendo sempre il grande aiuto che le aveva dato la matematica da lei definita come "il pensiero razionale che ci aiuta sempre".
Il 16 ottobre 2012, pochi giorni prima della sua morte il 31, venne insignita del premio alla carriera consegnatole dalla Triennale.

Marie Curie Nobel per la Fisica nel 1903 e per la Chimica nel 1911

Allontanandomi dalla piazza e andando proprio verso la Triennale mi imbatto in viale M. Curie, il cavalcavia, proseguimento di via XX Settembre, che arriva in via E. Zola di fronte ai Giardini Pubblici e alla Triennale (cap.20121).
Ho poi comunque scoperto alle tre vie nell'hinterland milanese, dedicate alla grande scienziata Marie Curie; a Gessate (cap.20060) , Assago (cap.20090) e Novate Milanese (cap.20026).
Maria Sklodowska (Varsavia, 7 novembre 1867 – Passy, 4 luglio 1934), meglio nota come Marie Curie, è stata una chimica e fisica polacca, prima donna professore alla Sorbona di Parigi e prima donna della storia a ricevere il premio Nobel per la fisica nel 1903.
Ma non solo, nel 1903 fu insignita del premio Nobel per la fisica e nel 1911 del premio Nobel per la chimica per i suoi lavori sul radio.
Marie Curie è stata l'unica donna tra i quattro vincitori di più di un Nobel e l'unica ad averlo vinto in due aree distinte.
Oltre a lei soltanto un'altra persona sino ad ora, ha ricevuto due premi Nobel in due campi differenti: Linus Pauling che oltre a quello per la chimica nel 1954 ne ha ottenuto un altro nel '62, ma per la pace.


Belgio - 1927 in occasione della Solvay Conference sulla meccanica quantistica

Il 28 marzo 1902 Marie annota sul suo quaderno nero: RA = 225,93 - peso di un atomo di radio.
Scopritrice del Radio, con una decisione insolita, Maria Curie intenzionalmente non depositò il brevetto internazionale per il processo di isolamento del radio, preferendo lasciarlo libero affinché la comunità scientifica potesse effettuare ricerche in questo campo senza ostacoli, in maniera tale da favorire il progresso in questo settore scientifico.
Proprio in occasione della conferenza per il primo premio Nobel, il marito Pierre Curie pronunciò queste parole:
"Si può ritenere che, in mani criminali, il radio possa diventare molto pericoloso; ci si può chiedere se l'umanità saprà trarre vantaggi dalla conoscenza dei segreti della Natura, se è matura per approfittarne o se questa conoscenza potrà invece essere nociva. L'esempio della scoperta di Nobel è significativo: i potenti esplosivi hanno permesso all'uomo di fare opere ammirevoli, ma sono stati anche usati come mezzo terribile di distruzione dai grandi criminali che trascinano i popoli verso la guerra. Sono uno di quelli che pensano, come Nobel, che l'umanità saprà trarre più benefici che danni dalle nuove scoperte."
Il 20 aprile 1995 le sue spoglie (insieme a quelle del marito Pierre) sono state trasferite dal cimitero di Sceaux al Pantheon di Parigi. È stata quindi ancora una volta la prima donna della storia ad avere ricevuto questo onore (per meriti propri). Per il timore di contaminazioni radioattive, la sua bara è stata avvolta in una camicia di piombo.

Concludo questa mini carrellata augurandomi di poter presto vedere molti più nomi di vie e piazze  
dedicati a grandi donne, matematiche e scienziate che importanti contributi hanno lasciato, ma che sono poco note ai più.

Mappa di Milano - Vie e piazze dedicate a 4 donne illustri:
Maria Gaetana Agnesi, Clelia Del Grillo Borromeo, Gae Aulenti, Marie Curie

Fra le matematiche vorrei veder ricordata Ipazia (370-415 d.C.), figlia del matematico e filosofo Teone, che diventò capo di una scuola platonica di Alessandria d'Egitto frequentata da molti giovani. Fu uccisa barbaramente da monaci, forse anche perché tanta genialità matematica in una donna poteva sembrare indice di empietà.
Nel 1700, oltre alla già citata Maria Gaetana Agnesi, Sophie Germain (1776-1831) fu una riconosciuta esperta di teoria dei numeri e di fisica.
Nel XIX secolo ci furono numerose grandi matematiche, fra le quali emergono soprattutto Sofia Kovaleskaja (1850-1891), professore all'Università di Stoccolma, e Emmy Noether (1882-1935), fondatrice dell'Algebra moderna nonché valida collaboratrice di Albert Einstein.
"Fräulein Noether è stata il genio matematico più importante da quando le donne hanno avuto accesso all'istruzione superiore".
Queste parole, scritte da Albert Einstein in occasione della morte di Emmy Noether, danno l'idea dell'importanza di questa grande matematica, definita la "madre della moderna algebra astratta".
Fra le matematiche italiane di questo secolo andrebbero anche ricordate Pia Nalli (1866-1964) professore ordinario di analisi matematica all'università di Cagliari e poi di Catania, Maria Pastori (1895-1975) ordinario di Meccanica Razionale all'università di Messina, Maria Cibrario Cinquini (1905-1992), ordinario di Analisi matematica a Cagliari e professore emerito dell'università di Pavia, Maria Biggiogero Masotti ordinario di geometria presso il Politecnico di Milano.
Fra le fisiche e le astrofisiche come non ricordare, oltre alla già citata Marie Sklodwska Curie (1867-1934), la figlia Irene Curie (1897-1956) premio Nobel per la chimica nel 1935, Lise Meitner (1878-1968) che scopre il fenomeno della fissione nucleare ed è la prima donna ad avere una cattedra universitaria di fisica in Germania, Marie Goeppert Mayer (1906-1972) premio Nobel per la fisica nel 1963 per la sua teoria sui "numeri magici" che determinano la stabilità degli atomi, Wu Chieng-Shiung (1913-1997), professore di fisica alla Columbia University, scopritrice della non conservazione della parità nelle interazioni deboli.
Ultima ma non ultima la già citata Margherita Hack grande astrofisica e divulgatrice scientifica che Umberto Veronesi così definì "È l'icona del pensiero libero e dell'anticonformismo"
Altrettanto numerose sono le scienziate nel campo della biologia e delle scienze mediche, molte insignite di premio Nobel. Per tutte la già ricordata Rita Levi-Montalcini (1909) premio Nobel per la medicina nel 1986.

Una lista completa sarebbe per me comunque difficile da presentare, ma rimane il fatto che è giusto ricordare le grandi donne del passato e le sempre più numerose dei giorni nostri, che hanno contribuito e contribuiranno al progresso in tutti i campi.




Caspar, un matematico in Valtellina

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Siamo nel 1542 e a Palazzo Besta di Teglio, in Valtellina, giunge l'inquieto letterato Ortensio Lando con una copia dell'edizione, illustrata da Gabriele Giolito de Ferrari, dell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto.
Agnese e Azzo II Besta sono affascinati dal mondo fatato creato dalla fantasia ariostesca e ne prendono spunto per conferire alla loro dimora le splendide forme rinascimentali che renderanno celebre il loro Palazzo.


Edizione dell'Orlando Furiose di Ludovico Ariosto

Detto fatto incaricano il pittore bresciano Vincenzo de Barberis di dipingere alcuni episodi dell'Orlando Furioso sulle pareti del Salone d'Onore.
Così sulle pareti del Palazzo, accanto a scene mitologiche e bibliche, accanto a ritratti di uomini illustri, prendono vita le mirabolanti avventure dei protagonisti dell'Orlando Furioso.
Ma come conferire ancora più prestigio a questa già stupenda dimora?
I Besta pensano che anche dalla scienza, oltre che dalla letteratura, potrebbero attingere per rendere sempre più celebre e ammirata la loro magione.
Ed ecco che qualche anno dopo, tra il 1565 e il 1576, fanno realizzare un affresco sulla volta della “Sala della Creazione”, un esempio straordinario della cartografia antica.



Affreschi della "Sala della Creazione" con il Planisfero

Ma di cosa si tratta e perché è così prestigiosa?
Torniamo qualche anno indietro e arriviamo al 1507, anno in cui appare la “Universalis Cosmographiae Secundum Ptolmei traditionem et Americi Vespucii aliorumque lustrationes”, un manufatto cosmografico rinascimentale, frutto del lavoro di ricerca portato avanti, dal 1504 al 1507, dagli eruditi del cenacolo del monastero di Saint-Diè ai piedi dei Vosgi.
Il documento, un planisfero, dalle concezioni geografiche decisamente avanzate rispetto alle ufficiali conoscenze che si hanno dei territori appartenenti alla “Terra Firma” (l’attuale America del Sud), accompagna l’opera composta di 52 pagine: la “Cosmographiae Introductio”.
I due manufatti insieme ad un globo composto in 12 fusi, materializzano per la prima volta un esempio cosmografico, rivoluzionario.
Una nuova ed “imprevista” quarta parte del mondo separata dall’Asia, va ad occupare le plaghe dell’oceano Occidentale sancendo allo stesso tempo, e per la prima volta, il battesimo del ”Mundus Novus” con l’eponimo di uno dei figli più nobili della realtà storica familiare fiorentina di quel momento: Amerigo Vespucci.
Gauthier Lud, Mathias Ringmann, Nicolas Lud, Jean Basin de Sandaucort e Martin Waldseemüller sono i membri del cenacolo dei Vosgi, artefici della rivoluzionaria visione del mondo e la carta, detta "Carta di Martin Waldseemüller", costituirà l’elemento geografico più raro e costoso di tutti i tempi, tra le sole diciassette carte murali a stampa del XVI sec. che verranno ritrovate.


La "Universalis cosmographia secundum Ptholomaei traditionem et Americi Vespucii aliorumque lustrationes", la prima mappa in cui compare il nome "America" e la prima in cui questo continente è raffigurato separato dall'Asia.

Tra queste, però, il documento geografico che rispecchierà più fedelmente le linee guida della proiezione utilizzata da Martin Waldseemüller nel 1507, per racchiudere le terre disegnate sul planisfero lorenese, sarà la Weltkarte del 1545 del matematico tedesco Caspar Vopel, ma mai ritrovata.
Solo tre copie postume della carta murale di Caspar Vopel sopravviveranno, due realizzate a stampa, quella del 1558 alla Hoghton Library, in Masschusetts, (U.S.A) in pessime condizioni, quella del 1570 conservata alla Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel in Germania e infine la terza, in perfetta scala con le altre, proprio quella affrescata a Palazzo Besta¹.


Edizione "abusiva"² del 1558 del planisfero di Vopel, stampata a Venezia da Andrea Valvassore.
Nel sito dell’Università di Harvard si può consultare fino ai più piccoli particolari
 una riproduzione in scala 1.1 dell’edizione del 1558 della carta di Vopel.

Paragone con il planisfero affrescato nella "Sala della Creazione"


Il planisfero di Teglio si è infatti rivelato una riproduzione della carta geografica disegnata nel 1545 dal matematico tedesco Caspar Vopel, insieme appunto alle altre due copie postume². 
Confrontando la carta di Vopel con la sua copia di Palazzo Besta possiamo notare la perfetta corrispondenza. 
Si ritrova la stessa forma "pallioforme" o a “mantello”³, gli stessi continenti con la stessa identica forma, l’equatore e il “meridiano zero” tratteggiati, ma soprattutto i nomi geografici riprodotti perfino con gli stessi caratteri, gli stessi a-capo e nelle stesse precise posizioni.



Confrontando la carta di Vopel con l'affresco di Palazzo Besta si nota una perfetta corrispondenza. Ritroviamo la
 stessa sagoma a “mantello”, i continenti con l’identica forma, l’equatore e il “meridiano zero” tratteggiati, ma
 soprattutto i nomi geografici riprodotti con i medesimi caratteri e nelle identiche posizioni.

Quindi un Matematico si cela a Teglio, tra gli affreschi alle pareti fatti realizzare dai nobili Besta, amanti non solo del bello e dell'arte, ma anche della letteratura, della filosofia e delle scienze.
A questa si affiancheranno anche altre decorazioni di carattere biblico il cui committente è probabilmente Carlo I Besta (1552-1587) che nel 1576 sposa Anna Travers, una riformata calvinista figlia del grigionese Giovanni Travers che nel 1577 assume l'importante carica di Capitano di Valle.
Il Besta sceglie un soggetto biblico probabilmente per compiacere la potente famiglia della moglie e per rinsaldare i fragili legami tra cattolici e protestanti. 
E' interessante notare che nella matrice iconografica (delle incisioni di Bernard Salomon) Dio è rappresentato in forma umana, diversamente dalla trasposizione pittorica nella quale il pittore opta per una mandorla di luce come simbolo allusivo all'immagine divina. In questo troverebbe conferma il riguardo da parte del Besta nei confronti dei riformati, che non tolleravano la raffigurazione esplicita di Dio.


Affreschi biblici della "Sala della Creazione"

Ma chi è questo matematico ai più decisamente sconosciuto?
Caspar Vopel (* 1511 a Medebach , † 1561 a Colonia) detto anche Vopell, Vopelius, Vöpell o Meydebachius, nacque a Medebach in Germania nel 1511 ed è stato matematico, astronomo, costruttore di strumenti e cartografo.
La sua vita fu dedicata principalmente agli studi matematici e geografici che furono alla base di tutte le sue opere.
Studiò infatti matematica e medicina presso l'Università di Colonia dal 1526 al 1529, insegnò quindi matematica al Montanergymnasium di Colonia e dal 1530 creò un laboratorio per la produzione di globi celesti e terrestri, sfere armillari, meridiane, quadranti e astrolabi. 
Nel 1545 iniziò anche la produzione  di mappe ed atlanti, cosa che gli diede la notorietà.



Le costellazioni riprese da quelle di Vopel. 

Tante sono le curiosità che legano questi affreschi alle opere di Caspar.
A Palazzo Besta compaiono costellazioni che non sono presenti nelle versioni del Durer (che comunque sono del 1515) e in quelle precedenti, ma si trovano invece, nelle stesse identiche posizioni, in quelle più tarde di Vopel, come ad esempio i cani da caccia di Bootes, il piccolo animaletto (un coniglio? un gatto?) sulla testa di Bootes, il falcetto nella mano sinistra di Bootes, Antinoo, la Chioma di Berenice (che a Teglio è dipinta come un pesce invece che come una chioma di capelli).
Nell'emisfero Australe di Palazzo Besta e di Vopel vediamo la figura femminile nuda nel fiume Eridano, le Nubi di Magellano e la Croce del Sud, costellazioni che non esistevano nelle raffigurazioni precedenti, e neppure in quelle di Rusconi del 1550.



Confronto del particolare della figura femminile nuda nel fiume Eridano e 
del pesce sotituito alla Chioma di Berenice, tra l'affresco e la carta di Vopel

Un'altra curiosità sempre legata alle costellazioni, riguarda il fatto che il pittore di Teglio, ricopiando le costellazioni da quelle disegnate da Vopel, non abbia capito cosa potesse essere quella strana cosa fluttuante, e l'abbia quindi interpretata come un pesce. 
Fu un equivoco perché la Chioma di Berenice alla metà del Cinquecento, nonostante fosse già conosciuta, era una novità nelle raffigurazioni astronomiche. 
Caspar Vopel è stato infatti il primo a disegnare come una costellazione (in un globo del 1536 e poi nel planisfero) questa figura che non compariva nelle incisioni di Durer e neppure nei precedenti disegni di Conrad Heinfogel e nel Manoscritto di Vienna. 
Stesso discorso si può fare per l’animaletto sulla testa di Bootes e per i cani da caccia, presenti nella Sala della Creazione e nel planisfero di Vopel ma in nessuno degli esempi precedenti.
Il nostro matematico Caspar fu davvero quindi l'ispiratore e ci aiuta anche alla datazione della Sala della Creazione insieme alle scene che raccontano episodi dell’Antico Testamento, che si trovano sia sulla volta che nelle lunette.
Si tratta infatti delle incisioni di Bernard Salomon, artista francese attivo tra il 1540 e il 1560, pubblicate in una famosa e diffusissima edizione di "Quadrins historiques de la Bible", edita anche in Italia nel 1554 col titolo "Figure del Vecchio Testamento con versi toscani". 



Paragone tra le raffigurazioni che si trovano nelle lunette della "Sala della Creazione"
 e le incisioni di Bernard Salomon

E a proposito di datazione un'altra curiosità legata al planisfero è data dal fatto che in una lunga frase in basso, sia nel planisfero di Vopel che nella copia di Palazzo Besta, leggiamo “Terra Australis recenter inventa anno 1499 sed nondum plene cognita” (ovvero terra Australe di recente scoperta nell’anno 1499 ma non completamente conosciuta).
L’aggiunta dell’anno 1499 in alcune carte ha fatto pensare alla convinzione, da parte dei cartografi dell’epoca, che fosse quello l’anno in cui Amerigo Vespucci durante l’esplorazione del “nuovo mondo” si era reso conto per primo che non si trattava di una parte dell’Asia ma di un nuovo continente, come il navigatore aveva raccontato nella sua famosa lettera a Pierfrancesco de’ Medici. 
Secondo altri studi la data sarebbe invece da ricondurre alla scoperta di nuove terre a sud di Java e Sumatra, quindi all’Australia.
Ma la data che si intravede nell'affresco è proprio 1499 o 1459?
Bisognerebbe avere una foto molto più dettagliata per poter fare una verifica, ma se fosse confermato il 1459 l’unica spiegazione plausibile sarebbe un errore da parte di chi ha ricopiato su quel soffitto il planisfero di Caspar Vopel (o di chi in seguito lo ha ritoccato o restaurato).


Particolari della data 1499 (1459?) a confronto tra l'affresco e la carta di Vopel

Caspar Vopel non ha mai soggiornato a Palazzo Besta, ma, insieme a Ludovico Ariosto, è stato sicuramente l'ispiratore degli affreschi che maggiormente hanno dato quel tocco di originalità ai dipinti sulle pareti, rendendo il Palazzo anche ai giorni nostri una fonte di studi sia scientifici che umanistici.
E anche se la cartografia non "sembrerebbe matematica" non dobbiamo dimenticare che lo stesso Tolomeo (100 - 178 d.c.), anche se fautore del sistema geocentrico, noto appunto come tolemaico, che s'impose per quasi quattordici secoli fino a che non fu soppiantato da quello eliocentrico di Copernico (1473 – 1543), fu il fondatore della trigonometria piana e sferica.
Si deve ricordare anche che fu proprio Tolomeo ad affrontare il problema matematico che si trova alla base della costruzione di una mappa ovvero come proiettare la sfericità terrestre su un piano.
L’opera purtroppo non riscontrò i favori degli scienziati dell’epoca e rimase pressoché sconosciuta fino al quindicesimo secolo, ma da Martin Waldseemüller (1507), a Caspar Vopel (1545) fino al celebre fiammingo Gerhard Mercatore (1512-1594), una volta reintrodotto il principio della proiezione, la cartografia si diffuse rapidamente.


La mappa di Mercatore "Nova et Aucta Orbis Terrae Descriptio ad Usum Navigantium Emendata" (1569)

Attraverso le proiezioni cartografiche si opera un procedimento matematico di rappresentazione della superficie sferica della terra sul piano della carta. 
La proiezione cartografica deve, quanto più possibile, mantenere inalterate tre proprietà o caratteristiche riferite alle lunghezze, alle aree e agli angoli reali. 
Le lunghezze e le aree misurabili su di una carta devono essere in qualche modo proporzionali a quelle reali, e l’angolo formato da due direzioni deve essere uguale a quello misurabile sulla superficie terrestre. 
Analizzando anche la moderna cartografia, solo le carte che rappresentano aree molto limitate, come ad esempio le tavolette topografiche 1:25.000 e scale più dettagliate (es. 1:10.000, 1:500, etc.), conservano realmente inalterati gli angoli, le distanze e i rapporti fra le distanze e le aree. 


Proiezioni pure attraverso differenti punti di vista

Nel produrre una carta oggi come ai tempi del nostro amico matematico Casper Votel non si riesce in modo rigoroso a mantenere contemporaneamente queste tre proprietà e si introducono inevitabilmente alcune deformazioni.
Senza addentrarci ulteriormente appare chiaro che era ed è ancora molto complesso riprodurre correttamente su di un piano la superficie della terra, anche se oggi sono stati introdotti altri tipi di proiezione, le più comuni: proiezioni pure, proiezioni modificate e proiezioni convenzionali.

Note

¹La carta affrescata è stata individuata nel 2003, da Claudio Piani, infatti fino a una decina d’anni fa questa raffigurazione del mondo secondo le conoscenze e le ipotesi geografiche della metà del Cinquecento non era citata in alcuno studio sulla storia della cartografia. Dobbiamo al lavoro di Claudio Piani e Diego Baratono il riconoscimento della fonte originale di questa importante testimonianza della cartografia cinquecentesca.

²Un'edizione "abusiva" della stessa è conservata alla Houghton Library dell'Università di Harvard, stampata a Venezia nel 1558 da Andrea Valvassore detto Guadagnino. Un'edizione postuma si trova alla Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel uscita ad Anversa nel 1570 presso Bernard van den Putte. Un'edizione semplificata venne disegnata da Hieronymo Girava per i "Dos libros de Cosmographia" pubblicati a Milano nel 1556. Secondo le convinzioni dei cartografi dell'epoca, nel 1499 Amerigo Vespucci, durante l'esplorazione del nuovo mondo, si era reso conto per primo che non si trattava di una parte dell'Asia ma di un nuovo continente.

³ Pallioforme, a guisa di mantello come sottolineato dalle ricerche di Diego Baratono e Claudio Piani, e confermate dal prof. Mauro Marrani nel suo studio "Il disegno preparatorio e l'incisione a stampa della Americae Retectio di 
Giovanni Stradano" in Quaderni Vespucciani, n°1, Firenze Libri, 2010, Firenze.
Teoria del Mantello. La forma a mantello della carta, secondo gli studi e le ricerche di Claudio Piani, può derivare quasi certamente dall'opera del Ghirlandaio, "Madonna della Misericordia".
Il profilo policircolare della "carta mariana" del Waldseemuller o del Vopel è infatti perfettamente "inseribile", all'interno del profilo del manto tracciato dal pittore fiorentino.

Fonti

From the book
Il Palazzo Besta di Teglio - di Gianluigi Garbellini - edito da Lyasis, 1997
From website
https://de.wikipedia.org/wiki/Caspar_Vopelius
http://www.diegocuoghi.com/palazzobestaleonardo/
From the pictures
Immagini carte geografiche e affreschi
http://www.diegocuoghi.com/palazzobestaleonardo/
Proiezioni cartografiche
http://www.treccani.it/export/sites/default/Portale/resources/multimedia/Lezioni_Geologia2/cartografia/LEZIONE_IMMAGINE_TERRA.pdf 
Foto personali fatte in occasione della visita a Palazzo Bespa di cui ho avuto autorizzazione alla pubblicazione dai Beni Culturali




Al-Kindi e Hedy Lamarr, il fascino della crittografia!

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Il Carnevale della Matematica di novembre 2016, il 103, numero primo e felice¹, mi ha ricordato la serie più longeva del mondo, quella fantascientifica del "Doctor Who", in cui, in uno degli ultimi episodi, il nostro Dottore usava una sequenza di "numeri primi felici" (313, 331, 367, 379) come codice per sbloccare una porta sigillata su una nave spaziale in procinto di entrare in collisione con una stella. 
Emblematica la frase del Dottore quando scopre che nessuno sulla nave spaziale oltre a lui ha sentito parlare di numeri felici: "Non insegnano più matematica ricreativa?"
Il tema di questo Carnevale inoltre, come ci dice Roberto Natalini che lo ospita su MaddMaths, è "Donne in Matematica" e da qui è nata l'idea di legare codici, cifrari e crittografia anche a una donna.  
Vorrei parlare quindi di due personaggi molto lontani nel tempo e molto famosi in altri ambiti ma forse poco riconosciuti per il loro apporto alla crittografia. 


Fascini a confronto Al-Kindi e Hedy Lamarr


Un uomo e una donna che sono stati l'uno il precursore della crittoanalisi, individuando diversi nuovi metodi per decrittare un codice cifrato, e l'altra la prima a introdurre una forma di tecnologia di crittografia.
Molto lontani nel tempo, perché parlo di Al-Kindi, conosciuto come un grande filosofo vissuto nel IX secolo, e di Hedy Lamarr, nota come grande diva del cinema del secolo scorso. 
Per una forma di galanteria dovrei forse parlare prima di Hedy Lamarr ma per la loro connotazione temporale penso sia meglio introdurre Al-Kindi.

Vorrei comunque fare una brevissima introduzione a crittografia, crittoanalisi e crittologia di cui lascio però alla curiosità del lettore un eventuale approfondimento.
La crittografia, parola che deriva dal greco kryptós , che significa nascosto e da gráphein che significa scrivere, è l'insieme di “quei sistemi in grado di rendere incomprensibile un messaggio a chiunque ne venga in possesso, ad eccezione del legittimo destinatario”, la crittoanalisi, invece, è l'arte di “rompere” tali sistemi, mentre la crittologia le comprende entrambe.
La crittoanalisi è quindi la tecnica dell’interpretazione di un messaggio di cui si ignora la chiave.
La crittoanalisi è una scienza che si basa su discipline come la matematica, la statistica e la linguistica e si sviluppò proprio durante lo splendore della cultura Islamica.


Il Corano 
Dall'arabo Qurʽân, recitazione, proclama, lettura - in senso pieno: libro del proclama di Dio

A Bassora e Baghdad erano sorte delle scuole teologiche che applicavano raffinati metodi linguistici soprattutto al Corano per cercare di stabilire la cronologia dei capitoli del Corano oppure per dimostrare che una massima attribuita al Profeta faceva effettivamente parte delle sue abitudini linguistiche perché conteneva vocaboli solitamente usati da Maometto.

Il Corano è composto da 114 capitoli, ognuno dei quali corrisponde ad una rivelazione (Sura) avuta da Maometto. 
La natura frammentaria degli scritti originali stimolò la nascita di un particolare ramo della teologia islamica dedicato alla datazione esatta delle diverse rivelazioni,  in cui gli studiosi del Corano, insieme a varie altre tecniche, si servirono anche dello studio della frequenza con cui appaiono determinate parole considerate come di nuova introduzione. 
Se una Sura contiene un numero sufficiente di tali parole, si può supporre che sia relativamente tarda. 

Quest’analisi dei testi riguardava non solo i vocaboli ma analizzava anche le singole lettere e così ci si accorse che esse comparivano con una frequenza molto variabile fra di loro, ma costante nella lingua. 
L'indagine fu all’origine dei primi strumenti specifici di crittologia inventati dall’uomo e fu proprio questa constatazione che condusse alla prima grande scoperta della crittoanalisi.


Abu Yusuf Yaqub ibn Ishaq al-Sabbah Al-Kindi
"Il filosofo degli Arabi"

Abu Yusuf Yaqub ibn Ishaq al-Sabbah Al-Kindi (ﺍﺑﻮ ﻳﻮﺳﻒ يعقوب بن اسحاق الكندي‎) chi era costui?
Conosciuto in occidente con il nome di Al-Kindi (Alchindus) è considerato "il primo filosofo musulmano".
Al-Kindi (801-873) crebbe a Kufah in Iraq, che nel IX secolo fu un centro arabo di cultura e sapere, e operò appunto all’interno della cerchia dei traduttori coranici a Baghdad, ma da spirito assai poliedrico non si interessò solo di teologia e filosofia ma anche di musica, di matematica, di medicina, di chimica, di ottica e di astronomia.
Secondo lo storico Ibn al-Nadim, Al-Kindi scrisse almeno duecentosessanta libri, contribuendo in maniera determinante alla geometria (con trentadue libri), alla medicina e alla filosofia (con ventidue libri per entrambe le discipline), alla logica (con nove libri) e alla fisica (con dodici libri). 
La sua influenza nei campi della fisica, della matematica, della medicina, della filosofia e della musica fu quindi di vasta portata ma, dopo la morte, i lavori di Al-Kindi furono presto dimenticati e molte delle sue opere perse, forse anche perché i Mongoli, durante le loro invasioni, distrussero molte biblioteche . 
Nonostante molti dei suoi libri siano andati persi nei secoli, una piccola parte è sopravvissuta nelle traduzioni in latino di Gerardo da Cremona, altre sono state riscoperte in manoscritti arabi, e ventiquattro delle sue opere sono state ritrovate a metà del XX secolo in un archivio ottomano a Istanbul e parte di esse, riguardanti la crittografia, furono quindi divulgate dall'ingegnere saudita Ibrahim Al-Kadi nella sua opera "Origins of  Cryptology: the Arab Contributions".

Lascio alla curiosità dei lettori scoprire gli innumerevoli contributi e le opere di Al-Kindi, qui mi vorrei soffermare appunto solo sui suoi studi legati alla crittoanalisi e che lo identificano come il più grande crittoanalista della storia.
In questo lavoro del 1990, "Origins of Cryptology: the Arab Contributionspresentato al Reale Istituto della Tecnologia sito a Stoccolma, Ibrahim Al-Kadi ha riportato una sintesi sulla crittografia e la crittoanalisi basata sugli scritti recentemente scoperti di antichi scienziati musulmani arabografi.
Uno di questi era basato sugli studi di Al-Kindi, che scrisse un libro sulla crittologia nell'850 d.C. intitolato "Risalah fi Istikhraj al Mu'amma " (Epistola sulla decifrazione dei messaggi crittografici). 
In questo libro anticipa di circa 300 anni la crittografia dell'Europa occidentale e di 800 anni gli studi delle probabilità e delle statistiche condotti da Blaise Pascal e Pierre de Fermat.
Ibrahim Al-Kadi discute anche dell'etimologia del termine cifrario e riporta recenti scoperte storiche circa numerosi argomenti crittografici quali l'analisi delle frequenze ed i cifrari polialfabetici.


Metodo di cifratura originale in arabo dal manoscritto di Al-Kindi
Metodo di cifratura di Al-Kindi tradotto da Ibrahim Al-Kadi 

Il metodo dell’analisi delle frequenze appunto è stato il contributo di Al-Kindi alla crittologia e questa tecnica ha costituito il primum movens della crittoanalisi, branca della crittologia.
Al-Kindi fu anche il primo a lasciare una descrizione scritta di questa rivoluzionaria tecnica.  
Nel metodo di cifratura per sostituzione, una lettera del messaggio originale "mantiene la sua posizione però cambia il suo ruolo", ed è precisamente questa "costanza nel mantenere la posizione" a renderlo risolvibile tramite la crittoanalisi per frequenza.
Al-Kindi, analizzando la frequenza con cui appaiono alcune lettere o combinazioni di lettere in lingua araba, dimostrò di poter decriptare un messaggio anche senza conoscerne la chiave. 
Ma cerchiamo di darne un esempio, ovviamente non legato alle analisi delle frequenze in arabo bensì in italiano.
Con una buona approssimazione, le lettere che appaiono nei testi in italiano in ordine di frequenza sono: E, A, I, O, N, R, L, T, S, C, D, U, P, M, V, G, B, H, F, Q, Z, (X, J, K, Y, W). Possiamo osservare le percentuali d’apparizione di ogni lettera nella seguente tabella di frequenze, ricavata dall’analisi di alcuni libri italiani pubblicati nel XX secolo.


Se un messaggio è stato cifrato con un algoritmo di sostituzione può essere decifrato in funzione della frequenza relativa dei caratteri del messaggio originale. 
Basta contare le volte in cui ognuno dei caratteri cifrati appare e compararle con la tabella di frequenza della lingua in cui è stato scritto. 
Così, se il carattere che appare più spesso nel testo cifrato è, ad esempio, la J, la lettera del messaggio originale alla quale con più probabilità corrisponde sarà, nel caso dell’italiano, la E. Se il secondo carattere più frequente è la Z, con ragionamento analogo si conclude che la corrispondenza più probabile è la A. Ripetendo il processo per tutti i caratteri del messaggio cifrato si è in grado di portare a termine la crittoanalisi. 
L’analisi delle frequenze, non deve rimanere legata solo allo studio delle lettere prese singolarmente, ma può essere esteso anche a gruppi di lettere e l’applicazione di queste ed altre particolarità nella frequenza d’apparizione di lettere o gruppi di lettere della lingua originale può perciò portare alla riuscita nella decifrazione, anche partendo da un testo relativamente corto.
Questo modo per svelare un messaggio crittato, se conosciamo la lingua dell’originale, dimostra che la crittoanalisi non implica il controllo di svariati miliardi di possibili chiavi, anche se questo metodo non può essere applicato meccanicamente e la possibilità di successo è più alta se il testo da decifrare è molto lungo.
La decifrazione attraverso l’analisi delle frequenze si è dimostrato un metodo efficace e anche spettacolare, che ha portato alla scoperta di complotti, ma che ha anche attratto l’attenzione di numerosi scrittori. 

Messaggio cifrato da "Lo scarabeo d'oro" di Edgar A. Poe
In Inglese la lettera più frequente è la “e”. 
Il protagonista del racconto esamina le frequenze e scopre che il simbolo più presente è “8”. 
Poi suppone che i 3 caratteri “;48” corrispondano alla parola “the”. 
La sequenza “;(88” si traduce con “t(ee” e l’unica parola possibile in inglese è “tree” così scopre 
che “(“ corrisponde a “r”….

Un complotto celebre scoperto grazie alla crittoanalisi di messaggi fu quello di Maria Stuarda e il racconto forse più celebre che ricorre alla crittoanalisi è stato “Lo Scarabeo d’Oro” di Edgar A. Poe, ma anche Verne e Conan Doyle si sono cimentati con questo metodo.

Il metodo crittografico impiegato in questo caso non era una classica sostituzione monoalfabetica, 
ma un nomenclatore. Esso faceva uso di 23 simboli da sostituire alle lettere dell' alfabeto chiaro 
(con l' esclusione di "j", "v" e "w") e di 35 simboli che rappresentavano parole o frasi. 
C' erano inoltre quattro nulli ("ff", ", ", ", "d") e un simbolo ", che indicava che il simbolo seguente 
stava per una lettera doppia.

"La regina di Scozia Maria Stuarda, cattolica, complotta con il cattolico Lord Babington contro sua cugina Elisabetta I, protestante, che la tiene prigioniera nella torre di Londra ma non ha alcuna intenzione di sopprimerla. 
Tra Maria Stuarda e Lord Babington intercorre un fitto scambio di messaggi che vengono intercettati dal controspionaggio di Elisabetta.
Un uomo dei servizi segreti di Elisabetta, Thomas Phelippes il miglior decrittatore dell' Inghilterra a conoscenza della crittoanalisi di Al-Kindi, risolve tutti i messaggi cifrati.
Questi messaggi dimostrano in modo incontrovertibile la partecipazione di Maria Stuarda alla congiura per assassinare la regina Elisabetta e per questo viene processata e condannata a morte mediante decapitazione che avverrà l’8 febbraio 1587."

Da questo episodio storico si capisce come anche una cifratura non strettamente monoalfabetica, come un nomenclatore, non sia affatto sicura.
La risposta dei crittografi all’analisi delle frequenze fu il ricorso alla cifratura polialfabetica che provocò un’analoga contro risposta crittoanalitica e questa guerra di tecniche e di ingegni, che passa attraverso il "disco di Leon Battista Alberti", il "quadrato di De Vigenère", il "cifrario di Hill", "Enigma" e la decodificazione di Turing³........, continua ancor oggi!

E dopo questo excursus dedicato all'affascinante Al-Kindi dedico la conclusione dell'articolo a un'altrettanto  affascinante donna, Hedy Lamarr.
Anche lei, come Al-Kindi, non è certo conosciuta per il suo legame con la crittografia, ma sicuramente come una stupenda diva del cinema, definita "la donna più bella del mondo".


Hedwig Eva Maria Kiesler in arte Hedy Lamarr

"Most Beautiful Woman' by Day, Inventor by Night"


Hedwig Eva Maria Kiesler, così si chiamava prima di assumere il nome di Hedy Lamarr, nacque il 9 novembre del 1914 a Vienna, in Austria da genitori di origine ebraica e fin da giovanissima intraprese la carriera di attrice divenendo molto famosa.
Verso la fine degli anni '20 infatti Lamarr, poco più che adolescente, rinunciò ai corsi di laurea in ingegneria che aveva intrapreso e dove era ritenuta un'allieva dall'intelligenza eccezionale.
Fu scoperta dal produttore Max Reinhardt, che la portò a Berlino per farla studiare da attrice e, al suo ritorno a Vienna, iniziò a lavorare ad alcune produzioni cinematografiche.
Ad appena 18 anni fu protagonista nel film Ekstase di Gustav Machaty, girato a Praga, in cui interpretò discusse e "scandalose" (per l'epoca) scene d'amore e la prima scena di nudo integrale femminile della storia del Cinema. 
Quando nel 1933 sposò il mercante d’armi Friedrich Mandl, molto ricco e fornitore dei regimi in Germania e in Italia, non era raro che nella sua casa-castello fossero organizzati ricevimenti cui parteciparono anche Benito Mussolini e Adolf Hitler.
Lamarr fu anche introdotta a riunioni e incontri con ricercatori e scienziati che si occupavano di tecnologie belliche, cosa che la porterà poi alla ricerca scientifica, essendo lei una donna molto dotata per la musica e la matematica, nonché grande inventrice.
Nel 1937, lasciato Mandl, a Parigi conobbe il produttore cinematografico statunitense Louis B. Mayer, tra i fondatori della casa di produzione cinematografica Metro-Goldwyn-Mayer, e arrivata a Hollywood iniziò una produzione molto intensa, con più di 30 film, alcuni di notevole successo, a fianco dei più celebrati attori del suo tempo, fra cui Spencer Tracy, Judy Garland, Clark Gable e James Stewart. 
Fu proprio Mayer a convincerla a cambiare il nome, scegliendo quello di Hedy Lamarr in ricordo di Barbara La Marr, una delle più conosciute attrici del cinema muto. 




Grazie alle frequentazioni e alle ricerche dei sistemi di controllo delle armi, legate all'ex marito Mandl, si dedicò quasi per hobby alla ricerca scientifica e, durante la seconda guerra mondiale, Hedy Lamarr ideò e realizzò, insieme al compositore d'avanguardia americano di origine tedesca George Antheil, un sistema per criptare le comunicazioni via radio (“Frequency-Hopping Spread Spectrum”, FHSS), che molti anni dopo diventerà una delle basi teoriche della radiotelefonia cellulare: la trasmissione a "spettro diffuso" (spread spectrum) o a "salto di frequenza" (frequency hopping).  
L’idea infatti le era venuta quando era alla ricerca di un sistema per evitare che segnali radio nemici potessero deviare i siluri, negli scontri navali, facendo mancare loro il bersaglio.
Le onde radio infatti avevano si risolto il problema di  collegamento e di comunicazione con un siluro ma avevano  il grave difetto che anche i nemici potevano accedere alle stesse onde radio e bloccarle. 
Tutto nacque proprio da un incontro con Antheil, che musicò anche diverse colonne sonore di film (il più famoso è l'horror Dementia). 
Insieme a Antheil, Hedy mise appunto un sistema per la guida via radio dei siluri. 
Per assicurare la riservatezza delle comunicazioni e impedire intercettazioni e dirottamenti, i segnali di controllo venivano trasmessi saltando da una frequenza all'altra seguendo uno schema apparentemente casuale.

Secret Communication System
Sistema ideato da Hedy Kiesler (Hedy Lamarr) e George Antheil

La sincronia di questi passaggi veniva affidata a un altro sistema ingegnoso: un nastro perforato in grado di attivare un banco di oscillatori tarati su un insieme di frequenze discrete, un'idea che era stata presa a prestito dai pianoforti a rullo allora molto diffusi. 
Il suo sistema utilizzava infatti 88 frequenze (il numero dei tasti del pianoforte), dato che il primo prototipo del sistema era basato su una tastiera di un pianoforte: ogni tasto produceva un segnale a una data frequenza e solo seguendo un codice specifico era possibile controllare il siluro. 
L’idea fu brevettata l'11 agosto 1942, come Secret Communication System, e la coppia Kiesler /Antheil cedette il brevetto, ormai a guerra iniziata, alla Marina militare americana che però classificò il brevetto come top secret e non l'utilizzò. 
Solo nel 1950 gli ingegneri della Sylvania Electronic Systems Division hanno riconsiderato l'uso della frequenza di Lamarr come la più sicura per le  comunicazioni militari e negli anni 60, a brevetto scaduto, i militari "reinventarono" il frequency hopping (sistema utilizzato tuttora) e qualche tempo dopo la teoria dello "spread spectrum" entrò a far parte del bagaglio teorico della telefonia cellulare digitale.
Dopo aver inizialmente ricevuto pochi riconoscimenti per il lavoro sulla tecnologia spread-spectrum, nel 1997 la Electronic Frontier Foundation intitolò a Hedy e George uno dei suoi premi dedicati ai pionieri della tecnologia, il Pioneer Award dalla EFF², premio atteso da tempo per i suoi sforzi scientifici che arrivò a Hedy solo tre anni prima della sua morte nel 2000, mentre all'epoca Antheil era già scomparso da oltre 40 anni.
Per questa invenzione, Lamarr e Antheil sono stati anche inseriti nella National Inventors Hall of Fame degli Stati Uniti nel 2014.
La loro invenzione è alla basa di molti sistemi per le trasmissioni radio ancora oggi, non solo nella crittografia o in scopi militari, ma anche in ambito informatico e nella telefonia mobile.
Da allora sono stati registrati oltre 1.200 brevetti riguardanti la tecnologia spread spectrum, da lei ideata,  e le vestigia della sua tecnica frequency hopping si trovano nella maggior parte dei dispositivi digitali che comunicano in modalità wireless, come ad esempio Bluetooth, Wi-Fi e Code Division Multiple Access, il sistema americano CDMA che è alla base del nostro UMTS.

Negli anni ’40– si legge nel libro di Edoardo Segantini “Hedy Lamarr, la donna gatto. Le sette vite di una diva scienziata” – la chiamarono la donna più sexy del mondo. Ma rivelò di possedere anche una mente geniale, cui dobbiamo lo sviluppo di una tecnologia sovrana del nostro tempo: il telefonino. È questa, in breve, la storia della bellissima ebrea austriaca Hedwig Eva Maria Kiesler, diventata diva di Hollywood con il nome di Hedy Lamarr. Che odiò a morte il nazismo, e che, per combatterlo, inventò il frequency hopping spread spectrum (fhss), un sistema che evita le interferenze radio. Senza quell’invenzione non esisterebbe la telefonia mobile, perché i miliardi di conversazioni senza filo che si fanno ogni giorno nel mondo interferirebbero continuamente una con l’altra in un inferno di parole e di rumori”. 



Note

¹ Un numero si dice felice se la somma dei quadrati delle sue cifre da somma 1. 
103 è felice, infatti 1²+0²+3²= 10 da cui 1²+0²= 1

² La storia del brevetto - numero 2292387 - viene raccontata in un articolo di Hans Joachim Braun all'epoca del riconoscimento concesso dall'EFF, e in un libro "Hedy Lamarr, la donna gatto. Le sette vite di una diva scienziata" scritto da Edoardo Segantini con la collaborazione di Giovanni Pau

³ Alan Turing è noto soprattutto per aver decifrato Enigma, la macchina crittografica dei nazisti, ma il suo versatile genio spaziava su numerosi altri campi.....
Turing - L'Enigma di un genio di Giorgio Chinnici- edizioni Hoepli







Trump sarà eletto solo il 19 dicembre!

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Di solito evito di pubblicare articoli che riguardano fatti politici di attualità, preferendo "pillole di storia" riferite quindi al passato, ma stamani mi sono alzata con un'illuminazione che ho deciso di scrivere!
Illuminazione nata da una notte piena di incubi e sogni che richiedeva una riflessione mattutina di razionalità.
L'incubo o il sogno, a seconda dei punti di vita, riguardava questo: "ma Trump è davvero già il presidente degli Stati Uniti d'America?"
La risposta razionale è NO!!!!!!
Mi sono infatti ricordata delle parole di Alexander Hamilton, uno dei Padri fondatori, che nel 1788 aveva definito le ragioni dell’esistenza del Collegio Elettorale, cioè di quelli che vengono comunemente detti "i Grandi Elettori" e, non ricordandole ovviamente a memoria, sono andata a cercarle in internet e mi sono imbattuta anche in una petizione.

Alexander Hamilton raffigurato sulla banconota da 10 dolllari

Ma tornando ad Hamilton (nome che ricordavo anche perché omonimo di William Rowan Hamilton, celebre e affermato fisico-matematico irlandese a cui si deve la scoperta dei quaternioni), ideò questo strumento per timore della democrazia diretta e a tutela dell’onorabilità della Casa Bianca, per evitare la “tirannia delle masse” e perché il popolo, scriveva, “raramente giudica o decide nel modo giusto”. 

"All these advantages will happily combine in the plan devised by the convention; which is, that the people of each State shall choose a number of persons as electors, equal to the number of senators and representatives of such State in the national government, who shall assemble within the State, and vote for some fit person as President. Their votes, thus given, are to be transmitted to the seat of the national government, and the person who may happen to have a majority of the whole number of votes will be the President. But as a majority of the votes might not always happen to centre in one man, and as it might be unsafe to permit less than a majority to be conclusive, it is provided that, in such a contingency, the House of Representatives shall select out of the candidates who shall have the five highest number of votes, the man who in their opinion may be best qualified for the office. 
The process of election affords a moral certainty, that the office of President will never fall to the lot of any man who is not in an eminent degree endowed with the requisite qualifications. Talents for low intrigue, and the little arts of popularity, may alone suffice to elevate a man to the first honors in a single State; but it will require other talents, and a different kind of merit, to establish him in the esteem and confidence of the whole Union, or of so considerable a portion of it as would be necessary to make him a successful candidate for the distinguished office of President of the United States. It will not be too strong to say, that there will be a constant probability of seeing the station filled by characters pre-eminent for ability and virtue. And this will be thought no inconsiderable recommendation of the Constitution, by those who are able to estimate the share which the executive in every government must necessarily have in its good or ill administration. Though we cannot acquiesce in the political heresy of the poet who says: "For forms of government let fools contest That which is best administered is best," yet we may safely pronounce, that the true test of a good government is its aptitude and tendency to produce a good administration."


Dipinto di John Trumbull riprodotto sul retro della banconota da 2 dollari
Non è, come spesso si sostiene, la firma della Dichiarazione d'Indipendenza. 
In realtà l'autore aveva rappresentato il comitato dei cinque redattori nell'atto
di presentare il loro lavoro al Congresso. 

Folgoranti parole, più che condivisibili, a sostegno dell'idea che con questa soluzione a “cuscinetto”, dei Grandi Elettori interposti tra il voto popolare e la Casa Bianca, “la carica di presidente non finirà mai nelle mani di un uomo che non sia dotato in massima misura dei requisiti indispensabili”.
Con questo obbiettivamente non è detto che i Grandi Elettori possano effettivamente essere in grado di valutare appieno i requisiti di Donald Trump e l'opportunità che possa o meno solcare la porta della White House. 
Requisiti che forse Trump, per il suo programma e le esternazioni espresse in campagna elettorale, potrebbe non avere.
Senza dimenticare il paradosso a cui abbiamo assistito, dato dal fatto che numericamente parlando Donal Trump non ha vinto il voto popolare.
Infatti, paradossalmente, come era accaduto già nel 2000 ad Al Gore che perse contro George W. Bush, Hillary Clinton ha ottenuto 230.053 voti in più di Trump (Hillary Clinton 59.923.027 47,7% e Donald J. Trump 59,692,974 47.5%) ma ha perso!

Comunque i Grandi Elettori sono 538 e Presidente e vice Presidente vengono scelti dal Collegio elettorale degli Stati Uniti, composto dai grandi elettori. e per essere eletti bisogna avere 270 voti elettorali. E Trump ha conquistato al momento 279 voti.
Perché dico al momento?
Perché sarò solo il prossimo 19 dicembre che il Collegio Elettorale esprimerà due voti: uno per eleggere il Presidente e uno per il suo vice. 
Solo allora, formalmente e di fatto, si stabilirà chi è veramente il vincitore. 
Pochi sono stati i "traditori" e chi “tradisce” in molti Stati va incontro solo a una multa, e la preferenza non viene invalidata. 
Pur essendo possibile che tale tradimento avvenga, mi sono documentata e ho potuto constatare che nella storia degli Stati Uniti non si è mai verificato che il voto contrario del Collegio Elettorale ribaltasse il risultato. 
Da quello infatti che riferisce la no profit Fair Vote, ci sono stati 157 casi di “faithless electors”. 

Circa il 45 per cento di quei voti  sono stati cambiati perché il candidato è morto prima del loro conteggio. Dei rimanenti, in tre hanno deciso di astenersi, mentre 82 hanno votato per un candidato diverso da quello che avrebbero dovuto sostenere“. 

In sostanza come riporta il National Archives and Records Administration, nel 99% dei casi i grandi elettori non hanno tradito. 
Va analizzato anche il fatto che in questa tornata elettorale i repubblicani hanno ottenuto la maggioranza al Congresso, cosa che rende ancora più improbabile la possibilità di "tradimenti"
Nell'ipotesi remota che il "tradimento" avvenga è contemplata ancora una fase successiva, che prevede, nel caso in cui il candidato non raggiungesse la maggioranza dei voti, l'elezione di Presidente e Vice da parte della Camera dei deputati.


La White House riprodotta sul retro della banconota da 20 dollari

Come dicevo all'inizio mi sono imbattuta anche in una petizione in cui si chiede ai grandi elettori di scegliere la Clinton e di “ignorare” il voto dei rispettivi Stati, perché Trump è “inadeguato” alla carica presidenziale.
Come si legge nella petizione (a cui è possibile votare):

"Mr. Trump is unfit to serve. His scapegoating of so many Americans, and his impulsivity, bullying, lying, admitted history of sexual assault, and utter lack of experience make him a danger to the Republic." 
Mr. Trump ha usato tanti americani come capro espiatorio e la sua impulsività, la sua abitudine a bullarsi, a mentire, i suoi trascorsi di molestie sessuali e la profonda mancanza di esperienza lo rendono un pericolo per la Repubblica“.

Non so il successo che avrà questa petizione e dubito che ci saranno "traditori" sufficienti per evitare che Trump possa solcare l'entrata della White House, ma ho semplicemte voluto far chiarezza e rispondere a tutti coloro che auspicando una democrazia "diretta" non si rendono conto dei pericoli che questa cela! 


Referendum, sii realista, vota l'impossibile!

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In molti dibattiti televisivi il tema del referendum costituzionale, dell'Italicum, del sistema elettorale proporzionale o maggioritario, fanno da protagonisti e spesso viene messa in discussione addirittura la tenuta del sistema democratico.
Si sentono e si leggono posizioni davvero insostenibili o assurde sia da parte di commentatori poco esperti ed improvvisati che esternano improbabili argomentazioni sia anche da parte di "costituzionalisti" esperti e di provata competenza. 

Copertina del libro di Jason Brennan che mette in discussione la Democrazia.
Il giovane filosofo della Georgetown University, ha pubblicato un saggio contro la democrazia
 "Against Democracy" (Princeton University Press)

Ma siamo sicuri di parlare veramente nel merito della questione?
Io mi chiedo solo se c'è almeno un fondamento teorico nella matematica, nell'economia, nelle scienze sociali a sostegno delle certezze espresse nella contrapposizione  tra i fedeli alla Costituzione del 1948 e i fans della riforma Boschi-Renzi, o tra i denigratori o i sostenitori  dell'Italicum, nonché tra il sistema elettorale proporzionale o maggioritario e tra tutte le questioni messe in discussione.
Questo fondamento non c'è! Cioè non esiste una “funzione del benessere sociale”!

Continuiamo a contrapporre dibattiti senza renderci conto che i diversi sistemi elettorali, come quelli istituzionali, possono essere più o meno adeguati ai tempi, più o meno in linea con la cultura della popolazione o con le propensioni individuali, più o meno adatti alla struttura istituzionale,  ma le scelte politiche che portano a questi sistemi, intese come sistemi di decisione collettiva, non si possono basare su meccanismi razionali solidi e non contraddittori. 
Vale cioè quello che è stato definito il "Teorema dell'Impossibilità" di Arrow, che ci assicura che non possiamo aspettarci la soluzione ideale.
Senza contare altre problematiche come il Paradosso di Condorcet, la Regola di Borda, il Paradosso dei due Gelatai, di cui lascio al lettore la curiosità di scoprire.

(Kenneth Arrow 1951)
Supponendo di avere almeno tre alternative, non esiste alcuna funzione del benessere sociale F che partendo da un insieme di ordinamenti preferenziali individuali consente di ottenere un ordinamento sociale riflessivo, completo e transitivo rispettando le seguenti condizioni (o assiomi)
U Dominio universale e illimitato
P Principio di Pareto Debole
D Assenza di dittatore
I Indipendenza dalle alternative irrilevanti (iai)

Esso dice quindi che, dati i requisiti di "universalità",  "non imposizione", "monotonicità", "non dittatorialità", "indipendenza dalle alternative irrilevanti", non è possibile determinare un sistema di votazione che preservi le scelte sociali.

Albert Camus - acrilico su masonite di Manfredi

In altre parole: qual è la dinamica che porta la scelta che faccio io, alla scelta fatta da un gruppo, una collettività, una nazione, entità composte da alcuni, tanti, tantissimi individui come me?
La scelta risulterà davvero una scelta democratica?
O la scelta sarà condizionata dal potere degli ignoranti, degli hooligan, di quelli che seguono la politica a mo’ di tifoseria calcistica?
Winston Churchill definì la democrazia come la peggior forma di governo esistente, aggiungendo però che non ne aveva mai conosciuta una migliore.
Ma se siamo consapevoli che la nostra scelta non potrà mai essere supportata da una “funzione del benessere sociale”, da persone razionali, non avremmo motivi per andare a votare. 
D'altra parte se solo gli irrazionali votassero, non dovremmo poi stupirci né dei risultati delle votazioni, né delle conseguenze. 
Quindi non ci resta che pensare come Albert Camus "sii realista, chiedi l'impossibile" in questo caso "sii realista, vota l'impossibile".



Intervista impossibile a Babbo Natale!

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Mancano pochi giorni a Natale, e ogni anno immancabilmente mi ritorna alla mente una grande delusione. Quella che provai, ancora piccola 5 o 6 anni, quando scoprii che non era Babbo Natale a portarmi i regali, ma i miei genitori!
Sono stata sempre molto curiosa e indisciplinata, refrattaria ai divieti, quindi visto che mi era stato vietato di aprire un armadio, ovviamente non ubbidii e fu così che mi caddero in testa pacchetti e pacchettini, insomma i regali scrupolosamente nascosti dai miei genitori e pronti per essere messi sotto l'albero la mattina del 25!

Babbo Natale - Miracolo nella 34a strada (1994) -  Richard Attenborough
il film qui

Fu allora che mio papà mi raccontò una bella storia per spigarmi che non era tanto l'esistenza o meno di Babbo Natale ad essere importante ma il poter fare “come se” esistesse, continuando a scambiarsi i doni come prima.
Mi fece anche capire che la figura di Babbo Natale era importante per comprendere l'importanza della generosità (portare i regali a tutti i bambini del mondo), della condivisione (preparare anche qualcosa per lui e le sue renne), della proporzione (non poter portare regali voluminosi, deve fare il giro del mondo), dell'impegno, del merito e dello sforzo (essere bravi, altrimenti niente doni ma carbone) ma anche e soprattutto della pazienza nel attendere una data e condividerla con gli altri. 
Eravamo negli anni '50/60 e le conoscenze fisico/quantistiche non erano ancora di facile divulgazione quindi il mio papà non potè spiegarmi, oltre ai validi risvolti pedagogici, anche la possibilità che, a parte i giocattoli cadutimi in testa, in effetti Babbo Natale avrebbe potuto portarmene altri, e la delusione fu quindi tanta. 

Quello che infatti sto per raccontare è la risposta fisico/matematica², suggeritami dallo stesso Babbo Natale, che potrei dare ora a un mio nipotino per non fargli provare quella grande delusione o meglio per fargliela diluire nel tempo e magari stimolarlo allo studio della matematica e della fisica!
Come è noto i bambini sono molto più curiosi degli adulti e si chiedono sempre la causa e l’effetto di ogni cosa. 
Per cui non basta dare loro spiegazioni immaginifiche, che sarebbero ormai in grado di contestare con risposte logiche ed adeguate, ma dobbiamo far ricorso alla vera "scienza" per non farci sopraffare dalle loro controrisposte.
I bambini vivono ormai immersi nella tecnologia e riescono a riflettere su cosa sia vero, cosa sia falso e cosa sia verosimile.

Quindi, ricordando le interviste impossibili di Odifreddi (lui ne ha fatte a Galilei, Gesù, Hitler...), ho deciso di fare un'intervista impossibile a Babbo Natale.
Partendo dal presupposto che le domande che nascerebbero spontanee potrebbero essere legate al fatto che Babbo Natale dovrebbe:
1) visitare un numero enorme di famiglie (numero più numero meno, circa 132 milioni di case, se ci limitiamo agli abitanti di fede cattolica), 
2) percorrere milioni di chilometri per raggiungerle (quantificati in circa 282 milioni), 
3) il tutto nelle 31 ore di buio che incontrerebbe nel viaggio da est a ovest, 
4) visitare (con un facile calcolo) circa 1.200 case al secondo. 
5) portare tantissimi regali e le renne (ammesso anche che fossero in grado di volare) dovrebbero trascinare, numero più numero meno, circa 3 milioni di tonnellate di regali, 
cosa mi risponderà mai allora Babbo Natale per dimostrare la sua esistenza e soprattutto l'effettiva possibilità di fare contenti milioni di bambini buoni?

Andiamo a incominciare (AL sta per Annalisa e BN per Babbo Natale)

AL - Mi dica mi dica, caro Babbo Natale, come può soddisfare tutti quei bambini date le premesse di cui sopra?

BN - La risposta è molto semplice, cara la mia intervistatrice, posso visitare in una notte tutte le case del mondo grazie al "multiverso" e non ho nemmeno bisogno di portare niente in giro per il pianeta.

AL - (Rimango basita e richiedo) Potrebbe chiarirmi il concetto in modo che possa riferirlo poi ai miei nipotini?

BN - Certo cara Signora, cercherò di essere più chiaro.
Come lei saprà il fisico americano Hugh Everett, nel 1957 aveva teorizzato l’esistenza del “multiverso”, un’ipotesi scientifica che postula l’esistenza di universi coesistenti e alternativi al di fuori del nostro spaziotempo.
Secondo tale teoria viviamo in un "multiverso" di universi infiniti, ognuno duplicato di un altro e a seconda delle nostre scelte si crea un "multiverso" sempre diverso in base al principio delle “sliding doors” ("porte scorrevoli"), ovvero si crea una realtà alternativa ogni volta che facciamo una scelta.

AL - Mi ha incuriosito, caro Babbo Natale, e prima di chiarirmi la connessione tra il "multiverso" e la possibilità di soddisfare tanti bimbi mi potrebbe dire qualcosa di più su questa teoria?

BN - Come dicevo, in fisica moderna, il "multiverso"è un'ipotesi che postula l'esistenza di universi coesistenti fuori dello spaziotempo, spesso denominati dimensioni parallele ed è una possibile conseguenza di alcune teorie scientifiche, specialmente la teoria delle stringhe e quella delle bolle ("inflazione caotica").
Anche se il termine fu coniato nel 1895 dallo scrittore e psicologo americano William James, il concetto di universi paralleli influenzò dapprima gli scrittori di fantascienza tra cui lo statunitense Murray Leinster  (Sidewise in Time del 1934), e in seguito da molti altri, come Jorge Luis Borges, divenendo un classico della fantascienza.
D'altra parte, dal punto di vista filosofico, l'ipotesi è ancor più antica e posta, seppur come pluralità di mondi simili alla Terra, già dagli atomisti greci, trovando quindi sempre più vigore nella scoperta della grandezza effettiva dell'universo, contenente miliardi di galassie, a partire dalla rivoluzione copernicana in poi. 
Tant'è vero che un precursore dell'idea moderna di "multiverso" fu il filosofo rinascimentale Giordano Bruno che forse anche per questo fu messo al rogo.
Come ricordavo poc'anzi, dal punto di vista scientifico, il concetto di "multiverso" fu proposto in modo rigoroso per la prima volta da Hugh Everett III nel 1957.   
Il titolo originario della sua teoria fu "Relative State" formulation of quantum mechanics" e benché fosse stato molto osteggiato dai fisici di allora che sostenevano che la teoria non fosse né falsificabile né verificabile, e quindi più adatta a rientrare nell'ambito della speculazione metafisica ed epistemologica che della fisica, oggi almeno uno dei modelli del "multiverso" viene sostenuto da celebri fisici e astrofisici tra cui Stephen Hawking, il famoso scienziato della TOE (acronimo dell'inglese theory of everything) o "teoria del tutto".

AL - E' paradossalmente quindi proprio la fisica, che sembrerebbe invece porre dei limiti concreti alla possibilità di raggiungere tutti, a dimostrare questa possibilità attraverso la meccanica quantistica?

BN - Direi proprio di si e come vede è assolutamente accettabile e rigorosamente e logicamente dimostrabile!
Soprattutto lo sarà, cara Signora Annalisa, quando una quasi sua omonima, il satellite LISA entrerà in funzione, se tutto andrà come previsto, tra 18 anni. 
LISAè stato lanciato infatti per ascoltare le “vibrazioni” dell’universo, dalla base spaziale europea di Kourou, in Guyana Francese, a bordo di un razzo Vega nel dicembre dello scorso anno (3 dicembre 2015).
Saranno infatti le grandi dimensioni di eLISA¹, 5 milioni di chilometri che separeranno, lungo i lati di un triangolo equilatero, i tre satelliti, non solo a captare le onde gravitazionali, previste dalla teoria generale della relatività, formulata da Einstein giusto un secolo fa, ma anche a convalidare la teoria del "multiverso".
Questi dati forniranno indizi unici sulla formazione delle grandi strutture cosmiche e soprattutto sull’evoluzione dell’Universo primordiale, quando si generarono le prime stelle e galassie, il Big Bang!

AL - Molto interessante, ma come collegare la teoria del "multiverso" alla distribuzione dei giocattoli?

BN - Beh posso in questo modo scegliere una casa e i giocattoli adatti ed istantaneamente essere lì a darli a loro, con quella casa e quei regali fissati nel tempo.
Posso poi semplicemente passare alla "multiversa" casa successiva con il mio mix di opzioni di giocattoli e non ho quindi nemmeno bisogno di portare tutti i giocattoli in una volta, perché esisteranno come opzioni nel mio "multiverso" diventando reali quando farò la mia scelta.

 Gift Momentum Equation

Gift Probability Equation

L'intervista e le spiegazioni "quantistiche" finiscono qui e Babbo Natale mi ha lasciato anche due equazioni da far vedere ai miei nipotini.
Una rappresenta l'equazione del momento del regalo di Babbo Natale e l'altra la probabilità che il regalo arrivi, con l'esortazione a invogliare i miei nipotini a studiare bene sia la matematica che la fisica per poter un giorno capirle bene!



Note

¹le stesse masse di oro e platino che ora sono distanti meno di un metro nel compatto involucro - 2,7 metri di altezza per 2,1 di diametro – di LISA Pathfinder.
² L'idea non è solo mia e anzi ho tratto spunto leggendo un simpatico articolo da Irish Times .

Libertà di stampa, data jurnalism e metodo scientifico

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Bufale, disinformazione, pressapochismo sono spesso i connotati di articoli o post che si leggono e condividono in internet.
D'altra parte la libertà di stampa è nata in Svezia il 2 dicembre 1766 e compie 250 anni! Infatti proprio a Stoccolma venne adottata la prima legge per la tutela della libertà di stampa.
Per inciso va ricordato che nello stesso anno, in Italia, la Congregazione della Sacra Romana e Universale Inquisizione inseriva il libro "Dei delitti e delle pene" dell’illuminista Cesare Beccaria nell’indice dei libri proibiti.





La prima legge sulla libertà di stampa promulgata dalla Svezia il 2 dicembre 1766

Spesso, proprio in contrapposizione al pressapochismo, si parla del metodo di informazione giornalistica detto "data jurnalism", ovvero la trasformazione dei grandi numeri in racconto, per rendere più facile la comprensione e l’impatto.
Metodo che deve dir grazie proprio a quella legge che ha poi permesso anche una libera consultazioni dei dati.
Ma cosa si intende per data jurnalism?
In internet troviamo questa definizione:
"Per data journalism o giornalismo di precisione (in inglese: computer-assisted reporting, data driven journalism o database journalism, abbreviato in data journalism) s'intendono quelle inchieste o quei lavori di approfondimento realizzati con gli strumenti della matematica, della statistica e delle scienze sociali e comportamentali, che sono applicate alla pratica del giornalismo.
Inoltre si attribuisce il termine "data journalism" sia ai tipi di inchieste giornalistiche che sono portate avanti con il rigore del metodo scientifico, sia a quelle che semplicemente richiedono un computer per accedere a grandi quantità di dati e il suo potere di calcolo per confrontare quelli d'interesse."
Il "data jurnalism", il giornalismo di precisione, è quindi un metodo che più si avvicina a una vera ricerca scientifica. 

Il giornalista, il cronista o lo scrittore applicano il massimo rigore scientifico nello scrivere un articolo per descrivere un fatto. Un metodo di analisi rigorosa dei dati che dovrebbe conferire quindi più precisione e obiettività alla notizia.
Tra gli strumenti del giornalismo di precisione c'è l'uso dei fogli di calcolo per analizzare le informazioni, la ricostruzione di un fatto attraverso i documenti, la realizzazione dei sondaggi e anche la costruzione di mappe per mostrare risultati ottenuti. 
Questo tipo di giornalismo beneficia soprattutto di Internet, da un lato per potenziare l’interattività con il lettore grazie agli strumenti multimediali, e dall'altro per attingere alle banche dati, grazie al fenomeno dell'"open data".
L'open data è infatti una fonte molto importante perché permette di reperire dati liberamente accessibili a tutti, fermo restando se mai l'obbligo di citarne la fonte.

E vediamo cosa s'intende per open data! 
L'open data si richiama alla più ampia disciplina dell'open government, cioè della dottrina in base alla quale la Pubblica Amministrazione (PA) dovrebbe essere aperta ai cittadini, tanto in termini di trasparenza quanto di partecipazione diretta al processo decisionale, grazie proprio alle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
L'open data, avendo alla base un'etica simile ad altri organi e comunità di sviluppo "open", come l'open source, l'open access e l'open content, risulta quindi una fondamentale risorsa per il data jurnalism.  
Il data jurnalism fa quindi di frequente riferimento a informazioni rappresentate in forma di database e riferite alla tematiche più disparate, ad esempio: cartografia, genetica, composti chimici, formule matematiche e scientifiche, dati medici e delle bioscienze, dati anagrafici, dati governativi, ecc. 
Certo si possono incontrare alcune difficoltà oggettive che impediscono una larga diffusione di questi dati, quali restrizioni dovute alla privacy, al segreto statistico, a dati protetti o segreti aziendali.

Secondo i sostenitori del movimento open data, i dati andrebbero trattati come beni comuni e a sostegno di questa tesi ecco di seguito alcune argomentazioni:

- I dati appartengono al genere umano. Esempi tipici sono i genomi, i dati sugli organismi per la scienza medica, dati ambientali e meteorologici, ecc.
- I dati prodotti dalla Pubblica Amministrazione, in quanto finanziati da denaro pubblico, devono ritornare ai contribuenti, e alla comunità in generale, sotto forma di dati aperti e universalmente disponibili
- Restrizioni sui dati e sul loro riutilizzo limitano lo sviluppo della comunità
- I dati sono necessari per agevolare l'esecuzione di comuni attività umane (ad esempio i dati cartografici, le istituzioni pubbliche, ecc.)
- In campo scientifico il tasso di scoperta è accelerato da un migliore accesso ai dati.
- È essenziale che i dati scientifici siano resi aperti per fare in modo che la scienza sia più efficace e la società ottenga il massimo beneficio dalle ricerche scientifiche.

E a proposito di ostacoli all'apertura dei dati si ricorda un'emblematica dichiarazione di John Wilbanks, direttore esecutivo dello Science Commons:

"Numerosi scienziati hanno sottolineato con ironia che proprio nel momento storico in cui disponiamo delle tecnologie per consentire la disponibilità dei dati scientifici a livello globale e dei sistemi di distribuzione che ci consentirebbero di ampliare la collaborazione e accelerare il ritmo e la profondità della scoperte... siamo occupati a bloccare i dati e a prevenire l'uso di tecnologie avanzate che avrebbero un forte impatto sulla diffusione della conoscenza."

Il progetto Open Definition di Open Knowledge Foundation utilizza la seguente frase per definire gli open data (dati e contenuti aperti):

"Un contenuto o un dato si definisce aperto se chiunque è in grado di utilizzarlo, ri-utilizzarlo e ridistribuirlo, soggetto, al massimo, alla richiesta di attribuzione e condivisione allo stesso modo"

E' questa una definizione molto sintetica che viene meglio spiegata attraverso il documento, "Conoscenza Aperta", in 11 punti che mette chiarezza sulle modalità di distribuzione e di accesso a tali informazioni i cui contenuti sono molto simili a quelli della OSI definition (Open Source Initiative).

Negli Stati Uniti una grossa spinta all'affermarsi del movimento open data in ambito governativo è stata data dall'uscente Presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama con la promulgazione della Direttiva sull'open government nel dicembre 2009, nella quale si legge testualmente:

"Fin dove possibile e sottostando alle sole restrizioni valide, le agenzie devono pubblicare le informazioni on line utilizzando un formato aperto (open) che possa cioè essere recuperato, soggetto ad azioni di download, indicizzato e ricercato attraverso le applicazioni di ricerca web più comunemente utilizzate. Per formato open si intende un formato indipendente rispetto alla piattaforma, leggibile dall'elaboratore e reso disponibile al pubblico senza che sia impedito il riuso dell'informazione veicolata"

Alla direttiva sopra citata è stato dato un seguito "tangibile" attraverso il sito pubblico Data.gov , lanciato nel maggio 2009 dal "Chief Information Officer" (CIOdell'amministrazione pubblica statunitense Vivek Kundra. 
Il sito è stato creato con l'obiettivo principale di raccogliere in un unico portale tutte le informazioni rese disponibili dagli enti statunitensi in formato aperto.


Libertà di stampa nel mondo

E la situazione in Italia qual'è?
La Legge n. 221, del 17 dicembre 2012, ha formalizzato una definizione di open data (formalmente "dati di tipo aperto") inserendola all'interno dell'art. 68 del Codice dell'Amministrazione Digitale.
Secondo tale definizione, sono dati di tipo aperto, i dati che presentano le seguenti tre caratteristiche:
- sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato
- sono accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti, sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati
- sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione.

Tale definizione, in coordinamento con quanto disposto dall'articolo 52 dello stesso codice, rappresenta la base per il cosiddetto principio open by default ora presente nell'ordinamento italiano.
La realizzazione di un portale italiano dell'Open data sul modello dei datagov anglosassoni, il portale dati.gov.it, è stato messo on line il 18 ottobre 2011.
Open Knowledge Foundation Italia e il Centro NEXA su Internet & Società del Politecnico di Torino hanno offerto il repository it.ckan.net dove chiunque poteva segnalare i dataset italiani disponibili online, assorbito da unico portale internazionale datahub.io/ 
Un servizio analogo era gestito dalla comunità del sito Spaghetti Open Data , ma il servizio è stato sostituito dal sito nazionale dati.gov.it , nel quale sono confluiti i dataset presenti. 
Da settembre 2012 è disponibile anche datiopen.it, e altre iniziativa indipendenti che offono a tutti servizi gratuiti di segnalazione, caricamento e visualizzazione come opendatahub.it , opengeodata.it .......
Inoltre molto importante è stata l'approvazione nel maggio di quest'anno (2016) della legge Foia, Freedom of information act, che dà la possibilità a qualunque cittadino, giornalisti inclusi, di richiedere e ottenere dalla pubblica amministrazione dati, informazioni e documenti.

Un approccio scientifico quindi decisamente interessante che però può avere anche un risvolto negativo.
Non va dimenticato infatti che più dati informativi non portano necessariamente e sempre a un'informazione completamente obbiettiva, anche perché i dati possono essere saggiamente manipolati o adattati alle ipotesi di partenza o alle tesi che si vogliono sostenere.
Lawrence Lessig in "Cultura libera - Un equilibrio fra anarchia e controllo, contro l'estremismo della proprietà intellettuale" (Free Culture: How Big Media Uses Technology 
and the Law to Lock Down Culture and Control Creativity) chiamava in causa la "trasparenza patologica della tecnologia".
Lawrence Lessig è un giurista statunitense. Direttore della Edmond J. Safra Foundation Center for Ethics dell'Università di Harvard, dove insegna anche diritto, fondatore dello Stanford Center for Internet and Society (Centro per Internet e la società), fondatore e amministratore delegato di Creative Commons, nonché membro del consiglio direttivo della Electronic Frontier Foundation e di quello del Software Freedom Law Center, costituito nel febbraio 2005, accanito sostenitore della libera consultazione dei dati ha anche però ammonito sulla possibile manipolazione degli stessi forse ricordando un vecchio detto in voga tra gli statistici: "tortura i dati abbastanza a lungo e ti diranno quello che vuoi".


Fonti
Tra le fonti alcuni articoli e le informazioni di Wikipedia

Ennio De Giorgi, video/intervista a un grande matematico del '900

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Leggendo il tema del Carnevale della Matematica di gennaio 2017, ospitato da Maurizio Codogno, "dimostrazioni non standard", mi è tornato alla mente un dattiloscritto "L'analisi matematica standard e non standard rivista in una nuova prospettiva scientifica e culturale" che mi era capitato di leggere e che trovai davvero illuminante.
Si tratta di un dattiloscritto molto tecnico e per addetti ai lavori (qui per scaricare file .pdf) in cui  si sottolinea il ruolo degli assiomi fondamentali, dei concetti base della matematica di cui però non voglio qui parlare, anche perché non sarei in grado di farne un sunto coerente e scientificamente appropriato alla genialità di chi l'aveva scritto, il grande matematico Ennio De Giorgi.

"Si tratta di un primo spunto che potrà essere sviluppato in diverse direzioni, anche in vista di uno degli obbiettivi: rendere la matematica sempre meno “grigia”, sempre più “colorata”...."

Propongo invece questa video/intervista dell'Unione Matematica Italiana del luglio 1996, fatta da Michele Emmer pochi mesi prima della morte di De Giorgi (8 febbraio 1928 - 25 ottobre 1996) e riproposta dal Centro di Ricerca Matematica Ennio De Giorgi lo scorso settembre 2016.
Ascoltarlo sarà sicuramente un piacere anche perché, come simpaticamente diceva De Giorgi, "scripta volant, verba manent"!¹
Vi lascio quindi all'ascolto di questa intervista, forse meglio dire "lectio magistralis", del grande matematico del Novecento, di cui trovate trascritto anche il testo.

Video/intervista a Ennio De Giorgi (luglio 1996)

L'intervista si snoda su vari punti che caratterizzano altrettanti argomenti, ma soprattutto si apre e si chiude con sagge osservazioni sull'importanza dei Diritti Umani:
Matematica e realtà
Matematica e ambiente
Matematica e creatività
Matematica e computer
Matematica e cultura
Matematica e linguaggio
Matematica e intuizione
Matematica e insegnamento

Testo dell'Intervista

Per quanto mi riguarda, da bambino avevo un certo gusto a risolvere piccoli problemi ma avevo anche una certa passione nel fare dei piccoli esperimenti che si potevano dire, se non di fisica, di pre-fisica. Mi sono poi iscritto al primo anno di ingegneria all’epoca in cui ancora c’erano i corsi comuni di matematici, ingegneri, fisici. E nel corso del primo anno mi sono accorto che la mia vocazione naturale era soprattutto verso la matematica. Io penso che sia stato un grande peccato la separazione fin dal primo anno di matematici, fisici, ingegneri. Da un lato fa perdere un certo numero di persone che potenzialmente potrebbero essere buoni matematici, ma che inizialmente hanno ancora una vocazione non differenziata tra matematica, ingegneria e fisica, e in secondo anche chi ha una netta predisposizione per la matematica lo porta a perdere il contatto vivo con le altre scienze, porta alla fine a un isolamento come mentalità del matematico rispetto a tutte le
altre discipline con cui pure invece la matematica deve mantenere un costante rapporto.


De Giorgi in aula alla Normale di Pisa

Matematica e realtà

Credo che sia un mistero il motivo dell’utilità della matematica nei confronti della realtà non solo fisica, ma anche biologica, economica, eccetera. Io penso che l’indicazione per me più suggestiva viene dal Libro dei Proverbi, uno dei più antichi libri della Bibbia, che a un certo punto dice che "la matematica, cioè che la sapienza, che è più grande della matematica, era con Dio quando Dio creava il mondo e la sapienza ama farsi trovare dagli uomini che la cercano e la amano". Penso che la matematica sia una delle manifestazioni più significative dell’amore della sapienza e come tale la matematica è caratterizzata da un lato da una grande libertà e dall’altro da una intuizione che il mondo è grandissimo, è fatto di cose visibili e invisibili, e la matematica ha forse una capacità unica tra tutte le scienze di passare dalla osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili. Questo forse è il segreto della forza della matematica. Un altro aspetto, che è un altro dei segreti della forza della matematica, è la libertà e la convivialità; il matematico ha una libertà che forse altri scienziati hanno meno o non hanno, pensare alle cose che lo interessano di più, scegliere gli argomenti che ritiene più belli e il modo che ritiene più bello di affrontarli, perfino fissare gli assiomi da cui vuole partire nelle sue successive elaborazioni; dall’altro il matematico ama il dialogo con gli altri; risolvere un problema matematico senza avere un amico a cui esporre la soluzione e con cui discutere anche la natura del problema e la sua importanza, significa di fatto perdere buona parte del gusto della matematica. Quindi credo che una delle caratteristiche della forza della matematica sia proprio questo saper unire libertà di iniziativa e capacità del singolo di lavorare da solo. Mi ricordo che già al liceo, per esempio, mi piaceva quando c’era un teorema di costruire da me una dimostrazione diversa da quella del libro. Nello stesso tempo disponibilità e anzi necessità del dialogo con colleghi più informati o comunque disposti, anche se meno informati, ad ascoltare e commentare i nostri discorsi, disponibilità al dialogo con studiosi di altre discipline, con la filosofia, con l’arte, con studiosi di materie letterarie o umanistiche; credo che la forza della matematica sia la capacità di unire questi due aspetti: la convivialità e la condivisione del sapere, il desiderio di dialogo e di amicizia con la libertà di immaginare, di lavorare autonomamente sulle idee che ciascuno trova più belle, più interessanti. Questo doppio aspetto della matematica secondo me è il motivo del suo fascino e forse anche il segreto e la sua stessa forza. La capacità umana di riuscire a capire, anche se parzialmente, il mondo senza dimenticare le famose parole di ShakespeareVi sono più cose in cielo e in terra di quante ne sogni la tua filosofia”. Questo spiega perché in matematica non c’è un conflitto fra innovazione e amore per la tradizione di ciò che di grande e di bello hanno fatto i matematici che ci hanno preceduto; le due cose, anzi, si completano e si armonizzano. Uno capisce la forza del teorema di Pitagora quando si arriva agli spazi ad infinite dimensioni di Hilbert e al fatto che anche là c’è l’equivalente del teorema di Pitagora: la norma della somma di due vettori ortogonali. Questo fa parte anche di una visione umanistica più ampia: l’idea che la scienza sia parte della sapienza, che ci sia uno stretto legame tra scienza e diritti umani. Per esempio, è molto bello l’articolo (della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) sulla scuola (art. 26/2) che raccomanda non solo la tolleranza ma anche la comprensione e l’amicizia tra le varie nazioni e i vari gruppi religiosi. La comprensione e l’amicizia sono due nozioni che spesso vengono dimenticate quando si parla di tolleranza; la tolleranza pura è un sentimento molto povero; unito alla comprensione e all’amicizia veramente fa progredire tutta la personalità umana, fa progredire le scienze, che non possono andare avanti senza comprensione e amicizia tra gli scienziati. Questa stessa comprensione ci dice che la comprensione tra i gruppi religiosi suppone anche che ciascuno confessi con molta semplicità quelle idee, quei principi religiosi in cui veramente crede. Per me l’idea della resurrezione, l’idea che la vita non finisce nel breve arco degli anni che abbiamo, l’idea che anche le persone carissime che sono morte vivono in qualche modo ancora, è uno degli elementi fondamentali della mia vita e anche della mia attività di ricerca. E’ uno dei motivi per cui posso continuare a studiare, immaginare cose nuove anche a una età in cui uno potrebbe dire sono verso la fine della carriera accademica, penso che è un tragitto in cui fino all’ultimo devo amare la sapienza in modo completo sperando che quest’amore continuerà anche se in altre forme dopo la morte.


De Giorgi conferisce Lauree all'Università di Lecce

Matematica e ambiente

La matematica richiede da un lato libertà, capacità anche di riflessione personale, dall’altro richiede anche dialogo, confronto con altre persone. Quindi certamente avere un ambiente stimolante, professori, altri studenti, amici disposti a parlare amichevolmente di matematica, di scienza, di filosofia, è importante per la formazione di un matematico come credo per la formazione di un qualsiasi altro studioso. Nel matematico è più accentuata questa complementarietà dell’amicizia, della comunicazione del sapere e dell’autonomia, della libertà, della necessità per ciascuno di raccogliersi poi da solo a meditare, a sognare,   come dico io, seguendo le parole di Shakespeare, gli enti matematici, i mondi in cui la matematica spazia. Io, per esempio, ho studiato e mi sono laureato con il professor Picone all’Istituto di Matematica di Roma; pur essendo nel suo lavoro accademico fedele agli schemi dell’epoca, il cosiddetto “barone”, però nella discussione dei problemi scientifici era una persona estremamente aperta.
Mi ricordo quando eravamo ancora studenti, ci diceva guardate che quando si parla di problemi scientifici potete benissimo dire che io sbaglio perché siamo alla pari di fronte alla scienza”. Era estremamente liberale nel dialogo scientifico pur nel pieno rispetto della disciplina e degli ordini accademici dell’epoca. È stata forse una delle ragioni che hanno fatto di Picone un grande maestro: che ha avuto allievi diversissimi come FicheraCaccioppoli, e tanti altri, con caratteri, con interessi anche matematici molto diversi ma tutti erano stati attratti da questa disponibilità di Picone, dal suo interesse per tutti i problemi, sia per quelli che lui personalmente aveva studiato e risolto sia per quelli che invece interessavano qualcuna delle persone che venivano a parlare con lui.


De Giorgi in udienza da Papa Giovanni Paolo II

Matematica e creatività

Io penso che all’origine della creatività in tutti i campi ci sia quella che io chiamo la capacità o la disponibilità a sognare, a immaginare mondi diversi, cose diverse, a cercare di combinarle nella propria immaginazione in vario modo. A questa capacità, forse alla fine molto simile in tutte le discipline (matematica, filosofia, teologia, arte, pittura, scultura, fisica, biologia, ecc.) si unisce poi la capacità di comunicare i propri sogni, e una comunicazione non ambigua richiede anche la conoscenza del linguaggio, delle regole interne proprie di diverse discipline. Quindi credo che ci sia una capacità di sognare generalmente indistinta come generalmente indistinto era il sentimento che gli antichi chiamavano filosofia, o amore della sapienza, e poi vari modi di comunicare in modo non ambiguo questi sogni, schemi diversi che sono propri delle diverse discipline, e anche delle diverse arti, delle diverse forme del sapere umano. Io vedo questa iniziale capacità comune e poi diversi modi di rendere comunicabili agli altri e in ultima analisi di chiarire a se stessi, perché quando si comunica qualcosa in realtà la si chiarisce anche a se stessi.
Qualunque persona che abbia esperienza di insegnamento sa che insegnare una materia significa capirla meglio di quanto la si capisca prima di averla insegnata. C’è quindi questa capacità che si articola poi in molte forme, da un lato di comunicare agli altri, dall’altro attraverso la comunicazione di approfondire i nostri stessi pensieri, attraverso anche l’ascolto della reazione dell’interlocutore alla nostra comunicazione.
Quello che vorrei con questa intervista apparisse chiaro è l’idea che ho maturato con il passare degli anni, di un fondamento comune di tutte le scienze e le arti, il senso della sapienza come base comune di cui poi tutte le varie discipline sono tante facce che dobbiamo distinguere perché la natura umana, il linguaggio umano ha bisogno per essere chiaro e non ambiguo di fissare di volta in volta certi riferimenti locali e specialistici. Nello stesso tempo non dobbiamo chiuderci nella specializzazione, chiuderci nella matematica, chiuderci addirittura in un ramo della matematica se non vogliamo isterilire anche la nostra creatività in questo ramo speciale, quindi sapere nello stesso tempo rispettare i linguaggi, i metodi, i criteri propri di ogni disciplina ma nello stesso tempo evitare sia il riduzionismo che vuole ridurre i metodi e i linguaggi di tutte le discipline ai metodi e ai linguaggi di una sola disciplina, o addirittura di un ramo di una disciplina, sia la rinunciare al rispetto di alcune regole minime di coerenza e di precisione senza le quali si fanno dei discorsi a ruota libera di cui nessuno riesce a capire esattamente il senso. 
Il consiglio che dico a tutti: pensate con grande libertà ma poi sforzatevi di tradurre i vostri pensieri in una forma realmente comprensibile, realmente chiara e non ambigua e provate a comunicarli ad altri amici ad altre persone per vedere se effettivamente avete trovato la forma giusta.


De Giorgi in conferenza

Matematica e computer

Io credo che il computer è un ausilio utile per chi lo sa usare con una certa sicurezza e libertà, o almeno per chi ha amici che lo sanno usare con sicurezza e libertà di immaginazione. È chiaro che il computer diventa dannoso se uno immagina che sia un 
sostituto della fantasia. La libertà di fantasticare bisogna conservarla intatta e vedere nel 
computer un mezzo di verifica di alcune nostre ipotesi oppure come fonte di suggestioni che ci mostrano dei fenomeni un po’ strani di cui poi dobbiamo immaginare una interpretazione oppure un modo di organizzare le nostre esposizioni. È certamente un ausilio utile e importante. E’ esso stesso una fonte di problemi; chiedersi cosa è computabile, cosa non è computabile, oppure quali sono i tempi di esecuzione di una certa operazione. Indubbiamente da questo punto di vista la stessa esistenza dei computer
rappresenta un problema e quindi una fonte di nuove idee per la matematica. La teoria astratta delle funzioni computabili poteva essere fatta anche in assenza di computer, anche se l’idea di una macchina calcolatrice è abbastanza vecchia; come Pascal e Leibniz, molti hanno pensato di meccanizzare in qualche modo il calcolo matematico. Gli stimoli a pensare cosa è meccanizzabile nell’idea di algoritmo, con più ampia interpretazione del concetto di meccanizzabile; c’è lo studio amplissimo delle macchine ideali che dovrebbero per esempio lavorare per miliardi e miliardi di anni. Anche nello studio dei computer c’è poi un passaggio quasi insensibile dai computer concretamente fabbricabili o di cui si può immaginare la fabbricazione concreta in tempi non troppo lontani e i computer ideali che hanno struttura logica simile a quella dei computer concreti e che però hanno altre caratteristiche, per cui è da escludere la loro concreta fabbricazione.
Quindi in fondo anche lo studio dei computer oltre che strumento utile del lavoro matematico è anche oggetto utile della riflessione matematica. Anche loro si prestano ad essere immersi in quel campo più ampio di cose visibili e invisibili, costruibili e non costruibili, computabili e non computabili.


Lectio Magistralis di De Giorgi alla Sorbona di Parigi

Matematica e cultura

Credo che culturalmente la ri×essione su quelli che sono i concetti fondamentali della matematica, di cui in fondo gli assiomi rappresentano il tentativo di esporli nel modo più chiaro e meno ambiguo possibile, sia uno degli aspetti culturalmente più importanti della matematica antica e moderna. Del resto, non è che questa discussione sia dei nostri tempi, è già cominciata nella disputa sui postulati di Euclide. Altra lunga disputa, forse mai completamente risolta, è quella sui fondamenti del calcolo infinitesimale, se potevano essere ritenuti “rigorosi” o meno, le varie forme successive di assiomatizzazione del calcolo infinitesimale e questi sono argomenti culturalmente importanti e fanno parte, dovrebbero far parte, almeno come notizia, della cultura di ogni persona. Da parte mia mi sono sempre occupato del ruolo degli assiomi fondamentali, dei concetti base della matematica e delle altre scienze; credo che il problema di un’assiomatica anche della fisica, della biologia, sia egualmente necessario. 
Un tentativo di assiomatizzare vuol dire semplicemente tentare di dire con maggior chiarezza e semplicità possibile quelli che ci sembrano i dati da cui partiamo nei nostri discorsi di matematica, di biologia, di fisica, di economia,ecc. Molti di questi discorsi sugli assiomi li ho fatti trovando un notevole interesse nella facoltà di economia di Roma. In fondo l’economia ha anch’essa dei problemi assiomatici, vedere quali sono le affermazioni fondamentali riguardanti il valore, la moneta, il mercato, l’operatore.
Probabilmente anche in economia si potrebbe arrivare a una notevole chiarificazione dei concetti adottando quello che è il metodo assiomatico, il metodo di dire nel modo schematico più semplice possibile, quelle che sono ritenute le verità fondamentali di una determinata disciplina, o almeno la proposta di quelle che chi parla ritiene verità fondamentali o concetti o metodi fondamentali; naturalmente chi enuncia gli assiomi è anche libero di precisare in che senso questi suoi assiomi li intende e vuole farli intendere; credo che questo metodo sia comunque culturalmente valido e il più importante. Soprattutto è importante non pensare che questa sia una operazione specialistica. Se uno pensa che ci siano gli specialisti dei fondamentali della matematica e che uno deve parlare e deve essere ascoltato e compreso solo dagli specialisti, già ha perso, secondo me, il significato di quello che deve essere la ricerca dei concetti fondamentali della disciplina. Il che non vuol dire che alcune ricerche specializzate sui teoremi di Gödel, sulla computabilità, sulle questioni indecidibili non siano importanti e non debbano essere sviluppate. È anche importante secondo me riuscire a far capire che almeno le radici di queste questioni sono in domande perfettamente comprensibili o che dovremmo rendere perfettamente comprensibili a ogni persona colta. Naturalmente anche dalla persona colta ci vuole certo uno sforzo simmetrico, la voglia di occuparsi di queste cose, di dedicarvi una ragionevole attenzione.
Nell’antichità ci fu un’ampia discussione sui numeri irrazionali che in fondo era un concetto di fondamenti. 
Riteniamo che numero è solo il numero intero; che ci possano essere anche altre possibilità? 
La divisione attuale o potenziale di un segmento in infinite parti. Questi discorsi fecero parte, potrebbero far parte anche oggi di discussioni. Alla radice spesso si vede una grandissima affinità tra i problemi antichi e moderni. Per esempio, la vecchia antinomia del mentitore è tutt’ora, in varie forme, uno dei nodi centrali della riflessione logica sui fondamenti della matematica. In fondo questo interesse delle persone colte del mondo greco per l’antinomia del mentitore o per il problema della esistenza di numeri irrazionali, o curiosità analoghe, potrebbero essere, e dovrebbero essere ancora elemento centrale del dibattito, della riflessione culturale del mondo moderno, anche perché una serie di risultati tecnici come i teoremi di Gödel ci fanno riflettere: sappiamo veramente che cosa sono i numeri naturali? 
Quella che intuitivamente mi sembra la risposta più semplice da dare all’ascoltatore esterno sui risultati di indecidibilità di Gödel è quella di dire: noi pensiamo che in qualche modo la totalità dei numeri naturali ci sia, anche se questo pone un altro problema: cosa vuol dire esserci di un oggetto matematico.
Comunque, nei limiti di questo ulteriore dibattito sull’ esistenza degli oggetti matematici, uno può dire: noi lavoriamo pensando che esista l’insieme di tutti i numeri naturali; d’altra parte pensiamo anche che non c’è nessun sistema finito di assiomi che descriva completamente l’insieme di tutti i numeri naturali e quindi qualunque assioma sulla somma, il prodotto, l’ordine, le classi di numeri naturali, sarà soddisfatto da quello che potremmo chiamare l’insieme dei numeri naturali “veri”, ma ci saranno anche tanti altri insiemi di oggetti, detti numeri naturali non standard, che verificano gli stessi assiomi. Non riusciamo mai a dare un numero finito di assiomi che caratterizzi univocamente solo i numeri naturali “veri”. Non so se questo discorso è un discorso che può essere compreso da una persona colta anche non matematica. L’insieme dei numeri naturali è un insieme così complesso, così misterioso che qualunque informazione noi riusciamo con le nostre capacità di linguaggio umano a dare sui numeri naturali non è ancora mai la descrizione esauriente della struttura dei numeri naturali. Questo non meraviglia, in fondo l’insieme dei numeri naturali è infinito, quindi non meraviglia che con parole finite noi possiamo indicarlo, possiamo segnalarne molte caratteristiche ma non le possiamo descrivere tutte e nemmeno ne possiamo descrivere un numero finito di caratteristiche da cui tutte le altre siano deducibili. In fondo l’indecidibilità ci dice che ci saranno sempre delle caratteristiche che non sono deducibili da quella informazione finita che noi abbiamo dato sui numeri naturali.


Alcuni libri di Ennio De Giorgi (produzione e testi)

Matematica e linguaggio

Molte volte si dice: se facciamo una nota scientifica in italiano nessuno la legge, il che poi non è vero: se la nota è veramente buona, in realtà viene letta. 
Personalmente ho sempre scritto in italiano, sono incapace di scrivere di getto in inglese, ho visto però che le note che avevano un qualche valore erano conosciute in un tempo abbastanza breve. 
Penso che bisognerebbe, cominciando dalle note prima ancora che dai libri, far capire che è importante che ci sia un gran numero di note su argomenti moderni, scritte in buon italiano se non vogliamo che l’italiano si atrofizzi come lingua scientifica. Questo è un grosso problema, quello della conservazione all’italiano della capacità di essere una lingua scientifica e anche una lingua scientifica naturalmente flessibile, capace sia di creare nuovi vocaboli sia di assumere vocaboli stranieri e integrarli nel suo contesto, comunque capace di avere costrutti sintattici, grammaticali che siano nello stesso tempo linguisticamente eleganti anche se non con l’eleganza di un secolo fa o di due secoli fa, che siano molto chiari, molto leggibili, anche molto traducibili in lingue straniere, anche perché si corre il rischio che tutta la produzione scientifica sia scritta solo in inglese da persone che conoscono piuttosto male l’inglese, ha l’effetto di un impoverimento della letteratura
scientifica anche come forma di letteratura linguisticamente bella, il che secondo me è molto pericoloso. In fondo perché ci siano molti lavori ben scritti in inglese e nello stesso tempo chiari ed eleganti dal punto di vista artistico, è utile che anche nelle principali lingue che hanno una grossa tradizione di letteratura scientifica continui questa volontà di scrivere dei buoni lavori e dei buoni libri moderni ma non piatti e sciatti sul piano linguistico; questo è uno dei problemi che vanno posti all’attenzione di tutte le persone che lavorano in matematica e in fisica, in ingegneria e nelle altre scienze. Mantenere il contatto con la comunità internazionale, magari imparare l’inglese e il francese o il russo meglio di quanto non sia capace io, che non sono molto portato alle lingue, e allo stesso tempo sforzarsi di produrre lavori scritti in buon italiano, il che non vuol dire lo stesso
italiano dei lavori scientifici di 50, di 100 anni fa. Fare che la lingua si evolva ma si evolva adeguandosi anche al modificarsi delle conoscenze scientifiche, si evolva restando una lingua bella ed espressiva anche nell’esposizione delle più moderne teorie scientifiche. Nella divulgazione alternare a esposizioni di problemi particolari, la presentazione a un pubblico vario di problemi di tipo invece più generale, per esempio sul significato della parola "esiste" in matematica, sul rapporto tra realtà fisica e realtà matematica, ecc. Cercare che tutta la gamma di riflessioni dal particolare al generale, dallo storico al moderno sia presente alle persone che hanno delle curiosità. Tenere conto del grande ruolo che la storia della scienze può avere nella comprensione delle discipline scientiÖche attuali; nello stesso tempo non cadere in quella forma di riduzionismo che è lo storicismo, il pensare che noi sappiamo tutto su un certo argomento quando abbiamo conosciuto la storia di quell’argomento. 
Accanto al punto di vista storico c’è il punto di vista metastorico: si chiede tu che cosa pensi di questa cosa. Nella stessa storia è giusto dire: non attribuiamo a una persona idee che ancora non esistevano ai suoi tempi, senza dimenticare che alcune idee iniziali di 500, 1000 anni fa, avevano in sé la potenzialità di certe implicazioni che sono state scoperte successivamente. Chi ha scritto certi assiomi non poteva sapere tutti i teoremi che da quegli assiomi sarebbero stati dedotti però la conoscenza di tutti questi teoremi indubbiamente è un elemento che ci fa apprezzare di più l’intuito iniziale di quella persona che ha scritto quegli assiomi. Riconoscere l’importanza della storia ma non prendere la mentalità storicistica. Il tutto va visto come dicevano gli antichi "sub specie aeternitatis", vedere in fondo certe idee come sono rimaste attraverso l’evoluzione del tempo anche se espresse in modo diverso. Certi motivi ritornano in forme diverse in epoche molto lontane; è importante avere questa duplice visione. Come per esempio a concetti analoghi sono arrivate civiltà diverse non comunicanti tra loro, almeno nel momento in cui certe idee dall’una e dall’altra venivano scoperte. Quindi saper vedere insieme l’aspetto storico e l’aspetto che non so come chiamare, chiamiamolo metastorico.


Il teorema di De Giorgi-Nash sulla regolarità delle equazioni 
differenziali ellittiche

Matematica e intuizione

Il ruolo dell’esistenza, o della realtà, degli enti matematici. Il realismo di chi dice: i teoremi ci sono, vi è una successione di proposizioni che esiste in sé e viene scoperta prima o dopo. Invenzione e scoperta sono molto affini, tutte e due vengono da “il trovare”; nell’idea di scoperta c’è l’idea di “togliere la coperta”, di qualche cosa che c’è già e che viene in qualche modo messo in luce mentre prima era nascosto. L’invenzione è qualche cosa che si trova, il trovare perché era nascosto o trovare perché si costruisce, questa è un discorso che non ha una risposta dimostrabile; alla fine l’eterno problema di che cosa vuol dire conoscere, che cosa vuol dire sapere, che vuol dire inventare, un discorso che alla fine sbocca nel percorso misterioso della sapienza. In mezzo ci sono tante altre cose di cui constatiamo l’esistenza, constatiamo, per esempio, il fatto che un assioma enunciato in un certo secolo ha come conseguenza logica necessaria un teorema la cui dimostrazione è trovata molti secoli dopo. Per le dimostrazioni sarei portato più a parlare di invenzione mentre per gli enunciati dei teoremi sarei più portato a parlare di scoperta; anche perché di fatto la dimostrazione in fondo è il ritrovamento di una delle possibili strade attraverso cui da certi assiomi si arriva a un certo teorema; quindi ha veramente qualcosa di più inventivo, di costruzione, di quanto non abbia il teorema stesso. Del resto è abbastanza frequente che due matematici trovino in modo del tutto indipendente lo stesso teorema come enunciato, poco probabile che senza essersi mai incontrati diano veramente la stessa dimostrazione. Il teorema è qualcosa che si scopre, la dimostrazione qualcosa che si inventa di più. Un caso di mia esperienza personale; io e Nash siamo arrivati a dimostrare lo stesso teorema ovvero due teoremi molto vicini; dal teorema di Nash si deduce quasi immediatamente il mio teorema, seguendo delle vie dimostrative completamente diverse. (De Giorgi parla del famoso teorema di De Giorgi-Nash sulla regolarità delle equazioni differenziali ellittiche)² 
Quindi anche dalle mie esperienze vedo più la scoperta del teorema che effettivamente può essere fatta da diverse persone come se il teorema stesse là, aspettasse qualcuno che lo scoprisse, mentre credo alla invenzione delle dimostrazioni che possono variare moltissimo a seconda del matematico che le trova. Molto spesso di uno stesso teorema inizialmente viene trovata una dimostrazione molto complicata e successivamente attraverso varie riflessioni si arriva a semplificarla, a renderla più elegante, a renderla magari adatta a dimostrare teoremi più generali; c’è effettivamente più scoperta negli enunciati dei teoremi e più invenzione nella dimostrazione dei teoremi. Anche se da un punto di vista logico uno può dire che anche le dimostrazioni non sono che una catena di proposizioni ciascuna delle quali può essere considerata un teorema, però di fatto, dal punto di vista psicologico, c’è più questa sensazione di scoperta in un caso e più di invenzione nell’altro.


De Giorgi insegnante alla "lavagna"

Matematica e insegnamento

Un’idea è quella che ho già enunciato, cioè bisognerebbe nei primi due anni di università ritornare alla unione dei corsi per matematici, fisici, ingegneri, almeno per quella che è la matematica di base. Questo servirebbe anche a creare quel linguaggio scientifico minimo, comune tra le varie discipline oltre a trovare empiricamente quella amicizia tra matematici, fisici, ingegneri che è molto utile anche per il futuro. Certe amicizie o si fanno quando si è all’università o dopo si fanno molto più difficilmente. In seguito ognuno è incasellato nella propria disciplina.
Magari farà il lavoro specifico in collaborazione con il matematico, il fisico, l’ingegnere ma difficilmente prenderà l’abitudine, senza nessun fine pratico immediato, di parlare liberamente dei propri problemi e cercare di spiegarli e di farseli spiegare da studiosi di diverse discipline.
Anzi un’ideale, forse mai realizzato in Italia, sarebbero dei corsi di matematica di base che oltre a fisici e ingegneri raggiungessero anche i chimici; in fondo hanno quantitativamente un corso di matematica non molto inferiore a quello degli ingegneri e degli economisti. Se queste discipline che utilizzano piuttosto massicciamente la matematica avessero dei corsi comuni probabilmente avremmo qualcosa di più della pura utilizzazione, avremmo la formazione di una base linguistica e anche di un’abitudine alla conversazione tra studiosi di diverse discipline che secondo me sarebbe preziosa. Naturalmente, nulla vieta che poi accanto a questo insegnamento di base ci siano dei seminari specializzati su argomenti che possano interessare alcuni matematici, fisici o biologi; senza escludere che, per esempio, un biologo possa avere l’interesse a seguire un seminario sui gruppi finiti. Accanto a questi corsi di base di matematica per tutti, nulla vieterebbe l’esistenza di alcuni seminari specializzati che potrebbero avere carattere prevalentemente matematico, fisico, economico ma a cui potrebbe assistere per proprio gusto e fantasia qualche persona che poi non seguirà la disciplina per cui quel seminario è svolto. 
Del resto c’è un libro molto interessante di Andre Weil³  in cui parlando della sua formazione notava che quando era normalista (all’Ecole Normale Superieure di Parigi) studiava un po’ di matematica e molto di sanscrito. È anche questo che secondo me le nostre università dovrebbero ritrovare.
Non dico che tutti i nostri studenti debbano studiare sanscrito come Weil però che nello studio universitario accanto ai corsi obbligatori uno spazio non trascurabile, il 10%, 20% del tempo, sia effettivamente dedicato dagli studenti alle cose che a loro interessano in modo del tutto disinteressato. Una delle cose che vedo è che purtroppo anche alla Normale troppo spesso lo studente alla fine pensa solo alle cose che sono obbligatorie, ai corsi in cui deve dare l’esame e si interessa poco alle cose che invece dovrebbero interessarlo per puro amore della sapienza. In questo campo nella stessa Normale, dove pure vengono offerti molti di questi seminari, conferenze che non comportano esame, vorrei che questa offerta da parte degli studenti fosse apprezzata di più. Probabilmente bisognerebbe trovare il modo di alleggerire la parte obbligatoria dei corsi in tutti i campi e lasciare un po’ più di questi spazi alla libertà. Il fatto che il corso, qualche volta, cresca sulla base del dialogo, delle osservazioni, della meditazione, che contenga più problemi aperti che problemi risolti, qualche volta vedo che nel ragazzo dà un senso di smarrimento. Lo studente vorrebbe sapere “questo è il programma, ci saranno questi teoremi, saranno dimostrati tutti o in parte con precisione”; l’avere di fronte a sé un binario già ben prestabilito è sentito come più rassicurante che sentire, come sul “Corrierino dei Piccoli”: qui comincia l’avventura. Certamente riconosco che l’80% del tempo dovrà giustamente essere dedicato a corsi che hanno già prestabilito un inizio e una fine. Quindi in cui ci sia un programma ben delimitato attraverso cui ci sia la acquisizione di sistemi ormai stabili di conoscenza che sono necessari anche come base di tutte le future chiamiamole avventure. Però un po’ di spazio anche al corso-avventura in cui la stessa persona che lo tiene non sa esattamente quale sarà la fine, anche questo dovrebbe esserci nell’insegnamento universitario. Corsi con queste caratteristiche o cicli di seminari, chiamateli nel modo che ritenete migliore, secondo me dovrebbero essere parte dell’insegnamento universitario. Del resto una cosa analoga anche se in campi apparentemente diversi è quando si è proposto, parlando dell’insegnamento nelle scuole medie, argomenti che vanno sotto il nome di “Diritti Umani”, nome forse anche un po’ restrittivo perché la dichiarazione del ’48 (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) parla di diritti ma usa anche frasi più ampie tipo l’amicizia e la comprensione. Una frase ancora più impegnativa parla della fede e della dignità e del valore della persona umana. Io pensavo che quella dichiarazione più che far parte di un corso di educazione civica o storia o qualche altra cosa, dovrebbe essere all’inizio dell’anno distribuita a tutti gli studenti. Questa è la dichiarazione che potrà essere poi discussa sia nell’ambito dei corsi sia nelle assemblee, nelle riunioni, dove riterrete più opportuno.
Vorremmo comunque che tutti inizialmente sapessero che c’è questa dichiarazione, sapessero che per la sua ampiezza mal si presta come parte di un singolo corso e sapessero però che è qualcosa che può essere accettato, criticato, respinto ma con cui comunque è importante confrontarsi. Questa non è una cosa su cui dovrete rispondere all’esame ma una cosa con cui, con libertà di coscienza, vi dovreste confrontare tutti quanti, anche magari per dire: “Io la rifiuto”.
Però è un testo che non può essere messo insieme a tutte le altre materie dì insegnamento; che tutti siano portati a conoscenza dell’esistenza di questo testo, tutti si confrontino con questo testo nei modi che liberamente la scuola, nelle sue varie componenti deciderà più opportuno e più utile.
È un po’ l’idea del confronto aperto… È una vecchia proposta che io rilancio, una volta o l’altra forse troverò il ministro che dice:“Distribuiamo all’inizio dell’anno a tutti gli studenti, ai professori di tutte le scuole una copia della Dichiarazione”. Che poi sono cinque, sei paginette che prodotte in massa avrebbe un costo infinitamente più basso di tutte le circolari che vengono diffuse dal ministero. L’altra mia proposta più ardita era quella di inserire nella Costituzione Italiana la Dichiarazione Universale del ’48. Questo inserimento arricchirebbe la Costituzione Italiana, non contrasterebbe con gli articoli. Invece di alcuni articoli che parlano di diritti umani occasionalmente, avremmo l’inserimento di una dichiarazione che effettivamente enuncia ciò che si deve intendere per diritti umani in modo sintetico e coerente. Sarebbe qualcosa che rafforzerebbe la nostra Costituzione, rafforzerebbe anche il prestigio dell’Italia nel mondo, perché adesso il lettore paziente che sa bene o male l’italiano fa un certa fatica a vedere quali
diversi diritti sono riconosciuti nella nostra Costituzione. 
Se trovasse al primo posto: l’Italia riconosce tra i propri principi fondamentali quelli sanciti dalla Dichiarazione sui Diritti Umani del 10/12/48, avrebbe un testo che c’è in tutte le lingue e quindi conoscerebbe con certezza tutti i diritti e tutta l’idea del diritto che è a fondamento della Costituzione. Infine, l’ho già accennato nell’introduzione, per me la prospettiva della resurrezione, della vita eterna è una prospettiva importante per inserire tutto questo quadro di riflessioni sapienziali. Altrimenti sentirei l’amore per la sapienza come un sentimento illusorio.


Note

¹ "Scripta volant, verba manent"è anche il titolo di un libro di Ennio De Giorgi, collocato in una serie di filosofia.
Oltre a un ricco inserto fotografico, al libro è allegato un video che documenta un momento importante della vita di De Giorgi: l'incontro-dibattito del 1996 con un altro grande del pensiero matematico, il Nobel John Nash.
² E.De Giorgi “Sulla differenziabilità e l’analiticità delle estremali degli integrali multipli regolari”, Mem. Acc. Sci. Torino 3 (1957) 25-43; J. Nash “Continuity of solutions of parabolic and elliptic differential equations”, Amer.J. ofMath. 80 (1958) 931-953) 
³ A. Weil “Souvenirs d’apprentissage”, Birkhàuser Verlag, Basel, 1991; ed it. “Ricordi di apprendistato” Einaudi 1994



La "Madunina" che domina Milan

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"O mia bela Madunina che te brillet de lontan - tuta d’ora e piscinina, ti te dominet Milan"
(autore Giovanni D’Anzi)

Noi milanesi forse siamo più stimolati ad apprezzare le bellezze della nostra città quando le vogliamo far conoscere ai nostri amici.
In queste occasioni ci ricordiamo di luoghi che raramente rivisitiamo e ci piace condividere curiosità legate a fatti e luoghi di questa stupenda città.
Una di queste curiosità mi è stata ricordata da una guardia giurata incontrata per combinazione vicino a piazza Gae Aulenti, dove avevo condotto un'amica di Torino ad ammirare la skyline milanese.
Tra le tante curiosità raccontateci, vorrei qui parlare in particolare di una legata alla famosa nostra "Madunina" che sovrasta i marmi di Candoglia del Duomo.




L'inizio di questa "curiosità" risale al 1774 quando all'altezza di 108.5 metri, sulla guglia più alta del Duomo, viene posta la statua della Madonna che subito per i Milanesi diventa "La Madunina". 
Anche se il diminutivo non è propriamente corretto, data la sua altezza di 4 metri e 16 cm ed il suo peso (è completamente rivestita d'oro), da allora veglia sulla città e sui milanesi dal punto che avrebbe dovuto essere il più alto.  
Era un'altezza che, in quegli anni, sembrava davvero insuperabile da altri edifici e che anche in seguito non si volle superare, nemmeno negli anni venti, agli inizi  della dittatura fascista. 
In quel periodo infatti, il comune di Milano promulgò una disposizione, voluta dallo stesso Mussolini, che prevedeva che non si potesse costruire alcun edificio che superasse in altezza la Madonnina. 
Nel 1933 Milano, che voleva ottenere "l'esposizione internazionale triennale delle arti decorative e industriali moderne", commissionò ad un gruppo di architetti, tra cui Giò Ponti, la costruzione di una torre che avesse una terrazza panoramica. La Torre Littoria, rinominata poi Torre Branca, fu così costruita nel parco Sempione ma, rispettando la norma, si fermò a 108 metri d'altezza. 
Pochi anni dopo, poco prima della guerra, lo stesso Mussolini sembrò però ripensarci e il Corriere della Sera del 20 ottobre 1938 titolò su tre colonne: "II Duomo avrà il campanile più alto del mondo. L'ordine del Duce: le campane a posto nel 1942".
Il campanile avrebbe dovuto essere costruito sul lato destro del Duomo, nello spazio antistante il palazzo reale, e avrebbe dovuto essere alto ben 164 metri. 
Un progetto che sicuramente non avrebbe abbellito la piazza e che per fortuna, con l'arrivo della guerra, fu abbandonato.


Duomo, Progetto Torre Campanaria Architetto Ottavio Cabiati, 1930-35

Gli anni del dopo guerra furono anni di grande fermento e ricostruzione e nel 1958 fu inaugurata a Milano la Torre Velasca, una gigantesca costruzione in cemento con la parte superiore aggettante che gli conferisce la caratteristica forma a fungo. 
Anche se il fascismo ormai era caduto da tempo e la disposizione del comune probabilmente non aveva più alcun valore, tra il comune e la curia c'era un tacito accordo per cui, nel progetto risalente al 1951, il limite dei 108.5 metri non venne nemmeno questa volta superato. Ed infatti anche la Torre Velasca si fermò a 106 metri d'altezza. 
Il primo trasloco, si fa per dire, che dovette affrontare la Madonnina risale però a qualche anno prima, in cima alla torre Breda, in piazza della Repubblica a poca distanza dalla stazione Milano Centrale.
In questi primi anni '50 il capoluogo lombardo iniziava davvero a cambiare volto con la sua rincorsa verso l’alto, che incarnava lo spirito degli anni del boom in cui tutto era finalmente possibile. 
Così, purché sulla sommità venisse posta una riproduzione della Madonnina, il Comune acconsentì alla costruzione di palazzi che superassero i fatidici 108,5 metri.

Alta 117 metri, la torre Breda di piazza Repubblica fu quindi il primo grattacielo di Milano a infrangere quel limite storico. 
Disegnata dall’architetto Luigi Mattioni, quando venne conclusa, nel 1954, con i suoi 31 piani divenne anche il grattacielo più alto d’Italia. 
I bombardamenti su Milano, che avevano causato moltissimi danni, avevano anche distrutto gli stabilimenti e gli uffici della Pirelli che sorgevano nella zona della Cascina Brusada, accanto alla stazione centrale. 
Fu così che, più o meno negli stessi anni, Piero e Alberto Pirelli decisero di ricostruire la zona della Cascina Brusada e commissionarono ad un gruppo di architetti, tra cui ancora Giò Ponti, la costruzione del grattacielo Pirelli. 


La Modonnina in cima al Pirellone

Quando fu inaugurato, nel 1960, risultò essere alto 127,10 metri, ben 10 metri in più rispetto alla Torre Breda e quasi 20 dall'altezza della Madonnina.
Per inciso è proprio tra i miei ricordi infantili dato che mio padre, funzionario e poi direttore alla Pirelli, vi fu trasferito ed io, piccina, durante una visita nel suo ufficio, scappai a da sola salii in ascensore fino al 31esimo piano! 
L'ultimo piano infatti, il 32esimo del grattacielo, è raggiungibile solo tramite scale dal 31esimo piano (l'ultimo a cui arrivano gli ascensori), e, aperto al pubblico in alcune giornate speciali, funge da belvedere con ampia vista panoramica sulla città, ospitando anche mostre temporanee come spazio multifunzionale.
Comunque, riguardo all'altezza superata e per ottenere giustizia, il cardinale Montini propose una soluzione direi tipicamente italiana. 
Fu infatti realizzata una copia di 85 cm della Madonnina da mettere sul tetto del nuovo grattacielo in modo che potesse vegliare sui milanesi sempre dal punto più alto della città. 
Alla cerimonia con la benedizione del cardinal Montini, futuro papa Paolo VI, a cui partecipò allora anche il mio papà, non fu dato alcun risalto e questa storia rimase praticamente sconosciuta fin quando Gian Mario Merli, un medico appassionato di storia di Milano, non la rese pubblica.


La Modonnina in cima a Palazzo Lombardia

Nell'autunno del 2010 fu inaugurato Palazzo Lombardia, la nuova sede della Regione, che è alto 161 metri e, per mantenere il suo primato, la Madonnina ha traslocato e, come ci ha raccontato la guardia giurata, si è trasferita in cima al nuovo edificio di Pei-Cobb, la nuova sede della Regione, alto 39 piani
Il 31 gennaio 2011 è stata infatti benedetta dal cardinale Dionigi Tettamanzi, una copia della Madonnina.
Tutte le domeniche, dalle ore 10 alle 18 con ingresso gratuito, la Regione apre al pubblico il trentanovesimo piano del palazzo da cui si gode una bellissima vista di Milano e da cui, muniti di binocolo o teleobiettivo, è possibile vedere la cima del grattacielo Pirelli con la sua Madonnina.


La Madonnina sulla sommità della torre Isozaki

Ormai Milano sta sviluppandosi sempre più in "verticale" e anche quell'altezza è stata di gran lunga superata.
Attualmente la Torre Isozaki o Torre Allianz, soprannominata "Il Diritto", è l'edificio più alto d'Italia, superando l'Unicredit Tower con i suoi 249 metri di altezza, ed è il sesto in tutta l'Unione europea. 
Il 22 novembre 2015 e come vuole la tradizione meneghina, in occasione della recente inaugurazione della torre Isozaki in zona Citylife, una terza copia della Madunina, alta un metro e mezzo e pesante 145 chili, è stata issata anche qui sulla sommità della torre dopo essere stata benedetta da monsignor Carlo Faccendini, vicario episcopale dell’Arcidiocesi di Milano (qui il video).
E se il futuro di Milano è nei grattacieli, la Madonnina dovrà rassegnarsi a cambiare spesso casa. 



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